venerdì 12 novembre 2010

"Dimissioni? Piuttosto la guerra civile"



Berlusconi si sfoga nella notte di Seul con i vertici del partito riuniti dopo l'incontro Fini- Bossi
UGO MAGRI
INVIATO A SEUL

«Non mi dimetterò mai», quasi grida al telefono Berlusconi dal ventunesimo piano dell’Hotel Hyatt, e dall’altro capo del filo lo ascoltano tramite interfono tutti i gerarchi del suo partito, riuniti a 8962 chilometri di distanza. Il tono di voce è concitato, «Fini vuole eliminarmi, mi vuole morto fisicamente per la storia di Montecarlo, è convinto che gliel’abbia montata io. Ma se questi faranno il governo tecnico noi gli scateneremo contro la guerra civile, avranno una reazione come nemmeno s’immaginano...».

Per tre volte il presidente del Consiglio si collega con il vertice Pdl, l’ultima quando in Corea è già l’una di notte, e sarebbe il momento di calare il sipario su una giornata bestiale: atterraggio a Seul dopo la notte passata in volo, il Cavaliere con la faccia gonfia di sonno e due fessure al posto degli occhi, colloquio in albergo con il premier vietnamita Nguyen Tan Dung, unico «bilaterale» di Berlusconi laddove in queste prime battute del G20 è stato tutto un fiorire di meeting, protagonisti Obama, il britannico Cameron, la tedesca Merkel. L’Italia a zero.
O meglio: non si sa. Magari di incontri ad alto livello ce ne saranno stati, per esempio durante la cena tra i capi di Stato e di governo che, tutti insieme, cercano una via d’uscita alla grande stagnazione.

Però il nostro premier s’è ben guardato dal renderne edotti i propri concittadini. Subito dopo il dolce, ciao ciao con la mano ai cronisti e via di corsa in albergo per farsi ragguagliare sull’unico incontro di cui davvero gli importasse qualcosa, quello a Roma tra Fini e Bossi. Che fosse la sua grande preoccupazione, lo s’era capito dal tentativo di farne partecipe perfino il rappresentante di Hanoi. La scenetta è un autentico cammeo. Berlusconi che si avvicina confidenziale a Nguyen Tan Dung e, tardando l’interprete, gli annuncia nel suo inglese non proprio oxfordiano: «I have some difficulties in this moment», ho qualche problemuccio a casa, perdonami caro amico del Vietnam se la testa è altrove...

Dunque Berlusconi torna dalla cena ufficiale, si chiude in camera col fido Bonaiuti e fa chiamare di corsa Cicchitto, nel cui studio alla Camera è adunato l’intero gotha del Pdl, da Bondi a Quagliariello, da Fitto a la Russa, da Romani alla Gelmini. Vuole sapere, Berlusconi, com’è andata veramente tra Umberto e «quello là» (Gianfranco). Vengono messe a confronto le versioni di Bossi, di Maroni e di Calderoli, risulta chiaro che non collimano affatto.
Qualcuno sente puzza di bruciato e lo dice. Silvio ribadisce alto e forte, «di Bossi io mi fido al 99 per cento», tuttavia aleggia la sensazione che siano in atto strani giochi per rimpiazzare il premier con chiunque purché non sia lui. E che la Lega sotto sotto stia valutando tutte le strade nel proprio interesse... Un incauto (o un’incauta?) propone al Capo di dimettersi come chiede Fini, salvo riavere subito l’incarico dal capo dello Stato.

Coro di «noooo, troppo pericoloso, sarebbe come mettere la testa tra le fauci del leone», e poi da qualche giorno il Presidente spara a raffica sul governo, come fidarsi di Napolitano? Mentre si parlano da un capo all’altro del pianeta, arriva in diretta la notizia che nemmeno la versione di Bossi è oro colato, anzi lo stesso Fini la smentisce. Si decide perciò di troncare gli indugi: basta così, «o Berlusconi oppure elezioni» riassume il ministro Matteoli in rima baciata. Viene stilato un documento, il premier se lo fa leggere, gli piace, lo approva. Il suo prossimo passo consisterà nel rimpasto, via il ministro Ronchi (finiano) e dibattito in Senato per rinnovare la fiducia: quanto alla Camera poi si vedrà, perché lì governo rischierebbe la bocciatura.

E non sta scritto da nessuna parte che in assenza di dimissioni del premier debbano pronunciarsi entrambi i rami del Parlamento, uno potrebbe anche bastare... Tocco surreale: mentre Berlusconi per tre ore al telefono coi suoi tenta di esorcizzare i governi tecnici, i due personaggi più titolati a guidarli si trovano pure loro a Seul. Uno, Tremonti, se l’è portato da Roma in aereo, per risparmio si capisce, e ha partecipato alle riunioni dei ministri economici.
L’altro, il governatore Draghi, ha gustato addirittura la cena dei Grandi nella sua veste di presidente del Financial Stability Board. Obama e gli altri non immaginano, ma seduti di fronte avevano il presente e, forse, il futuro della politica italiana.



