sabato 7 maggio 2011

Grillo a Bologna: “Rovineremo i giochi a tutti” Il VIDEO del comizio in piazza Maggiore


"Merola? E chi è? Conosco un cantante che si chiama così". "Voi giornalisti mi parlate di ballottaggio? Dovete vergognarvi". "E' l'ora di finirla con le spartizioni". "Sono tutti d'accordo, sono Coop rosse o altro?". "Oggi siamo in guerra e dobbiamo scegliere noi tra democrazia e partitocrazia"

Grillo non salva nessuno. Come in un videogioco. Solo che invece di arrivare a Bologna su un mezzo corazzato, pedala insieme al candidato sindaco del Movimento 5 Stelle Massimo Bugani e al consigliere regionale Giovanni Favia e Andrea Defranceschi. Sono tutti e tre su un risciò, qualche minuto prima delle 16, quando fanno il loro ingresso in piazza del Nettuno. Accanto, in piazza Maggiore, li attende il comizio, l’ultimo, di fronte a 15 mila persone. Poi il prossimo passaggio sarà nelle urne, con le elezioni amministrative del prossimo week end.

Ma prima di scendere e iniziare con il comizio, Grillo se la prende con due obiettivi: con il “palazzo” e con i suoi uomini da un lato e con i giornalisti. “Dovete vergognarvi”, sbotta quando gli viene posta una domanda sul ballottaggio. “Perché parlate di ballottaggio? Che cos’è il ballottaggio? Ma perché siete così ristretti nel vostro vocabolo? Noi stiamo cercando di cambiare generazioni che fanno politica”.

“Guardateli”, dice indicando i suoi referenti bolognesi, “sono giovani e incensurati. Trovarne di incensurati è stato un dramma. Io non rispondo a domande senza senso perché non abbiamo identità politica, per adesso siamo un programma buono che ci hanno copiato tutti”.

Eccola, l’antipolitica Grillo style, funzionale al passaggio alla politica vera e propria, quella che parla ai cittadini. E qua l’alzo zero è contro le stanze dei bottoni e coloro che le occupano, anche a livello locale e a iniziare al Partito Democratico, diventato nel linguaggio del comico genovese il “pd meno elle”. “I candidati a sindaco di Bologna? Non so chi siano. Conosco un cantante che si chiama Merola. Ma poi che dire? Sono tutti d’accordo: sono coop rosse o sono Impregilo, sonocemento, posteggi, supermercati, automobili. Arrivano, fanno raggruppamenti, fanno schede finte, liste finte, si accordano, partiti che vanno con il Pd perché sanno già che gli daranno tre consiglieri. Sono i famosi captive. In economia sono quelle aziende che lavorano per un’azienda sola. Sei fornitore della Fiat? E se la Fiat va male e decide di cambiare fornitore, tu hai chiuso e non hai mercato. Allora questi radicali, la sinistra, i socialisti, i verdi: tutta questa gente non ha più mercato e si accorda con il Pd senza che si riesca più a capire che cosa sia”.
Ok, ma la formula per cambiare Bologna? “Non lo so e non vengo a dirvi come dovete fare a Bologna, lo diranno loro che ci abitano. È questa la grandezza: loro verranno votati dai cittadini bolognesi perché sono cittadini bolognesi”.

E poi avanti con i progetti che potrebbero diventare anche a Bologna oggetto di pratica amministrativa. “Siamo già in 30 Comuni con 32 consiglieri in città importanti. Non lo sa nessuno. Abbiamo già fatto dei progetti per la raccolta differenziata a Treviso, sull’energia idroelettrica per riattivare i fiumi sotterranei e Bologna ne è piena. Sappiamo comeelettrificare il traffico senza tram che vanno su gomma o mongolfiere su rotaie. Già con l’ibrido si potrebbe far funzionare il traffico pubblico con una fettuccia messa sull’asfalto, senza troller o fili sopra. Quando cambi itinerario sposti solo la striscia. Queste sono cose che abbiamo già in mente e che sono già state fatte. E poi ancora il car sharing o il telelavoro, il wi-fi in tutte le piazze pubbliche, l’efficienza degli edifici comunali. Questi sono progetti che prenderanno tutti. Ci hanno già copiato e siamo entusiasti che ci stiano copiando”.

