giovedì 13 maggio 2010

Archiviata la morte di Niki Aprile Gatti


Questo mio post è nero, nerissimo, proprio come lo sfondo del mio
Blog che tante volte ero stato tentato nel chiuderlo. Ieri ho ricevuto la chiamata di Ornella, madre di Niki Aprile Gatti, e mi ha dato una notizia che mi ha fatto crollare il mondo, già così fragile, addosso: hanno archiviato, è finita!

Sono stato un povero illuso, un ingenuo, lo siamo stati tutti noi.

Cosa volevamo credere? Che la magistratura di Firenze riaprisse il caso? Che all’improvviso tutto cambiasse? Che mettessero in dubbio il "suicidio" di Niki? Ma scherziamo? Come potevo credere che tutto si sarebbe messo in discussione,
come potevo credere che la Magistratura potesse interrogare di nuovo tutti i probabili testimoni? Magari andando a ritrovare uno dei detenuti compagni di cella, trasferito dopo alcuni giorni la morte in un carcere sperduto della Sicilia? Come potevo credere che avrebbero analizzato il laccio di scarpe che avevano subito restituito alla madre?

No, sarebbe stato troppo. Il maledetto carcere di Sollicciano avrebbe avuto uno stravolgimento, e tutti gli altri familiari delle tante morti sospette avrebbero fatto l’inferno. Ma come potevo sperare che si creasse un precedente?

Maledetto a me e che ancora avevo un briciolo di speranza nella Giustizia.

Di questa archiviazione non se ne occuperà nessun grande giornale, nessun grande mezzo televisivo. Troppo impegnati a parlare delle dimissioni di Scaiola e il suo acquisto dell’appartamento ad un tasso troppo "variabile". Troppo interessati a Fini, D’Alema e alle battute di Berlusconi.

Ma chi se ne frega di Niki, ma chi è? Un ragazzo qualunque che è morto suicidato come tanti altri. Un ragazzo di un piccolo Paese di provincia come Avezzano che ha dato natale ad un Gianni Letta. Ma cosa importa che probabilmente dietro c’è la criminalità organizzata, la collusione con una gran fetta della nostra classe politica, la massoneria e tanto altro? A chi importa?

Ma chi se ne frega che molto probabilmente l’operazione Premium, quella che ha causato l’arresto di Niki e quindi la sua condanna a morte perché era l’unico che voleva parlare, finirà come una bolla di sapone? A chi diavolo interessa?

In questi gironi ricorre l’anniversario della morte di Peppino Impastato e ora tutti ne parlano. Ma prima? Era un ragazzo che si era suicidato, punto e basta. C’è voluto un diavolo di film dopo più di venti anni per svegliare la coscienza civile e la Magistratura.

Dopo la telefonata ricevuta, mi sono recato tutto abbattuto in un bar, la signora barista non trovava quello che le avevo chiesto. Allora le ho detto di lasciar perdere. Ma poi a forza di cercare l’ha trovato e mi ha detto:" Non bisogna mai arrendersi alla prima sconfitta, sennò è finita!"

Inconsapevolmente mi ha risollevato un po’ di morale. Non mi fermerò, e faremo rientrare la storia di
Nikidalla finestra e per fortuna ho trovato altra gente in gamba che mi darà una mano.

Loro hanno archiviato? Noi no!

Scajola non andrà dai giudici "Perugia non è competente"

Lo ha reso noto l’avvocato dell’ex ministro, che questa mattina si è recato dai pm perugini a comunicare la decisione prese.

Roma, 12 maggio 2010 - Il ministro Claudio Scajola non si presenterà davanti ai Pm di Perugia che lo avevano convocato il 14 maggio come persona informata dei fatti, con riferimento a diverse inchieste aperte mentre è pronto a difendersi e dimostrare la propria “totale estraneità” ai fatti in altra sede, sia essa il Tribunale di Roma o, prima ancora, quello dei Ministri.

Lo ha reso noto l’avvocato dell’ex ministro, Giorgio Perrone che questa mattina si è recato dai pm perugini e ha comunicato la decisione assunta, contestando ai magistrati, fra l’altro, che le molte indiscrezioni di stampa circa lo stato di avanzamento dell’inchiesta di Perugia nei confronti di Scajola rendono “imbarazzante” ma soprattutto “giuridicamente scorretta” oltre che ingiustificata - se non dalla possibilità di ascoltare Scajola senza difensore e garanzie previste per le persone raggiunte da avviso di garanzia- la sua convocazione come semplice persona informata dei fatti.


Tutte ragioni che hanno indotto
il legale a decidere di “non far presentare il ministro Scajola dinanzi ai pubblici ministeri”.