Undici ore al giorno, 500 euro al mese Ferie e malattie? Non esistono più. - di ROSARIA AMATO




La campagna di affissioni e in Rete dei "Giovani disposti a tutto" punta l'indice sulle offerte impossibili per i giovani che cercano una occupazione. Dalle storie inviate in questi giorni a Repubblica: retribuzioni ridicole, assenza di contributi, il part time che diventa full time. Alla fine, gli annunci finti assomigliano tanto a quelli reali.


ROMA - Se questo è un lavoro. Perché è difficile definire come offerte quelle delle quali parlano i giovani che hanno inviato le loro storie professionali 1a Repubblica.it, prendendo spunto dalla campagna "Giovani disposti a tutto". Certo, i manifesti affissi 2dagli ignoti autori della campagna a prima vista sembrano molto ironici, ma poi, scorrendo 3le 'storie' inviate dai lettori 4, c'è da chiedersi quanto siano distanti dagli annunci veri, quelli che si trovano sui siti 'cercaimpiego', o sui giornali, o nelle bacheche delle università. Impieghi retribuiti quando va bene 500 euro lordi al mese, o in alternativa 3 euro lordi l'ora (anche 2,50, o 2), e persino 5 euro al giorno. Stage che sono lavori camuffati, non retribuiti (o che in alternativa prevedono 100 euro al mese). La domanda "Quanto vuole guadagnare?" che viene usata come trabocchetto per scartare i candidati che siano appena esigenti. Le tipologie contrattuali vanno dal contratto.

progetto a quello di collaborazione al part time (ma il tempo effettivo è decisamente full) al più classico lavoro in nero. Quindi, contributi da pochissimi a niente. Uno spreco che fa male: hanno scritto laureati spesso con il massimo dei voti, che in molti casi parlano bene più lingue straniere, che magari hanno anche frequentato un master, e che non riescono neanche a lavorare come commessi, perché in quel caso "ci vuole esperienza".

Tra le proposte 'indecenti' ce n'è anche qualcuna che lo è nel senso classico del termine. Mariangela racconta che attraverso un sito specializzato le è stato offerto un lavoro di segretaria per 2500 euro al mese, che prevedeva "trasferte in Italia e all'estero". "L'inserzionista - racconta - mi contatta chiedendomi "Ma secondo lei perché io pagherei una segretaria 2500 euro al mese e chiederei trasferte in Italia ed all'estero?". Io ho divagato e lui per "aiutarmi" ha detto: "Mi mandi una foto a figura intera". Ovviamente non l'ho fatto. Potete immaginare la rabbia e l'umiliazione che abbia provato". Le somiglia la storia di Sonia78: "Anno 2001, fresca di laurea, 23 anni. Cercavano promotori finanziari. Mi dissero che avevo l'aria troppo petrarchesca, da madonnina medievale, avrei dovuto rifarmi il seno".

Ma nella maggior parte dei casi l'indecenza delle proposte si misura invece sul tipo di contratto offerto, su retribuzioni bassissime, assenza di contributi, assenza di qualunque diritto acquisito dai lavoratori in cinquanta o cento anni di lotte sindacali. Niente malattie pagate, niente ferie, niente festività, si può essere mandati a casa in qualunque momento, spesso il contratto non viene rinnovato non perché il lavoratore non sia stato all'altezza di quanto gli è stato chiesto, ma perché sostituire continuamente le persone dopo brevi contratti a termine è una tecnica per evitare di doversi trovare nella condizione di assumerle.

