Ormai da mezzo secolo Agrigento è un simbolo dell'incapacità di tutelare la nostra ricchezza artistica. Prima i palazzoni di cemento che hanno sfregiato per sempre la zona sacra ai pagani: i templi delle divinità greche deturpati dai condomini. Adesso ad essere in pericolo è la cittadella con i monumenti cristiani, a partire dalla cattedrale costruita dai normanni nel 1099 per ricordare la sconfitta dell'Islam. Quel terreno è minato dal segreto stesso della sua forza antica: cinque secoli prima di Cristo, sotto l'acropoli vennero scavate decine di cisterne per garantire le scorte d'acqua in caso di assedio. Erano l'arma che permise ad Akragas - allora una metropoli di 300 mila abitanti - di resistere a ogni avversario. Ma quel dedalo sotterraneo poco alla volta ha cominciato a minacciare la stabilità della città alta.
Adesso l'incarico di curare il male della rocca è stato affidato dagli studiosi dell'Università di Palermo. Che sin dai primi esami si sono accorti come quello realizzato negli ultimi anni sia stato solo un intervento di facciata: i milioni sono serviti per un maquillage estetico e per una serie di indagini geologiche ritenute insufficienti a decifrare cosa provochi la frana. Nulla che possa permettere di garantire il consolidamento del centro storico.
Ora si riparte dai cunicoli e dalle cisterne sotterranee, che hanno trasformato la collina in un groviera. Nel sottosuolo le tensioni si accavallano lungo questo reticolo antico, come in una sorta di "rock and roll" geologico che fa ballare gli edifici fino a spezzarli: un perenne terremoto. Che sbriciola la rocca, da sempre degradata: un monitoraggio di 692 immobili ha evidenziato che oltre il 50 per cento delle costruzioni presenta problemi strutturali. E questo riguarda case private e uffici pubblici, uniti dalle stesse crepe. Nel 1966 lo smottamento avvenne con lentezza, ma se oggi la situazione dovesse peggiorare all'improvviso - come è accaduto per il palazzo Lo Iacono - le stradine del borgo potrebbero trasformarsi in una trappola: da anni si parla di aprire almeno una "via di fuga". Nel 2010 un pool coordinato dalla prefettura ha definito il percorso migliore da bonificare e le nuove fratture dovrebbero renderne urgente la realizzazione, ma sono più di sei mesi che si aspetta il parere del Genio Civile e della Sovrintendenza, mentre il Comune non si è pronunciato. Un intreccio di burocrazie che potrebbe essere ancora più pericoloso della frana.