martedì 31 maggio 2011

La politica della paura è al capolinea. - di Peter Gomez



Non sappiamo come Luigi De Magistris e Giuliano Pisapia governeranno le loro città. I problemi che hanno di fronte (specialmente a Napoli) sono tali da far tremare le vene ai polsi a chiunque. Sappiamo però che questa giornata sarà ricordata a lungo. In tutta Italia le urne hanno dato un responso chiaro: davvero la maggioranza che alle camere sorregge l’esecutivo è minoranza nel Paese. Davvero la politica dell’aggressione e della paura è arrivata al capolinea. E questo, indipendentemente da quali saranno gli immediati destini del governo Berlusconi, è già un risultato.

Gli elettori hanno dato fiducia alla speranza e al cambiamento. Hanno detto chiaramente che non ne possono più del mondo alla rovescia propagandato dal premier e dai suoi media: un mondo che bolla come pazzo che tenta di far rispettare la legge e indica invece come esempio chi è amico della mafia, un mondo che premia i furbi e penalizza gli onesti, un mondo che ritiene giusto privilegiare il censo al posto del merito. Un mondo che fino a ieri – allargando le braccia compiaciuto – ha continuato a ripetere: che ci volete fare, gli italiani sono fatti così.

No, gli italiani non sono fatti così. Sono meglio. E oggi lo hanno dimostrato.

Da domani, però, è tutta un’altra storia. Chiusi i festeggiamenti, archiviata la sbornia elettorale, si ricomincia. La strada per il Paese resta in salita. Anzi è più in salita di prima. Silvio Berlusconi non ha nessuna intenzione di lasciare Palazzo Chigi. Il Pdl, è vero, è percorso da fibrillazioni di ogni tipo. La voglia di un gran consiglio che esautori l’anziano padre padrone degli azzurri cresce pure da quelle parti. Ma la prospettiva di far fuori (politicamente) il premier, per poi dover lasciare con lui le stanze dei bottoni, paralizza il centro-destra. Anche per questo i referendum di giugno sono importanti: se otterranno il quorum diventeranno una vera e propria lettera di sfratto per il Cavaliere. Saranno il segnale di come oltre quella soglia di sfiducia non si possa davvero più andare.

Una cosa però e bene affermarla con franchezza: chiudere l’era Berlusconi non basterà per fare dell’Italia una democrazia normale. Anche senza il sempre più vecchio multimiliardario brianzolo (acquisito) il nostro paese resterà in preda alle Caste, ai conflitti d’interesse e alla partitocrazia. Pensate, se oggi si votasse per le politiche, sarebbero di nuovo le segreterie dei partiti a nominare onorevoli e senatori. A Montecitorio e a Palazzo Madama ci ritroveremmo insomma la stessa pletora di gente, spesso senza arte né parte, che negli ultimi 15 anni ha felicemente contribuito al declino del Belpaese.

Per questo, se è pure giusto dare atto al Pd di aver introdotto in Italia l’istituto delle primarie, bisogna ricordare quale è il secondo dato suggerito dalle amministrative (almeno nelle piazze principali). A Milano come a Napoli hanno avuto successo due candidati che non uscivano dagli apparati dei partiti. Uno dei due, De Magistris, il più votato, ha anzi corso esplicitamente contro i partiti. Ha rifiutato gli apparentamenti. E ha stravinto.

Quella di De Magistris è una lezione che, a destra come a sinistra, merita di essere ricordata. Perché la pazienza degli elettori è tanta. Ma non è eterna. E se i partiti e i vecchi leader non cambiano, i cittadini se ne trovano di nuovi. Da soli.




Il dramma di Emilio Fede.



Sconsolato e annichilito dal sonoro sganascione rifilato al centrodestra, un cereo Emilio Fede ha offerto ai suoi telespettatori, nel suo tg4 di ieri sera, un notiziario “sui generis”.

Sin dall’anteprima Umilio dedica solo una manciata di secondi alle amministrative e ai risultati di Napoli e Milano, riservando un tempo ben maggiore ai cetrioli spagnoli.

