sabato 18 settembre 2010

Berlusconi, il peggior retore di sempre. - di Andrea Scanzi

APTOPIX ITALY BERLUSCONIChiedo scusa – si fa per dire – per l’assenza. Purtroppo mi sono dovuto rifugiare nell’emisfero settentrionale di Guam (la cui esistenza è nota solo a chi ha visto la quarta e quinta stagione diLost). Dovevo scappare. Ero vittima dello stalking di Laura Ravetto. Messaggi, telefonate, pedinamenti. Un continuo. Per lei sono diventato un’ossessione satura di lascivia. La capisco, è donna di buon gusto, ma ormai provo attrazione soltanto per Luigi Amicone. Soprattutto quando canta Casco blu di Flavia Fortunato vestito di lattice acrilico ignifugo.
In questi mesi ho fatto molte cose. Vestito come un generale affogato nel Tamigi e riemerso dalle acque torbide dopo sette mesi, ho convocato trecento vergini nell’isola di Nantucket (chi coglie la citazione filmica vince un Capezzone in miniatura), convertendole tutte al sadomaso e ricordandole che “
se tutti gli Stati Uniti faranno trampling, vivremo in un paese migliore”.
Ho poi fatto opera di squadrismo, criticando a caso il potere precostituito, dispensando strali posticci sulla maggioranza e condannando al contempo il lassismo esiziale dell’ipotetica opposizione.
Mi sono fatto intervistare da Giorgia Meloni davanti a una claque di controfigure repubblichine. Mi sono prostituito moralmente e non solo, al grido di
Stracquadanio o muerte. Ho fatto alleanze col redento Partito Repubblicano, che in verità credevo morto da vent’anni. Ho salvato governi, fornificato, desiderato la donna d’altri.
Ho infine – e soprattutto – fondato con Sallusti e la Santanchè la cover band degli Inti Illimani. Spopoliamo, soprattutto nella versione unplugged del
Lamento del Indio, allorquando Sallusti prorompe in un soliloquio irredentista di charango, mentre Lady Daniela le fa eco in un parossismo di sikus polifonici.
Ma tutto questo (che è già più di tanto, cit) non c’entra con quello che volevo dire. Infatti non volevo dire niente. E’ per quello che, nella vita, uno decide di scrivere.
Mi avete scritto in molti. Ricevo e rispondo:

1) Caro Scanzi, ti amo.
Anch’io. Mi amo.
2)
Caro Scanzi, mesi fa era stato molto duro con l’ultimo disco di Ligabue. L’ha poi riascoltato?
Sì, più volte. Poi però per fortuna ho smesso.
3)
Caro Scanzi, secondo me lei è il Facci dei giustizialisti.
No, è lui che è lo Scanzi dei bischeri.
4)
Caro Scanzi, se Putin è un dono di Dio, Berlusconi cos’è?
Un saldo dell’inferno.
5)
Caro Scanzi, secondo lei cosa stiamo aspettando?
Che sia troppo tardi (cit).

Pitoni con la labirintite

silvio-berlusconi-giovaneLeggo che Berlusconi ha spopolato ad Atreju, che credevo fosse un appartenente del popolo dei Pelleverde. Bene. Gli hanno regalato pure una t-shirt con alcuni versi della poesia di William Ernest Henley, Invictus, quella che leggeva Mandela in carcere. Mi sembra pertinente: dal mare alla montagna c’è tutta la Romagna, da Mandela a Berlusconi c’è tutto il nostro essere coglioni.
Ecco, Berlusconi. Visto che non ne parla nessuno, ne parlo io.
E’ irrilevante star qui a ricordare le leggi vergogna, i procedimenti giudiziari, lo stalliere di Arcore. Per quello c’è già
Il Fatto. E’ più pertinente, nonché congruo e affatto specioso (?), sottolineare un aspetto: Silvio Berlusconi non sa parlare.
Non voglio qui asserire che è ignorante (Romolo e Remolo, la famiglia Cervi viva, etc): quello, in questo paese, è un pregio. E’ proprio un discorso di pura retorica. Berlusconi parla da schifo, al microfono. E’ un incrocio tra un venditore di pentole col riporto e un arringatore di casalinghe a cui hanno tolto la dose di
Beautiful (e derivati).
Berlusconi è un retore banale. Ripete sempre le stesse cose, apre parentesi di continuo, usa parole inutilmente arcaiche (”criminoso”, “innanzi”). Non raggiunge mai l’acme ed è come i Pink Floyd senza Roger Waters: ha troppi finali, ogni volta si incarta in assoli freestyle con sette chiusure. Inguardabile, inascoltabile. La sua mancanza di bellezza semantica e guizzo comunicativo risultano intollerabili. In confronto Fini è (un dono di) Dio.
Per avvalorare tale tesi, potremmo fare ora serie esegesi doviziose delle ultime barzellette (quella su Hitler fa pena, le altre sono peggio); potremmo analizzare lo sclero in Russia quando ha ricordato che i comunisti (cioè loro) erano cattivi e che il suo ex maggiordomo (il Gianfri) si è ammutinato. Potremmo ricordare mille e più episodi. Potremmo sognare, tutti insieme, all’unisono.
Scelgo però altri due reperti. Il primo – nella versione già ridicolizzata da Beppe Grillo, professione capo squadrista – dimostra come Berlusconi sia più prolisso, confuso e linguisticamente contorto di un pitone con la labirintite (pensateci: un pitone labirintico è sfigato parecchio. Non farà altro che contorcersi su se stesso, la gente lo guarderà convinto che sta solo strisciando come un normale serpente, invece lui striscia e sbanda perché ha la labirintite. E nessuno lo aiuta. Son sfighe).
Il secondo è uno dei più monumentali attacchi di bile di San Silvio.
Poiché primo viene prima di secondo, comincerò da primo.
Daje.