LA LETTERA DELL'AVVOCATO

“Comunico - scrive l’avvocato Perrone- di essermi recato questa mattina presso la Procura di Perugia e di aver avuto un colloquio con i pubblici ministeri titolari dell’indagini. Questo pomeriggio ho deciso di non far presentare il mio assistito, onorevole Claudio Scajola, all’audizione come persona informata sui fatti fissata per il 14 maggio, dandone comunicazione ai magistrati. Le ragioni di questa mia personale scelta vanno rinvenute nella singolare situazione che, a mio avviso, si è venuta a determinare”.

“Ormai da giorni - denuncia il legale- la stampa nazionale riporta, infatti, quel che viene rappresentato come il contenuto di atti di indagine (testimoniali e documentali) concernenti la compravendita di un immobile sito a Roma, in via del Fagutale numero 2, di proprietà del ministro Scajola e oggetto di investigazione da parte della Procura di Perugia. In particolare secondo quanto riportato dai giornali, le persone sentite hanno riferito che il prezzo dell’immobile fu, per 900mila euro, pagato con assegni circolari consegnati brevi manu alle venditrici dallo st4esso ministro, tratti da un conto corrente intestato all’architetto Zampolini e la cui provvista era riconducibile all’imprenditore Diego Anemone”.


“Più di recente, poi - prosegue l’avvocato- la stampa ha riferito che la Procura di Perugia sta indicando in ordine a preziosi favori che l’onorevole Scajola avrebbe, precedentemente alla compravendita de qua, elargito a Diego Anemone, facendo esplicito riferimento sia l’appalto concernente il cantiere del centro Sisde di piazza Zama a Roma sia al rilascio del nulla osta di sicurezza, entrambi cronologicamente collegabili in un periodo in cui l’onorevole Scajola era ministro dell’Interno. Alla luce di tali notizie, che si dimostreranno non conformi al vero, non riesco obiettivamente a comprendere come la procura di Perugia possa valutare di sentire l’onorevole Scajola in una veste che parrebbe ormai solo formalmente, ma non già sostanzialmente, quella di persona informata sui fatti”.


“Tale situazione, a mio avviso, - conclude l’avvocato Perrone - non è corretta su un piano tecnico processuale e mi determina un incomprensibile stato di imbarazzo a consentire che la richiesta audizione avvenga secondo le modalità indicate e senza, quindi, il rispetto delle garanzie difensive normativamente previste. E’, inoltre, mia convinzione che la procura di Perugia non sia competente a conoscere di questa vicenda sia perchè i fatti sono tutti, pacificamente, avvenuti a Roma, sia perchè, in ogni caso la competenza a giudicare il ministro Scajola sarebbe, eventualmente, di altro organo, ovvero a dire del Tribunale dei ministri. In questa situazione ho deciso di non far presentare il ministro Scajola dinanzi ai pubblici ministeri”.


Spunta la lista di Anemone Nel 'libro mastro' 350 nomi


Nella lista figurerebbero politici di alto livello, uomini delle istituzioni e vip. I lavori sarebbero stati eseguiti non solo nelle abitazioni private ma anche in palazzi della politica e in caserme

PERUGIA, 13 MAGGIO 2010 - UNO SCENARIO inquietante che fa tremare il Palazzo. Esiste una lunga lista, 350 nomi eccellenti, politici, alti funzionari dello Stato e, pare, vertici delle forze dell’ordine. L’elenco sarebbe stato sequestrato dalla Guardia di Finanza in un computer di Diego Anemone nel 2009: allora non gli fu dato peso ma oggi quel documento è nelle mani degli inquirenti perugini che indagano sulla ‘cricca’. Ed assume un rilievo ben diverso.

L’ELENCO fu sequestrato nell’ambito delle indagini sui mondiali di nuoto a Roma. La lista conterrebbe centinaia di nominativi ai quali sarebbero associati dei lavori svolti dalle imprese di Anemone, considerato dai magistrati una delle figure chiave della cricca. Nella lista figurerebbero politici di alto livello, uomini delle istituzioni e vip. Fra gli altri, Claudio Scajola, l’ex ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi e l’alto funzionario del ministero delle Infrastrutture Ercole Incalza. Il gruppo Anemone avrebbe eseguito lavori non solo nelle abitazioni private ma anche in alcuni dei più importanti palazzi della politica romana e in decine di caserme delle forze di polizia. Naturalmente ora l’interesse principale dei magistrati è quello di scoprire se tutti i personaggi della lista hanno avuto i trattamenti di favore descritti nelle scorse settimane dall’architetto Zampolini. In procura a Perugia sono convinti che il vero ammontare del giro di soldi messo in moto da Anemone — secondo l’accusa per compensare i funzionari pubblici che avrebbero favorito le aziende della ‘cricca’ negli appalti pubblici — sia ancora tutto da quantificare e comunque di molto superiore ai quasi tre milioni scoperti su un conto della Deutsche Banke intestato a Zampolini. Un fiume di denaro che gli investigatori perugini stanno cominciando a rintracciare nei 1.143 rapporti bancari, di cui 263 conti correnti, intrattenuti da Balducci, Anemone, dai loro rispettivi familiari, dagli intermediari e dalle società a loro riferibili.