Finzione e comicità, archetipi del tg di Fede, ricorrono costantemente durante i 53 minuti dello show: dapprima un esordio sotto tono, con il quale il direttore scomoda il povero Casini per convincersi che la sconfitta della compagine berlusconiana e leghista “non ha valenza nazionale, ma solo locale”. Poi, imbeccato dall’inviata Marina Dalcerri, che parla di “qualche bandiera rossa che dalla Galleria va verso il Duomo” mostra le immagini di una piazza Duomo rutilante e festante per la vittoria di Pisapia. Ed è una delle ospiti in studio, la senatrice Roberta Pinotti (Pd) a puntualizzare ironicamente: “Sono arancioni, direttore, le bandiere. Non rosse”.

Ma il clou della sceneggiata si registra con l’intervista a Maurizio Baruffi, portavoce di Pisapia. L’inviata Stella Carraro, dal teatro Elfo Puccini, lagna quasi istericamente di non essere stata considerata dal futuro sindaco Pisapia, che le avrebbe preferito altre testate e tg a cui rilasciare le proprie dichiarazioni. La giornalista, però, riesce a fermare Baruffi, che ha una spassosa diatriba con un Fede sempre più alterato. Il portavoce di Pisapia spiega che la scaletta programmata non prevedeva un’intervista al Tg4, ma promette che nei giorni a venire il nuovo sindaco milanese avrebbe concesso il suo tempo al nostro Umilio. “Troveremo sicuramente il modo per poter raccontare finalmente anche agli ascoltatori del Tg4 chi è Giuliano Pisapia”, afferma serafico Baruffi.

Fede si sente profondamente oltraggiato per non essere stato sfiorato tangenzialmente dall’attenzione di Pisapia e incalza con le domande: “E allora cosa prevede la scaletta del sindaco?”.Baruffi non si scompone e rifila il carico da briscola: “Festeggeremo a piazza Duomo e tutti i milanesi potranno finalmente festeggiare una campagna elettorale che è stata condotta col sorriso sulle labbra e con la cifra dell’ironia nei confronti delle menzogne e delle diffamazioni che venivano da più parti. Per fortuna non ha vinto la logica della paura, ha vinto la logica della speranza e del guardare al futuro.”

Fede non ci sta e, autodefinendosi comepiccolissimo , modestissimo, giovanissimo giornalista”, si lancia in un soliloquio comico e delirante. Baruffi replica prontamente, rifilando una nuova stoccata all’informazione al soldo di Berlusconi. Umilio difende eroicamente il suo notiziario e sbotta: “Mamma mia! Io speravo di trovare in lei una persona serena….”.

Baruffi, sempre imperturbabile, tranquillizza il povero Fede: “Assolutamente non da parte sua, direttore, che è stato sempre un esempio di grande correttezza nel mondo dell’informazione.

“Ecco, appunto!”, gongola il devastato direttore. “Questo me lo conceda, perchè quando ci sono state polemiche io mi sono sempre tirato fuori, rispettoso, come sono, dei pareri degli uni e degli altri”. Qualche minuto più tardi, si sconfina davvero nel surreale: “Io sono sempre al di sopra delle parti”.

L’effetto comico, soprattutto della palese presa in giro ad opera di Baruffi, è devastante. D’altro canto, non è la prima volta che una giornalista sguinzagliata dal fido umilio di Silvio viene snobbata spudoratamente da un esponente del centrosinistra. Già nell’ottobre del 1996, Romano Prodi, in visita a New York, rifiutò con sdegno la richiesta di un’intervista da parte di un’inviata del Tg4. “Il Tg4 no. Ne ho avuto già abbastanza“, furono le sue lapidarie parole.

La polemica prosegue, stavolta tra lo stesso Baruffi e la pidiellina ex missina Viviana Beccalossi (quella del celebre slogan coniato proprio da Silvio: “Forza Viviana! Fagliela vedere”), la quale, sfoderando la musicalità del bresciano eloquio, si cimenta in una critica spietata di “Bella Ciao”. Che, invece, “non dispiace affatto” al direttore. Outing clamoroso, spiegabile forse con il malefico effetto Pisapia.



domenica 29 maggio 2011

Marcello Lonzi



Marcello Lonzi: verità per la morte di un detenuto, articolo di Luigi Manconi

L’Unità, 25 novembre 2003

Marcello Lonzi morto tra le 19.50 e le 20.14 dell’11 luglio 2003, nel carcere delle Sughere di Livorno. Era detenuto per tentato furto (4 mesi di reclusione ancora da scontare). È stato trovato prono, vicino alle sbarre e i tentativi di rianimazione non hanno dato alcun esito. I familiari sono stati avvertiti 12 ore dopo il decesso. Nel frattempo, sul corpo di Marcello Lonzi, erano stati effettuati i primi esami autoptici. L’esito di queste analisi ha indicato in un’aritmia maligna la causa più probabile della morte. Ma ci sono troppe cose che non tornano, in questa vicenda. Sul volto del giovane l’autopsia ha riscontrato tre gravi ferite, prodottesi con tutta probabilità "simultaneamente".

