giovedì 17 marzo 2011

150 anni, Berlusconi contestato: “Dimettiti”. Bossi: “Peggio per lui”.



Le tappe per le celebrazioni del 150mo anniversario dell’Unità d’Italia, si sono trasformate per Berlusconi in una via crucis.
Contestato Berlusconi prima al Gianicolo e poi a Santa Maria degli Angeli. Fischi e cori di disapprovazione hanno infatti accolto questa mattina all’uscita il premier, dopo la visita al Museo della Repubblica Romana, al Gianicolo, nel quadro delle celebrazioni per il 150esimo dell’Unità d’Italia. Praticamente senza distinzioni, a quanto hanno potuto constatare i cronisti presenti, la folla che si era raccolta nello slargo antistante il piccolo museo di Monteverde ha contestato il presidente del Consiglio, con slogan ritmati “dimissioni, dimissioni“, proseguiti anche quando il corteo di auto blu si è allontanato, al termine dell’impegno. Pochi minuti prima la gente assiepata aveva salutato il presidente della Repubblica,Giorgio Napolitano, con uno scroscio di applausi, replica di quello ricevuto dopo l’omaggio al milite ignoto sull’Altare della Patria.

Stessa accoglienza, fischi e urla, quando il premier è giunto poi alla Basilica di Santa Maria degli Angeli. Il presidente del Consiglio è stato fischiato in piazza della Repubblica, appena sceso dall’auto per entrare nella chiesa dove ad attenderlo c’era il Capo dello Stato per assistere insieme ad altre autorità alla celebrazione religiosa presieduta dal cardinal Angelo Bagnasco.“Dimettiti, dimettiti” è stato lo slogan gridato da un gruppo di cittadini. Altri fischi e un ‘vergogna, vergogna’ sono stati urlati anche quando Berlusconi è entrato nella Basilica. Al termine della cerimonia religiosa, il Cavaliere è stato l’unico tra le autorità di Stato ad uscire dal retro della basilica. Diversi fischi sono stati indirizzati nei confronti del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, appena uscita sulla piazza.

Dalla sua Berlusconi non ha avuto neanche il sostegno del Senatur. Umberto Bossi è stato lapidario con i cronisti che lo hanno incontrato alla Camera: “Le contestazioni a Berlusconi? Peggio per lui“. Poi il leader del Carroccio ha tentato di smorzare le polemiche sull’assenza della Lega per queste celebrazioni: “Invece per la Lega ci sono io”. Scarna, a parte Bossi, la rappresentanza della Lega a Montecitori in occasione del discorso di Napolitano. Gli unici presenti erano i ministri Roberto Maroni, Roberto Calderoli, il sottosegretario Sonia Viale e il deputato Sebastiano Fogliato.

Non sono mancate comunque in questa giornata di cerimonie le esternazioni del premier. “Vado avanti, non lascio il paese in mano ai comunisti“, è stata la frase pronunciata da Silvio Berlusconi ad un gruppo di cittadini presenti alle celebrazioni dell’Unità d’Italia a Piazza Venezia.

Intanto a poche centinaia di metri da piazza Venezia, a Montecitorio, proiezioni di luci tricolore e simboli che ricordano la bandiera si vedono un po’ dappertutto nel palazzo che ospita il Parlamento e che è stato lo scenario per la visita a seduta congiunta delle Camere a Montecitorio, quando Napolitano ha pronuncia il suo discorso solenne di fronte a ministri e deputati. Il presidente della Camera Gianfranco Fini si è complimentato con gli organizzatori “è tutto molto bello” ma non entra nella polemica sui leghisti “abbiate pazienza, parlerò dopo” esclama ai cronisti. Intanto fuori dal palazzo, nella Galleria Colonna di Largo Chigi, un gruppo di ragazzi ha organizzato un flash mob: “C’è una festa alla quale non siamo stati invitati” è lo slogan di uno striscione srotolato da un gruppo di giovani precari.