Volere andare innanzi

Expo di Bari 2000
silvio-berlusconi-24392“Oggi la sinistra annuncia arrogantemente (e figurati: “sinistra arrogante” è come dire “Bondi sexy”) di volere andare innanzi (INNANZI?) anche (?) a cambiare la regola fondamentale della democrazia (cioè abbatterlo) che è la legge elettorale (dieci anni e siam sempre lì). Noi lo diciamo in maniera molto chiara (come no), molto decisa e molto precisa (tre ridondanze in un corpo solo). Non glielo lasceremo fare (viva il Duce). NON glielo lasceremo FARE (Eia eia alala). E da oggi diciamo chiaro (qui dovrebbe partire l’arringa, ma guardate quanto si incasina) che ci rivolgeremo al capo dello Stato (possibilmente insultandolo) perché se la sinistra procederà in Parlamento (mai nella vita: la sinistra non procede. Implode), e con i propri numeri – che sono i numeri di una maggioranza parlamentare (ora parte col profluvio di parentesi) e di un Parlamento che non è più lo specchio di un Paese -, che non corrisponde più alla situazione del paese (lo hai già detto), e questa maggioranza in governo (IN governo?) non è quella votata dagli italiani nel ’96, perché è una maggioranza fatta con ELETTI nelle FIIILE (si sta incazzando) del centrodestra che hanno TRADITO il mandato degli elettori (e per questo verranno dati in pasto a Ferrara), che hanno tradito la prima norma morale (ahahahahah) della politica (sì ma ora chiudi, è un’ora che cresci di tono) che è quella del rispetto, del voto, della volontà degli elettori (qui ci vuole la mazzata finale: dai Silvio, tira le fila e colpisci) – se questa sinistra dovrs… …(…) … credesse (???) di fare altrettanto e credesse (????) coi propri numeri di far passare iii (sic) nel Parlamento una legge elettorale (FERMATIIIIII) coooon i solo (?) suoi numeri calpestando gli interessi della minoranza dell’opposizione (non si è capito nulla), io sono certo che questo capo dello Stato quella legge non la firmerà mai (ovviamente non è andata come diceva lui)”.

Ancora e sempre dei poveri comunistiberlusconi

Questa era la versione Berlusconi Tribuno, avvenente come un brodo di quaglie anoressiche della tundra kenyota. Adesso invece il Berlusconi Adirato.
Qualche pezzente lo contesta a Cinisello Balsamo. E’ il 19 giugno 2009. Lui reagisce con il consueto aplomb. E’ uno dei momenti più alti della retorica berlusconiana. Focalizzate l’attenzione (se ne siete capaci) non sul contenuto (che non c’è), ma sulla forma (che mette malinconia).
Vamos.
“Sono arrivato di cooorsa (
vecchia tattica: io sono sempre impegnato, voi invece non fate mai un cazzo), perché il consiglio (guarda verso sinistra, chino e sconfitto: sciatica stalinista, si presume) si è prolungato oltre al previsto (parte qualche fischio: addio patria)… ABBIAMO ANCHE LA CONTESTAZIONE, EVVIVAAAAA AHAHAH (testuale. E’ bastato qualche fischio per trasfigurarlo – oltre quanto già fatto da Madre Natura, intendo dire)… (parte qualche applauso. Berlusconi si impossessa dei due microfoni e li titilla nervosamente, ingobbendosi come un Golem maciullato da una pressa idraulica). Così almeno tutti voi potete capire la differenza fon-da-men-ta-le che c’è tra noi (doppio passo all’indietro) e lllorrro!!! (doppio braccio proteso a indicare i CANI bolscevici)… (entusiasmo tra i pretoriani)… Noi non andremmo mai mai mai (ho capito) siamo andati a disturbare l’incontro tra qualcuno dei loro capi dei loro leader (quei quattro sfigati, insomma) e i loro elettori, perché noi siamo (voi siete?) uomini e donne democratici (ahahahahahahahahahahahahah) e di libertà (IDOLO, Silvio sei un IDOLO)”.