Sul suo torace, una strana escoriazione a forma di "V". La relazione di consulenza tecnica medico legale, predisposta dal Tribunale di Livorno, imputa le ferite al viso alla dinamica del decesso: Marcello Lonzi sarebbe stato colto da malore e, cadendo, avrebbe violentemente picchiato il volto contro un termosifone o contro lo stipite della porta. Alla stessa origine viene ricondotta l’escoriazione sul torace, mentre altri "fatti traumatici" vengono attribuiti ai tentativi di rianimazione (come la frattura della seconda costola di sinistra in sede iuxta - cartilaginea).

Tutto regolare, dunque; tutto spiegabile, in apparenza, secondo le indagini sin qui svolte. Ma, in verità, qualcosa non torna. Sulla morte di Marcello Lonzi nasce un caso, nel quale è la determinazione della madre, Maria Cioffi, a giocare un ruolo fondamentale.

Fin dal primo istante, la donna non ha creduto all’ipotesi della morte per esclusive cause naturali; e fin dal primo istante ha cercato di documentare le voci, sempre più insistenti, che circolano all’interno del carcere, e che adombrano un’altra ricostruzione dei fatti e una diversa dinamica della morte.

Lonzi era un ragazzo sano e di costituzione robusta; le uniche alterazioni riscontrate nella sua fisiologia e giudicate, dall’autopsia del tribunale, "relativamente modeste", sono a carico dell’apparato cardiaco (riduzione del calibro di un ramo coronario); ma non sono state rilevate occlusioni che potessero portare all’infarto del miocardio.

L’ipertrofia ventricolare è, ad oggi, la causa di morte più accreditata, semplicemente perché non lascia tracce nell’organismo; semplicemente perché, non potendosi dimostrare alcuna altra patologia, se ne ipotizza una che non ha bisogno di "prove". Quanto alle ferite rinvenute sul cadavere, è la loro entità a sollevare dubbi. Una raggiunge l’osso sottostante, un’altra penetra profondamente fino a comunicare con il vestibolo. Per queste ragioni, l’avvocato della famiglia chiede se sia "compatibile la gravità e profondità di simili lesioni con una mera caduta da fermo"; e se non sia necessaria una ulteriore spinta o pressione per produrre tali conseguenze".

Nel frattempo, Maria Cioffi ha ricevuto numerose telefonate anonime, da qualcuno che - considerata la precisione nel riferire dettagli e particolari - potrebbe essere una fonte bene informata.

Le è stato detto che suo figlio, durante l’isolamento, è stato ripetutamente picchiato; e le è stato riferito di scontri con altri detenuti e con il personale penitenziario. È probabile che Marcello Lonzi non sia stato ucciso dai traumi conseguenti a questi fatti, se questi fatti si sono effettivamente verificati. Ma la stessa aritmia maligna sin qui ipotizzata potrebbe essere insorta - è un’ipotesi medica plausibile - come reazione alle eventuali percosse.

Maria Cioffi ha scritto al Ministro della Giustizia, si è rivolta ad alcuni parlamentari e allo stesso capo dello Stato: vuole la verità. E che sia convincente. C’è un giudice a Livorno? (C’è: e ha aperto un fascicolo). C’è un parlamentare che voglia andare fino in fondo?


http://www.ristretti.it/areestudio/disagio/lonzi/rassegna.htm


Le foto:

http://mmedia.kataweb.it/foto/17714176/2/marcello-lonzi-le-immagini-del-cadavere



Sei mesi senza un ministro delle Politiche europee. E in Ue l’Italia perde posizioni. - di Alessio Pisanò


Ancora vuota la sedia lasciata libera da Andrea Ronchi il 15 novembre scorso. Tra i papabili per la nomina che potrebbe essere imminente c'è Franco Frattini. Ma intanto sono sempre meno gli italiani nei posti chiave dell'Unione europea. Rinaldi (Idv): "Pesa la scarsa capacità di fare squadra tra Roma e Bruxelles"

Mentre Bruxelles si attesta sempre di più come il vero centro decisionale europeo, l’Italia è senza ministro alle Politiche comunitarie da ben sei mesi. Libia, nucleare, immigrazione. Le ultime grandi crisi interne ed internazionali hanno visto l’Unione europea giocare un ruolo da protagonista: i suoi commissari sono stati definitivamente elevati al rango di super ministri. Ma in Italia da mesi non c’è nessuno a fare da collante tra Bruxelles e Roma.

