giovedì 9 giugno 2011

Tremonti a Silvio: “Mi hai fatto spiare dai servizi segreti”.


Libero parla di un litigio tra il premier e il ministro dell’Economia. Con frasi incredibili.

Qualche giorno fa Giulio Tremonti aveva smentito l’articolo di Franco Bechis su Libero nel quale si parlava di un generale accordo sul taglio delle tasse tra lui e Silvio Berlusconi. E oggi, probabilmente, arriverà la seconda smentita. Perché su Libero, sempre a firma dell’ex MF, viene fornito il resoconto dell’ennesimo litigio tra il ministro dell’Economia e il presidente del Consiglio, stavolta condito da una frase davvero incredibile:


Lo scontro è avvenuto in un faccia a faccia, lunedì all’ora di pranzo ad Arcore. In quel momento nella residenza del premier c’era anche Umberto Bossi, ma non era nella stanza in cui solo Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti per pochi minuti si sono guardati negli occhi. È stato il ministro dell’Economia ad avere uno scatto di nervi come mai è avvenuto in 17 anni di rapporto fra i due. È stato uno scatto violento, che ha scosso Berlusconi e che ancora 24 ore dopo faceva sentire i suoi effetti. Martedì il Cavaliere lo ha raccontato ad almeno tre interlocutori incontrati in giornata. Da loro abbiamo raccolto la versione che collima in ogni particolare su quel che sarebbe accaduto in quella stanza. «Tu mi hai fatto spiare!», ha sibilato il ministro dell’Econo – mia davanti a un Berlusconi esterrefatto. «Hai messo i servizi segreti alle mie calcagna! », ha proseguito Tremonti.

Un litigio che ha fatto rimanere di sasso i presenti:

Una sorpresa, perché se sono mille e poi mille i testimoni degli sfoghi del premier su Tremonti e del ministro dell’Economia su Berlusconi, i due non si sono mai affrontati a muso duro una volta messi di fronte. Anzi, è sempre stato un “Giulio sei un campione!”, seguito “ma Silvio, figurati!”. Riferiscono collaboratori e amici che Tremonti da qualche settimana fosse assai più nervoso del solito, ed è effettivamente è sbottato in sfuriate a cui non erano abituati interlocutori di lungo corso. Il nervosismo era giustificato dalla delicatezza del momento politico ed economico e anche dagli evidenti contrasti con il premier, accompagnati per la prima volta da una certa freddezza fra i vecchi amici della Lega Nord.

E, secondo Bechis, nello scontro potrebbe prima o poi avere un ruolo anche Napolitano:

Lo scontro resta, e la tensione fra presidente del Consiglio e ministro dell’Economia (che pubblicamente ancora viene negata come sempre è accaduto), questa volta è assai seria. Qualche preoccupazione ieri è venuta quando senza avere preannunciato l’iniziativa, Tremonti è salito al Quirinale per fare il punto con Giorgio Napolitano. Ufficialmente ha spiegato al Capo dello Stato l’impianto della manovra (il suo) e il clima internazionale che l’accompagna. Ma nessuno può escludere che sia stato riferito anche qualcosa del terribile scontro di lunedì.



‘Ndrangheta, maxi operazione in Piemonte 142 arresti. Nelle carte anche i nomi di politici. - di Elena Ciccarello


L'operazione "Minotauro" ha fatto emergere contatti tra le cosche e la politica. Centottantadue indagati, per un'inchiesta resa possibile anche grazie alle dichiarazioni rese negli ultimi anni da due collaboratori di giustizia, Rocco Varacalli e Rocco Marando. Circa 70 milioni di euro il valore dei beni sequestrati