Squadrismo di regime

silvio-berlusconi-4_670820cGiunto a questo punto, Berlusconi poteva anche fermarsi. L’applauso, virulento e volgare, era arrivato. Ma lui non ce la fa. Lui deve sempre sbrodolare. E’ fatto così. Quindi, poco dopo, arriva (divampa) il cesello sopraffino. La rabona. Il colpo da maestro. Un po’ come il rigore di Ibrahimovic a Cesena (e gli arbitri comunisti). Ascoltiamolo.
“Si sono messi a strumentalizzare la paura (
parla lui che ha fatto per anni il chihuahua di Bush), la speranza (indica con fare violento i punkabbestia contestatori), il dolore (parla quello del terremoto de L’Aquila), i morti (ma che dici?), VERGOGNAAAAA!!! (e tutto questo per qualche fischio. Se gli tiravano il Duomo in testa, che faceva?). Non avete dignità (in punta di fioretto, proprio), non sapete cos’è la nobiltà d’animo (Lunardi e Scajola invece sì), non sapete cos’è la democrazia (neanche te, a essere onesti), non sapete cos’è la libertà (qui accusa un mezzo embolo, è paonazzo come Brera al decimo giro di Barbacarlo. L’uomo è ormai interamente accartocciato sui microfoni. L’effetto visivo è inaccettabile, nonché sommamente esecrabile)”.
Gran finale.
“Siete ancora ed oggi come sempre dei poveri comunisti!!!” (
ovazione).
In qualsiasi altro paese, un grullo così sarebbe stato deposto alla terza virgola. Da noi invece gli squadristi sono quelli che contestano Schifani. Quelli che piansero per Matteotti. Quelli che furono ultimi passeri sul ramo insieme a Johnny.
E’ un mondo bellissimo. Quasi quasi, dalla gioia, vomito.

P.S. E ora scusatemi, ma vado a fondare su Facebook il gruppo Loriana Lana nuova Janis Joplin.

http://scanzi-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2010/09/14/berlusconi-il-peggior-retore-di-sempre/comment-page-2/#comment-6149



Mazzetta verde la trionferà.


Soldi, abusi e truffe all'ombra della Lega Nord


Lega ladrona? I casi di malcostume e corruzione all’ombra del Carroccio si moltiplicano, tanto che un dirigente sempre abile ad annusare l’aria che tira, come il governatore del Veneto
Luca Zaia, ha ammesso l’esistenza di una questione morale dentro la Lega. “Non possiamo permetterci di essere criticati per i nostri comportamenti amministrativi”, ha dichiarato Zaia, “noi della Lega abbiamo il dovere d’essere doppiamente puliti rispetto agli altri, perché da noi i cittadini si aspettano il massimo del rigore”.

Invece proprio dal
Veneto arrivano gli ultimi casi di pulizia non proprio perfetta. Il senatore della Lega Alberto Filippi, di Vicenza, è accusato dal faccendiere Andrea Ghiotto di avere un ruolo nella maxi evasione scoperta ad Arzignano, feudo padano e distretto della concia. Una brutta storia di tasse non pagate e di controlli aggirati: le indagini, in corso, diranno se anche a suon di mazzette. A Verona, Gianluigi Soardi, presidente dell’azienda del trasporto pubblico cittadino Atv(ma anche sindaco leghista di Sommacampagna), si è dimesso dopo che la polizia giudiziaria è piombata nei suoi uffici e ha sequestrato documenti contabili da cui risulterebbero spese gonfiate e ingiustificate. Camillo Gambin, storico esponente del Carroccio ad Albaredo d’Adige (Verona), è agli arresti domiciliari per una brutta storia di falsi permessi di soggiorno rilasciati in cambio di denaro. Alessandro Costa, assessore alla sicurezza di Barbarano Vicentino, è indagato per sfruttamento della prostituzione: gestiva siti di annunci a luci rosse.

Nel vicino
Friuli-Venezia Giulia, il presidente del consiglio regionale, Edouard Ballaman, si è dimesso dopo essere finito nel mirino della Corte dei conti per una settantina di viaggi in auto blu fatti più per piacere che per dovere. In passato, Ballaman aveva realizzato uno scambio di favori incrociati con l’allora sottosegretario all’Interno (e tesoriere della Lega) Maurizio Balocchi: l’uno aveva assunto la compagna dell’altro, per aggirare la legge che vieta di assumere parenti nel medesimo ufficio. Aveva anche ottenuto l’assegnazione pilotata della concessione di una sala Bingo.