Se n’è accorto Franco Frattini che, nell’ultimo Consiglio affari esteri a Bruxelles, si è auto candidato come successore di Andrea Ronchi, ministro dimissionario il 15 novembre scorso dopo l’adesione a Fli e l’uscita dal governo. Da allora il ministero alle Politiche comunitarie è rimasto vacante, tant’è che qualche settimana fa si è fatto addirittura il nome di Claudio Scajola, di ritorno dal suo esilio nella natìa Imperia dopo lo scandalo del ‘mezzanino’ con vista sul Colosseo.

“A me farebbe molto piacere”, ha confessato Frattini, già ex commissario Ue a Giustizia, libertà e sicurezza dal 2004 al 2008. Intanto Rocco Buttiglione, che non riuscì a diventare commissario per le sue affermazioni intolleranti nei confronti degli omosessuali, ammette: “Questo ministero è vacante ormai da troppo tempo. Si tratta di un posto sottovalutato, diventato ormai uno snodo cruciale per l’Italia, dato che molte cose importanti si decidono a Bruxelles”.

Adesso bisognerà vedere cosa deciderà di fare Silvio Berlusconi visto che la poltrona di ministro alle Politiche europee fa gola a molti. Certo Frattini parte con un vantaggio, ovvero sa l’inglese. Cosa non scontata a Bruxelles, dove purtroppo l’Italia sta perdendo peso anno dopo anno. “L’Italia oggi ha più funzionari europei di Gran Bretagna e Francia, al livello della Germania”, ha dichiarato Frattini qualche giorno fa. Meno male che non ha contato i posti top level, dove gli italiani sono ormai in via d’estinzione. Si pensi ai presidenti del gruppi politici al Parlamento (quasi tutti tedeschi), ai portafogli più importanti della Commissione europea (all’Energia un tedesco, al Mercato interno un francese, alla Concorrenza uno spagnolo, all’Alto rappresentante della politica estera Ue l’inglese Catherine Ashton, in una posizione che aveva fatto gola pure a Massimo D’Alema) e alle ultime nomine dei 29 capi delegazioni Ue all’estero decise lo scorso settembre: l’Italia ha dovuto accontentarsi di Albania e Uganda, mentre i tedeschi preso la Cina, gli austriaci il Giappone, e gli olandesi il Sud Africa.

Certo gli italiani di per sé non hanno responsabilità, visto il nutrito numero di chi lavora nelle istituzioni. Ragazzi e ragazze iper qualificati che hanno passato un pubblico concorso molto difficile. Ma allora qual è il problema? Secondo Niccolò Rinaldi, capo delegazione Idv al Parlamento europeo con un passato di 10 anni come Segretario generale aggiunto ed esperienze in Commissione e all’Onu, “la posizione di un italiano che lavora nelle istituzioni internazionali è molto difficile. Fa male vedere la quantità di occasioni perse dal nostro Paese. Oggi anche la Polonia sa far valere i propri interessi meglio di noi”. Secondo Rinaldi si tratta di un “complesso culturale d’inferiorità” che fa sì che “l’Italia ne esca penalizzata proprio in quei settori che dovremmo difendere”, senza pensare agli “ingenti finanziamenti che potrebbero arrivare nel nostro Paese e che invece perdiamo”. Uno dei problemi principali sembra proprio “la scarsa capacità di fare squadra” soprattutto tra Bruxelles e Roma e “la mancata scelta delle persone giuste nei posti giusti: troppo spesso si viene reclutati sulla base di conoscenze personali, semi clientelari o di fedeltà di apparato e non su criteri meritocratici”.

