domenica 18 luglio 2010

Fiaccolata per Borsellino resa dei conti nel Pdl - Redazione Il Fatto Quotidiano




Tre giorni di memoria, ma anche di politica. Sì, perché il susseguirsi di manifestazioni, incontri, dibattiti per il diciottesimo anniversario della strage di via D’Amelio sembra spaccare ulteriormente il centro-destra. Mentre i ragazzi delle
Agende Rosse e Salvatore Borsellino chiedono che non vi siano politici sul luogo della strage, il finiano Fabio Granata – dai nostri blog – domanda che resti lontano dalle commemorazioni chi solidarizza con i condannati e chi rimane al suo posto nonostante le richieste di arresto: un chiaro riferimento ai casi Dell’Utri e Cosentino.

Del resto, il pensiero di
Paolo Borsellino, il giudice di destra vittima di Cosa Nostra (ma non solo), sul punto era chiarissimo. Già nel 1989, parlando dei rapporti mafia e politica, Borsellino diceva: “Vi è stata una delega totale e inammissibile nei confronti della magistratura e delle forze dell’ordine a occuparsi esse sole del problema della mafia […] E c’è un equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, che quel politico era stato accusato di avere interessi convergenti con la mafia, però la magistratura, non potendone accertare le prove, non l’ha condannato, ergo quell’uomo è onesto… e no ! […] Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire, be’ ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quell’uomo è un mafioso. Però i consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto”.

Così Granata, riferendosi della fiaccolata della Giovane Italia di lunedì Palermo – dove è per ora prevista insieme alla presenza di
Gianfranco Fini anche quella di Maurizio Gasparri, Gianni Alemanno, Giorgia Meloni e Domenico Nania e Carlo Vizzini – scrive : “Sarebbe bello non dover scorgere, tra tante facce amiche, qualche presenza stonata: tutti coloro che sui temi della verità e giustizia sulle stragi e sul rapporto mafia politica non hanno assunto comportamenti rigorosi e coerenti. Chi ha appassionatamente solidarizzato con condannati per mafia esaltatori di mafiosi eroici o con chi resta attaccato alla poltrona nonostante i mandati di cattura per associazione camorristica.

Chi, da posti di responsabilità politica, non perde occasione per attaccare la magistratura compresa quella che, irriducibilmente, cerca ancora verità e giustizia su quelle stragi e pretende di individuarne esecutori e soprattutto mandanti. In una parola, ci piacerebbe che stessero lontani dalla nostra fiaccolata e da tutte le commemorazioni in programma tutti quelli che, per dirla con Paolo Borsellino, hanno perduto per sempre “il diritto alla parola”.

Gli risponde durissimo il vice-capogruppo dei deputati Pdl,
Maurizio Bianconi: “Ormai Granata con le sue 
dichiarazioni non ci stupisce più. Alla fiaccolata di lunedì a 
Palermo, non vorremmo vedere, per quanto ci riguarda, quanti hanno 
dimenticato la grande lezione di Leonardo Sciascia e quanti hanno 
fatto comunella con chi attaccò e demonizzò il giudice Falcone, ma 
soprattutto non vorremmo vedere chi seguace di ’incultura’ dipietrista 
pretende di fare il censore e il giustiziere per evidenti chiarissimi 
interessi di bottega e chi in preda a irrefrenabile logorrea e delirio 
mediatico si sta adoperando da mesi per tentare di sovvertire la 
volontà popolare”.

La fiaccolata per Borsellino, insomma, rischia di diventare l’occasione definitiva della resa dei conti nel Pdl. E adesso in molti si chiedono cosa farà Fini. Perché Borsellino anche a 18 anni di distanza dalla morte, a destra come a sinistra, scuote le coscienze. E il 19 luglio, se si ha coraggio, è il giorno giusto per dire da che parte si sta sta.



Riflessioni sulla politica attuale.


La lettura dell'articolo sottostante invita automaticamente alla riflessone.

A confutare quanto dichiara giornalmente la politica, sia di sinistra che di destra, c'è il quadro terrificante che ne esce: la politica, per ottenere una maggioranza duratura che le dia la possibilità di governare senza intralci, ha bisogno di molto danaro e molte adesioni, pertanto si rivolge a chi ha sia l'uno, il danaro, che le altre, le adesioni, ovvero i "voti di scambio".

Chi è in grado, in Italia, di assicurare sia una grossa quantità di danaro, perchè da riciclare, che i "voti di scambio"?