In principio fu
Alessandro Patelli, “il pirla”, come fu definito da Umberto Bossi: l’ex tesoriere della Lega dovette ammettere nel 1993 di aver incassato 200 milioni di lire dalla Ferruzzi, causando aUmberto Bossi una condanna per finanziamento illecito. Poi a foraggiare il Carroccio arrivò il banchiere della Popolare di Lodi Gianpiero Fiorani, che nel 2004 non solo salvò la banchetta della Lega, Credieuronord, da un fallimento clamoroso, ma finanziò generosamente il partito di Bossi con oltre 10 milioni di euro, tra fidi e finanziamenti. Con anche più d’una mazzetta, secondo quanto racconta Fiorani: una parte dei soldi consegnati dal banchiere di Lodi ad Aldo Brancher, parlamentare di Forza Italia e poi del Pdl, erano per Roberto Calderoli. “Ho consegnato a Brancher una busta con 200 mila euro… Quella sera Brancher doveva tenere un comizio a Lodi per le elezioni amministrative… Mi disse che doveva dividerla con Calderoli (poi archiviato, ndr) perché il ministro aveva bisogno di soldi per la sua attività politica”.
Non ha fatto una gran bella figura neppure
Roberto Castelli, che da ministro della Giustizia, tra il 2001 e il 2006, è riuscito a meritarsi un’indagine per abuso d’ufficio per il suo piano di edilizia carceraria, affidato all’amico Giuseppe Magni; e una condanna della Corte dei Conti a rimborsare 33 mila euro, perché la consulenza era “irrazionale e illegittima”.
Aldo Fumagalli, ex sindaco di Varese, è indagato (peculato e concussione) per un giro di false cooperative. Matteo Brigandì, ex assessore al Bilancio della Regione Piemonte, è stato processato per truffa, per falsi rimborsi alle zone alluvionate. Francesco Belsito, sottosegretario alla Semplificazione, esibisce una laurea fantasma, presa forse a Malta. Monica Rizzi, assessore allo Sport della Regione Lombardia, si proclama psicologa e psicoterapeuta senza avere la laurea e senza essere iscritta agli appositi ordini professionali, tanto che la procura di Milano sta indagando per abuso di titolo.

Cattive notizie anche dall’
Emilia-Romagna, zona di più recente espansione del Carroccio. Il vicesindaco di Guastalla (Reggio Emilia), Marco Lusetti, a giugno è stato accusato di irregolarità nella gestione dell’Enci (Ente nazionale per la cinofilia) di cui era commissario ad acta: aveva ordinato bonifici a se stesso con soldi dell’ente per 187 mila euro (poi non incassati). Il padre padrone della Lega emiliana, il parlamentare Angelo Alessandri, si è invece fatto pagare dal partito le multe (per un totale di 3 mila euro) per eccesso di velocità o per transito in corsie riservate. Il capogruppo del Carroccio alla Regione Emilia-Romagna, Mauro Manfredini, e altri candidati del suo partito (Mirka Cocconcelli, Marco Mambelli) rischiano invece una maximulta (fino a 103 mila euro a tasta) per non aver consegnato, come prevede la legge, un resoconto preciso delle spese elettorali. Dov’è finito il partito che inveiva contro Roma ladrona?



venerdì 17 settembre 2010

Carrocciopoli: Il Riformista grazie a BresciaPoint e Tempo Moderno ricostruisce i fatti


La vicenda si allarga.


«Carrocciopoli? Tutto falso», dice Umberto Bossi citando gli scandali leghisti. E la figlia del candidato alle regionali, la nipote dell’assessore provinciale, la moglie del vicesindaco del capoluogo e due collaboratrici «ad personam» di un altro assessore? Le fantastiche cinque vincitrici del concorso pubblico per «numero 8 posti di istruttore amministrativo», bandito dalla Provincia di Brescia nel dicembre 2008 e arrivato a conclusione nel febbraio di quest’anno, non hanno in comune soltanto le strettissime frequentazioni leghiste o il bagaglio culturale che ha consentito loro di sbaragliare la concorrenza di centinaia di cittadini. No.


Il pacchetto di mischia - rosa per genere, verde per passione politica - in attesa di prendere possesso del posto sicuro continua a collezionare altri incarichi e contratti. Retribuiti dalla collettività, ovviamente. E le analogie tra le protagoniste di questa storia non finiscono qui. Perché le fab five della Lega bresciana hanno dimostrato tutte una spiccata propensione per la prova scritta, ma si sono rivelate meno preparate all'orale. È l’ennesima “stranezza” del concorsone per otto seggiole sicure al sole della Provincia. Carrocciopoli, atto secondo.