Si è appena conclusa una lunga notte per la ‘ndrangheta in Piemonte. Una notte che ha fatto emergere, anche in questa regione, contatti tra le cosche e la politica. Non era ancora mattina quando nomi noti e astri nascenti della criminalità organizzata calabrese sono finiti uno alla volta nella rete di più di mille agenti. L’operazione “Minotauro” – che ha impegnato più di mille carabinieri – ha portato a 142 arresti, disposti dal gip Silvia Salvadori tra Torino, Milano, Modena e Reggio, tra le circa 150 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse. Centottantadue indagati, per un’inchiesta resa possibile anche grazie alle dichiarazioni rese negli ultimi anni da due collaboratori di giustizia, Rocco Varacalli e Rocco Marando. Circa 70 milioni di euro il valore dei beni sequestrati, 20mila in contanti solo a Modena. Tra questi anche dieci società, circa 127 tra ville e appartamenti, più di 200 conti correnti, diverse cassette di sicurezza, appezzamenti di terreni edificabili e automezzi per il trasporto merci. Con il maxi blitz di questa notte la Procura di Torino, che ha coordinato le indagini del Reparto investigativo Carabinieri di Torino e delle Compagnie di Ivrea e Venaria, ha colpito e decapitato i clan calabresi attivi all’ombra della Mole, “un’organizzazione imponente con centinaia di affiliati – scrivono i pm – tenacemente e capillarmente radicata nel territorio”. Con diramazione anche in altre parti d’Italia, come a Modena, dove sono stare arrestate cinque persone: tra cui anche un cittadino albanese e due marocchini, residenti a Carpi, Savignano sul Panaro e Vignola. Ma ad essere citati nelle carte, anche se non indagati, sono pezzi grossi della politica piemontese: sette nomi di amministratori locali, tra cui due assessori regionali, Porchietto e Ferrero.





DROGA, GIOCO, ESTORSIONI - Gli inquirenti rilevano che in Piemonte la ‘ndrangheta si dedica a diverse attività illecite tra cui traffico di stupefacenti, estorsioni e gioco d’azzardo. L’organizzazione è profondamente infiltrata in alcuni settori dell’economia come l’edilizia e gode di un efficace ed efficiente controllo del territorio. È in particolare nella zona a nord di Torino, lungo l’asse che dalla cittadina di Borgaro (To) giunge fino a Cuorgné (To), che la mala è palpabile già nell’aria. Il canavese e il cuorgnese, residenze storiche di famiglie della ‘ndrangheta, si confermano con questa indagine province della calabria peggiore. Sul territorio piemontese risultano presenti almeno nove “locali”, ognuno con circa 50 affiliati. Nell’ordine: il locale di Natile di Careri a Torino, Courgné, Volpiano, Rivoli (chiuso), San Giusto Canavese, Siderno a Torino, Chivasso, Moncalieri, Nichelino. A questi si aggiunge il “Crimine”, gruppo deputato alle azioni violente, e la cosidetta “bastarda”, articolazione distaccata a Salassa (To) e non autorizzata.

IL LIVELLO POLITICO - Ogni locale ha un “referente” in Calabria e l’intero hinterland torinese farebbe riferimento a Giuseppe Catalano, indicato come “responsabile provinciale”. Boss e sodali ramificano i loro affari in un clima di omertà. Anche in Piemonte, come in Lombardia, le denunce “sono pochissime e ancor meno sono le denunce spontanee”, mentre la capacità di intervento degli ‘ndranghetisti è riconosciuta da “parte della popolazione” che si rivolge a loro per chiedere “piccoli favori, intermediazioni, suggerimenti” e risolvere problemi imminenti. Ma se da una parte fa paura, dall’altra la ‘ndrangheta in Piemonte intrattiene rapporti con la politica locale anche ai più alti livelli. È il solito do ut des: la ‘ndrangheta mette sul piatto i voti e ne riceve in cambio promesse e favori. I candidati entrano in contatto con i membri della consorteria nei periodi immediatamente precedenti alle consultazioni elettorali per richiederne l’intervento, consapevoli – scrivono i pm – “dell’influenza che gli affiliati sono in grado di svolgere.. nella ‘rete dei calabresi’”.

Sono almeno sette i nomi di esponenti politici locali che, pur non figurando nell’elenco degli indagati, vengono infatti riportati nell’inchiesta. Tra questi, particolarmente rumoroso quello diClaudia Porchietto, assessore al Lavoro (in quota Pdl ) della giunta regionale di Cota. L’assessore regionale Porchietto (Pdl) è stata fotografata in via Vegli a Torino, nei pressi del Bar Italia di Giuseppe Catalano, nel periodo immediatamente precedente le elezioni provinciali del giugno 2009, mentre era candidata alla poltrona di Presidente della provincia. Nel bar, in altre occasioni utilizzato dalla ‘ndrangheta per le sue riunioni e di proprietà di Giuseppe Catalano (responsabile provinciale per Torino) Claudia Porchietto incontra, oltre al proprietario, anche Franco D’Onofrio, indicato come padrino del “Crimine” di Torino.