Quelli pagati poco. I contratti 'da fame' si assomigliano tutti. Le cifre sono basse, spesso inaccettabili. La lista è lunghissima; qualche esempio. "Sono laureata in Lingue straniere, otterrò la laurea specialistica a dicembre. Un paio di mesi fa mi hanno offerto di lavorare per un call center a Palermo. Retribuzione: 2 euro l'ora! (3 ore di lavoro al giorno) quando avrei fatto carriera però sarebbero diventate ben 4! Un altro call center (ove giacciono tutti i laureati siciliani), invece, mi ha offerto 5 ore di lavoro al giorno senza fisso. Mi avrebbero dato 5 euro, però, se avessi preso un appuntamento, se il venditore si fosse recato sul luogo e se avesse concluso un contratto (lixi82)". Ancora: "Laureato in Teoria della comunicazione col massimo dei voti e lode ha ricevuto una sbalorditiva offerta di lavoro da una nota compagnia assicurativa italiana. Euro 200 al mese per otto ore di lavoro al giorno. Con la condizione di essere automunito, perché raggiungere l'ufficio significa fare 50 km all'andata e altrettanti al ritorno. Le spese sono a carico del dipendente. Ulteriori incentivi dipendono da quante polizze la risorsa è capace di vendere (rossomalpelo03)". "Da 3 settimane lavoro per una sostituzione maternità come centralinista in una azienda in piena crescita del N-Est, mi hanno proposto uno stage di 6 mesi con "stipendio" di 500 euro/mese (leggendo altre testimonianze ora non mi sembrano nemmeno pochi!), ma in realtà lavoro a tutti gli effetti, 8 ore al giorno e freneticamente!" (thingsoflight). "Commessa in un negozio di una grossa catena multinazionale, 40 ore settimanali sulla carta ma in realtà più di 60, 6 giorni su 7, per 600 euro al mese con contratto di stage ("perché non ha senso farti un indeterminato, sei laureata e quando troverai di meglio te ne andrai"). Allo scadere del contratto mi mandano via, "non ci hai dato ciò che ci aspettavamo da te" (leslie01). "Capo reparto in una nota catena di Ipermercati 13/14 ore giornaliere x 6 gg settimana stipendio 5,80 Euro ora circa................no comment prendere o lasciare...non vi dico i requisiti richiesti, e l'esperienza da dimostrare" (infeltrio).

Il diritto del lavoro, questo sconosciuto. Quando si discute, come è successo a più riprese negli ultimi anni, dell'abrogazione o della modifica dell'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, che prevede la reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento ingiusto, bisognerebbe chiedersi cosa rimane della eccellente impalcatura del diritto italiano del lavoro per chi non riesce ad andare oltre i contratti 'flessibili'. Per gli atipici il diritto del lavoro non esiste, e non ci si riferisce solo all'art.18, ma a cose molto più banali, e date da tempo per acquisite nella coscienza e nel diritto dei Paesi occidentali da oltre 50 anni: le ferie retribuite, il riposo festivo, la malattia. "Ho lavorato per quasi un anno in un importante salone auto della mia zona come commerciale (sì, vendevo auto). Sapete quali erano gli orari? 9-13,30 e 15-19, con straordinari non retribuiti (se arriva un cliente alle 19.15 non lo si poteva certo mandare via, anche se poi facevi le 21 e non vendevi nulla). E i giorni lavorativi? Dal lunedì al sabato full-time, con 3, dico 3 domeniche pomeriggio al mese. E se lavoravi anche la domenica potevi avere un intera giornata di riposo (lunedì nel mio caso) ma per questo ti toglievano UN GIORNO DI FERIE!!!!!! Morale, dalle 6-7 settimane di ferie come da contratto ne rimanevano 2 scarse. (albertd)". "Lavoro da 6 mesi con uno schifosissimo contratto a progetto (niente ferie retribuite o giorni di malattia), in un ufficio che sembra uno scantinato, per 9 ore al giorno di fila, per la fantastica cifra di 200 euro al mese (i primi tre mesi ho lavorato gratis, s'intende!). Perché non me ne vado? Forse perché non posso permettermi di perdere quelle 200 euro...(stancamente1981)".

Quelli che lavorano gratis. Per qualcuno viene meno persino il primo dei diritti fondamentali dei lavoratori, quello alla retribuzione: "Mio figlio in uno studio di un commercialista, docente di scuola statale, ci ha trascorso, senza alcun compenso,i tre anni previsti dalle norme per le abilitazioni, in verità a Natale riceveva un panettone da 5€ e come lui prima e dopo altri studenti (domenico43)". Del resto i tirocinanti hanno vita difficile da sempre: se sono fortunati, però, ne vale la pena. Ecco il racconto di Cefrace: "Laurea in legge a 25 anni (lavorando), tre anni di pratica (2+1 esame) con "stipendio"partito da 100 € al mese (+ 50€ abbonamento autobus extraurbano) e finito a 600€ + pasti, per 12/14 ore al giorno, divenni avvocato e me ne offrirono 1.200 (sempre a partita Iva chiaro). Rifiuto e mi lancio nella libera professione, in una città diversa dalla mia e senza appoggi, molto lavoro ma decisamente buone soddisfazioni economiche (reddito netto circa 60.000 euro all'anno a 32 anni)". Ma è davvero scoraggiante lavorare senza percepire proprio nulla: "Posso raccontare di figli senza futuro. - scrive una mamma, che si firma Dulcinea - Laurea con lode, tirocinio di 6 mesi in struttura sanitaria,altro di 3 mesi in centro di psicoterapia,naturalmente entrambi a costo zero. Ricerche estenuanti ed invio curriculum in Italia ed Europa. Ultima offerta, tirocinio mortificante(senza tutor nè retribuzione per 8 ore al giorno)in struttura per anziani".