Ma a questo punto, forse, si sta già parlando di politica, senza “anti”. E qua, quasi con un sospiro, Grillo afferma: “La politica è un passaggio successivo. Però io non sono in grado, non sono un politico, sono un comico”.

E da comico corre sul palco e inizia ad inanellare battute e stoccate a destra e sinistra: “Noi qui saremo poco più di duecento” scherza Grillo, riferendosi alla poca attenzione mediatica che a suo avviso gli viene offerta. “Sto girando l’Italia – continua – la gente mi abbraccia, non so cosa stia succedendo. È partito tutto da questa città e da questa piazza, con il V-Day del 2007”.

Arringa la folla con temi cari al suo Movimento, i soldi pubblici e la partitocrazia: “i partiti si dividono un miliardo di euro, vivono di soldi, la politica è soldi. Vanno sui tetti per essere solidali con operai e cassintegrati, ma nessuno ha donato a loro del denaro: rimborsi elettorali per la ricerca, per gli operai e per le scuole”. “L’unico vero referendum – continua – è quello dei nostri padri che hanno scelto fra monarchia e repubblica. Oggi siamo in guerra, e siamo noi a dover scegliere fra democrazia e partitocrazia”.

Si ferma un attimo: “devo calmarmi altrimenti mi viene un infarto. Ma a me chi lo fa fare di girare con un camper a presentare questi ragazzi? Quante possibilità di farcela hanno, con 4 mila euro per la campagna elettorale?” domanda alla piazza, che risponde con un boato.

Anche il presidente della Regione Emilia Romagna subisce un attacco dal comico genovese, a causa di una legge del 2004 che vieta più di due mandati consecutivi per i presidenti di Regione. Norma che interessa proprio Vasco Errani, ma anche il presidente della Lombardia, RobertoFormigoni. “E questo accade perchè le regioni non hanno recepito la legge nazionale. Nessuno dice nulla, nessuno ha alcun interesse a farlo”.

Poi si rivolge direttamente alle tante persone assiepate in piazza: “Voi è quarant’anni che aspettate che qualcuno faccia qualcosa. Mettete una croce sul simbolo e state a guardare. Ma con noi è diverso, siete voi ad essere attivi. Con pochi soldi, grazie alla Rete, perchè la politica senza denaro diventa una cosa meravigliosa”.

Prende il fiato per il finale: “Voglio cambiare questo Paese. Questo è il momento di mandarli a casa. Non abbiamo più nulla da perdere. Questi sono giovani, non hanno esperienza è vero, non sanno rubare, truccare bilanci, non sanno instaurare rapporti con la mafia. La loro inesperienza è il nostro valore aggiunto”.

I grillini vengono poi presentanti uno ad uno. È il turno del candidato sindaco del Movimento Cinque Stelle, Massimo Bugani: “con 4 mila euro è dura fare campagna elettorale, ma grazie a questi ragazzi è più facile”. “Siamo qualunquisti – continua – o lo sono gli altri?” e via ad elencare tutti i progetti portati avanti nel corso degli ultimi anni e le idee per il futuro. “Ogni sei mesi domanderemo ai cittadini se il nostro lavoro gli va bene. Se diranno di no, saremo pronti alle dimissioni”. Giovanni Favia, invece, loda i ragazzi del Movimento, “veri combattenti che vogliono riprendersi Palazzo D’Accursio”.