NELLA LISTA trovata nel pc di Anemone figurerebbe anche il regista Pupi Avati, che, appresa la notizia, ha spiegato di non aver mai ricevuto re gali da Anemone: «Dovevo installare un montacarichi in una casa di vacanza e chiesi a Balducci, che si attivò. Non so chi materialmente li eseguì. In ogni caso tutto fu pagato regolarmente, 4.400 euro. ho la documentazione».


http://quotidianonet.ilsole24ore.com/cronaca/2010/05/12/330974-computer_anemone.shtml


TRANQUILLAMENTE SUICIDATO


DI CARLO BERTANI
carlobertani.blogspot.com

Mentre tutti erano attenti alle vicissitudini dell’economia, la Magistratura italiana ha iniziato a trattare il caso di Stefano Cucchi e, dalle prime avvisaglie, sembra che il “copione” sia il medesimo del caso Sandri, che ha già condotto alla scandalosa condanna (senza carcere) per l’agente Spaccarotella[1]
Ancora non s’è spento il clamore per le “stranezze” nelle imputazioni, che un altro caso arriva in cronaca – dopo Giuliani, Aldrovandi, Mastrogiovanni, Uva e tutti gli altri – ed è la volta di un altro Stefano, di cognome Gugliotta, al quale è andata meglio: il solito pestaggio e due denti spaccati[2] . Almeno, è ancora vivo.
Il poveraccio era stato scambiato per un altro tizio, segnalato come un agitatore nella kermesse del calcio capitolino, mentre stava semplicemente recandosi ad una festa. Staremo a vedere cosa s’inventeranno questa volta.

Intanto, scoppiamo dalla curiosità di poter leggere per esteso le motivazioni per le quali i magistrati – Vincenzo Barba e Maria Francesca Loi – hanno derubricato l’accusa per la morte di Stefano Cucchi, da omicidio preterintenzionale a favoreggiamento, abbandono d’incapace, abuso d'ufficio e falso ideologico per i medici dell’ospedale “Pertini”, lesioni e abuso d’autorità per gli agenti della Polizia Penitenziaria[3] .
Intanto, la parola “omicidio” è scomparsa dal novero delle accuse, e questo la dice lunga sulla “piega” che prenderà il processo. Si ha un bel dire che l’accusa di “abbandono d’incapace” è grave e può trasformarsi, se acclarata, in 8 anni di carcere: vorremmo sapere cosa, dopo tre gradi di giudizio, rimarrà di quelle accuse. Il caso Spaccarotella docet: insomma, da una sola accusa “pesante” si fa uno “spezzatino” il quale, nei vari gradi di giudizio, perderà pezzi ad ogni dibattimento. Non l’avessimo già ascoltato, questo copione, per troppe volte.

Approfondendo un po’ la lettura sotto l’aspetto linguistico – perché l’interpretazione delle norme avviene anche alla luce della semplice lingua italiana – scopriamo che l’impianto accusatorio, al processo, seguirà le linee che andremo ad esporre.
All’inizio della vicenda, ci sono gli agenti della Polizia Penitenziaria che – “abusando della loro autorità” – ossia compiendo azioni che non dovevano compiere, “escono dal seminato”, ossia dalle loro competenze. Un po’ come un bidello che vuole farti una multa per aver posteggiato la moto di fronte alla scuola, o un vigile urbano che pretende di dichiarare guerra alla Spagna. In cosa consiste l’abuso?
Nel provocare delle lesioni. Ora, il termine “lesione” è assai vago: si va dal graffio provocato al vicino di banco con il temperamatite al calcio nel ventre scoccato con forza, il quale ti provoca un’emorragia interna e ti conduce alla morte in pochi minuti. Al momento, non sappiamo nemmeno se tali lesioni siano meglio specificate. Gravi? Lievi? Lesioni e basta.