Quelli che se ne sono andati. Degli italiani che se ne vanno, perchè non ne possono più di essere sfruttati in Italia,
Repubblica.it ha già parlato in una precedente inchiesta, dedicata agli italiani all'estero 5. "Ho 27 anni, laureato magistrale nel 2009 con 100/110 in EC industriale, ho passato la formazione girando e lavorando per il mondo. Parlo perfettamente inglese spagnolo e cinese (scritto e parlato), programmo in SQL e sistemista server. Per amore ho cercato di tornare in Italia e mi hanno proposto ben 1200 euro lordi ed il primo mese come stage. Ora vivo ad Hong Kong, una delle capitali del mondo, prendo 3800 euro al mese e sto studiando un'altra lingua. I miei amici laureati in ingegnieria percepiscono 1500 euro al mese lordi. (alfassassina)".

Ma qualcuno è ottimista: farsi sfruttare alla fine serve. Non è detto che stage, co.co.pro e altri contratti da fame siano fine a se stessi. E' così che si comincia, sostiene qualcuno, più ottimista della maggioranza. Meggy80: "Ho 30 anni prendo 1400 euro al mese e ho un tempo indeterminato da 4 anni , e sono felice, perchè per quanto il mio stpendio è basso per vivere in una citta cara come bologna , riesco a togliermi piccole soddisfazioni fare il mutuo e a comprare casa (bilocale ovviamente!) come sono arrivata a un tempo indeterminato? Laurea a 23 anni con il massimo dei voti, 2 stage uno gratis e uno a 600 euro al mese, un anno di tempo determinato con contratto di inserimento e infine a tempo indeterminato passando da 1000 euro netti iniziali, ai 1400 di oggi. Perchè racconto la mia storia? Perchè purtroppo il mondo del lavoro in Italia è cosi, bisogna adattarsi adattarsi adattarsi e piano piano, a piccoli passi avanti si riesce ad andare".

Quelli che aspirano a una proposta indecente, ma non trovano neanche quella. Ci sono molti giovani, spesso neolaureati, che ci scrivono raccontando di non aver ricevuto alcuna proposta, neanche indecente. "Magari aver ricevuto almeno qualche proposta seppur indecente! Quando su Internet trovo un annuncio bello fresco dove si cerca un profilo esattamente uguale al mio, invio immediatamente il curriculum iscrivendomi obbligatoriamente al motore di ricerca dove ho rinvenuto l'annuncio. Tra settembre e ottobre ho inviato almeno una decina di curriculum e misteriosamente non sono mai stato contattato neppure per un primo colloquio, nonostante avessi ogni requisito necessario", lamenta lorenzo815.



GENOVESI: "IL FIGLIO DI DELL'UTRI VENDEVA CANDIDATURE A 150MILA €"




«Mi avvicinò una persona e mi disse che il figlio aveva lavorato con il figlio di Dell'Utri in un'agenzia di pubblicità e mi riferì praticamente che quelli che volevano una candidatura buona pagavano dai 150mila euro più o meno».

Così la pentita Perla Genovesi, ex assistente parlamentare del senatore del Pdl Enrico Pianetta, ha raccontato ai pm di Palermo, che la interrogavano nell'ambito di un'inchiesta su un narcotraffico, di una presunta compravendita di candidature che sarebbe ruotata attorno a un'agenzia pubblicitaria del figlio di Dell'Utri.

«Mi sfugge il nome dell'agenzia - prosegue la donna - che è sicuramente conosciuta. È un'agenzia pubblicitaria dove praticamente facevano risultare questi soldi come una campagna elettorale per il politico. Sui soldi si poteva trattare, si poteva scendere anche a 100 dipendeva dalla candidatura, da quanto poteva essere buona».

La pentita spiega che i soldi venivano formalmente imputati alle spese sostenute dall'agenzia per la pubblicità.