Adesso sarà interessante vedere con che criteri verrà reclutato il nuovo ministro alle Politiche europee, visto che fonti governative ne hanno annunciato l’imminente nomina. Intanto, proprio questa settimana, è stato celebrato il 25esimo anniversario della morte di Altiero Spinelli, padre fondatore dell’Unione europea, a cui è dedicato l’edificio principale del Parlamento europeo. Ma quelli erano altri tempi.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/05/28/sei-mesi-senza-un-ministro-delle-politiche-europee-e-in-ue-litalia-perde-posizioni/114435/


L'auto dei VVFF per portare allo stadio il figlio del prefetto. - di Jolanda Bufalini


Auto e autista sarebbero destinati al soccorso ma vengono esonerati per accompagnare allo stadio il figlio del dirigente e “altra persona estranea”. Si dicono estremamente preoccupate le rappresentanze sindacali dei vigili del fuoco per i comportamenti che stanno prendendo piede ai vertici del Corpo più amato dagli italiani.

«Noi – dicono – siamo costretti a garantire quotidianamente la soccorsi e sicurezza ai cittadini e facciamo i conti con la carenza di mezzi, che sono anche vecchi, spesso malsicuri e, altrettanto spesso fermi per manutenzione, con esborso di denaro pubblico che sarebbe meglio utilizzato con l’acquisto di mezzi nuovi». Non solo, gli organici dei vigili del fuoco sono drammaticamente al di sotto delle necessità, i pagamenti di emolumenti e straordinari sono in ritardo e, dulcis in fundo, il taglio in finanziaria è stato del 50%.

A Roma, in particolare, la carenza di autisti è causa, talvolta, della sospensione dei mezzi di soccorso. Ma, evidentemente, recriminano, “i sacrifici non sono per tutti”. Dunque la richiesta di chiarimenti al comando romano.

I fatti, documentati da un’inchiesta interna, risalgono all’11 maggio, quando allo stadio Olimpico della Capitale, si gioca Roma-Inter per la coppa Italia. E’ l’occasione nella quale autista e mezzo di soccorso vengono distolti dal servizio per essere utilizzati come Ncc, noleggio con conducente ma gratuito, per accompagnare il figlio del dottor Francesco Paolo Tronca e un’altra persona a un incontro di calcio.

STIMA LEGHISTA
Il prefetto Tronca è stato nominato nel novembre 2008 dal ministro dell’Interno Roberto Maroni capo del dipartimento dei vigili del fuo- co del soccorso pubblico e della difesa civile, è persona di cultura, laureato in giurisprudenza e storia, Grande ufficiale al merito. Gran parte della sua carriera prefettizia si è svolta al nord, fra Varese, Milano e Brescia, dove si deve essere guadagnato la stima del ministro leghista. Ma la Roma dei ministeri esercita una grande attrazione sull’anti-burocratico Nord, come dimostra la più recente rivendicazione della Lega. Nell’attesa di trasferire a Milano qualche dicastero, la strategia, almeno per quanto riguarda i pompieri, sembra essere un’altra: mezzi nel Nord-est e dirigenti nella Capitale. Con relativi benefits. Al prefetto Tronca, ad esempio, sarebbero stati assegnati ben due attici, in via Piacenza, a due passi dal Quirinale. Alloggi di servizio che non gli spetterebbero.

IL CASO CORTINA
I mugugni fra gli operativi dei vigili del fuoco, però, non finiscono qui perché a disposizione dell’alto dirigente ci sarebbero anche auto nuove dei vvf di Cortina d’Ampezzo. A Cortina la caserma dei vigili del fuoco è stata inaugurata l’anno scorso, in coincidenza con la prima parata nazionale del corpo che si è svolta, appunto, lungo le strade della Regina delle Dolomiti. Una sede bellissima, “belle camere e sui- te di lusso” ma, denuncia un comunicato della Usb di Belluno del mar- zo scorso, con scarso personale assegnato e turni di sei ore da coprire percorrendo, andata e ritorno, 70 chilometri di strada. E non finisce qui, il comando provinciale di Padova, per esempio, è sprovvisto di autogru – la vecchia entra e esce dall’officina di manutenzione - e la prima autobotte, immatricolata nel 1983, conta 28 anni di onorata carriera. Rinnovare il parco degli automezzi per i comandi provincia- li è un’utopia. In compenso, nota il Sindacato di base, “ai piani alti del dipartimento non si bada a spese”, vengono in particolare contestati i due aerei Piaggio in dotazione del Corpo utilizzati per i viaggi istituzionali. Mancano i soldi per il carburante ai mezzi di soccorso ma non quelli per il leasing, la manutenzione e la propulsione degli “aerei presidenziali”.