L’altro nome è quello di Caterina Ferrero, assessore alla Sanità della giunta Cota, sempre in quota Pdl, che solo qualche giorno fa ha rimesso le delege perché raggiunta da un avviso di garanzia per turbativa d’asta. Il nome della Ferrero emerge in riferimento ad un episodio relativo alle elezioni Regionali del 2005, in occasione delle quali l’architetto Vittorio Bartesaghi, indagato per concorso in tentata estorsione, si sarebbe fatto promotore della elezione della Ferrero in consiglio regionale presso Adolfo Crea (pluripregiudicato e indicato come responsabile del “Crimine” di Torino) promettendogli cospicui guadagni su lavori pubblici. Le carte riportano inoltre i nomi, non oggetto di indagine, di Paolo Mascheroni, sindaco di Castellamonte, che sarebbe stato eletto anche grazie al sostegno del sodalizio criminale; di Antonio Mungo, candidato al consiglio comunale di Borgaro (To) durante le consultazioni del 2009 e sostenuto secondo l’indagine da Benvenuto Praticò, indicato come appartenente al “Crimine”; e infine Fabrizio Bertot, candidato nel 2009 al Parlamento europeo e attualmente sindaco di Rivarolo Canavese, che avrebbe partecipato ad un incontro al Bar Veglia di Giuseppe Catalano con alcuni calabresi, indicati dagli inquirenti come esponenti della ‘ndrangheta, al fine di raccoglierne i consensi elettorali.

Una sola cosa cruccia i membri delle famiglie di ‘ndrangheta in Piemonte, che per il resto godono di buoni affari, buoni interlocutori e sono saldamente insediati sul territorio. L’assenza in questa regione di una “camera di controllo” tra “locali” come esiste in Lombardia e Liguria. Un coordinamento che eviterebbe gli attriti tra famiglie, creando maggiore sinergia tra i gruppi e conferendo loro maggiore autonomia rispetto alla Calabria. Gli affiliati ne parlano spesso, intercettati, e ne discutono anche i boss Giuseppe Catalano e Giuseppe Comisso. Catalano: “.. perché a Torino non gli spetta?.. che ce l’hanno la Lombardia e la Liguria, giusto? Siamo nove locali..”, risponde Comisso: “.. è una cosa che si deve fare”. Al luglio 2009, data a cui risalgono le ultime intercettazioni in cui viene affrontato l’argomento testimoniano che in quella data la “camera” non esiste ancora.



‘Ndrangheta in Piemonte, l’assessore regionale Pdl minaccia di querelare Il Fatto. - di Davide Milosa


Claudia Porchietto: "Esiste un limite invalicabile tra il diritto di cronaca e lo sciacallaggio mediatico". Il politico se la prende con il nostro sito. Pubblichiamo allora il suo comunicato stampa. E buona parte del capitolo, contenuto nella richiesta d'arresto, dedicato all'assessore che non risulta indagato

L'assessore Porchietto mentre entra nel bar assieme a Luca Catalano

La ‘ndrangheta alla conquista del Piemonte. Lo racconta l’inchiesta Minotauro coordinata dalla Dda di Torino che oggi ha portato in carcere 142 presunti affiliati. Nelle carte dell’indagine spuntano anche i rapporti con la politica. Tra i vari si cita quello di Claudia Porchietto, assessore al Lavoro (in quota Pdl ) della giunta regionale diCota. La signora, pur citata più volte, non risulta indagata. Particolare importante cheilfattoquotidiano.it nell’articolo di questa mattina ha sottolineato. Nonostante questo, l’assessore regionale, in un comunicato stampa, minaccia querele.

Ecco cosa si legge: “Esiste un limite invalicabile tra il diritto di cronaca e lo sciacallaggio mediatico: a seguito delle notizie che ho appreso leggendo i giornali ho dato mandato ai miei legali di sporgere querela nei confronti dei giornalisti del Fatto Quotidiano e dello Spiffero per diffamazione a mezzo stampa. I fatti che riportano i due giornali, che peraltro dovrebbero essere secretati visto che non ho ricevuto alcun riscontro dalla Procura – spiega Porchietto –, riguardano la mia campagna elettorale quale candidata presidente della Provincia di Torino. Vorrei chiarire sin da subito che qualsiasi incontro elettorale, durante la citata campagna elettorale peraltro ne ho fatti a centinaia, è stato organizzato da amministratori locali, simpatizzanti o semplici elettori. È impossibile per qualsiasi candidato quindi conoscere chi incontrerà e soprattutto sapere se taluna di queste persone è soggetta ad indagine. Resto a disposizione della magistratura per tutti i chiarimenti del caso. Certamente però non accetterò mai l’utilizzo sprezzante della cronaca giudiziaria a meri fini politici, scandalistici e diffamatori”.