Invece, parte sarebbe andata realmente alla campagna elettorale - ad esempio all'allestimento dei cartelloni -; il resto, la somma maggiore, sarebbe stata, invece, il corrispettivo versato in cambio della candidatura. «Il figlio di Dell'Utri lavorava in questa agenzia, però comunque c'erano molti ragazzi che lavoravano per dell'Utri - racconta - e allora dissi al senatore (Pianetta n.d.r.) che c'era questa possibilità che avrebbe dovuto pagare sui 100-150mila euro. Lui era un taccagno. Non lo vidi interessato. Aveva l'atteggiamento di chi non ha nessuna intenzione di spendere quei soldi, ma come se sapesse che lui non ne aveva bisogno, come se fosse abbastanza ammanicato per avere un'altra candidatura senza pagare».
Al pm che le chiede a chi andavano i soldi, Genovesi risponde: «I soldi andavano al partito. Alla fine veniva pagata la candidatura. Era un'agenzia che faceva capo comunque a Dell'Utri o a Forza Italia». «Sarebbe stato legittimo - dice la pentita - se uno decideva di investire questi soldi per una campagna elettorale, ma non per avere una candidatura. E invece non era solo per la campagna pubblicitaria; era per avere la candidatura principalmente». Perla Genovesi sottolinea infatti ai magistrati che con la legge elettorale del 2006 fondamentale per l'elezione è la posizione nella lista. Essere nei primi posti garantisce di fatto il seggio. «La campagna pubblicitaria era una conseguenza, - conclude - anche perchè se era una candidatura non c'era bisogno della campagna pubblicitaria, perchè la campagna serviva per avere i voti, ma se loro mi davano una candidatura in una buona posizione non servivano i voti perchè entravano comunque poi a far parte dei senatori. Insomma per come è la legge elettorale non e più tanto in base ai voti ma in base alla posizion

L’Espresso: Brunetta, la escort e i fondi neri. - di Redazione Il Fatto Quotidiano




Nei verbali del suo interrogatorio, Perla Genovesi parla di quando il futuro ministro «gestiva i soldi sporchi di Forza Italia». E tira in ballo anche Bondi, Fazio (Salute) e il sindaco Moratti

“Sesso, politica e tangenti”. Sull’Espresso in edicola domani gli stralci della testimonianza di Perla Genovesi ai pm di Palermo e Milano. Perla ne esce come personaggio interno alle vicende del potere berlusconiano: dal S. Raffaele di Milano, agli uffici lombardi del Pdl, da “Il Giornale” diPaolo Berlusconi agli incontri con alcuni dei personaggi più importanti del governo. ComeFerruccio Fazio, il futuro ministro della Sanità, Sandro Bondi, dal comitato elettorale di Letizia Moratti, sino ad agganciare Renato Brunetta, di cui dice: “l’amministratore dei soldi sporchi di Forza Italia”. E’ questo ciò che emerge dai racconti dell’ ex collaboratrice del senatore di Forza Italia, Enrico Pianetta e trafficante di droga. Ora pentita, la ragazza di Parma, rempie i verbali di rivelazioni, al vaglio delle procure di Palermo e Milano.

Con Ferruccio Fazio, ai tempi primario di medicina nucleare e radioterapista all’istituto scientifico universitario fondato del S.Raffaele, Perla ebbe un incontro. Protetta del senatore Pianetta, la 32enni di Parma ottiene un incarico per occuparsi di “metabolismo regionale di glucosio in oncologia”. Fazio conferma l’incontro, ma dice che tutto avvenne in buona fede: “Mi sembrava adatta per un lavoro di due mesi per ricerche bibliografiche e di segreteria”. Ma la Genovesi ai pm dice di non sapere alcunché di oncologia, e di non essere nemmeno in grado di lavorare con la lingua inglese.

Il secondo episodio rivelato da l’
Espresso riguarda l’conoscenza di Perla con il Ministro Sandro Bondi. Nel 2006 “a decidere le candidature era pure la massoneria, rivela la ragazza – Erano i massoni a gestire i politici”. La ragazza, secondo quanto racconta, avrebbe trovato riscontro a queste affermazioni parlando con un suo amico massone che lavorava per Sandro Bondi. Un rapporto nato nel 2005, si legge nei verbali, durante la ricerca di un lavoro a Sky.

E la giovane racconta anche una breve parentesi professionale a “il Giornale” di Paolo Berlusconi per la vendita di spot pubblicitari su Internet prima di cominciare a parlare di Renato Brunetta. “Per lui ho sempre avuto un’alta considerazione, nonostante sapessi che era quello che aveva amministrato i fondi neri di Forza Italia”. I pm si stupiscono per l’affermazione, ma la Genovesi non si scandalizza, come sottolinea lei stessa: si tratta di “cose che sanno tutti”. È sempre lei a presentare l’amica Nadia Macrì, che al tempo si prostituiva, a Brunetta per sostenerla in un momento di bisogno: “Brunetta – dice – invece di aiutarla ha approfittato della situazione”.