Grillo prende nuovamente il microfono in mano, ma questa volta solo per una raccomandazione: “Per favore, lasciamo pulita la piazza, raccogliete tutto. Ve lo dico perché questo spazio verrà lasciato a gente (il comizio di Vendola alle 21, nda) che non sappiamo che cosa possa fare”.

di Antonella Beccaria, Nicola Lillo e il video di Giulia Zaccariello

Annozero 05/05/2011 part. 4




Marcegaglia denunciata per condotta antisindacale


Manodopera a basso costo assunta attraverso una società terza, creata apposta per aggirare l’accordo sul salario di ingresso: questa l'accusa del sindacato. Mercoledì è attesa la decisione del giudice

Manodopera a basso costo assunta attraverso una società terza, creata apposta per aggirare l’accordo sul salario di ingresso. Così laMarcegaglia spa, azienda metallurgica di proprietà dell’omonima famiglia (quella della leader di Confindustria), avrebbe violato l’articolo 28 dello statuto dei lavoratori, incorrendo nellacondotta antisindacale. A denunciarlo è laFiom-Cgil di Ravenna, che nei giorni scorsi ha fatto ricorso al tribunale di Ravenna contro l’acciaieria. La prima udienza era prevista per ieri mattina, ma il giudice del Lavoro, Roberto Riverso, ha ritenuto opportuno rinviarla a mercoledì prossimo per ascoltare altri testimoni.

“La decisione della Fiom Cgil di presentare ricorso al giudice del lavoro per
violazione dell’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori – spiega il segretario
provinciale della Fiom, Milco Cassani – non è una risposta all’accordo che la
Fiom di Ravenna non ha firmato nei giorni scorsi, piuttosto la definirei
un’azione inevitabile per un sindacato serio che non può tollerare il
 comportamento che la Marcegaglia ha attuato e dichiarato a partire da novembre scorso, portando dentro all’aziendamanodopera a basso costo, grazie al mancato riconoscimento del contratto aziendale per quei lavoratori”.

Facciamo un passo indietro per ricostruire la vicenda. A fine 2010, l’azienda ha annunciato che avrebbe assunto 200 lavoratori, di cui 100 a Ravenna. Così, nello stabilimento di via Baiona si è aperta la consultazione interna con le rsu per trovare un accordo sul salario di ingresso. Ma prima ancora che l’accordo fosse raggiunto, la Marcegaglia ha fatto entrare in azienda 40 lavoratori attraverso un’altra società: la Nuova Inde. “Non essendo soggetta al contratto aziendale, questa società ha potuto fare assunzioni ai minimi contrattuali – spiega Cassani – ma di fatto, questi lavoratori erano dipendenti a tutti gli effetti della Marcegaglia. Tant’è che dopo il raggiungimento dell’accordo sono stati assunti dall’acciaieria”.

Ma chi c’è dietro la Nuova Inde? Dalla visura camerale risulta che si tratta di una srl creata il 15 ottobre 2010 (cioè poco prima dell’annuncio delle assunzioni), con un capitale sociale di 10.000 euro (il minimo necessario per costituire una srl), e il manager Fabio Londero nel ruolo di amministratore unico. La sede legale è a Buttrio (Udine), in via Nazionale 41: la stessa sede delle officine meccaniche del gruppo Danieli, “una società che lavora insieme alla Marcegaglia”, come rivela il leader delle tute blu ravennati. Allora, “è chiaro che si tratta di una società creata ad hoc per coprire le assunzioni, cioè per parcheggiare i lavoratori in attesa dell’accordo sul salario d’ingresso. Ma così è stata depotenziata l’attività sindacale – prosegue Cassani – infatti, che senso ha aprire una trattativa da una parte, e procedere con l’assunzione dall’altra? Perché di fatto, queste persone lavoravano in azienda, ce le ritrovavamo nella produzione”. Da qui il ricorso per attività antisindacale, ora al vaglio del giudice.

L’accordo sul salario d’ingresso raggiunto lo scorso 12 aprile, invece, è un’altra storia – non meno amara per la Fiom. A differenza di quanto stabilito dal contratto aziendale, infatti, Marcegaglia ha ottenuto di assumere nuovo personale attraverso un contratto di apprendistato con salario ridotto (circa 350 euro in meno al mese). “Chi entra adesso ci metterà circa sei anni e mezzo per raggiungere lo stipendio pieno. Un tempo che va ben oltre l’apprendistato”, afferma Landini. L’accordo è stato firmato da alcuni delegati Fiom, ma non dalla segreteria del sindacato.