C’è poi un’altra Italia che lavora costantemente per fronteggiare l’emergenza e che non dimentica, però, di lanciare un tributo al Paese. Sono gli ufficiali della guardia costiera italiana impegnati sulle coste di Lampedusa con l’aumento degli sbarchi di queste settimane. Oggi a mezzogiorno le motovedette suoneranno le proprie sirene per onorare la ricorrenza dei 150 anni. Ma a Lampedusa non mancano le polemiche. Innescate dal sindaco dell’isola, Bernardino De Rubeis, ”l’Italia, che oggi dovrebbe essere unita, non ci è vicina, per questo tengo la bandiera amezz’asta, in segno di protesta”, dichiara il primo cittadino, che aggiunge “c’è sofferenza degli operatori turistici dell’isola a causa della presenza di oltre tremila immigrati, che dovrebbero essere trasferiti altrove”.

Anche le “Snorq” ci tengono a lasciare un segno della loro presenza in questo 150mo anniversario. Un gruppo di una ventina di donne del comitato “Se non ora quando?” si sono riunite sotto il monumento di Anita Garibaldi e hanno affisso un lungo striscione con la scritta: “Le donne sono il nuovo Risorgimento”. Poi il gruppo di attiviste ha dato il via ad un flash mob. “Abbiamo messo in scena questo flash-mob – racconta Claudia Bella – perché vogliamo farci sentire ancora. Non vogliamo disperdere l’esperienza del 13 febbraio, ma radicarla sul territorio romano per affrontare i tanti problemi di questa città. Nel centocinquantenario dell’Unità d’Italia – continua – siamo sempre di più il motore per il futuro del Paese e di Roma”.

L’Unità d’Italia è stata celebrata anche da molti dei nostri connazionali all’estero. I frati cappuccini in missione nel centro-Africa hanno voluto inviare alle redazioni dei giornali italiani un loro messaggio: ”Cappuccini d’Italia. Fratellidel mondo. Auguri, Italia, Grande Paese”. Una didascalia su una grande foto che ritrae sullo sfondo una capanna in paglia, a Bouar, nella Repubblica Centrafricana e cinque frati cappuccini che, sorridenti, innalzano la bandiera dell’Italia per festeggiare la giornata dell’Unità. Anche in Cina è stato ricordato il 150mo anniversario dell’unità d’Italia con una serie di iniziative organizzate dall’ambasciata Italiana a Pechino. Convegni, proiezioni di film a tema, concerti sono stati allestiti a Shanghai e nella vicina Suzhou, dove sarà la cucina italiana a farla da padrone.

Emanuele Filiberto di Savoia, nipote dell’ultimo re d’Italia, ringrazia “tanto” il capo dello Stato quanto il presidente del Consiglio per aver reso omaggio stamani al Pantheon, al “padre della patria”. L’unità d’Italia, dice Emanuele Filiberto “oggi si sente tutta”. “Sei mesi fa tutti dicevano che i festeggiamenti sarebbero stati sottotono e invece non è affatto così – ha aggiunto – l’Italia oggi la sento mia e la sentono così anche tutti gli italiani”. Ai figli, questa giornata, dice di averla raccontata così: “L’anniversario della creazione dell’Italia unita, liberale, patria”. “E’ una bella cosa rivedere la storia – ha concluso – e questo ci darà il valore stabile per andare avanti”.

Bagnasco: “I colpi bassi non aiutano il Paese” - Assistiamo in questi mesi a ad “un gioco tra poteri, fortemente personalizzati, fatto di colpi bassi che demoliscono la fiducia nella democrazia e fanno il gioco del nichilismo, anche quando a parole si afferma il contrario”. Lo denuncia il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, che esorta a svelenire il clima pur restando convinto che “chiunque accetta di assumere un mandato politico deve essere consapevole della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che esso comporta”. ”Alimentare lo scontro – spiega però in un’intervista a Il Corriere – può essere una strategia per interessi che non sono quelli del Paese”. Secondo il porporato, nell’Italia di oggi “la politica è diventata strumentale, sembra priva di grandi idee dopo la stagione per niente invidiabile delle ideologie, autoreferenziale e in difficoltà ad ascoltare il Paese, ad intercettare i bisogni e le speranze delle persone”. Ed è “sempre meno il luogo della mediazione dei conflitti e degli interessi in funzione del bene comune”. Occorrerebbe invece affrontare i problemi veri: “il cambiamento demografico, la crisi economica, la fatica a uscire dai particolarismi e a promuovere le mediazioni necessarie per perseguire il bene comune”. E soprattutto quello dei giovani, che rappresentano il futuro del Paese: “nessuna società – infatti – può prosperare senza investire nell’educazione dei suoi giovani”. Bagnasco conferma l’apertura della Cei sul federalismo, che se “maturo non può voler dire localismo” e consente invece di “realizzare il principio di sussidiarietà, intersecando quello di solidarietà”. In tema di giustizia, il cardinale registra posizioni “più possibiliste rispetto al ‘niet’ assoluto” a ogni ipotesi di riforma e considera questo “un segnale di onesta’”. Esorta però a un’”estrema cautela” nel modificare la Costituzione, pur convenendo con il governo sull’esistenza di “situazioni di carattere strutturale che hanno bisogno di essere riviste”.