E’ la stessa Nadia a parlare del giro di escort milanese, di Silvio Berlusconi e del modo in cui nella capitale lombarda imprenditori ricevono giovani prostitute: “Lavoravo con uno che era un immobiliarista e forniva ragazze immagine a locali di Milano pagate con cento euro a sera e 500 per un’eventuale marchetta”. Ci sarebbe anche un’agenzia di modelle, il cui proprietario è uno sloveno, “che ha tante ragazze che ufficialmente fanno le hostess, ma in realtà è una copertura per la prostituzione”.



Telefonate pericolose. - di Marco Lillo




La Genovesi, arrestata per narcotraffico, aveva un filo diretto con la casa di Berlusconi. Quarantotto chiamate solo con la villa del Caimano. Centinaia anche con Bondi e Brunetta

Altro che assistente sfigata di un oscuro senatore di periferia. Altro che sconosciuta centralinista della Regione Emilia Romagna. Perla Genovesi, la ragazza parmense di 32 anni, già portaborse del senatore Enrico Pianetta di Forza Italia, fermata nel 2007 e poi arrestata nel luglio scorso con l’accusa di traffico di stupefacenti insieme a un gruppo di siciliani, era entrata davvero nel cuore del potere berlusconiano. Questa giovane dalla doppia vita a cavallo tra i politici romani che oggi occupano le poltrone più importanti del Governo e i narcotrafficanti siciliani era arrivata a parlare con Villa San Martino. Il Fatto Quotidiano ha visionato i tabulati telefonici della ragazza nei quattro anni che hanno segnato la sua ascesa dall’Emilia alla Capitale e ha scoperto ben 48 contatti (in entrata e in uscita, tra telefonate e messaggi sms) con il telefono di Arcore. Nello stesso periodo Perla Genovesi aveva contatti e collaborava con i narcotrafficanti Vito Faugiana e Paolo Messina, arrestati con lei nel luglio scorso. Una circostanza che dimostra ancora una volta la permeabilità dei vertici del Pdl da parte di personaggi, spesso di sesso femminile, legati alla criminalità organizzata. Dopo Barbara Montereale, l’amica di Patrizia D’Addario fidanzata con un rampollo del clan Parisi di Bari, dopo il caso Ruby e la pubblicazione da parte di Oggi delle foto di Lele Mora, indagato per favoreggiamento della prostituzione, che recapita in villa pacchi di ragazze al premier, le telefonate ad Arcore di una ragazza in rapporti con narcotrafficanti siciliani ripropone il problema della ricattabilità e della possibile infiltrazione da parte della criminalità dei vertici del Pdl. Non solo il premier ma, come dimostra questo caso, anche il suo entourage e i suoi uomini più fidati sono a rischio per le loro spericolate frequentazioni.

Quando hanno visto i 48 contatti con Arcore, inizialmente gli investigatori hanno pensato al Cavaliere. Era naturale accoppiare l’utenza 039 6013… di Arcore, intestata all’Immobiliare Idra (società proprietaria di gran parte delle ville di Berlusconi) al padrone di casa. Quel numero era stato rinvenuto tanti anni fa nella memoria del cellulare di Marcello Dell’Utri come recapito riservato per contattare l’amico Silvio. In realtà, esaminando alcune telefonate intercettate sull’utenza di Perla Genovesi, si è scoperto che quando chiamava quel numero la ragazza cercava non Silvio ma Sandro. Il 16 aprile 2005, al centralinista che risponde “Villa San Martino”, infatti, secondo i Carabinieri, “Perla chiede del Dott. Giuseppe Villa che però non c’è. E chiede anche di tale Bondi ma non c’è neanche quest’ultimo”. Questo è l’unico contatto con Arcore segnalato dai Carabinieri nella loro informativa nella quale si annotano anche 13 contatti con l’attuale ministro della difesa Ignazio La Russa, “tutte attinenti al suo compito ufficiale e prive di interesse investigativo”.

I contatti con Arcore tracciati dai tabulati cominciano nel 2003. Sono molte le telefonate in partenza dalla magione del Cavaliere: il 19 settembre del 2003 alle 13 e 32, per esempio, il telefono di Arcore chiama il cellulare di Perla Genovesi e la conversazione dura 8 minuti. Il giorno dopo c’è un’altra chiamata più breve sempre in partenza dalla villa e poi ancora il 3 ottobre, il 27 ottobre, il 9 novembre, il 25 dicembre, il primo marzo del 2004 e così via. Sono in tutto undici le chiamate in uscita mentre molte di più sono le volte che è Perla a chiamare il suo ignoto interlocutore di Arcore. Una volta, forse per sbaglio e per un solo secondo, Perla chiama anche alle 6 di mattina. Non è possibile sapere (a parte l’unico caso citato nell’informativa dei Carabinieri visionata dal
Fatto) chi e cosa cercasse la ragazza parmense ad Arcore. Fin quando non saranno rese pubbliche le trascrizioni delle conversazioni (e non solo i tabulati che indicano solo il chiamante e il chiamato oltre alla durata della conversazione) si possono fare solo dei ragionamenti basati sulle altre telefonate che precedono e seguono quelle di Villa San Martino.

