Le conclusioni del gip Cristina Di Censo che ha deciso il processo per Silvio Berlusconi.
MILANO - Silvio Berlusconi aveva «l'evidente scopo» di nascondere il reato di aver avuto rapporti sessuali a pagamento con una minorenne e voleva «assicurarsene l'impunità» che «la giovane e poco controllabile Karima El Mahroug ben avrebbe potuto porre a rischio», quando fece pressioni sulla Questura di Milano affinché la 17enne marocchina fosse affidata con una «procedura macroscopicamente anomala» alla consigliera regionale Nicole Minetti. Nelle 27 pagine del decreto notificato ieri a Silvio Berlusconi e alle parti lese il giudice Cristina Di Censo spiega perché, rinviando a giudizio immediato il premier per la vicenda Ruby, ritiene che i pm Ilda Boccassini, Piero Forno e Antonio Sangermano abbiano nelle mani quella «prova evidente» (che nulla ha a che vedere con la colpevolezza) richiesta dal codice per saltare l'udienza preliminare e sostenere l'accusa nel processo che comincerà il 6 aprile in Tribunale di fronte ai giudici della quarta sezione penale.
Abuso di potere da parte del premier
Secondo l'accusa, la sera del 27 maggio 2010 Silvio Berlusconi, allertato da Milano sul cellulare personale dalla prostituta brasiliana Michelle Conceicao mentre era a Parigi ad un vertice internazionale, chiamò il capo di gabinetto della Questura di Milano Pietro Ostuni per fare pressioni affinché «Ruby» fosse affidata alla Minetti invece che a una comunità per minorenni. Con quelle pressioni, che servivano ad evitare che emergessero i suoi rapporti con la giovane, per la Procura Berlusconi avrebbe commesso il reato di concussione. La difesa del premier ha sostenuto che non ci fu alcun reato e, se mai ci fosse stato, esso dovrebbe essere giudicato dal Tribunale di ministri e non da quello ordinario. Una tesi seguita anche dalla Camera dei deputati respingendo la richiesta di perquisizione dell'ufficio di Giuseppe Spinelli, l'amministratore del «portafoglio» personale di Silvio Berlusconi dal quale sarebbero partiti i pagamenti per le ragazze del bunga bunga. Il gip risponde a queste obiezioni scrivendo che, dopo aver esaminato le fonti di prova, si è convinta che la tesi della Procura non è campata in aria e che ci sono parecchi elementi che i giudici del Tribunale dovranno valutare. «È evidente che l'ipotizzato, indebito, intervento» su Ostuni e, a cascata, sugli altri due funzionari che quella sera furono investiti del problema, fu fatto da Berlusconi «sicuramente con abuso della qualità di presidente del Consiglio». Ma questo avvenne «al di fuori di qualsivoglia prerogativa istituzionale e funzionale propria» del premier. Come dire, si mosse con il peso emotivo che la sua carica poteva esercitare sui funzionari, ma non con quello proprio del premier perché come tale non ha «nessuna competenza» sulla «identificazione e affidamento dei minori» né ha «poteri di intervento gerarchico sulla Polizia che dipende solo dal ministro degli Interni.
Nipote di Mubarak «non è logico»
In una memoria allegata agli atti, i difensori di Silvio Berlusconi, gli avvocati-parlamentari Niccolò Ghedini e Piero Longo, sostengono che quella fatidica sera il premier intervenne per «salvaguardare le relazioni internazionali con l'Egitto», dato che riteneva «erroneamente» che Karima El Marough fosse la nipote del presidente egiziano. È una tesi «apertamente contraddetta dalla logica degli accadimenti», sostiene il giudice: in primo luogo, Silvio Berlusconi quando parlò con Ostuni «fece riferimento in termini generici e dubitativi all'illustre consanguineità della minorenne»; in secondo luogo, non risulta che la presidenza del Consiglio, «per tutelare le relazioni diplomatiche con l'Egitto», abbia in qualche modo contattato «le autorità di quello stato per la verifica della nazionalità e dell'identità» di Ruby. Quando poi fu chiaro che si trattava di una marocchina di 17 anni, sbandata, fuggita da una casa di accoglienza in Sicilia, la ragazza «non fu affidata a una qualsivoglia delegazione diplomatica, ma consegnata alle cure del consigliere regionale Nicole Minetti». La Minetti, 25 anni, eletta alle ultime regionali nel listino bloccato Pdl di Roberto Formigoni su indicazione di Berlusconi, di cui è stata igienista dentale, è imputata con il direttore del Tg4 Emilio Fede e l'impresario dello spettacolo Lele Mora per favoreggiamento della prostituzione, anche minorile, nell'inchiesta dalla quale è stata stralciata la posizione del premier e che sarà chiusa con il deposito degli atti la prossima settimana.