Volontarie? Beh…se quegli agenti non erano sotto l’effetto di una potente droga psicotropa…sì, senza dubbio sapevano di picchiare. Almeno quello. Se quelle lesioni hanno – in definitiva – ucciso Stefano Cucchi, non potevano certo essere dei buffetti.
Insomma – raccontano i magistrati italiani – quegli agenti si sono lasciati un po’ andare…hanno smarrito per un attimo il codice deontologico ed hanno malmenato “un pochino” il povero Stefano Cucchi, gli hanno dato una “ripassata”…mica roba seria, per carità, non esageriamo…la quale non rientrava, però, nei loro compiti. Cattivoni: non fatelo più, eh?

Siccome Cucchi è stato “lesionato” – ricordiamo che l’impresentabile sottosegretario (minuscolo) Giovanardi giunse a dire che Stefano era morto perché fragile e drogato[4]: ha forse, il sotto-sottosegretario, inviato una “nota personale” ai magistrati? – viene ricoverato (dopo un po’, prima devono accorgersi che è stato veramente “lesionato”) all’ospedale Sandro Pertini, laddove si prendono cura dei carcerati. Se il vero Sandro Pertini fosse ancora in vita, so già chi farebbe “lesionare”. Qui, dei pessimi medici commettono una serie di reati impressionante.

Per prima cosa lo abbandonano, giacché Stefano è dolorante e non lo curano, “favorendo” così la “negativa evoluzione” di quelle lesioni che gli agenti, “soprappensiero” per qualche istante, gli avevano procurato. Quando s’accorgono che l’hanno fatta grossa – semplicemente perché Stefano muore – iniziano a stendere la “cortina fumogena” per pararsi il sederino, commettendo così i reati d’abuso d’ufficio e falso ideologico. Insomma, mentre truccavano le carte del mazzo, non s’erano accorti che infrangevano la semplice consuetudine che proibisce di barare al gioco.
Seguendo la logica di quei magistrati, verrebbe quasi d’aver pena di questi poveri derelitti: più che altro, sembrano dei colossali ignoranti, dei “cinghiali laureati in Matematica Pura”, come affermava de André.

Il “corpus” di questa bella dissertazione – che, non dimentichiamo, è sfociata in delle accuse ridicole, solita roba da “un buffetto e via” – è la netta sensazione d’aver a che fare con determinismo senza limiti, quasi un manifestarsi del Fato. Tutto diventa casuale, quasi che degli Dei bizzarri avessero tutto previsto e favorito: un po’ la spiegazione del sotto-cerebrato Giovanardi che, inesorabilmente, dopo la morte di Stefano continuava a spargere fango sulla semplicissima constatazione che, un giovane che non aveva motivi per morire, in carcere aveva trovato chi glieli aveva prontamente forniti.
Tramite la derubricazione delle accuse, si volge il capo dall’altra e si finisce per non scorgere più i fatti: Stefano Cucchi è entrato sano in carcere e ne è uscito cadavere. Cadavere, capito? Morto.

Ora, chi lo Stato un po’ lo conosce, sa che ci sono cose dette nelle righe e fra le righe: avviene in tutti i comparti, dalla scuola ai ministeri, dalle amministrazioni periferiche alle strutture di controllo del territorio.
Siccome i dettati legislativi sono così aleatori da contraddirsi ad ogni piè sospinto, è compito dei dirigenti cercare d’appianare le mille contraddizioni che un potere politico assente finisce per generare.
Così, fra le righe, viene detto ciò che le righe non raccontano, non spiegano, rimandano, non chiariscono, nascondono.
Non vorremmo che, qualche “riga” non detta ed aggiunta “fra” le righe, sia “sfuggita” a qualche dirigente di polizia ed abbia generato gli oramai tanti casi di omicidio in carcere, botte, gente malmenata e “suicidata”: non troviamo altra giustificazione per gli oramai troppi casi di “sbagli”, “scambi di persona”, “incidenti”, “eccessi” e via discorrendo.
Il sospetto che ci coglie, è che qualcuno abbia aggiunto fra le righe ciò che nessuna riga conteneva: sarebbe il caso d’intervenire rapidamente, prima che i casi aumentino.
Se così non fosse, dovremmo concludere che quel “fra le righe” fosse contenuto – in forma blanda, suadente, contraddittoria, ermetica, esoterica, melliflua o contorta – “nelle” righe e, questo, nessuno Stato democratico – che accende le luci del Colosseo quando una condanna a morte viene trasformata in detenzione! – potrebbe mai permettere. A meno d’essersi trasformato, nella notte del dottor Jekyll, in mister Hyde.