Il riassunto della puntata precedente, pubblicata ieri su queste pagine, manca a questo punto di due soli dettagli. Nomi e cognomi. Sara Grumi, figlia del candidato leghista alle ultime regionali Guido; Katia Peli, nipote dell'assessore provinciale leghista Aristide; Silvia Raineri, moglie del vicesindaco leghista di Brescia Fabio Rolfi; più Cristina Vitali e Anna Ponzoni, entrambe collaboratrici del leghista Giorgio Bontempi, altro assessore provinciale. Sono cinque delle otto vincitrici di un concorso a cui si erano iscritti in settecento, di cui duecentoquaranta hanno effettivamente preso parte alla prova scritta.


La seconda puntata dell'inchiesta del Riformista parte proprio da qui. Dalla prova scritta.


Quando il gruppo di cittadini Tempo Moderno (coordinato dall'avvocato Lorenzo Cinquepalmi, dirigente del Psi bresciano) ha denunciato le troppe “coincidenze” del concorso, al quotidiano on-line bresciapoint.it è arrivata la segnalazione di tale “Emiliano: «Io a questo concorso ho partecipato, studiando per più di un anno. Il meccanismo dello scritto era perverso. Ed era matematicamente impossibile prendere 30 (il massimo dei voti, ndr)». Basta dire, prosegue testualmente la denuncia di “Emiliano”, «che erano le consuete domande a risposta multipla. Ma con la difficoltà in più che tra le opzioni ci poteva essere un numero indefinito di risposte giuste. Per ciascuna risposta esatta un punto, per ciascuna sbagliata uno in meno».


Adesso è impossibile risalire a “Emiliano” per verificare l'esattezza della sua testimonianza. E poi, a rigor di logica, è ovvio che una prova del genere - per quanto difficilissima - si può anche superare col massimo dei voti. Ma seguendo la traccia del “concorrente ignoto”, ecco che spunta fuori l'ennesima stranezza. Chi sono i candidati del concorso che riescono a superare i test staccando, e non di poco, l'agguerrita concorrenza dell'esercito dei duecentoquaranta?


Proprio loro, le “leghiste”. Tanto per capirci, l'ultimo dei trentotto ammessi all'orale passa con il punteggio di 21. La signora Raineri, la moglie del vicesindaco di Brescia, riesce invece a fare en plein: 30. Bravura e fortuna, insomma. Perché totalizzare il massimo era difficile come centrare il «100» nella vecchia e gloriosa ruota di Iva Zanicchi a Ok, il prezzo è giusto.


Leggermente meno brava, o forse solo meno fortunata, è Cristina Vitali, la collaboratrice dell'assessore Bontempi. Per lei un bel 28,67. Sara Grumi, la figlia del leghista Guido, arriva a 28. Katia Peli, nipote dell'assessore Aristide, si ferma a 27. Stesso punteggio di Anna Ponzoni, l'altra collaboratrice dell'assessore Bontempi.


Alla prova delle crocette dei test, insomma, il verde della Lega trionfa. Basta considerare, tanto per rimanere nel recinto degli ammessi all'orale, che la maggior parte degli altri candidati prendono voti che vanno dal 21 al 23. È a questo punto della storia che il demone del Sospetto s'insinua nelle menti delle, chiamiamole così, “malelingue”. Quando il 28 ottobre 2009 viene pubblicata la graduatoria degli scritti, Diego Peli, capogruppo del Pd in consiglio provinciale (è solo un omonimo del Peli leghista, ndr), solleva la questione. Troppo brave, le candidate vicine ai big della Lega bresciana. Troppo.


La denuncia del pd Peli almeno un effetto lo produce. La prova orale, infatti, si svolge davanti a numerosi testimoni. Uno dirà, le fab five sono state brave allo scritto, supereranno brillantemente anche l'orale, no? Invece no. Forse per colpa dello stress, forse per l'emozione, sta di fatto che le candidate leghiste che avevano trionfato allo scritto, di fronte alla commissione stentano. La Grumi (28 allo scritto) s'attesta su un mediocre 22. Addirittura la Raineri (30 allo scritto) sfiora il tracollo: 21. La Peli riesce a raggiungere quota 24 mentre leggermente meglio fa il ticket di collaboratrici ad personam Vitali-Ponzoni: 25.