La Russa: “Inaccettabile la posizione della Lega” – Questa mattina il titolare della Difesa ha commentato la posizione della Lega sulle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia: ”A volte c’è un po’ di folklore in alcune esternazioni degli esponenti del Carroccio”, ma “non sono accettabili atti di scorrettezza e di ostilità”. La Russa, ha invocato “un passo in avanti” del Carroccio: “Dobbiamo avere la pazienza di aspettare che termini un percorso: dalla richiesta di secessione a un federalismo solidale”. “Campate in aria”, secondo La Russa, alcune dichiarazioni di esponenti leghisti, come quelle di Borghezio e Speroni: per il coordinatore del Pdl “sarebbe un errore” se la Lega inseguisse “posizioni estremiste solo per non perdere i voti di una parte minoritaria del partito”. Il ministro definisce poi “strumentali” le polemiche della sinistra e si chiede “dov’erano Bersani e D’Alema” quando sono state ricordate le foibe. “I suoi esponenti – aggiunge La Russa – per mettere in difficoltà Berlusconi hanno detto ‘noi siamo quelli dell’inno nazionalè anche se dovrebbero impararne le parole”. “La scelta da parte della Lega del Nabucco – conclude – è la prova che il Carroccio è una tessera del mosaico più bello del mondo, l’Italia”. Ieri sera in piazza Venezia il ministro della Difesa è stato fischiato. Dopo aver preso il microfono in diretta televisiva con Raiuno in occasione dell’esibizione della banda militare Interforze, dalla folla si sono anche levate grida quali “vergognati” e “dimettiti”. La Russa, parlando dall’Altare della Patria, ha espresso il suo “orgoglio di essere italiano”. Poi, ha ringraziato i militari che si trovano “nei posti lontani, come l’Afghanistan, che ogni giorno fanno qualcosa per il nostro paese”.

La ‘Notte tricolore’ - ”Stiamo rivivendo l’orgoglio di essere stati la prima capitale italiana”. Dal palco dello spettacolo musicale in piazza Vittorio Veneto, a Torino, il sindaco Sergio Chiamparino, ha ringraziato “le torinesi e i torinesi, le tante persone venute dal Piemonte e da tutta l’Italia per festeggiare il 150/o anniversario della nostra nazione”. La ‘Notte tricolore’ inizia un lungo programma di celebrazioni che nel capoluogo piemontese si protrarrà fino al prossimo autunno. “In questi sei mesi – è stato l’invito di Chiamparino – aiutiamo l’Italia di oggi a trovare l’orgoglio di essere l’Italia del futuro”. Anche nella Capitale, la ‘Notte tricolore’ ha raccolto un’affluenza ”eccezionale”. “Agli eventi hanno partecipato circa 100 mila persone”. A fare le prime stime di partecipanti è stato l’assessore capitolino alla Cultura Dino Gasperini che ha snocciolato i dati per le varie location. Sono stati 20 mila i visitatori ai musei, 18 mila i presenti a piazza Venezia, 5 mila al Quirinale, 9 mila alla stazione Termini, 5 mila in Campidoglio, 20 mila ai Fori Imperiali, rispettivamente 8 mila a Castel Sant’Angelo e in via del Corso con la Galleria Alberto Sordi. “Un successo straordinario – ha detto Gasperini – nonostante le difficoltà causate dal tempo e lo spostamento al coperto di alcuni eventi”.