Ma, chi è genitore, può provare per un attimo a ricordare la fatica di tirar su un figlio: le apprensioni, le malattie, qualche volta l’ospedale, i rimproveri dati con il cuore gonfio…e poi le gioie degli abbracci, dei sorrisi, le speranze, le delusioni, ancora fatiche…stai attento con quel motorino…lascia perdere: vengo io a prenderti in discoteca, anche alle tre di notte…
Poi le speranze: dai, provaci ancora a rimediare quel 4 in Matematica, almeno passi l’Estate tranquillo…vedrai che ci riuscirai, che quel lavoro l’avrai… Le delusioni: perché ti sei lasciato andare in quella storia di coca…ma cosa speravi di ricavarci…dai, ti aiuteremo ad uscirne…
Queste (e molte altre) sono le fatiche di qualsiasi genitore: qualche volta alcune non si presentano, ma un buon plafond è comune per tutti.

Dopo tutto questo, ai genitori di Stefano Cucchi la giustizia italiana (minuscolo) si presenta dicendo che il loro figlio è stato “lesionato” soltanto per un misero “abuso d’autorità”, e che non gli sono state prestate le necessarie cure perché hanno semplicemente deciso d’abbandonarlo al suo destino?
Come madri, come padri – se siamo un popolo che ancora ha in sé i semi della giustizia e dell’uguaglianza di fronte alla legge – dovremmo inviare tutti un fiore a quei genitori, perché sappiano che tanti altri genitori italiani sono con loro. E una pernacchia, a questa giustizia che non osiamo definire da “terzo mondo”, soltanto perché in tante parti del Terzo Mondo è più civile.
C’è una petizione aperta per chiedere la verità sulla vicenda di Stefano, che è vergognosamente ferma a circa 120 firme a questo indirizzo:



Saranno solo firme, ma costa poco firmare per raggiungere le 5.000 firme ed inviare la petizione. Coraggio.

Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com/
Link: http:/carlobertani.blogspot.com/2010/05/tranquillamente-suicidato.html
12.05.2010

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.



La corte dei miracoli che gira intorno al "regalo" a B. - Eleonora Lavaggi


12 maggio 2010
Ex carcerati, mafiosi e truffatori per i nastri Fassino-Consorte. Al vaglio degli inquirenti presunte bustarelle da 50 mila euro portate al fratello del premier

Se non è un
Arcorgate, poco ci manca. Settimana dopo settimana prende sempre più corpo l'ipotesi che davvero il presidente del Consiglio abbia utilizzato intercettazioni telefoniche, trafugate illegalmente dai server della Procura di Milano per mettere nell'angolo gli avversari politici. In questa replica all'italiana dello scandalo che costrinse nel 1974 il presidente Usa Richard Nixon alle dimissioni, finora dal Pdl piovono solo smentite. L'onorevole avvocato Niccolò Ghedini e il sottosegretario Paolo Bonaiuti sostengono che Silvio Berlusconiè assolutamente estraneo alla pubblicazione, da parte de Il Giornale, dell'ormai celebre colloquio telefonico tra l'ex segretario dei Ds, Piero Fassino, e l'ex numero uno di Unipol, Giovanni Consorte, intorno al quale ruotò buona parte della campagna elettorale per le Politiche 2006.

Dal 15 dicembre scorso però giace senza risposta un'interrogazione parlamentare presentata dal responsabile Giustizia del
Pd, Andrea Orlando. Il governo, insomma, ufficialmente non vuole dire niente. E se si va a guardare quel poco che trapela a Milano dalle maglie di un segreto istruttorio mai così ferreo è facile intuire il perché. Comunque la si prenda la situazione è più che imbarazzante per Berlusconi, il suo partito e i suoi familiari. La storia che è stata fin qui messa a fuoco dagli investigatori è complessa e ha origini lontane. Comincia quando Fabrizio Favata, un imprenditore milanese che nei primi anni '90 è stato più volte in carcere, conosce Alessia Berlusconi, figlia di Paolo e della ex moglie Mariella Bocciardo, attuale deputato del Pdl. L'incontro avviene ai margini delle riunioni per le polizze assicurative della Bayerische di cui Alessia si occupa. In breve tempo Favata diventa un amico di famiglia. Lega con Paolo col quale esce spesso la sera.