E' ovvio! Le organizzazioni mafiose, quelle che hanno dominato e continuano a dominare, e oggi "quasi legalmente" grazie alla politica, la scena economica italiana.

Si viene così a creare un tale intreccio inestricabile di connivenze impossibile da dipanare.

E se a ciò si aggiunge che a questo risultato si è arrivati per proteggere dalle patrie galere una sola persona, la situazione diventa pressoché "allucinante".


I padrini della ‘ndrangheta incassano i voti nel silenzio assordante della politica lombarda. - Davide Milosa



Dopo il maxi blitz del 13 luglio, nessun esponente politico ha ancora preso una posizione netta. A oggi sono 15 i dirigenti di partito sospettati di legami con i clan.


Le inchieste sulla ‘ndrangheta che mostrano ai cittadini l’altra faccia della politica lombarda non smuovono di un centimetro i protagonisti della politica. Sì perché oggi, anche dopo l’ultimo maxi blitz, quello del del 13 luglio, a Milano è questa la notizia: il silenzio assordante di Comune, Provincia e Regione. Non parla il sindaco
Moratti, né il presidente Podestà o il governatoreFormigoni. Ma neppure Filippo Penati, vicario del segretario Pd Bersani in Lombardia. Eppure, come gli altri, dovrebbe, visto che nella sua giunta di centrosinistra si è tirato dentro Antonio Oliverio, politico delle tessere e soprattutto, secondo l’accusa, assai vicino ai clan.


Ecco perché il silenzio di oggi è un silenzio colpevole. E a questo punto lo si può dire. Anzi lo si deve dire. Perché negli atti delle ultime indagini anti-mafia spuntano i nomi di almeno 15 tra consiglieri, assessori e dirigenti pubblici. Tutta gente quasi sempre non indagata, ma che è risultata legata o sponsorizzata politicamente da quei padrini calabresi in grado di trovare al nord un terreno fertilissimo per pianificare i propri affari.

“La politica è il vero capitale sociale della criminalità organizzata in Lombardia”, scrivono adesso i magistrati e nessuno parla. Non il sindaco Letizia Moratti che per anni ha negato la presenza delle cosche sotto la Madonnina. E oltre a negare, ha fatto di più. Ha sgambettato e fatto cadere i lavori per la commissione antimafia in Consiglio comunale, ora riproposta dal centrosinistra. Un’istituzione solo formale che non doveva avere ruoli investigativi, ma di vigilanza sì, sicuramente di presidio, quantomeno simbolico. Ma a Milano, si sa, di veri segnali è meglio non darne.

L’idea della commissione viene presentata a maggio del 2008. L’appoggio è trasversale. Poco meno di un anno dopo, a marzo, il parere negativo del prefetto
Gian Valerio Lombardi spinge però il già titubante sindaco a rompere gli indugi: “‘Il prefetto ha ragione”. Sono le parole della Moratti, la quale assicura: “Continueremo a collaborare perché ci sia su tutto, e non solo sugli appalti, il massimo controllo e la massima trasparenza”. E infatti, la Perego strade, una delle più importanti imprese lombarde, finita nelle mani della ‘ndrangheta, si occupa nell’ordine: di City Life, del nuovo centro congressi Portello-Fiera Milano, della Strada statale Paullese, della nuova superstrada in Valtellina, del nuovo ospedale Sant’Anna di Como, di un insediamento industriale a Orsenigo, del cantiere per la costruzione del nuovo palazzo di Giustizia, della Pedemontana e della Bre Be Mi.

Due anni fa esplode anche il caso dell’allora assessore provinciale nella giunta Penati,
Bruna Brembilla. Su di lei ombre e sospetti di collusioni. Sarà indagata e poi prosciolta. Ecco cosa scriveva l’allora capo dell’antimafia milanese Ferdinando Pomarici: “Eloquente l’esternazione dei propositi della Brembilla di chiedere i voti dei calabresi perché, dice, sono gente d’onore e in grado di condizionare il voto amministrativo sfruttando la presenza di almeno 1.500 persone di Plati’”

Certo, sbagliare è sempre possibile. Ma che gli errori della politica meneghina non siano un refuso lo si capisce il 21 gennaio scorso, quandoin città arriva il plenum della Commissione parlamentare antimafia. Non accadeva da 17 anni, cioé dai tempi delle maxi inchieste su Cosa nostra. Il dato è significativo. E il sottotesto dice questo: all’ombra della Madonnina la vera emergenza sono i clan. Il prefetto, però, pensa bene di spiazzare tutti e davanti al presidente della Commissione
Giuseppe Pisanu sostiene: “La mafia al nord non esiste”.