Il tributo di Barack Obama - ”Io Barack Obama, presidente degli Stati Uniti, in virtù del potere che la Costituzione e la legge americana mi affida, proclamo il 17 marzo la giornata di celebrazione del 150/mo anniversario dell’Unità d’Italia”. Il presidente degli Stati Uniti ha scelto la formula più solenne per rendere omaggio al nostro Paese nel giorno in cui tutti gli italiani festeggiano una tappa importante della nostra Patria. Il giorno, in cui, scrive Obama, anche gli Stati Uniti festeggeranno l’Italia e “la sua unificazione in un singolo stato”. All’interno del lungo comunicato diffuso dalla Casa Bianca, Obama cita Garibaldi e illustra le profonde ragioni storiche che spiegano questa giornata di celebrazioni, rendendo onore al “coraggio al sacrificio e alla visione di quei patrioti che fecero nascere la nazione italiana”. E si lascia andare a un parallelo storico di grande valore tra la guerra civile americana e l’impresa dei Mille. “Mentre gli Stati Uniti stavano combattendo per preservare la propria unione, la campagna di Giuseppe Garibaldi per unire l’Italia ispirò molti in tutto il mondo alle prese con le proprie lotte”. Ma dagli Stati Unit non è mancata qualche critica. Con un’analisi durissima del NewYork Times nei confronti dell’unità d’Italia: “Nonostante oggi si celebri il 150mo anniversario dell’unità della Nazione, l’Italia resta un Paese più diviso che mai, politicamente, geograficamente ed economicamente”. Il giudizio durissimo del quotidiano americano.

Il 150mo anniversario dell’Unità d’Italia è stato salutato ieri sera con una grande festa tricolore a Roma. A Piazza Venezia a presentare la serata in diretta tv Manuela Arcuri davanti all’Altare della Patria. Non sono mancati però fischi e cori contro il ministro della Difesa Ignazio La Russa e anche il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, è stato contestato.


Italia 150: Berlusconi esce dal retro per evitare i fischi. E’ l’immagine di un premier in fuga.




Silvio Berlusconi
ha lasciato la basilica di Santa Maria degli Angeli passando dalla sacrestia anziché dal portone principale (unico caso tra le alte cariche dello Stato presenti) per paura di nuove contestazioni. La scena che si è consumata al termine della cerimonia religiosa officiata dal cardinale Angelo Bagnasco in omaggio al 150° anniversario dell’Unità, consegna all’Italia l’immagine di un premier in fuga. Non solo per le bordate di fischi ricevute questa mattina al Gianicolo e, poche ore dopo, al suo ingresso nella basilica che si affaccia su piazza Repubblica.

Sono molti i segnali che nelle ultime ore hanno fatto capire al Cavaliere di non rappresentare più la maggioranza del Paese. Segnali politici, come l’estrema difficoltà di organizzare il rimpasto di Governo accontentando tutte le componenti che chiedono poltrone in cambio di un sostegno decisivo alla maggioranza. Segnali istituzionali, direttamente collegati alla questione rimpasto, conNapolitano che ieri ha di fatto bloccato la nomina a ministro del “Responsabile” Saverio Romano, stoppando così i piani del premier e del Pdl. Elementi che esortano il capo del governo a evitare esposizioni mediatiche in un momento politico così delicato. Prima conseguenza: marcia indietro sui processi. A una settimana da dichiarazioni inequivocabili sulla sua partecipazione ai procedimenti giudiziari (“sarò sempre presente, mi prenderò questa soddisfazione. E spiegherò agli italiani come stanno veramente le cose”), oggi gli avvocati Ghedini e Longo hanno chiesto di rinviare la prima udienza del processo Ruby, prevista per il 6 aprile: “Troppi atti da valutare, ci serve più tempo”.

Al di là delle strategie di immagine e di difesa, sono però i sondaggi, come sempre, il vero spauracchio che fa cambiare platealmente idea al premier: a partire dal nucleare. Con l’emergenza giapponese, si è improvvisamente impennato l’interesse degli italiani per il referendum del 12 giugno, che mette in gioco la linea del governo su questo tema. Le ultime rilevazioni dicono che il quorum verrebbe raggiunto, probabilmente con buone probabilità di bocciatura per il nuovo piano pro atomo dell’esecutivo. Il grattacapo per il premier, però, è doppio. Perché insieme al nucleare, gli italiani si dovranno esprimere sul legittimo impedimento, uno dei capisaldi della sua epopea “ad personam”. Un provvedimento la cui efficacia è già in parte disinnescata dal pronunciamento di gennaio della Corte costituzionale. Ma la bocciatura popolare suonerebbe come una sfiducia popolare a Berlusconi in persona. E allora sarebbe più difficile tenere insieme la maggioranza numerica risicata alla Camera. Così la parola d’ordine è far fallire i referendum.

