Così la pentita Perla Genovesi, ex assistente parlamentare del senatore del Pdl Enrico Pianetta, ha raccontato ai pm di Palermo, che la interrogavano nell'ambito di un'inchiesta su un narcotraffico, di una presunta compravendita di candidature che sarebbe ruotata attorno a un'agenzia pubblicitaria del figlio di Dell'Utri.
«Mi sfugge il nome dell'agenzia - prosegue la donna - che è sicuramente conosciuta. È un'agenzia pubblicitaria dove praticamente facevano risultare questi soldi come una campagna elettorale per il politico. Sui soldi si poteva trattare, si poteva scendere anche a 100 dipendeva dalla candidatura, da quanto poteva essere buona».
La pentita spiega che i soldi venivano formalmente imputati alle spese sostenute dall'agenzia per la pubblicità.
Invece, parte sarebbe andata realmente alla campagna elettorale - ad esempio all'allestimento dei cartelloni -; il resto, la somma maggiore, sarebbe stata, invece, il corrispettivo versato in cambio della candidatura. «Il figlio di Dell'Utri lavorava in questa agenzia, però comunque c'erano molti ragazzi che lavoravano per dell'Utri - racconta - e allora dissi al senatore (Pianetta n.d.r.) che c'era questa possibilità che avrebbe dovuto pagare sui 100-150mila euro. Lui era un taccagno. Non lo vidi interessato. Aveva l'atteggiamento di chi non ha nessuna intenzione di spendere quei soldi, ma come se sapesse che lui non ne aveva bisogno, come se fosse abbastanza ammanicato per avere un'altra candidatura senza pagare».
Al pm che le chiede a chi andavano i soldi, Genovesi risponde: «I soldi andavano al partito. Alla fine veniva pagata la candidatura. Era un'agenzia che faceva capo comunque a Dell'Utri o a Forza Italia». «Sarebbe stato legittimo - dice la pentita - se uno decideva di investire questi soldi per una campagna elettorale, ma non per avere una candidatura. E invece non era solo per la campagna pubblicitaria; era per avere la candidatura principalmente». Perla Genovesi sottolinea infatti ai magistrati che con la legge elettorale del 2006 fondamentale per l'elezione è la posizione nella lista. Essere nei primi posti garantisce di fatto il seggio. «La campagna pubblicitaria era una conseguenza, - conclude - anche perchè se era una candidatura non c'era bisogno della campagna pubblicitaria, perchè la campagna serviva per avere i voti, ma se loro mi davano una candidatura in una buona posizione non servivano i voti perchè entravano comunque poi a far parte dei senatori. Insomma per come è la legge elettorale non e più tanto in base ai voti ma in base alla posizion
Al pm che le chiede a chi andavano i soldi, Genovesi risponde: «I soldi andavano al partito. Alla fine veniva pagata la candidatura. Era un'agenzia che faceva capo comunque a Dell'Utri o a Forza Italia». «Sarebbe stato legittimo - dice la pentita - se uno decideva di investire questi soldi per una campagna elettorale, ma non per avere una candidatura. E invece non era solo per la campagna pubblicitaria; era per avere la candidatura principalmente». Perla Genovesi sottolinea infatti ai magistrati che con la legge elettorale del 2006 fondamentale per l'elezione è la posizione nella lista. Essere nei primi posti garantisce di fatto il seggio. «La campagna pubblicitaria era una conseguenza, - conclude - anche perchè se era una candidatura non c'era bisogno della campagna pubblicitaria, perchè la campagna serviva per avere i voti, ma se loro mi davano una candidatura in una buona posizione non servivano i voti perchè entravano comunque poi a far parte dei senatori. Insomma per come è la legge elettorale non e più tanto in base ai voti ma in base alla posizion
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