Vediamo, invece, cosa si legge a pagina 1694 della richiesta d’arresto firmata dai magistrati di Torino e depositata agli atti dell’inchiesta Minotauro. Il capitolo 11.4 è intitolato “La vicenda Porchietto”. Poi l’incipit: “Altamente rappresentativo dell’influenza che la ‘ndrangheta assume nella vita democratica (e in particolare del legame esistente con esponenti politici) è quanto documentato dalla polizia giudiziaria in occasione delle consultazioni previste per il 6 e 7 giugno 2009 volte all’elezione del Consiglio Provinciale e del Presidente della Provincia di Torino”. E così “a partire dal 17 maggio 2009, vengono registrate una serie di conversazioni dalle quali si comprendeva che Luca Catalano, nipote di Giuseppe Catalano, stava organizzando un incontro tra “una donna” e lo stesso Catalano Giuseppe, al quale doveva assolutamente partecipare ancheFrancesco D’Onofrio“. Chi sono questi signori? Giuseppe Catalano è considerato dai magistrati “esponente provinciale della ‘ndrangheta a Torino”. Luca Catalano è suo nipote. E’ un politico locale e non risulta indagato. Infine, Francesco D’Onofrio è ritenuto esponente di vertice del Crimine in Piemonte.

Fissati i protagonisti, riprendiamo la ricostruzione dei magistrati. “Dopo le prime telefonate, in data 22.05.09 alle ore 10.58, Luca Catalano chiama Giuseppe Catalano confermando che “lei” passerà per conoscere quest’ultimo e Franco D’Onofrio”.

“L’incontro si svolge effettivamente il 23.5.2009 dalle ore 13.54 alle ore 14.01 presso il Bar Italia di Catalano sito di Torino, via Veglia n. 59, come documentato dal servizio di videosorveglianza installato nei pressi del predetto esercizio pubblico. I partecipanti vengono identificati in Giuseppe Catalano, Franco D’Onofrio, Luca Catalano e Claudia Porchietto (candidata del partito PDL alla presidenza della Provincia di Torino). Quest’ultima viene osservata arrivare alle ore 13.54 a bordo di un’automobile Fiat Brava di colore blu, condotta da Luca Catalano”. Quindi si sottolinea: “Appare pertanto certa l’identificazione della donna non nominata nei dialoghi precedenti con la candidata Porchietto Claudia”

A pagina 1696 si legge: “A maggior conferma, alle ore 13.54 veniva captato il dialogo intercorso sulla soglia del bar tra Giuseppe Catalano e la donna, che si presentava con il cognome Porchietto”. Ecco lo stralcio dell’intercettazione:

Catalano: Luca!

Donna: Buongiorno…

Catalano: buongiorno…

Donna: Buongiorno…piacere Porchietto…buongiorno…

Catalano: piacere Porchietto…le belle donne si fanno attendere…eh..

Donna: no, e che guardi…

Catalano: eh…(ride)

Donna: stiamo girando da stamattina…

Catalano: si…

Donna: …ero all’Ospedale di Venaria con il direttore sanitario e non potevo fermarmi dieci minuti…

Catalano: Luca…vuoi pranzare qualcosa…

Donna: no io…prendiamo…

Luca: un crodino veloce…

Donna: devo essere due e mezza…di nuovo in piazza San Carlo…(incomprensibile)…è un macello …come si suol dire…

A incontro terminato lo zio Giuseppe parla con il nipote Luca Catalano. nella conversazione intercettata “vengono affrontati temi riconducibili alle prossime elezioni e al’implicazione nella vicenda della citata candidata, appena incontrata”. Ecco allora il riassunto fatto dagli investigatori e contenuto nella richiesta d’arresto: “Giuseppe Catalano chiede se possono votare anche loro che sono residenti a Volvera; Catalano Luca risponde affermativamente dal momento che si tratta delle elezioni provinciali. Catalano Giuseppe afferma che vorrebbe sentire “Claudia” e chiede al’interlocutore di fissare un nuovo incontro con lei; Catalano Luca risponde che la donna ha l’agenda piena di impegni e che in quel momento è impegnata con l’onorevole Umberto Bossi a Torino. Catalanoe replica che “è interesse della donna e non suo partecipare ad un nuovo incontro”, aggiungendo che lui oggi avrebbe potuto far venire più di quaranta persone. Catalano Luca cerca di spiegare che gli impegni della donna sono molteplici e che a causa di essi avevano trascorso la mattinata a Nichelino, ma Catalano Giuseppe lo interrompe dicendo che la tappa di Nichelino era stata inutile, in quanto “a Nichelino conosce tutti Franco” (ovvero Franco D’Onofrio).