Elena Boromeo




Spiagge in concessione, imprenditori balneari esultano. I giuristi: “Decreto incostituzionale”



Piace ai gestori il nuovo dl che concede ai privati il diritto di superficie sul demanio marittimo per 90 anni. "Un bene di diritto pubblico" però, secondo gli esperti di diritto ambientale. E anche l'Ue ha espresso parare contrario

“E’ quello per cui ci battiamo da sempre. Quelle strutture sono nostre, per quelle abbiamo fatto tanti sacrifici rispettando la legge. E questo provvedimento di sdemanializzazione è sacrosanto”. Così Giuseppe Ricci dell’ITB (Associazione Imprenditori Turistici Balneari) commenta il nuovo decreto del Consiglio dei Ministri che istituisce il diritto di superficie concesso ai privati per 90 anni sul demanio marittimo e la reazione negativa dell’Unione Europea. ‘Sdemanializzazione‘, dice Ricci, perché di questo in realtà si tratta. Ma le cose forse non saranno così semplici. ”Andare contro le decisioni che ci impone l’Europa è incostituzionale, visto che l’articolo 11 ci impone di adempiere agli obblighi comunitari” spiega l’avv. Stefutti, esperta di diritto ambientale. “Ed è chiaro che, con questo provvedimento, andiamo contro tutte le raccomandazioni, vincolanti, che la Commissione ci ha dato quando ha aperto la procedura di infrazione contro di noi. Con questo atto, invece di riparare agli errori aggraviamo il contenzioso con l’Europa”.

Ci dicono che siamo fuori della legge e noi, per tutta risposta, ne usciamo ancora di più. Ma altri profili di incostituzionalità li intravede anche il prof. Paolo Dell’Anno, professore di diritto dell’ambiente alla Bocconi. ”Il demanio marittimo è da sempre considerato un bene indisponibile e sottoposto al diritto pubblico; applicarvi un diritto di superficie significa portarlo sotto un regime privatistico. Si andrebbe così a violare l’art 42 della Costituzione perché si trasforma la proprietà pubblica in privata; si sdemanializza e si privatizza senza seguire le procedure previste dalla legge. E soprattutto l’interesse pubblico, il fulcro delle concessioni demaniali, di colpo sparisce”. In pratica, per venire incontro alle richieste dei balneari che chiedevano solo un allungamento delle concessioni, opzione bloccata dalla Ue, si stabilisce che il demanio non c’è più, o meglio, rimane, ma solo formalmente.

Il provvedimento, infatti, lascia aperta la porta a tante opzioni. Vi leggiamo infatti: “Il diritto di superficie si costituisce sulle aree inedificate formate da arenili, con esclusione in ogni caso delle spiagge e delle scogliere”. Ecco perché il ministro Tremonti può affermare che le spiagge resteranno pubbliche, perché il decreto le esclude formalmente. Ma cosa sia arenile e spiaggia, dove inizi uno e finisca l’altra, lo lasceranno stabilire alle regioni. Ma questo per le aree ancora vergini. Dove invece è già stato costruito, si tratti di spiaggia, arenile o scogliera, praticamente dappertutto, qualunque sia la destinazione d’uso, il diritto di superficie si applica senza problemi. Chiunque abbia già costruito anche sulla spiaggia stia tranquillo, nessuno glielo toglierà più fino al tempo in cui lo gestiranno i suoi bisnipoti. E chi non ha ancora costruito non si preoccupi, a breve potrà farlo pure lui.