Poi passa agli affari. Berlusconi Junior tramite la
Solari (quella dei decoder tv) commercializza prodotti di elettronica al consumo importati, ma si vuole espandere all'informatica. Nasce per questo l'Ip time, una società specializzata in telefonate attraverso il web, in cui Favata entra con una piccola quota detenuta, dice lui, da un'amica. Visti i suoi precedenti penali, non è il caso che compaia direttamente in un'azienda del fratello del premier. Favata è pure amico di Roberto Raffaelli, uno dei proprietari di Rcs, una delle più grandi società che lavorano con le procure nel campo delle intercettazioni. Ascoltare le telefonate altrui è un affare da molte decine di milioni di euro. Ma Rcs vuole crescere ancora. Punta ai mercati esteri (la Romania) e così Favata pensa di chiedere una mano al fratello del presidente del Consiglio. Paolo si mette a disposizione.

A Roma fa fare agli uomini della
Rcs degli incontri importanti. Poi, secondo Favata, spiega che è necessario ungere qualche ruota. Per questo nel 2005 si fa portare ogni mese nei suoi uffici milanesi di via Negri al Giornale delle buste contenenti anche 50 mila euro per volta. Per la Procura di Milano, se la storia è vera (c'è un altro testimone che la conferma) non si tratta però di corruzione. Il più giovane dei fratelli Berlusconi è infatti accusato di millantato credito: in sostanza potrebbe aver intascato i soldi facendo intendere (falsamente) che erano destinati al segretario particolare del premier, Valentino Valentini, oggi deputato. Del resto Paolo, al di là delle apparenze, navigava in cattive acque.

Nonostante il fatturato record di quegli anni (più di 150 milioni di euro) nella Solari aveva problemi con il suo socio al 49 per cento,
Giovanni Cottone, un palermitano nipote di un boss di Cosa Nostra (Antonio), e in affari con altri uomini d'onore. Un legame pericoloso la cui portata emergerà nel 2007, quando il Gicodella Guardia di Finanza, sventa all'ultimo momento il sequestro di Cottone da parte dell'ex moglie. La donna, convinta che il marito abbia truffato Paolo Berlusconi nascondendo all'estero circa 40 milioni di euro, ha infatti pianificato il suo rapimento (con successivo omicidio). In questo scenario non proprio da educande Favata sembra trovarsi a suo agio.

Quando nell'estate del 2005 la procura inizia l'inchiesta sulle scalate bancarie da parte di
Stefano Ricucci e Gianpiero Fiorani, viene dopo poco avvertito dell'esistenza di intercettazioni rilevanti dal punto di vista politico. Stando ai suoi racconti a dirgli come stanno le cose sarebbe stato Raffaelli (che però nega). A quel punto nasce l'idea di fare una sorta di regalo ai Berlusconi (i nastri riguardanti la sinistra) in modo da avere un aiuto maggiore nel tentativo di espansione di Rcs in Romania. Il via libera alla consegna del dono arriva però solo quando si è certi che dei file audio (non ancora trascritti e depositati) ne sono state fatte più copie. Intorno a Natale, dopo una visita ad Arcore, una chiavetta usb con gli audio arriva così nelle mani di Paolo e poi il 31 dicembre ll Giornale pubblica la trascrizione (diversa da quella ufficiale) del colloquio Fassino-Consorte.

Favata, sostiene, che per tutto questo gli fu promessa "eterna gratitudine". Ma aggiunge che una volta saltata per aria la
Solari e le società ad essa collegate, Paolo si è tirato indietro. Tanto da dire no a una richiesta di un milione di euro in prestito. Dal quel giorno per Favata trovare il modo di farsi ripagare il favore diventa una sorta di ossessione. L'uomo prima minaccia di rivelare come il gruppo Solari accumulava presunti fondi neri, poi utilizza la vicenda del nastro di Fassino come un'arma di ricatto. Ma questa è un'altra storia. Ancora più oscura e complicata della prima. La leggeremo domani.

Da
il Fatto Quotidiano del 12 maggio



mercoledì 12 maggio 2010

Gugliotta è stato liberato E l'agente che lo picchiò ora è indagato per lesioni



Il ragazzo è stato fatto entrare direttamente nella macchina dell’avvocato, che è partita immediatamente, evitando così l’incontro con la stampa. Con lui familiari e amici. Il ministro Vito: "Il Viminale pronto a costituirsi parte civile"

Roma, 12 maggio 2010 - Ha da poco lasciato il carcere Stefano Gugliotta, il ragazzo di 25 anni picchiato ed arrestato dalla polizia lo scorso 5 maggio in una zona nei pressi dello Stadio Olimpico di Roma al termine della finale di Coppa d’Italia Roma-Inter. Il ragazzo è stato fatto entrare direttamente nella macchina dell’avvocato, che è partita immediatamente, evitando così l’incontro con la stampa. Con lui familiari e amici.