A pagina 1697 la conclusione della magistratura: “È evidente che l’incontro narrato e i commenti al medesimo dimostrano la capacità della ‘ndrangheta di influenzare la vita istituzionale del paese, andando a incidere fortemente nelle attività e nelle rappresentanze politiche locali”. Certo Claudia Porchietto molto probabilmente non sapeva chi fossero i suoi interlocutori.



Santoro via dalla Rai, Belpietro esulta: ora è gratis. Ma Libero vive con i milioni pubblici. - di Mario Portanova


Annozero chiude è i media vicini al premier applaudono: non dovremo pagarlo noi. In realtà, il giornale dell'editore Angelucci tra il 2006 e il 2007 ha incassato q5 milioni di euro di denaro pubblico

Che scandalo, questi giornalisti che fanno i tribuni con i soldi pubblici. E’ la vigorosa denuncia di Libero, il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, che ieri titolava in prima pagina: “Ora Santoro è gratis”, perché qualunque cosa farà fuori dalla Rai “non dovremo pagarlo noi”.

La verità è esattamente opposta: Michele Santoro può piacere o meno, ma con Annozero alla Rai portava profitti. E’ invece proprio Libero a essersi impossessato di parecchi milioni di euro della collettività, facendosi pagare – lui sì – da noi, pur macinando privatissimi profitti a favore del suo editore Antonio Angelucci (che sempre da noi prende un lauto stipendio, visto che è stato piazzato in Parlamento dal Pdl).

Soldi della collettività che, per di più, sarebbero finiti a Libero in violazione della legge, secondo l’Autorità garante per le comunicazioni. Il 9 febbraio di quest’anno, infatti, l’Agcom ha inflitto ad Angelucci una multa di 103.300 euro proprio in relazione ai fondi di sostegno percepiti dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del consiglio.

Fondi che sono finiti sia a Libero che al Riformista, quotidiani notoriamente riconducibili ad Angelucci e alla sua Tosinvest. Solo che la legge vieta allo stesso editore di chiedere i contributi pubblici per più di una testata. Così l’Agcom ha disposto degli accertamenti ed è arrivata alla conclusione che, al di là degli assetti societari formali, Libero e il Riformista appartengono all’imprenditore-parlamentare del Pdl. L’interessato ha pagato la multa, ma ha fatto ricorso al Tar, che dovrebbe decidere il 12 ottobre. L’irregolarità è stata contestata dal 2006 al 2010. Di conseguenza, il 29 marzo il Dipartimento per l’informazione e l’editoria ha messo in moto la procedura per ottenere la restituzione dei soldi. Si parla di una cifra intorno ai 43 milioni di euro, di cui circa la metà effettivamente incassati dalle due testate. Negli anni 2006 e 2007, il giornale oggi diretto da Maurizio Blepietro beneficiò di oltre 15 milioni di euro.

Ben diverso il discorso per Annozero, reduce da una stagione di ascolti record, con punte di share del 24 per cento in prima serata (e una platea tra i cinque e i sette milioni di spettatori), contro una media di Raidue assestata intorno al 10. E questo per la Rai significa soldi, tanti soldi. L’ultima serie della trasmissione di Michele Santoro è costata complessivamente 6,3 milioni di euro, si legge in un approfondito aricolo di Lettera43, e ne ha ricavati 45 milioni in spot pubblicitari. In sintesi: Belpietro festeggia un danno per il contribuente, spacciandolo per un risparmio, dalle colonne di un giornale che al contribuente deve qualche decina di milioni di euro.





Tagli ai disabili, Gelmini condannata E scoppia il caso Giochi studenteschi.



Il Tribunale della Spezia ha giudicato discriminatoria la condotta del Ministero denunciato da uno studente: dovrà ripristinare le ore di sostegno e pagare le spese. Intanto il ministro non riesce a placare la polemica sulla esclusione dalle gare sportive nazionali.


di SALVO INTRAVAIA -

"Condotta discriminatoria" . Così Il tribunale della Spezia ha giudicato la decisione del ministro Gelmini di ridurre le ore di insegnamento di sostegno. Ed è stasta denunciata da uno studente disabile di un istituto superiore della città ligure. Il giudice ha condannato il Ministero a ripristinare le ore di sostegno e a pagare le spese processuali. I genitori del ragazzo hanno contestato il contrasto fra i tagli della Gelmini e il diritto alla tutela delle persone con disabilità. "L'articolo 3 della Costituzione - si legge nel ricorso - promuove la piena attuazione del principio di parità di trattamento" e con il provvedimento ministeriale "viene leso il diritto del disabile all'istruzione".