Ma a pagare il prezzo più alto all'orale è un personaggio finora rimasto ai margini della vicenda. Si chiama Margherita Febbrari. E, nel suo curriculum, vanta collaborazioni sia col quotidiano La Padania sia con il deputato nazionale leghista Davide Caparini, già membro della Commissione di Vigilanza sulla Rai. La Febbrari, nota a Brescia per aver ottenuto dal Comune un incarico di consulenza in materia di sicurezza urbana, non ripete all'orale (21) l'exploit dello scritto (28). E, al contrario delle altre cinque fanciulle di cui sopra, che riescono comunque ad accaparrarsi il posto sicuro di impiegate in Provincia, rimane fuori dalla porta. Per un soffio. Ne passavano otto, lei arriva decima.


«Numero otto posti di istruttore amministrativo - Categoria C - a tempo pieno e indeterminato». Posti sicuri da impiegati di concetto alla Provincia di Brescia. Che però sono in attesa di essere occupati dai vincitori. Perché sono già impegnate, al momento, le cinque vincitrici leghiste. Come si legge anche nel dossier di Tempo Moderno, la Raineri, moglie del vicesindaco Rolfi, è lei stessa «capogruppo leghista alla Circoscrizione Nord del Comune di Brescia, coordinatrice della commissione sicurezza civica e bilancio nonché capogruppo sempre della Lega nel consiglio comunale di Concesio (Bs)». Una e trina, insomma.


La Grumi, invece, ha un incarico di collaborazione coordinata e continuativa «per la progettazione e l'implementazione di un sistema coordinato per la gestione delle attività interne, della durata di 24 mesi», stipulato dall'«Area Innovazione e Territorio-Settore Informatica e Telematica», indovinate un po', della Provincia di Brescia. Compenso? 54mila euro lordi, a cominciare dal 12 dicembre 2008.


Katia Peli collabora con lo zio Aristide, assessore. Nell'ultimo rinnovo del suo contratto, anno 2009, si legge testualmente che «le funzioni cui la Sig.ra Katia Peli verrà preposta dall'Assessore alle Attività Socio-Assistenziali e Famiglia, Sig. Aristide Peli, hanno particolare carattere di complessità e delicatezza».


Rimangono Vitali e Ponzoni, le altre due vincitrici “leghiste” del concorso della Provincia. I loro nomi figurano in una delibera - allacciate le cinture - di «conferimento incarico di collaborazione coordinata e continuativa di supporto all'espletamento delle azioni previste dai progetti “Valcanonica, Valcavallina e Sebino” e “Crisi aziendali”».


Della Provincia di Brescia, naturalmente.


da: Il Riformista


http://www.bresciapoint.it/politica/950-carrocciopoli-il-riformista-grazie-a-bresciapoint-e-tempo-moderno-ricostruisce-i-fatti.html



Studio: l'escalation dei costi del nucleare.



14 settembre 2010 - Realizzare una centrale nucleare potrebbe arrivare a costare oggi dai 7mila ai 10mila dollari per kW. Un prezzo molto più alto rispetto ad appena qualche anno fa, e al costo di realizzazione di un impianto eolico, solare o di ogni altra fonte di energia pulita e rinnovabile. È quanto emerge dal nuovo studio, 'Policy Changelles Of Nuclear Reactor Construction, Cost Escalation And Crodwing Out Alternative's'dell’Institute for Energy and the Environment della Vermont Law School. Prezzi che se per le fonti rinnovabili sono destinati a scendere, per il nucleare (come sottolinea lo studio) mostrano una spiccata tendenza a crescere nel tempo.

Anche negli Strati Uniti, l’aumento della domanda di energia unita alla necessità di un mix energetico meno sbilanciato sulle fonti fossili, e di conseguenza dipendente dall’importazione di combustibili fossili, ha dato nuovo slancio all’opzione nucleare. Una scelta sbagliata e antieconomica, secondo Mark Cooper, autore dello studio, che nel rapporto analizza il trend dei costi di realizzazione dei reattori, paragonando il mercato usa a quello francese, spesso presentato come esempio di successo nel settore nucleare.

Dallo studio emerge come, contrariamente a quanto avviene nel campo dei computer, dispositivi solari, turbine eoliche e altri progetti ad alto contenuto tecnologico, i costi delle centrali nucleari non tendono a decrescere nel tempo. Se, infatti, nel 1970, il costo di una centrale nucleare, esclusi gli interessi sul prestito, si aggirava intorno ai 1mila dollari per kilowatt sia negli Stati Uniti sia Francia (misurato sul valore del dollaro al 2008), negli anni Ottanta il prezzo è salito a 3mila – 4mila dollari a negli Stati Uniti, e da 2mila a 3mila in Francia. Nel decennio successivo la cifra ha continuato a crescere attestandosi intorno a 5mila - 6mila dollari per quanto riguarda gli Usa.

