L’indagine sulla strage di via D’Amelio, oltre al livello militare mafioso, ha imboccato con decisione la pista del contesto politico-istituzionale con gli interrogatori dei vertici dello Stato, investigativi e de servizi segreti dell’epoca. E ora la procura di Caltanissetta ha deciso di mettere in calendario l’audiziome, nelle vesti di testimone, del capo degli 007 italiani Gianni De Gennaro.
Non sarà il signor Franco, e neppure il suo diretto superiore, come insinua Massimo Ciancimino. Ma l’ex capo della polizia, ex collaboratore e amico di Giovanni Falcone, e oggi al vertice del Dis, il dipartimento informazioni per la sicurezza, è l’asso dell’antimafia che, secondo i pm nisseni, meglio di chiunque altro può raccontare tutte le strategie di contrasto adottate in Italia contro Cosa nostra dal pentimento di Masino Buscetta in poi, cercando di illuminare i numerosi punti oscuri. E per questo motivo i pm di Caltanissetta che indagano sulla strage di via D’Amelio sentiranno proprio lui, De Gennaro, l’amico dell’Fbi, il bureau americano che dopo le accuse di Ciancimino jr – per bocca del direttore Robert S. Mueller – non ha perso tempo a intessere pubblicamente i suoi elogi. ‘’Per quasi trent’anni De Gennaro è stato un amico fidato e un partner dell’ Fbi e delle forze dell’ordine Usa – ha detto Mueller – . E’ un leader che ha dato un contributo significativo alla lotta contro il crimine organizzato e il terrorismo’’.
L’obiettivo dei magistrati nisseni Sergio Lari, Nico Gozzo, Nicolo’ Marino e Amedeo Bertone, che hanno appena indagato per calunnia il figlio di don Vito, è quello di farsi raccontare per filo e per segno dal capo del Dis la storia della lotta al crimine organizzato nel nostro paese e le sue alterne vicende, fatte di luci e ombre, prima e dopo la caduta del muro di Berlino. E se i pm hanno chiaramente mostrato di non credere alle parole di Massimo Ciancimino che – tra fughe in avanti e retromarce – ha avvicinato De Gennaro al misterioso signor Franco, lo 007 che avrebbe monitorato, passo dopo passo, il negoziato tra Stato e mafia, i magistrati sono curiosi di sapere se il capo del Dis, in quel periodo a cavallo tra le stragi di Capaci e via D’Amelio, ha avuto rapporti con don Vito Ciancimino, con i carabinieri del Ros di Mario Mori, ma anche – e soprattutto – se e cosa sapeva della trattativa in corso in quei mesi.
Una domanda legata ad una circostanza, appresa solo recentemente: il pentito Gaspare Mutolo, infatti, ha raccontato due mesi fa ai pm di Caltanissetta di aver saputo – in quell’estate del ’92 – di manovre in corso per la dissociazione, ascoltando casualmente una conversazione tra due esponenti della Dia, e ne ha indicato i nomi. Uno dei due, oggi in pensione, sentito dagli inquirenti, ha confermato tutto: all’interno della struttura investigativa antimafia, in quel periodo di confusione istituzionale, nel pieno dell’allarme stragista, si discuteva già della dissociazione dei boss detenuti come di una possibile soluzione all’emergenza mafiosa. Anche De Gennaro sapeva? E’ quello che i pm gli chiederanno, nell’interrogatorio che dovrebbe essere calendarizzato prima dell’anno nuovo.
E non solo. A De Gennaro, che era il diretto superiore di Arnaldo La Barbera, il capo della squadra Mobile di Palermo che fece arrestare Vincenzo Scarantino, trasformatosi poi nel falso pentito che per diciotto anni ha consegnato alla giustizia e all’opinione pubblica una falsa verita’ su via D’Amelio, i pm chiederanno di ricostruire la storia della lotta a Cosa nostra fin dall’annus horribilis dell’antimafia: il 1989. In quella primavera di veleni, La Barbera che proprio in quei mesi era a libro paga del Sisde con il nome in codice di ‘’Rutilius’’, arrestò il 26 maggio in una villetta di San Nicola l’Arena, località balneare vicino Palermo, il pentito Totuccio Contorno, ex fedelissimo di Stefano Bontade (il capofila dei clan avversi ai corleonesi) ufficialmente superprotetto negli Usa, ma in realtà sbarcato in Sicilia e ospite dei cugini Grado. In quei mesi 17 mafiosi alleati diTotò Riina restarono sull’asfalto, crivellati di colpi. Il Corvo attribuì quella mattanza nel “triangolo della morte’’ (Bagheria, Altavilla, Casteldaccia), alla caccia spietata di Contorno, e la responsabilità di aver fatto rientrare il pentito in Sicilia ‘’con licenza di uccidere’’ proprio a De Gennaro, accusato di avere ideato con Falcone ‘’l’utilizzazione dinamica del collaboratore sul territorio’’. Accuse poi dissolte nel nulla; in quell’occasione il superpoliziotto si difese con grande fair play ed efficacia, e uscì incolume da quei veleni, ma la Commissione Antimafia dovette secretare centinaia di pagine di intercettazioni telefoniche che documentavano anche i contatti tra il De Gennaro e il pentito, presunto giustiziere, poi prosciolto da ogni accusa.
Contemporaneamente, nel giugno dell’89, una borsa con 58 candelotti di esplosivo veniva rinvenuta sulla scogliera dell’Addaura, a pochi metri dalla villa dove risiedeva Giovanni Falcone che, scampato alla morte per un soffio, attribuì quel fallito attentato a “menti raffinatissime’’. Anche stavolta, il capo del Dis ha reagito con la solita compostezza alle accuse di Ciancimino junior che lo vogliono ‘’vicino al signor Franco’’. E dopo aver incaricato i suoi legali di denunciare il teste per calunnia, si e’ limitato a dichiarare: “Le affermazioni del signor Ciancimino – ha detto – mi lasciano del tutto indifferente, tanto evidente e’ la loro falsita’. Non mi lascero’ intimidire da quest’ennesimo attacco mafioso, cosi’ come non mi hanno mai fermato e intimidito i ripetuti attentati alla mia vita’’.