Nel frattempo i magistrati indagano e poche settimana dopo le amnesie del rappresentante del governo inziano a fioccare i primi nomi di politici pizzicati a intrattenere rapporti con le cosche. Un elenco che il maxi blitz tra Milano e Reggio Calabria del 13 luglio ha allargato a dismisura. Nomi sui quali pesa, gravissima, almeno una responsabilità politica. Mentre per quella (eventualmente) penale bisognerà attendere gli sviluppi delle indagini.

Ma andiamo con ordine. Nel 2007, l’inchiesta sulle infiltrazioni del clan
Morabito all’Ortomercato, svela rapporti pericolosi con il consigliere regionale Pdl Alessandro Colucci. Due anni prima, infatti, il politico era stato filmato a cena con il boss di Africo Salvatore Morabito. Cena pre elettorale per le regionali. Chiusi i seggi, Colucci farà il pieno di voti (secondo fra gli eletti). Il risultato soddisfa i boss. “Colucci ha vinto – dice il narcotrafficante Francesco Zappalà – abbiamo un amico in Regione”.

Colucci, che non sarà indagato, resta così in consiglio regionale e ritorna tre anni dopo nell’inchiesta Parco sud. Non è solo, ma in buona compagnia. Con lui altri politici del Pdl, sospettati di aver avuto raporti con alcuni colletti bianchi legati alla cosca
Papalia. Si fa il nome del piccolo Bertolaso lombardo, Stefano Maullu, ex assessore regionale alla Protezione Civile, rieletto nel maggio scorso, e passato al Commercio. Per lui Alfredo Iorio, ritenuto il braccio finanziario delle ‘ndrine, ha organizzato cene “per fargli conoscere gente della mia zona”. Tra questi l’intero clan Madaffari che Maullu, assieme all’attuale assessore provinciale Fabio Altitonante, incontra in un ristorante di Rozzano. Maullu non sarà indagato, come anche Giulio Gallera, capogruppo Pdl in comune, Marco Osnato, genero di Romano La Russa e dirigente dell’Aler e Angelo Giammario, già sottosegretario alla Regione oggi consigliere al Pirellone. Tutti i loro nomi vengono però citati in fondamentale documento della Dia di Milano sui rapporti tra mafia e politica. In quelle carte si citano addirittura il ministro della Difesa Ignazio La Russa e del parlamentare europeo Carlo Fidanza. Sono i nomi che Iorio decide di far votare nella primavera del 2009.

C’è poi
Armando Vagliati. Da sempre in Forza Italia e dal 1997 in consiglio comunale. Vicinissmo al sindaco Moratti, lui, che pur non risulta indagato, vanta una conoscenza pericolosa, quella con Giulio Giuseppe Lampada, imprenditore calabrese, ritenuto molto vicino alla cosca Condello e alla cosca Valle.

Gli stessi Valle che giostrano i loro affari nella zona di Expo grazie alla compiacenza di
Davide Valia (non indagato), assessore al comune di Pero. “Minchia meglio di Davide (Valia, ndr) che è Pero e poi con la scusa di Expo e della Fiera”. Poco edificante è anche la vicenda di Riccardo Cusenza (arrestato), imprenditore legato alla cosca Valle che nel 2009 tenta la sortita politica nel comune di Cormano, ovviamente con la casacca del Pdl.

L’ultima inchiesta su ‘ndrangheta e politica arriva addirittura in parlamento.
Giancarlo Abelli, deputato azzurro e fedelissimo di Silvio Berlusconi, è il cavallo su cui punta la cricca mafiosa del boss massone Pino Neri e del dirigente dell’Asl di Pavia Carlo Antonio Chiriaco. Oltre 4.000 pagine di richiesta firmata dal pool di Milano dove ricompare Angelo Giammario, ma ancheMassimo Ponzoni, delfino di Formigoni ed ex assessore regionale in contatto diretto con il bossSalvatore Strangio. E dove entra anche la Lega con il suo votatissimo giovane consigliere regionale Angelo Ciocca pure lui fotografato dai carabinieri mentre s’incontra con Neri. Tutto questo sta scritto nelle carte giudiziarie non sui giornali. Eppure di nuovo e ancora la politica tace. Allora, visto che le parole non arrivano, tocca interpretare il silenzio. Un silenzio che ogni giorno si fa sempre più assordante.


sabato 17 luglio 2010

Il mio pensiero


Per la prima volta in vita mia, e non sono più una giovanetta, mi sono iscritta ad un movimento di indirizzo politico, quello di Beppe, perchè ne condivido le idee.