E intanto non si placa la polemica per l'esclusione degli alunni disabili dai giochi sportivi studenteschi. Tanto che la commissione Cultura della Camera sconfessa il ministro dell'Istruzione presentando una risoluzione bipartisan che chiede lumi. Dopo l'intervento del ministro, che ha bollato come "falsa" la notizia, sull'argomento torna l'Italia dei valori. La prima a chiedere lumi sull'esclusione degli alunni con handicap dalle finali nazionali di Corsa campestre è stata la deputata del Pd, Manuela Ghizzoni, che si è affidata ad una interrogazione parlamentare.

"L'esclusione dei ragazzi disabili dalle finali dei giochi sportivi studenteschi è gravissima e in netto contrasto con le norme di legge sull'integrazione scolastica, che da sempre costituisce un punto di forza del nostro sistema educativo", tuonava una settimana fa la Ghizzoni. La deputata, in occasione delle finali nazionali di Corsa campestre disputate a Nove (Vi) lo scorso 20 marzo, ha messo sul banco degli imputati la modulistica, inviata dal ministero alle scuole quest'anno, che "non prevede quella abitualmente prevista per gli studenti disabili".

Chiedendo all'inquilino di viale Trastevere, come "il ministero intenda ovviare ad una situazione discriminatoria che contrasta con la piena inclusione di questi alunni, anche attraverso progetti di diversità motoria e sportiva, quale obiettivo prioritario della scuola dell'autonomia". "Dall'anno scolastico 2009/2010 - ha risposto la ministra - le finali nazionali dei Giochi si svolgono nelle discipline organizzate dalle rispettive federazioni sportive, a proprio totale carico". "Tale decisione - prosegue il ministro - deriva da accordi intercorsi con il Coni, per un'equilibrata ripartizione dei compiti e dei relativi oneri finanziari".

E quindi la frase di rito. "E' destituita di fondamento la notizia, apparsa su alcuni media, secondo cui i disabili sarebbero esclusi dalla pratica sportiva nella scuola italiana". "Si tratta - conclude il ministero - di una tesi falsa, usata strumentalmente per ragioni di lotta politica e non per tutelare gli interessi dei disabili". Ma la risposta non convince il portavoce alla Camera dell'Italia dei valori, Leoluca Orlando Cascio, che minaccia di portare il ministro Gelmini davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo. "Valuteremo in sede europea - dichiara il deputato dell'Italia dei valori - se sussistono gli elementi per denunciare il ministro della 'distruzionè italiana, Mariastella Gelmini, alla Corte europea dei diritti dell'uomo, per la violazione dell'articolo 26 della Carta Ue dei diritti dei disabili".

"I diversamente abili, infatti - aggiunge Orlando - sono stati esclusi lo scorso week-end dalle finali nazionali italiane di corsa campestre dei Giochi, perché mancavano i moduli per iscriverli alla gara, documenti che il ministro Gelmini avrebbe dovuto inviare alle scuole". La "dimenticanza" per Orlando si configura come "una grave discriminazione che ricorda di vicino quelle dei nazisti e il silenzio del ministro, che non ha neanche ritenuto opportuno chiedere scusa ai ragazzi e alle loro famiglie, è ancora più grave e ignobile". Anche i deputati della VII commissione di Montecitorio vogliono vederci chiaro.

La risoluzione chiede al governo di intervenire "per ovviare ad una situazione discriminatoria che contrasta con la piena inclusione di questi alunni prevista dagli obiettivi prioritari della scuola dell'autonomia, anche attraverso progetti di diversità motoria e sportiva". I deputati chiedono anche un finanziamento ad hoc a favore del Comitato paralimpico "affinché esso possa svolgere con continuità la sua funzione e possa programmare le sue attività". Bollando l'esclusione di quest'anno come azione "in netto contrasto con le norme di legge sull'integrazione scolastica degli alunni con disabilità che da sempre costituisce un punto di forza del sistema educativo italiano".

L'ultima nota ministeriale sui giochi sportivi studenteschi - dello scorso 8 aprile - in effetti dà conto di una certa confusione sul tema e di qualche "dimenticanza". I Giochi sportivi studenteschi vengono "ormai da anni supportati finanziariamente con risorse provenienti dal fondo della legge 440/97", quella sul finanziamento dell'Autonomia, si legge nella nota. "Nell'esercizio 2009 il fondo non è stato reso disponibile e la sua utilizzazione è slittata nel corrente esercizio finanziario", prosegue la circolare. Ma "l'entità delle risorse fruibili per lo specifico fine è stata definita di recente e ciò rende solo ora possibile fornire notizie in ordine alla somma su cui può fare affidamento ciascun Ufficio scolastico regionale.