Per abbassare l’interesse sul quesito nucleare, l’unica strada è accodarsi alla volontà popolare. Dopo giorni in cui, nonostante l’emergenza Fukushima, il governo italiano ha strenuamente difeso l’ipotesi di nuove centrali nucleari nel nostro Paese, proprio oggi da palazzo Grazioli è partito l’ordine di retromarcia su tutta la linea: “Cerchiamo di non alimentare polemiche – ha detto Berlusconi ai suoi – anche perché l’argomento potrebbe essere usato in modo strumentale in campagna elettorale alle amministrative”. L’idea è di scaricare la responsabilità sull’Unione europea: Berlusconi ha sottolineato la necessità di allinearsi a quanto verrà deciso in sede europea. “Decide l’Europa”, ha ribadito più volte. Subito il ministro Romani, uno dei “falchi” pro nucleare nel governo, ha parlato di “estrema prudenza necessaria” e di “necessità di una riflessione”.

Sondaggi sul nucleare, ma non solo: secondo l’ultima rilevazione citata dal premier nell’ufficio di presidenza del Pdl, il centrodestra è dato al 43%, il centrosinistra al 41%. E l’Udc al 6,3%. Ago della bilancia. Da qui la necessità di riconquistare Pierferdinando Casini: “Non sarà facile, forse per riuscirci dovremmo offrirgli la presidenza del Consiglio”, ha scherzato il Cavaliere. Poi bisognerà vedere se Bossi è della stessa idea. Insomma, anche in questo caso Berlusconi è pronto a tornare sui suoi passi. Per tutte queste ragioni, i fischi di oggi, per lui, più che una sorpresa, sono suonati come una conferma. Meglio passare dal retro e restare nell’ombra.



Berlusconi contestato alle celebrazioni per l'Unità d'Italia (17/03/2011)



La vera storia dell'unità d'Italia in 2' a cartoni animati



L'Italia è una repubblica di sana e robusta prostituzione.


Leggo sul blog di Beppe Grillo:

"Caro Beppe,
stasera nella mia città, come in tante altre, inizieranno i festeggiamenti per i 150 anni. Ma di cosa? Mi sono rifiutata di appendere la bandiera al balcone perché non credo che l'Italia esista davvero. Formalmente sì ma come popolo no. Siamo un branco di individualisti che si riconoscono come popolo giusto quando gioca la nazionale. Non ci indigniamo più per quello che la nostra classe dirigente fa e dice; l'importante è avere il carrello della spesa pieno e una bella televisione con abbonamento a Sky. Sono amareggiata perché dopo la laurea ho lavorato diversi anni come libera professionista coniugando lavoro e famiglia avendo messo al mondo un discreto numero di figli. Dopo una separazione molto controversa ho ripreso a lavorare fatturando ogni euro che incassavo ( e anche quelli che alcuni clienti non mi hanno mai pagato ). Non ho mai smesso di seguire i miei figli da vicino lottando con una scuola pubblica che fa acqua con insegnanti che non sanno parlare l'italiano e che mi costringevano ad un lavoro extra serale di assistenza nello studio per essere sicura che imparassero ad esprimersi nella lingua nazionale. Con tutto ciò ho sempre pagato le stesse tasse che paga un collega che non ha prole e magari vive con i genitori...... Morale della favola da alcuni mesi ho cambiato lavoro: ricevo uomini su appuntamento. Mi prostituisco insomma. Non potevo fare diversamente. Stavo per dare il giro ed ero stufa di arrivare a certi week end con i figli in casa, il frigo vuoto e venti euro nel portafoglio. Le ho provate tutte ma alla fine mi sono buttata in un lavoro che sicuramente permette guadagni notevoli e tempo libero da dedicare ai figli. E di pagare i debiti che inevitabilmente si sono accumulati nel corso degli anni. Non è facile ma almeno provo l'orgoglio di poter garantire il minimo indispensabile ai miei figli. Però il tricolore lo lascio appendere agli altri". Maria

***

La mia risposta, non pubblicata sul blog di Grillo, non so per quale motivo.

***

Quando leggo certe cose, prima di dare un giudizio, cerco di riflettere.

Il momento che stiamo attraversando è problematico sotto tanti punti di vista, non c'è dubbio, ma la sua, signora, mi sembra una resa più che una scelta.