Assicurarsi l'impunità Ruby è poco controllabile
Il gip scrive che «l'esito della vicenda» in Questura, «storicamente certo», conferma «la ricostruzione dell'accusa» e, cioè, che Berlusconi intervenne per un «interesse» diretto che «riguardava la ragazza e non le parentele extracomunitarie» della giovane. Ma quale sarebbe stato questo interesse? Evitare che ciò che Ruby sapeva sulle feste ad Arcore finisse nelle mani della polizia. Il processo dovrà stabilire se, come sostiene la Procura, «la sottrazione della minore alla sfera di controllo della polizia» aveva per Berlusconi lo scopo di «occultare» il reato di prostituzione minorile e «assicurarsene l'impunità», che «la giovane e poco controllabile Karima El Mahroug ben avrebbe potuto porre a rischio». I due reati, per il giudice, non sono separabili in distinti processi e vanno giudicati insieme dal Tribunale di Milano. Pertanto non c'è alcuna «violazione di legge nella scelta del Pm di mantenere unificate le due contestazioni».
Le prove in 14 pagine Spuntano le auto delle ragazze
La documentazione raccolta nelle indagini, divisa per aree tematiche, riempie 14 delle 27 pagine del decreto di giudizio immediato. Sono «plurime e variegate le fonti di prova», tutte «riferite e pertinenti ai fatti di imputazione». Si va dai momenti della notte in Questura, passando per le relazioni di servizio firmate dai poliziotti che, due mesi dopo i fatti, innescarono in parte l'inchiesta per passare ai cinque interrogatori di Ruby dinanzi ai pm tra il 2 luglio e il 3 agosto fino agli interrogatori delle ragazze che partecipavano alle feste, tra le quali la brasiliana Iris Berardi, presente di notte anche quando era minorenne. Ci sono poi le intercettazioni (mai di parlamentari) e la documentazione bancaria raccolta recentissimamente. Tra cui alcune verifiche su assegni e bonifici dal conto corrente 2472 intestato a Spinelli nella Banca popolare di Sondrio, soldi usati per acquistare autovetture. Accertamenti preceduti da verifiche sulla proprietà di auto intestate ad alcune delle ragazze. Seguono i movimenti di denaro tra Berlusconi, Spinelli, Mora e Fede oltre all'esame, attraverso i tabulati telefonici, dei presenti alle feste di Arcore anche a novembre e dicembre 2010. «Fonti prova di natura dichiarativa documentale, intercettativa e investigativa pura» che, a parere del giudice Cristina Di Censo, «convergono nel senso della ricostruzione delittuosa prospettata dall'accusa». Elementi che, «allo stato degli atti», non paiono essere «efficacemente contrastati dai contenuti delle investigazioni» fatte dalla difesa del premier che, anzi, «in più punti stridono in termini netti con le acquisizioni dell'indagine pubblica». Una ragione in più perché tutto sia valutato in un processo.
Parti lese Il ministro Maroni
Si tratta di Ruby, presunta vittima del reato di prostituzione minorile, dei tre funzionari della Questura di Milano vittime della presunta concussione: Giorgia Iafrate, che si occupò dell'affidamento della marocchina alla Minetti, del capo di gabinetto Ostuni e del funzionario Ivo Morelli, dirigente dell'Ufficio Prevenzione Generale. Se i dipendenti del ministero dell'Interno furono vittime del premier, è logico che anche lo stesso ministero, attraverso il suo rappresentante «pro tempore», il leghista Roberto Maroni, compaia tra le parti lese.
La copia del verbale: http://media2.corriere.it/corriere/pdf/verbale2.pdf
Nella foto il Gip Cristina Di Censo.
http://www.corriere.it/cronache/11_febbraio_17/guastella-ruby-telefonate-bonifici_e7016e98-3a62-11e0-a00e-b467f0f3f2af.shtml