E' opportuno precisare - continua - che le somme esposte nel piano di riparto, pur certe nel loro importo, potranno essere erogate soltanto quando la conclusione delle operazioni di variazione del bilancio renderà possibile operare contabilmente". Ma siamo ad aprile e l'anno scolastico 2009/2010 volge al termine. Viale Trastevere, a questo punto decide di farsi carico delle "spese relative allo svolgimento dei Giochi sportivi studenteschi nelle fasi provinciali e regionali". Mentre "le finali nazionali saranno organizzate con spese integralmente a carico delle federazioni sportive nazionali che intenderanno effettuarle". Tuttavia, spiega la nota, "ad oggi, non è ancora esaustivamente definito il quadro delle federazioni sportive che organizzeranno detti eventi".

E "ritenendo necessario dare priorità alle discipline coinvolte nelle manifestazioni sportive scolastiche internazionali del 2011 (atletica leggera, pallacanestro, nuoto, calcio, tennis, orienteering), gli oneri relativi ai trasporti per le finali nazionali delle summenzionate discipline saranno sostenuti da ciascun Ufficio scolastico regionale con le somme loro assegnate". Si tratta delle contestate fasi nazionali? Spulciando, inoltre, tra le Norme tecniche sui Giochi, emanate l'anno scorso, si scopre che le fasi nazionali dei Giochi sono previste anche per gli alunni con disabilità, che possono iscriversi "ad una sola delle gare individuali in programma".

Ovviamente, non per tutti gli sport. Ma a sorpresa tra le discipline di Atletica leggera rivolte ai disabili è prevista la Corsa campestre: proprio la disciplina oggetto della interrogazione parlamentare della deputata del Pd. Ma questo, forse valeva per l'anno scolastico 2009/2010. Per il 2010/2011 non ci sono né note né circolari.

mercoledì 8 giugno 2011

Galan: ministeri al Nord? Una puttanata intercontinentale


Il ministro della Cultura boccia la proposta leghista:
solo propaganda che mette in difficoltà gli alleati

Galan (Omniroma)
Galan (Omniroma)
ROMA - «Una puttanata intercontinentale». Così il ministro della Cultura Giancarlo Galan definisce la proposta leghista di trasferire alcuni ministeri al Nord. «È tutto tranne che una cosa seria - dice Galan a Radio Radicale -, anzi, se non fossi in onda su Radio Radicale direi che è una puttanata intercontinentale e mi meraviglio che non la si tratti come tale».

«SOLO PROPAGANDA» - Di più, il ministro della Cultura (del Pdl) spiega: «È semplicemente una iniziativa propagandistica - prosegue Galan - che mette in difficoltà gli alleati e che non ha alcuna possibilità di essere attuata. È sgradevole e inutile anche perché dà la sensazione che chi dovrebbe battersi per risparmiare nella spesa pubblica in realtà la dilata, chi dovrebbe contrarre la pubblica amministrazione in realtà la dilata. Insomma un errore fondamentale, marchiano, evidente sotto tutti i profili».

http://www.corriere.it/politica/11_giugno_08/galan-ministri-nord-puttanata-intercontinentale_e385be44-91c0-11e0-9b49-77b721022eeb.shtml



Sul quorum il rebus del voto all'estero ma il governo rischia l'autogol


Dal Viminale la conferma che gli italiani all'estero non potranno votare sulle nuove schede. Aver modificato la legge e il conseguente cambio del quesito potrebbe portare però al paradossale risultato di rendere più facile il raggiungimento del 50%. Il radicale Staderini: "Tutti gli italiani che vivono fuori dal paese sono stati messi in condizione di votare? Il governo risponda, è una questione di democrazia".


ROMA - Appelli, mobilitazioni, flash mob, passa parola in rete. La battaglia per il raggiungimento del quorum ai referendum del 12 e 13 giugno si combatte con molte armi, ma alla fine la battaglia decisiva sarà probabilmente quella che si disputerà a partire da lunedì pomeriggio in Cassazione attorno al voto degli italiani all'estero. Oggi il Viminale, attraverso la comunicazione al Parlamento del ministro Elio Vito, ha reso noto che sono in corso di stampa e distribuzione in tutto il Paese le schede di colore grigio con la nuova formulazione del quesito sul nucleare, così come disposta dall'ordinanza 1 giugno 2011, depositata il 3 giugno dell'ufficio centrale per il Referendum presso la Cassazione.