A leggere i tabulati, probabilmente era proprio Sandro Bondi, nominato nel 2005 coordinatore del partito Forza Italia, o qualche altro personaggio dell’entourage del Cavaliere, l’interlocutore misterioso della ragazza, che ha sempre detto di non essere mai andata ad Arcore. Perla Genovesi ha riferito solo in via indiretta i racconti dei festini nella villa di Silvio Berlusconi ai quali avrebbe partecipato la sua amica Nadia Macrì ma ha sempre aggiunto di non essere mai stata coinvolta in prima persona in quelle feste e di avere partecipato ad incontri con altri politici a Roma e a Palermo.

Nei tabulati della ragazza ci sono invece tantissime telefonate che, secondo gli investigatori, sono riferibili alle utenze di Sandro Bondi. Nei tabulati risultano 37 contatti tra Bondi e Perla Genovesi tra il 19 settembre del 2003 e il 2 ottobre di quell’anno. Poi l’apparecchio telefonico di Bondi cambia sim e comincia a usarne una intestata a Forza Italia, probabilmente concessa in uso al politico di Fivizzano.
Perla Genovesi intrattiene ben 570 contatti telefonici nel periodo monitorato, dal settembre del 2003 al settembre del 2007, con questa scheda di Forza Italia probabilmente in uso a Bondi. Nello stesso periodo ci sono un centinaio di contatti con utenze riferibili all’attuale ministro del Pdl Renato Brunetta, al quale poi Perla Genovesi presenterà Nadia Macrì.







mercoledì 10 novembre 2010

Feltri e Co., giornalismo suicida. - di Giorgio Bocca





Dove portano il dileggio, il fango, la ferocia con cui si distrugge l'avversario per conto del padrone? Al massacro generale, a una società in cui c'è un unico valore: il denaro-potere che ti mette al di sopra della legge

Mai il giornalismo italiano era sceso così in basso. Un fiume di diffamazioni reciproche, di attacchi personali, di finte rivelazioni su peccati veri o presunti anche se risalenti a trenta o a cinquant'anni fa del tipo "sei stato un fascista", "hai scritto lodi di Mussolini". In questa gara al reciproco dileggio i giornalisti sembravano voler apparire più accaniti, più feroci dei loro mandanti proprietari.
Il direttore del "Giornale", per dire, sembra impegnato in una gara con il proprietario di fatto Silvio Berlusconi a chi è più accanito nella diffamazione degli avversari politici. Che si tratti di un giornalismo suicida che vuole morire in mezzo ai miasmi e ai veleni che sprigiona lo capiscono tutti, anche nella parte di uno dei protagonisti del conflitto. Nicola Porro, vicedirettore del "Giornale", ha detto in televisione: il "Giornale" parte ogni mattino con due condizionamenti pesantissimi, uno di essere il giornale del padrone, l'altro di avere un direttore che appena sveglio pensa a quali argomenti trovare per aumentare il numero dei lettori. È una descrizione perfetta di ciò che non bisogna fare nel buon giornalismo. Il padrone che usa il giornale anche per i bassi affari, per i mediocri conflitti della lotta politica, e il direttore che cerca gli argomenti scandalosi che piacciono ai lettori non possono ignorare che così si fa del giornalismo giallo, non del buon giornalismo.

Il direttore editoriale del "Giornale" Vittorio Feltri non perde occasione per ricordare che con il suo modo di fare informazione ha diminuito i debiti e aumentato la vendita, ma ha fatto un giornale dichiaratamente fazioso, dichiaratamente punitivo degli avversari politici del suo padrone, un giornale che incute paura. Neppure negli anni della guerra fredda, dello scontro frontale con il comunismo staliniano si era arrivati a una simile violenza. Di De Gasperi, il leader democristiano, si scriveva al massimo che era un austriacante, un deputato di Trento al Parlamento viennese, di Togliatti che era l'uomo di Stalin, ma si rispettava la sua vita privata, la sua separazione dalla moglie, la sua relazione con la Iotti.