Il gip Aldo Morgigni ha disposto la scarcerazione di Stefano Gugliotta, il giovane aggredito da un poliziotto e arrestato il 5 maggio scorso dopo la finale di Coppa Italia. Alla base del provvedimento del giudice la mancanza delle esigenze cautelari, fermo restando la sussistenza del reato di resistenza a pubblico ufficiale. La Procura aveva chiesto la remissione in libertà.

Secondo l’impostazione della Procura, alla luce di quanto emerso dal filmato diffuso anche su youtube, Gugliotta è stato vittima di un “atto arbitrario” di un poliziotto che l’ha colpito. La reazione di Gugliotta è in qualche modo giustificata dal torto subito.

Intanto l’agente che ha colpito con un pugno il 25enne è stato indagato per il reato di lesioni volontarie aggravate. Il poliziotto era stato sentito ieri come persona informata sui fatti dal pm Francesco Polino, ma l’atto istruttorio è stato poi interrotto perchè si è resa necessaria la nomina di un avvocato.

IL DIFENSORE: UTILE IL VIDEO

“Il video è stato quantomai utile per meglio accertare i fatti. E’ apprezzabile che ci sia stato un numero consistente di persone che con coraggio si sono dette pronte a testimoniare e che hanno realizzato e consegnato i filmati”. Così hanno affermato gli avvocati Cesare Piraino e Giacinto Lupice, difensori di Stefano Gugliotta dopo aver appreso della prossima remissione in libertà del loro assistito.

“Siamo soddisfatti che il ragazzo esca dal carcere. Il provvedimento di scarcerazione è basato sulla mancanza di esigenze cautelari? Non l’ho ancora ricevuto - ha continuato l’avvocato Piraino - Mi auguro che nell’atto vi sia anche una valutazione sui ‘gravi indizi’ di colpevolezza contestati Gugliotta. Se non fosse così vuol dire che le accuse nei confronti del giovane permangono e ciò non mi sembra giusto”.

INTERVIENE IN GOVERNO

“Qualora venissero accertati al termine dell’indagine responsabilità penali nei confronti di uno o più appartenenti alle forze dell’ordine” sulla vicenda di Stefano Gugliotta “il Ministero dell’Interno si costituirà parte civile”. Lo ha detto il ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito, rispondendo nel question time alla Camera ad una interrogazione del Pd sul pestaggio e l’arresto del giovane romano fuori lo stadio Olimpico.

“Esprimo a nome di tutto il governo la più ferma condanna di ogni violenza da qualsiasi parte provenga - ha detto Vito - sono in corso indagini giudiziarie e un’inchiesta interna disposta dal capo della polizia per individuare ogni responsabilità che verrà perseguita senza riserva”.

“Il governo auspica una rapida conclusione degli accertamenti, ma tenuto conto che la responsabilità penale è personale sono da evitare processi sommari e attacchi indiscriminati alle forze dell’ordine, che - ha continuato il ministro - svolgono quotidianamente il proprio compito con professionalità e sacrificio”.

IL PD: ANCHE IL COMUNE PARTE CIVILE

"Alla luce delle prime accuse formulate dal pubblico ministero, che ha indagato per lesioni volontarie, aggravate dal fatto che è un pubblico ufficiale, il poliziotto che ha colpito con un pugno il giovane Stefano Gugliotta al momento del fermo, lo scorso 5 maggio al termine della finale di Coppa Italia, riteniamo che vi siano tutti gli elementi, avvalorati oggi dalla decisione del ministero degli Interni di costituirsi parte civile contro i rappresentanti delle forze dell’ordine", afferma Athos De Luca consigliere comunale Pd.

"L’amministrazione schierandosi accanto al ragazzo romano - ha concluso De Luca - ribadirebbe che la lotta alla illegalità venga sempre perseguita nel rispetto dei diritti dei cittadini e non consentendo mai il ricorso alla violenza ingiustificata, onde evitare che si ripetano casi come quello che ha visto vittima il giovane Cucchi".

IL RAGAZZO: NON NE POSSO PIU'

Stefano Gugliotta, prima della decisione del Gip, voleva iniziare lo sciopero della fame. Lo ha detto il padre del ragazzo in carcere a Regina Coeli arrestato tra mille polemiche dopo la finale di Coppa Italia tra Inter e Roma, e che secondo un video in possesso dei suoi familiari sarebbe stato picchiato da alcuni agenti della polizia.

“Siamo arrabbiati - ha riferito - non vediamo l’ora che esca. E lui ha detto che non ce la fa più - ha concluso il papa’- Stefano ha deciso di iniziare a non mangiare e bere”.