Attualmente, il prezzo stimato potrebbe essere di circa 7mila – 8mila dollari per chilowatt con un costo di realizzazione per un impianto di potenza di 2 GW che oscillerebbe tra i 20 e i 25 miliardi di dollari. In altre parole il costo a kW dell’atomo potrebbe arrivare tranquillamente a valori prossimi ai 10 dollari. Cifre stellari, soprattutto se confrontate con quelli delle fonti rinnovabili, dove un impianto solare può essere installato con un costo intorno ai 2 - 4 dollari a watt, a seconda della taglia del sistema.

Le cause principali di tali costi sono i ritardi che si accumulano nella costruzione degli impianti. Le difficoltà che si riscontrano nella costruzione di una centrale, infatti, costituiscono uno dei principali problemi che da sempre assilla l’industria nucleare. A questo si aggiungono le difficoltà nel reperire i capitali, tenuto conto della diffidenza mostrata dalle banche nel finanziare tali progetti, e, infine, lo stesso meccanismo dell’offerta.

“I governi avviano programmi per nuove centrali partendo dal presupposto di pagare circa 2.500 dollari per kW, ma nella realtà i costi sono almeno di 2 o e volte superiori”, – spiega Cooper –. Inoltre, le continue modifiche apportate ai progetti e la loro crescente complessità comporta inevitabili ritardi sui tempi di costruzione con conseguente aumento dei costi. Tutto si traduce con un necessario intervento da parte degli Stati: gli Usa hanno emesso 8,3 miliardi di dollari in garanzie sui prestiti per un progetto all'inizio di quest'anno”.

Un circolo vizioso che finisce con l’avere ricadute negative sulle nuove energie pulite. “A fronte della disponibilità limitata di risorse economiche, i governi dovranno decidere quali programmi sostenere, se puntare sull’atomo o sulle rinnovabili – spiega Cooper -. Non solo. La mole dei progetti nucleari assorbe immancabilmente risorse mentali ed economiche degli operatori del settore elettrico, che finiscono con il ridurre gli investimenti nelle fonti rinnovabili”. Allora, se rinunciassero al nucleare gli Stati Uniti dove potrebbero trovare tutta l’energia di cui hanno bisogno? "Abbiamo diverse alternative, molto meno costose e più efficaci dell’atomo: la prima è quella dell’efficienza energetica”, conclude Cooper.



giovedì 16 settembre 2010

E' Matteo Renzi il sindaco più amato di Italia.







Lo rileva l'istituto "Monitor Città'' che ha stilato la graduatoria dei primi cittadini più amati nel nostro Paese nei primi 6 mesi del 2010.






Ciancimino, la perizia conferma. - di Umberto Lucentini





Il figlio Massimo non ha mentito: fu proprio l'ex sindaco di Palermo a scrivere le carte sui rapporti tra mafia e Stato e sugli investimenti di Cosa Nostra a Milano 2. Lo ha stabilito la Polizia scientifica.

La perizia della polizia scientifica ha stabilito che sono stati firmati proprio da Vito Ciancimino alcuni dei documenti sui rapporti tra mafia e Stato e su un investimento di Cosa Nostra in un'azienda di Berlusconi che il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo ha consegnato alla procura. Su altre carte sono in corso ulteriori accertamenti. Si tratta in tutto di tre testi: il primo è un appunto sulla costruzione di Milano 2, il quartiere satellite edificato da Silvio Berlusconi nei primi anni Settanta: vi compare il nome di Marcello Dell'Utri, oltre a quelli dei costruttori palermitani Nino Buscemi e Franco Bonura. Il secondo è un elenco in dieci punti (il "contropapello") inviato dallo stesso Ciancimino a Totò Riina per stabilire un accordo tra le cosche e lo Stato che consentisse di fermare le stragi. Il terzo è una lettera che ha come destinatario l'ex governatore di BankItalia, Antonio Fazio, in cui si parla della trattativa tra pezzi dello Stato e boss e dell'attentato al giudice Paolo Borsellino.

Al termine delle perizie, gli esperti del servizio di Polizia scientifica della Direzione centrale anticrimine hanno una certezza: questi tre testi sono stati di sicuro firmati da Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo condannato per mafia e morto il 19 novembre 2002. E sono stati scritti proprio nei periodi indicati dal figlio Massimo.

Una conferma importante per due delicate inchieste della procura di Palermo condotte anche grazie alle dichiarazioni di Ciancimino junior, che del padre ha custodito documenti e segreti ora messi a disposizione del pool dell'aggiunto Antonio Ingroia e dei sostituti Nino Di Matteo e Paolo Guido. Nuovi, importanti riscontri, nella ricerca di parte del tesoro di Ciancimino senior investito nel nord Italia e di quei patti "scellerati" che sarebbero stati stretti da alcuni alti ufficiali dei carabinieri del Ros e dai vertici di Cosa nostra (sempre smentiti dagli indagati).