“Stiamo preparando una memoria per il Presidente della Repubblica che a breve dovrà decidere se firmare questo decreto”, aggiunge Angelo Bonelli, leader dei Verdi. “Speriamo che questa follia legislativa non esca autorizzata dal Quirinale”. Un provvedimento che sembra un pozzo di San Patrizio, più lo esamini a fondo più sorprese rivela. “Spesso ho usato toni duri contro i provvedimenti di questo governo” dichiara Massimo Donadi dell’IdV, “ma oggi sono senza parole, sono sgomento davanti a quello che vedo. Al tentativo di smantellare pezzo per pezzo lo stato italiano”. Nell’incipit del provvedimento un diritto viene però preservato: “Fermo restando, in assoluto, il diritto libero e gratuito di accesso e fruizione della battigia…”. Dopo aver privatizzato la spiaggia pubblica, verrà concessa ai vecchi proprietari, i cittadini, una servitù di passaggio per arrivare al mare. L’ultimo brandello di quella che una volta era “res publica”.

di Emilio Casalini



Camorra, Comune commissariato ma lui si ricandida sindaco


Giuseppe Corcione corre per tornare primo cittadino a Pago del Vallo di Lauro, in provincia di Avellino

Nel 2009 il Comune di cui era sindaco è stato sciolto per condizionamento camorristico. Dopo due anni di commissione prefettizia il primo cittadino di allora, Giuseppe Corcione, si ricandida alla guida di Pago del Vallo di Lauro, un piccolo paese in provincia di Avellino nel quale il clan Cava è padrone indiscusso e dove ora si torna ora a votare. E sulla scheda c’è ancora lui, Corcione. Una competizione contrassegnata da minacce e intimidazioni. Già a febbraio scorso a un altro candidato, Michele Casciello, è stata incendiata l’auto. Episodio finito anche in un’interrogazione parlamentare e poi scivolato nell’archivio dei casi irrisolti. Tanti da queste parti.

Qui comanda il clan Cava. Un sodalizio criminale, impegnato per anni in una faida sanguinaria contro i rivali dei Graziano. I Cava sono in rapporti militari e di affari con il clan Fabbrocino, egemone nel vesuviano. Il boss Biagio Cava oggi è in carcere. Ed è con lui che Corcione ha stretto contatti, secondo la procura. E’ il settembre 2008 quando l’allora sindaco, oggi candidato, riceve un avviso di conclusione indagine e finisce sotto inchiesta per abuso di ufficio con l’aggravante di aver favorito un clan di camorra, tra gli indagati anche il boss Biagio Cava. Sotto i riflettori dell’antimafia napoletana finisce il puc, piano urbanistico comunale, una vicenda pienamente inserita nelle motivazioni che portano all’azzeramento dell’ente. In sede di rinvio a giudizio, nello scorso ottobre, è caduta l’aggravante per mafia, ma non è bastato per bloccare le procedure di scioglimento. Corcione si è sempre dichiarato estraneo alla vicenda. L’ex sindaco ha fatto ricorso al Tar contro la decisione del ministro degli Interni e poi al Consiglio di Stato. Il provvedimento di scioglimento ha retto ai giudizi della magistratura amministrativa.

La relazione parla chiaro. “Gli aspetti di condizionamento risultano evidenti in una serie di elementi quali: a) episodi di intimidazione che, ad un’analisi successiva, hanno denotato l’assoggettamento degli organi elettivi alle scelte operate dai sodalizi criminali; b) numerose illegittimità poste in essere dall’amministrazione in riferimento al piano urbanistico comunale, con indubbi vantaggi per taluni esponenti della criminalità locale; c) permessi di costruire privi dei necessari presupposti legittimanti, rilasciati in favore di soggetti controindicati”. Il Consiglio di Stato, lo scorso aprile, ha confermato l’azzeramento nonostante in sede penale sia caduta l’aggravante per mafia “il rilievo di tale vicenda – scrivono i magistrati di Palazzo Spada – per quanto isolatamente possa risultare meno grave di quanto affermato nel provvedimento di scioglimento, non può essere trascurato all’interno di un vasto insieme di elementi indiziari univoci”. La misura dello scioglimento ha, infatti, natura preventiva e censura frequentazioni, parentele, vicinanze, assenza di trasparenza, ben presenti nel caso Pago.