Allora io facevo un giornalismo di inchiesta che suscitava scandalo presso i conservatori, ma scrivendo della famiglia del re del cemento Pesenti non andavo più in là dal rivelare che in casa chiudeva il frigorifero con un lucchetto e si faceva pagare l'usura come dagli amici cui imprestava l'automobile.
Ma si dice: Berlusconi è stato sottoposto dalla stampa di sinistra a una persecuzione inaudita, a migliaia di attacchi, a volte di calunnie. Sì, ma come risposta a una sua ostilità senza precedenti verso la democrazia italiana, verso la magistratura, ad una sovraesposizione dei suoi piaceri e dei suoi amorazzi.
Ma c'è sempre una ragione più profonda. Questa durezza polemica, questo colpire l'avversario senza esclusione di colpi derivano anche dal cambiamento della società e dal declino, se non dalla scomparsa, dei valori etici. Nel mondo industrializzato dopo la seconda guerra mondiale valori come l'onore, la fedeltà, il buon nome, la rispettabilità si sono affievoliti sino a scomparire, sostituiti da un unico dominante valore: il denaro-potere, la ricchezza che ti mette al di sopra delle leggi e dei giudizi. Chi fa bancarotta non si toglie più la vita per la vergogna, i colpevoli dei fallimenti dolosi non si nascondono ma continuano a godere dei privilegi della ricchezza. In questo deserto degli antichi valori, in questa società dell'homo homini lupus non ci sono più limiti al generale massacro.




Il furto generale. - di Giorgio Bocca




Furto generale, indifferenziato, continuo e crescente fra chi sta al potere e chi dal potere è escluso ma al potere aspira. Giustificato dai dotti e astuti al servizio del potere. Nel silenzio rassegnato delle minoranze che anche in un recente passato davano stile e dignità al Paese, i moralisti disprezzati dagli uomini del fare. La loro assenza, il loro silenzio sono da società afasica, inerte. È questo distacco totale fra le minoranze e le masse che toglie il respiro.

Le cronache della corruzione dilagante sono ripetitive e di basso livello. Si tratti dello scandalo della Protezione Civilecome delle violenze della democrazia autoritaria, l'indignazione è assente, la voce degli onesti soffocata sotto un mare di volgarità.

Se si pensa al rapporto tra minoranze e masse negli anni del fascismo, della guerra partigiana, del ritorno alla democrazia, e il presente pubblicitario e consumistico, la svolta appare grande e forse irreversibile. I maestri dell'Italia povera, progressisti o conservatori che fossero, comunisti o liberal-socialisti, pensavano la politica, il governo della città, come qualcosa d'inseparabile da un comportamento morale, persino casto. Da Norberto Bobbio il filosofo a Giancarlo Caselli il giudice, da Piero Gobetti a don Ciotti ritornava l'aspirazione a una politica pulita, casta, non da bacchettoni, ipocriti, ma nel senso della serietà, della disciplina.

Il giudice Giancarlo Caselli a chi gli domandava se era preoccupato per i rischi che correva negli anni di piombo rispondeva: "Credo che i rischi facciano parte della mia funzione di giudice". Ma oggi della castità di Gobetti e di Bobbio, del desiderio di rigenerare il mondo dei primi comunisti sembra non sia rimasta traccia.

Lo scandalo della Protezione Civile SPA, inteso come tentativo si sottrarre ai controlli la salute pubblica, l'ordine pubblico, si riduce alla curiosità da voyeur sugli amori dei politici con segretarie e massaggiatrici, e sui rapporti di do ut des di una società di libero e spesso sfrenato scambio senza capire che è proprio il nostro modo mercantile di concepire la società a incoraggiare e spesso a imporre la corruzione.


C'è in questa modernità un grande, logorante conflitto fra i due modi di concepire il modo di vivere associati. La filosofia degli uomini del fare, di cui è capintesta il presidente del consiglio, del fare tutto e subito per ottenere con il consenso dei cittadini nuovo potere e nuova ricchezza, e la filosofia della legge eguale per tutti e dei suoi continui controlli, di quanti hanno capito che l'attuale modernità è una macchina surriscaldata che corre troppo veloce, che necessita di freni ai suoi meccanismi impazziti, ai suoi desideri smodati.

Il sociologo Latouche ha detto che si sente la necessità di 'buttar sabbia' in questo processo vorticoso. Ma invece che discutere di questi problemi decisivi, invece che tradurre in politica queste scelte per la sopravvivenza, ecco che ci perdiamo negli scontri da voyeur, rumorosi e vani, sui pettegolezzi, sulle massaggiatrici cubane, sulle escort, sui gay, sui trans. Chi se ne duole passa per un moralista ipocrita, ma è solo uno che ha conservato un minimo di serietà, e se volete di decenza, se il mondo in cui viviamo è ancora un mondo pazzo e crudele in cui si continua a morire di fame o di guerre.

Non è un caso se il signore che ci governa è l'editore del più diffuso foglio della stampa rosa. E non per dabbenaggine e cattivo gusto, come si dice, ma perché da politico spregiudicato e abile ha capito che il consenso lo si ottiene anche alla maniera di Circe, trasformando gli uomini in porci.