Lei ha deciso di arrendersi, tutto qui.

Evidentemente, quello che guadagnava da libera professionista non le bastava, non le bastavano neanche i soldi che eventualmente le passava suo marito, perchè se le sono stati affidati i bambini, lei non specifica quanti, qualcosa deve pur riceverla.

Lei non specifica troppe cose, e ciò mi lascia scettica.

Le posso garantire che un lavoro lo avrebbe potuto trovare, se solo avesse avuto la pazienza e la volontà di farlo, magari facendo qualche sacrificio iniziale, le potrei portare esempi in tal senso.

Con quanto le sto dicendo non ho intenzione di condannarla, me ne guarderei bene, ognuno è padrone di fare ciò che vuole della propria vita, ma le chiedo solo di riflettere su ciò che il suo lavoro potrebbe provocare sull'educazione ed il futuro dei suoi figli.

Con questo la saluto, non mi piace chi si arrende.
Non la comprendo e non condivido la sua scelta.


mercoledì 16 marzo 2011

mattafix living darfur



NOSTALGIA DEL COLONIALISMO DEMO-CRISPINO. - di Giuseppe Melo




Una sola testimonianza d’ira della natura giapponese ha fatto più vittime di quanto registrato malgrado i clamori in Libia, a dimostrazione che non c’è paragone, malgrado la vanità umana, con la forza della natura. Dal Natale scorso, quando è cominciata la rivolta araba, in tutti i paesi coinvolti non ci sono stati tanti morti quanti in un solo giorno di tsunami in Giappone.
Decine di morti in Tunisia, 365 in Egitto, 400 in Libia, contro i 1135 a Minamisanriku e Miyagi, presso l’isola di Honshu. Il gusto però per l’horror catastrofico, implementato da lustri di film dell’orrore Scream ha indicato subito diecimila morti nipponici, per non parlare dei rischi di contaminazione nucleare su cui si sono lanciati come avvoltoi i profeti televisivi e politici naturistici.
Si fronteggiano così in serrate schiere gli epigoni del disastro nucleare da un lato e quelli della tragedia dell’esodo milionario immigratorio dall’altro. Tanto basterebbe per derubricare l’attendibilità dell’informazione odierna, indistinguibile dallo show. Giorno dopo giorno, titolo dopo titolo, i diecimila, i centomila, i milioni di manifestanti, ammazzati, bombardati, approdati, dispersi, contaminati appaiono declamati, agitati per poi sciogliersi nel nulla, senza neanche una parola di scusa per l’inverosimile distanza tra l’annunciato ed il reale.
Tre centrali nucleari sono in pericolo, una è esplosa e mentre si trattiene il respiro, i contaminati sono sei di numero. Dissipati i fumi colorati dello show, appare disperante l’incapacità analitica dei giorni nostri. Intervistati sulle rivolte arabe, i capoccioni di Limes se ne escono con l’improcrastinabile voglia di democrazia dei giovani arabi.
Passate poche settimane, in Tunisia un militare ne sostituisce un altro, in Egitto l’esercito sospende quel poco di costituzionale che c’era, mentre i rivoltosi schiacciano le assemblee femminili; e sulla Libia si prospetta il più grosso flop diplomatico-informativo mai visto. Si conosce molto dell’Iran e del Pakistan, dell’Afghanistan, del Libano e di Gaza, aree monitorate a fondo dai servizi inglesi, americani ed israeliani che non si risparmiano nel divulgare le notizie dell’ultimo arresto o a fare la parafrasi interpretativa dell’ultimo discorso del capo dei pasaradan.
Invece sull’Africa araba, sul profondo Medio Oriente, territori così vicini, è buio profondo, non si conosce nulla. Le rivolte lasciano tutti di stucco e dopo mesi e mesi non hanno non un partito o un leader, ma neanche un volto o una voce. Per trovarne uno in Libia bisogna aspettare Abdul Fattah Younis, ex ministro degli interni e capo delle forze speciali di Gheddafi, passato con i ribelli solo a febbraio.