Il massimo organo della giustizia amministrativa si è soffermato su un episodio: “Particolarmente significativa l’aggressione al consigliere, capogruppo di minoranza, Amato Carmine (è il terzo candidato in competizione, ndr), oggetto di denunzia(…), con querela nei confronti di soggetto pluripregiudicato, Vitale Luigi di Sabato, affiliato al clan Cava. Secondo le indagini compiute, l’aggressione sarebbe collegabile all’atteggiamento assunto da parte del capogruppo di minoranza nell’ambito di sedute comunali, tendente a contrapporsi alla volontà del gruppo di maggioranza volta a favorire gli interessi della famiglia Vitale”. Ancora. Nella sentenza che conferma lo scioglimento si cita una delibera di giunta che ampliava la piana organica con la previsione di inserire un posto di autista da affidare al fratello di Vitale, il quale già lavorava nella ditta che gestiva i rifiuti. Edilizia, amicizie, frequentazioni e appalti, la cornice solita dei comuni condizionati dal crimine organizzato. In questo scenario si svolge la campagna elettorale, nel piccolo paese che conta poco più di duemila abitanti. E Corcione al primo punto del suo programma ha inserito la riapprovazione del Puc. Lo stesso piano urbanistico comunale che ha portato l’amministrazione al commissariamento. E così la sfida, più che elettorale, sembra rivolta alla giustizia.




I nuovi beneficiati dal premier Berlusconi. - I senza pudore.



Domenico, detto Mimmo Scilipoti, deputato diIniziativa Responsabile, raggiunge la Camera alla chetichella, mentre un gruppo di ‘suoi’ Reponsabili insieme ad ex finiani, ex democratici e pidiellini, celebrano le nomine a sottosegretari a Palazzo Chigi con il premier Silvio Berlusconi. Scilipoti ha un tono dimesso: “Responsabili, vorrei tutti più responsabili”, ripete ai microfoni deilfattoquotidiano.it. I nove sottosegretari si dividono, c’è chi fa lo spavaldo come il sottosegretario all’Economia Bruno Cesario (deputato di IR), il diplomatico come l’on.Roberto Rosso (Pdl) finito all’Agricoltura e chi come l’on. Catia Polidori (IR), anche lei all’Economia, ci risponde: “Con voi del Fatto non parlo dopo quello che avete scritto”.
Servizio di Carlo Tecce, riprese e montaggio P
aolo Dimalio.





Mediolanum, indagine del Fisco sulla banca di Doris e Berlusconi


L'Agenzia delle entrate indaga sulla "banca costruita intorno a te" che aggira il fisco in Irlanda. Gran parte degli utili realizzati grazie alla sponda su Dublino che ora è a rischio

Ennio Doris, fondatore del gruppo Mediolanum

Milano - Sotto il cielo d’Irlanda, se sei straniero e porti denaro, si pagano poche, pochissime tasse. Lo sa bene Ennio Doris che ha trasferito da quelle parti la cassa di Mediolanum. Somme importanti: profitti per centinaia di milioni riescono ogni anno a dribblare le imposte con il risultato di ridurre al minimo l’impatto del Fisco sui conti del gruppo controllato dallo stesso Doris insieme al suo amico Silvio Berlusconi. Tutto bene, se non fosse che dopo anni d’inerzia l’Agenzia delle entrate ha messo nel mirino questo gioco di sponda tra Milano e Dublino. Quei soldi che tornano in Italia sotto forma di commissioni per la gestione dei fondi d’investimento irlandesi vanno tassati come reddito nostrano.

Questa in sintesi la contestazione degli ispettori ministeriali che a giugno e poi a ottobre del 2010 hanno messo per iscritto i loro rilievi a Banca Mediolanum e a Mediolanum Vita. In totale fanno 134 milioni di proventi sottratti, sostiene l’accusa, alla tassazione negli anni 2005 e 2006. Il secondo siluro è arrivato un paio di mesi fa, a fine febbraio. Questa volta Banca Mediolanum si è vista contestare un imponibile supplementare di 121 milioni per il periodo che va dal 2006 al 2009. Che fare? Di fronte all’attacco del Fisco, Doris ha pensato bene di venire a patti.