Degli investimenti a Milano di don Vito, il figlio ha parlato pubblicamente la prima volta l'1 febbraio scorso, deponendo nell'aula bunker dell'Ucciardone di Palermo al processo al generale dei carabinieri Mario Mori e al colonnello Mauro Obinu, accusati di aver favorito parte della latitanza dello stratega "numero uno" della mafia siciliana, Bernardo Provenzano. Ciancimino junior ha raccontato di aver saputo dal padre che questi, tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli Ottanta, tramite Dell'Utri e i costruttori Buscemi e Bonura aveva investito soldi nel quartiere satellite realizzato alla periferia di Milano dall'allora giovane imprenditore Silvio Berlusconi.

Una circostanza di cui Massimo ha parlato decifrando l'appunto scritto dal padre in cui c'erano i nomi dei costruttori palermitani Buscemi e Bonura, del futuro senatore di Forza Italia e di Milano Due. La Polizia scientifica ha così comparato il foglio in possesso dei pm Ingroia, Di Matteo e Guido con altri documenti pubblici e privati sicuramente scritti da Ciancimino. Il giudizio è netto: sono "compatibili".

Stesso esito anche per l'analisi merceologica, cioè sul tipo di carta e sul periodo in cui il foglio è stato prodotto : sono "compatibili" con quelli indicati da Ciancimino junior che tramite appunti e ricordi li sta decifrando davanti ai pm. E se, come ha già detto al termine dell'udienza di febbraio Niccolò Ghedini, avvocato di Silvio Berlusconi e parlamentare Pdl «le dichiarazioni di Ciancimino su Milano Due sono del tutto prive di ogni fondamento fattuale e di ogni logica, e sono smentibili documentalmente in ogni momento», è ovvio pensare che la Procura di Palermo stia cercando di trovare in diversi istituti di credito le tracce dei movimenti di soldi che proverebbero l'investimento dell'ex sindaco Dc del "sacco di Palermo".

La seconda inchiesta sta facendo luce sulla trattativa tra mafiosi e pezzi dello Stato per ottenere lo stop alla stagione stragista voluta da Riina in cambio di garanzie e impunità per i boss: è quella che vede il generale dei carabinieri Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu accusati di favoreggiamento aggravato alla mafia. Mori, ex comandante del Ros e direttore del servizio segreto civile Sisde, e il suo braccio destro Obinu, avrebbero trattato nel '92 la fine della strategia degli attentati di Cosa nostra in cambio di alcune garanzie chieste dai capimafia. Il tramite di questo patto sarebbe stato Vito Ciancimino, nato a Corleone e legato ai compaesani Riina e Provenzano da antica amicizia. Così, al "papello" di richieste avanzato da Riina tramite il medico Antonio Cinà e consegnato a Ciancimino perché lo girasse agli ufficiali dell'Arma, è seguito un "contropapello": l'ex sindaco Dc formulò proposte più moderate che prevedevano l'abolizione del carcere duro per i mafiosi (il 41 bis), una riforma della giustizia all'americana con un sistema elettivo dei giudici, la nascita di un partito del Sud. Aperto dall'annotazione «Mancino-Rognoni» (allora ministri dell'Interno e della Difesa), il foglio sarebbe stato scritto prima del 19 luglio del '92, giorno dell'attentato a Borsellino. Le analisi della Polizia Scientifica hanno confermato che la grafia è quella di Ciancimino e che il post-it accluso in cui c'era scritto "consegnato spontaneamente al col. Mori" è stato prodotto tra il 1986 e il 1991.

Il terzo riscontro, tra i molti altri oggetti di una perizia di centinaia di pagine consegnata dalla Polizia Scientifica ai pm di Palermo, riguarda la lunga lettera firmata Vito Ciancimino e indirizzata all'«illustrissimo Presidente Dott. Fazio». All'allora governatore della Banca d'Italia, l'ex sindaco Dc di Palermo offriva la sua benedizione e la chiave di lettura per gli omicidi dell'eurodeputato andreottiano Salvo Lima, di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino.

Di quest'ultimo scriveva: «Dopo un primo scellerato tentativo di soluzione avanzato dal Colonnello Mori per bloccare questo attacco terroristico ad opera della mafia, ennesimo strumento nelle mani del regime, e di fatto interrotto con l'omicidio del Giudice Borsellino, sicuramente oppositore fermo di questo accordo...».

La firma in calce alla lettera, ha accertato la Polizia Scientifica, è proprio quella di Vito Ciancimino.