La russa Vimpelcom impegnata a comprare l’azienda algerino-egiziana Orascom, per concludere l’affare riempiendo di soldi il capitalista Sawiris, forza i partner norvegesi senza che gli eventi egiziani la facciano esitare. Il tunisino Tarak Ben Ammar, nipote di Habib Bourghiba, ieri link tra l’Olp di Arafat e Craxi, oggi con i fondi libici, gran partner cinematografico di Berlusconi, Gheddafi e Murdoch, da una vita membro del Cda di Mediobanca e da questa confermato nel prossimo rinnovo CdA di Telecom Italia, si esalta per le trasmissioni filo rivolta della sua nuova tv satellitare Nessma tv, ma non manca di elogiare gli sconfitti: “Ben Alì ha consolidato l’eredità di Bourghiba: l’emancipazione femminile, la laicizzazione della società, l’alfabetizzazione e la modernizzazione del paese, la creazione di una classe media.
Avrebbe dovuto sapere che gran parte dei giovani laureati non avrebbe trovato lavoro. Come dire, ha fatto troppo bene. Tarak fa il Celli della situazione: spara, esaltandola, su una classe dirigente di cui fa parte. Tres arabe, tres italienne….Ogni dieci anni c’è una rivolta in Tunisia e terreni limitrofi: una Bourghiba, amico dell’Asse, la schiacciò, la seconda lo travolse portando Ben Alì al potere nell’unica operazione riuscita ai servizi italiani.
Ai commentatori le idee vengono una dietro l’altra: è un ’89? è un ’68? O un 1848? Sui già apprezzati autocrati filoccidentali si scatenano condanne meschine; si fanno le pulci ad una corruzione che è planetaria, a partire dall’Onu. Con gran tempismo, però i Ben ali ed i Muraback, perso il potere, lasciano e la scena, morendo in pochi giorni; e la stabilità prossima ventura ringrazia.
Nel mondo arabo ci sono giovani disoccupati quanto da noi-il 24%: i giovani nordafricani under 25 sono però un 65% di 90 milioni e senza welfare. La loro crisi è fame; la più ampia comunicazione e emigrazione testimoniano loro l’abisso che li divide dal mondo ricco. Se come dice Tarak hanno studiato, capiscono anche è un destino segnato.
Nella storia del magma arabo -musulmano, riscatto e guida ad una trasformazione profonda possono venire dai paesi dotati di burocrazia statale solida come la Turchia, l’Iran ed un tempo l’Egitto, che non sembrano capaci, col petrolio o meno, di fare il salto di qualità puramente economico di cui i giovani hanno bisogno.
Anzi, le questioni nazionaliste e religiose non fanno altro che allontanarle dallo sviluppo senza democrazia dei Bric. I democratici che sentono sempre insufficiente lo stato di democrazia; hanno appioppato le loro fisime alle rivolte; tifando in particolare per quella libica che pure avevano sostenuto ai tempi del libretto verde e della politica filo terroristica del rais.
In controtendenza, i 6 milioni di libici, grazie al petrolio hanno dei redditi tali da potersi permettere immigrati. Quel che sta avvenendo in Libia, c’entra poco con le altre rivolte essendo un mero colpo di stato, probabilmente mosso da economia e finanza. Non il Bin Laden sventolato a Tripoli, ma gli Usa, storicamente avversi al regime libico sono i più interessati al cambio di regime.
Se Bush fu decisi con Saddam, Obama non può esserlo altrettanto con Gheddafi. Ora la comunità internazionale, a parte la Russia, dovrà gestire l’imbarazzo delle condanne morali e dei tribunali già pronti con un dittatore tornato in sella. Quella italiana dovrà risolvere la schizofrenia della destra filoUsa che parteggia per il dittatore e la sinistra che in puro odio al successo diplomatico del governo, si è fatta ostile al leader africano.
Il Berlusconi che lucido ed unico aveva sostenuto i russi nel conflitto georgiano, non si è ripetuto, troppo indebolito dalle campagne di stampa e dai processi incombenti, per Sirte e Cirenaica. Ed ora direbbe Gheddafi chiamami ancora amore. L’Italia che chiede aiuto, sembra inconscia che la Libia, malgrado i baciamano, è un suo protettorato economico e che chi ne organizza il colpo di stato lo fa per impiantarvi il suo.

Nei mesi futuri il filo Roma-Tripoli verrà ricucito a Mosca, cioè, secondo i democratici dalla padella nella brace. Questa però è la balance of power; questo lo stato del mondo arabo che fa, di qua e di là del Mediterraneo, rimpiangere l’interventismo democratico crispino, altrimenti detto, con i newcon, colonialismo.