Le nuove schede però non saranno nuovamente inviate agli italiani residenti all'estero, dal momento che il voto poteva essere espresso solo entro il 2 giugno. Le vecchie schede già votate saranno conteggiate ai fini del risultato ma soprattutto ai fini del raggiungimento del quorum? Su questo punto Vito non si è espresso. E' logico pensare però che il governo dopo i ripetuti tentativi di sabotare la consultazione non rinuncerà a considerare anche i 3,2 milioni di italiani residenti oltreconfine parte della base elettorale su cui calcolare il 50% di votanti necessario a rendere valido il referendum.

Proprio il pasticcio combinato da Berlusconi e Romani con la finta moratoria inserita nel dl omnibus rischia però di depotenziare l'arma più efficace posseduta dal Governo per far fallire i quesiti. Per capire il perchè è necessario però fare un passo indietro.

Come ha spiegato Antonio Di Pietro a Repubblica Tv 1, contando gli italiani all'estero - che hanno votato però su un quesiti che non esiste più - il quorum sale in realtà al 58%. Anche se le schede spedite per corrispondenza tra il 25 maggio e il 2 giugno fossero conteggiate, difficile sperare che siano poco più di qualche decina di migliaia. Se dei referendum si è parlato poco o nulla qui da noi, è facile capire quanto ancor meno ne siano stati informati gli italiani all'estero, tra l'altro tendenzialmente più distratti e inclini all'astensionismo (alle ultime politiche, per dire, ha votato solo il 39,5%). Detto in altre parole, se si fosse votato tutti con il vecchio quesito il raggiungimento del quorum sarebbe stato davvero ai limiti dell'impossibile. Ma il governo, con la sua smania di sabotaggio, è riuscito nell'impresa di far votare italiane e italiani all'estero con due schede diverse, spalancando così la porta a un ricorso che Di Pietro ha già annunciato di voler presentare entro le 15 di lunedì alla Cassazione.

Precedenti in materia non ce ne sono, ma che i giudici - che tra l'altro sino ad oggi hanno sempre dato ragione ai reclami dei referendari - possano decidere di non cosiderare validi ai fini del quorum i voti espressi su schede diverse da quelle su cui ci si esprime ai seggi il 12 e 13 appare più di un'ipotesi. Nel caso le cose andassero davvero così, le possibilità che il referendum sia valido crescerebbero vertiginosamente. "A superare il muro del 50 per cento ce la facciamo, del 58 no", profetizzava sempre Di Pietro. Che a quel punto avrebbe "azzeccato" anche un'altra profezia: "Berlusconi lo ringrazio. Meno male che si attornia di tanta gente incompetente e incapace: prima fa un decreto per fermare il referendum sul nucleare, poi ricorre alla Cassazione, poi alla Consulta, con il risultato che oggi tutti parlano del referendum".

E un'altra, importante, questione la pone il segretario dei Radicali Mario Staderini. "Tutti gli italiani all'estero sono stati messi nelle condizioni di votare?" si chiede il leader radicale. "I dubbi sulla regolarità del voto degli italiani all'estero - dice - riguardano tutti e quattro i referendum, non solo quello sul nucleare. La questione non è tanto se chi ha già votato sul nucleare debba o no rivotare, bensì se gli oltre 3 milioni di italiani all'estero sono stati messi effettivamente nella condizione di votare per i quattro referendum". "Siamo davvero sicuri - insiste - che siano stati tutti informati nei loro attuali recapiti della possibilità di votare? Il plico contenente le schede referendarie non è inviato tramite raccomandata, per cui non v'è certezza sulla sua effettiva ricezione. Peraltro, sono sempre di più le segnalazioni che sto ricevendo i italiani all'estero a cui le schede non sono arrivate nonostante al consolato risultasse di si. Lo stesso voto all'estero avviene con posta ordinaria, per cui chi ha votato non saprà mai se il suo voto è arrivato a destinazione.
E poi, quali informazioni di merito e occasioni di conoscenza i consolati hanno garantito affinché l'interesse a votare non fosse soffocato? Dal momento in cui il quorum condiziona la validità del voto di decine di milioni di italiani, la verifica su cosa accaduto ai 3 milioni di votanti all'estero è condizione essenziale di democrazia. Chi non è stato messo in condizione di votare non deve essere conteggiato nel quorum. Sto valutando la possibilità di fare un ricorso in Cassazione".