In gergo tecnico si chiama “accertamento con adesione”. In pratica, pur di incassare in fretta, l’Agenzia delle entrate è disposta a fare uno sconto alla banca e l’accordo potrebbe essere siglato già nelle prossime settimane. Questo però è solo il primo round. Restano aperti gli altri procedimenti avviati nei confronti del gruppo e per Mediolanum, alla fine, il conto potrebbe rivelarsi pesante, con decine di milioni da versare pronta cassa allo Stato. Peggio ancora: il Fisco contesta altri 64 milioni di Iva non pagata su compensi ai promotori. Qui però i manager di Doris sembrano intenzionati a dare battaglia. “Ci siamo comportati secondo la prassi di mercato”, sostengono con il conforto di pareri legali e precedenti a loro favorevoli sulla stessa materia. Tant’è vero che nel bilancio 2010 non sono stati fatti accantonamenti per far fronte ad eventuali sanzioni.

A questo punto, però, il problema maggiore non sembra neppure la vertenza fiscale in sé. Del resto negli ultimi due anni l’Agenzia delle entrate è partita lancia in resta contro diversi istituti di credito per sanzionare operazioni finanziarie costruite apposta, questa è la contestazione, per pagare meno tasse. Sono finiti nel mirino, per esempio, alcuni pesi massimi del settore comeIntesa e Unicredit, al centro di contenziosi per svariate centinaia di milioni. Mentre la Popolare di Milano ha preferito chiudere in gran fretta la questione sborsando quasi 140 milioni.

Per Mediolanum però la questione sembra diversa e per molti aspetti anche più preoccupante.Come il Fatto Quotidiano ha già raccontato (Leggi l’articolo) il gruppo guidato da Doris è una macchina che viaggia a tutta velocità grazie soprattutto alla benzina irlandese. Il bilancio del 2010 si è chiuso con 246 milioni di utili, in aumento del 15 per cento circa sull’anno precedente. Gran parte dei profitti vengono realizzati a Dublino proprio grazie al gioco di sponda delle commissioni. Lo stesso che adesso viene contestato dal Fisco.

Per dare un’idea delle cifre in gioco va segnalato che la controllata irlandese Mediolanum International Funds amministra oltre 17 miliardi di euro raccolti per lo più in Italia sotto forma di sottoscrizioni di fondi comuni d’investimento. Ebbene, questa società di Dublino ha realizzato la bellezza di 257 milioni di profitti lordi. Le imposte però, come risulta dal bilancio, non hanno superato i 32 milioni. Ovvero il 12 per cento circa degli utili. Tutto merito del generoso Fisco irlandese, che per attirare nuovi business da anni garantisce un trattamento di favore alle società straniere. E così, grazie al trasloco sotto il cielo d’Irlanda, la Mediolanum International Funds, vera macchina da soldi della galassia Doris, è riuscita a cavarsela pagando all’erario meno della metà di quanto dovrebbe versare se avesse sede nel nostro Paese.

Risultato finale: il tax rate dell’intero gruppo Mediolanum, cioè l’aliquota media di tassazione applicata, si aggira intorno al 18 per cento. Un dato di gran lunga inferiore rispetto ad altri grandi gruppi finanziari nostrani come Intesa, Unicredit e Monte dei Paschi. Domanda: che cosa succederebbe se alla fine dovesse prevalere la nuova linea interventista dell’Agenzia delle entrate? Quali sarebbero gli effetti sui conti del gruppo finanziario se il Fisco nostrano si mettesse di traverso sulla strada che va da Milano a Dublino?

Facile immaginare che i vertici di Mediolanum sarebbero costretti a rivedere lo schema operativo che fin qui ha garantito utili a palate. Non è detta l’ultima parola, ovviamente. I procedimenti aperti nei mesi scorsi potrebbero anche dar ragione alla “banca costruita intorno a te”, per citare lo slogan più celebre recitato per anni in tv da Doris. Un tipo ambizioso. Uno che solo pochi giorni fa nel sermone autocelebrativo recitato nell’annuale convention del gruppo si è detto convinto che Mediolanum conquisterà un posto tra le prime cinque banche nazionali. Fisco permettendo, naturalmente.

da Il Fatto Quotidiano del 5 maggio 2011