Ma ora incomincio a dubitare sulla poca trasparenza di alcuni frequentatori che si dicono aderenti al movimento, ma ne contestano continuamente le scelte e direttive, in realtà non ne hanno capito la "filosofia".

Non so perchè lo facciano e non mi frega neanche di conoscerne i motivi, ma mi infastidisce che vogliano, oltretutto, dettare legge in uno spazio non loro.

Io non so se vengano effettivamente bannati dal blog, ne dubito fortemente, credo piuttosto, che si autocensurino per gettare discredito sul blog.

Queste stesse persone non utilizzano i loro nomi, ma utilizzano nik, e ciò dovrebbe dirla lunga su quanta importanza diano alla lealtà ed alla trasparenza.

Fatto è che il blog è mal frequentato, gli stessi che sfottono chi fa copia incolla, non propongono quasi mai nulla.
Si limitano a sfottere, con la speranza che i pochi rimasti si allontanino.

Lo avevano promesso e minacciato tempo fa, ora stanno mettendo a punto la loro strategia.

Nel movimento "trombati" alle precedenti elezioni con liste diverse dal movimento, non ne vogliamo, sia ben chiaro, e qui, le voci corrono, ne circolano tanti.

Si rivolgano altrove, di partitucci in cerca di politicanti da strapazzo ce n'è in abbondanza.

Ma non vengano ad inquinare il movimento, quello lo vogliamo "PULITO"!

venerdì 16 luglio 2010

La competenza linguistica del nostro Ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini




Da "IL GAZZETTINO" di mercoledì 20 maggio 2009

«Caro Zaia, rispetto i dialetti non la propaganda» di Mariastella Gelmini*

Gentile Direttore, ho letto attentamente quanto affermato dal Ministro Zaia. Tengo a ribadire che i dialetti sono le base della nostra cultura e che il mio pensiero è stato volutamente travisato.

Pensare che il Ministro dell`Istruzione non sia sensibile (...) (...) ad una parte così rilevante della nostra tradizione è un`accusa che respingo e che non si comprende se non ritenendola dettata da motivi di visibilità `elettorale.

Da subito ho attuato provvedimenti per legare la scuola al proprio territorio.

I professori ad esempio devono sempre di più provenire dalla stessa regione nella quale insegna. Le classi inoltre non possono essere composte da più del 30% di stranieri per favorire una migliore integrazione. Ogni regione devo poter strutturare un sistema educativa in linea con le richieste del mondo del lavoro della zona.

Allo stesso modo la spinta verso il futuro e la modernizzazione non può non essere accompagnato dalla valorizzazione della cultura ivi compresa la lingua e il dialetto. Per questo la polemica è distituita di qualsiasi fondamento soprattutto per chi è rivolta ad una persona che abita al confine con il Veneto e che conosce bene l`eccellenza, il valore e la cultura delle persone che lo popolano.

Mariastella Gelmini *Ministro dell`Istruzione


http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=37079731


Federico Bricoli uno dei promotori dell'emendamento 1707




Federico Bricolo, Lega nord.

Ha presentato il disegno di legge:

"Disegno di legge sull'esposizione del crocifisso negli uffici pubblici"

Che prevede:

« Non si ritiene che l'immagine del Crocifisso nelle aule scolastiche, o più in generale negli uffici pubblici, nelle aule dei tribunali e negli altri luoghi nei quali il Crocifisso o la Croce si trovano ad essere esposti, possa costituire motivo di costrizione della libertà individuale a manifestare le proprie convinzioni in materia religiosa. »

E' lo stesso che ha proposto l'emendamento 1707 che prevedeva "nessun arresto per abusi lievi su minori".

Emendamento 1707:"Niente obbligo di arresto per chi verrà sorpreso a compiere violenze sessuali 'di lieve entità' verso minori." I firmatari della legge: Gasparri (PdL), Bricolo (Lega), Quagliariello (PdL), Centaro (PdL), Berselli ...(PdL), Mazzatorta (Lega), Divina (Lega).


Io non ho capito il nesso, voi?

Forse basta esporre il crocifisso per sentirsi meno colpevole di abusi su minori?


Berlusconi è Cesare - Di Pietro a RepubblicaTv