Io intercetto, voi no - Marco Travaglio



12 maggio 2010

Le ultime rivelazioni sulle intercettazioni di D’Alema eFassino illegalmente e gentilmente offerte a Berlusconi, riportano alla mente un altro episodio della sua luminosa carriera, ovviamente dimenticato: quando era lo stesso Cavaliere a intercettare di nascosto i suoi ospiti per carpire loro false accuse contro Di Pietro. È l’autunno ‘95 e Di Pietro, uscito da un anno dalla magistratura, è nel mirino della Procura di Brescia. Ma le inchieste languono e rischiano di finire archiviate. Si avvicina l’entrata in politica del pm più popolare d’Italia e Berlusconi ne è terrorizzato.

Così invita ad Arcore un suo vecchio dipendente e amico, il costruttore
Antonio D’Adamo, che era amico pure di Di Pietro e nuota in pessime acque, con 40 miliardi di debiti con le banche. Berlusconi s’impegna ad aiutarlo finanziariamente, ma in cambio vuole una sola cosa: la testa di Tonino. Quando, alle 12:55 del 7 settembre, D’Adamo esce dalla villa di Arcore, chiama la figlia che gli domanda: "Papà, ma tu sei riuscito a fare qualcosa per lui?". E D’Adamo: "Certo, Patrizia, c’è tutta una contropartita...". L’amico Silvio gli ha appena promesso un po’ di respiro dalle banche creditrici e un intervento per sbloccare certi affari edilizi in Libia. Passano due anni e il 13 maggio 1997 Cesare Previti produce a Brescia un memoriale scritto da D’Adamo che rievoca creativamente il famoso prestito di 100 milioni fatto dal costruttore all’ex pm e poi restituito, e altri particolari opportunamente ritoccati per accreditare l’ipotesi accusatoria dei pm bresciani: che Di Pietro abbia concusso il banchiere Pacini Battaglia per salvarlo da Mani Pulitein cambio di una tangente parcheggiata sui conti di D’Adamo.

Berlusconi va a testimoniare: "D’Adamo mi ha riferito di aver ricevuto da Pacini un finanziamento di 9 miliardi. A fronte di tale finanziamento D’Adamo avrebbe dovuto restituire a Pacini 4 miliardi e mezzo, mentre la restante somma avrebbe dovuto essere destinata al dottor Di Pietro, pienamente consapevole e consenziente". Dice che, per puro caso, è stata registrata dal suo collaboratore
Roberto Gasparotti la conversazione in cui D’Adamo gli confida il peccato mortale di Tonino. Gasparotti presenta ai pm un "taglia e cuci" delle confidenze di D’Adamo. Ma il contenuto non è cosí chiaro come garantisce il Cavaliere. È quest’ultimo che tenta di far dire a D’Adamo che Di Pietro è un corrotto. Ma D’Adamo, finito in un gioco più grande di lui che potrebbe condurre entrambi a una condanna per calunnia, si schermisce: "Dottore, lei sa quanto le voglio bene e quindi non ho paura di questa cosa qui, ma se dice una cosa di questo tipo si incasina...lei queste cose le lasci dire a me… lei deve stare fuori...".

Nel nastro "taglia e cuci" D’Adamo spiega, mentendo, di avere ancora un credito di "100 milioni, 150, 130, non so" con l’ex pm (che invece ha estinto il debito già nel 1994). Ma quando finalmente va a deporre a Brescia, balbetta, si contraddice e non conferma ciò che non può confermare: e cioè che Di Pietro fosse un corrotto. Alla fine l’ex pm verrà prosciolto dal gup
Anna Di Martino, che scriverà: "La genesi delle accuse di D’Adamo rinviene dai sedimentati risentimenti nutriti da Silvio Berlusconi nei confronti dell’ex magistrato, risultando poi per tabulas che proprio Berlusconi (e Previti) sospinse D’Adamo alla Procura di Brescia, utilizzando ogni mezzo e facendo leva sull’antico rapporto di lavoro subordinato e sullo stato di dipendenza finanziaria e psicologica di D’Adamo". I nastri evidenziano un'"inquietante soggettiva interpretazione dei fatti da parte del Berlusconi, ma anche un abbandono strumentale del D’Adamo a rivelazioni forzatamente alterate dei suoi rapporti con Di Pietro, nella prospettiva di soddisfare l’ansia accusatoria del suo interlocutore (Berlusconi) nei confronti dell’ex pm e ottenere urgenti soccorsi". Ecco, signore e signori: questo è l’uomo che oggi sventola il vessillo della privacy e vuole abrogare le intercettazioni. Quelle legali. Quindi, non le sue.

Da
il Fatto Quotidiano del 12 maggio

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