venerdì 10 giugno 2011

Santoro a Garimberti: “Se volete Annozero sono pronto a condurlo a un euro a puntata”.


Ultima chiamata per la Rai. Michele Santoro, adesso che il contenzioso con l’azienda non è più a tre con i giudici, mette viale Mazzini alle strette: “Vorrei che lei, presidente Garimberti, scegliesse in libertà se in questa azienda una trasmissione così la volete o no. Io non ho ancora firmato con nessun altro editore e quindi da domani teoricamente potrei essere disponibile a riprendere questo programma al costo di un euro a puntata nella prossima stagione”. Il conduttore ha scelto il prologo dell’ultima puntata di Annozero per il suo affondo, forse non finale. “Caro presidenteGarimberti, se fossi in lei non mi preoccuperei di quello che sto per dire, ma di quello che lei sta per fare – ha iniziato il conduttore -. Chi è il vero artefice del destino della Rai? Io sono un giornalista della Rai. Anche Celentano è della Rai. Chi è che gli impedisce da anni di fare un programma sulla tv pubblica?”. E proprio durante una telefonata in diretta del Molleggiato scoppia la polemica. Il ministro Roberto Castelli, ospite in studio, si dice democratico ma anche “stufo di pagare Travaglio con i mie soldi”. A queste parole, Santoro non si contiene: “Adesso basta. Noi non prendiamo un euro dal canone – urla -. Dovete lasciare libera la Rai, fuori i partiti!”. “Dovete capire che c’è gente che non si compra – continua -, noi siamo del mercato”. E mentre Santoro mette nell’angolo i vertici Rai, Antonio Verro, consigliere di maggioranza di viale Mazzini, va a trovare Silvio Berlusconi a Palazzo Grazioli. Lo stesso consigliere che in giornata si era espresso negativamente contro un’altra trasmissione Rai, ‘Ballarò’, chiedendo più pluralismo.


“Nella mia visione della vita c’è la dignità del lavoro – spiega Santoro – che è la condizione della libertà”. Perché il giornalista, ricorda lui stesso, oltre ad essere “della Rai” è anche figlio di un ferroviere. “Quando si attacca la gente come me – continua – offende la gente come mio padre, perché gli impedisce di avere un sogno”. Eppure, adesso è stanco. ”Non si può sempre resistere resistere resistere”, spiega. Il conduttore è in attesa del giudizio della Cassazione sul suo reintegro, già disposto dai giudici in primo grado e in appello, che hanno anche rigettato il ricorso dell’azienda. Un contenzioso che “si è ritenuto di far cessare per recuperare la piena reciproca autonomia decisionale”, spiegava la Rai tre giorni fa in una nota, annunciando il divorzio “consensuale” dell’azienda da Santoro. Una fuoriuscita, quella del conduttore, posta come condizione per qualunque accordo da viale Mazzini. ”Io non voglio più andare in onda perché lo decidono i giudici – sottolinea il conduttore -. Ma anche se avessi vinto in Cassazione, non sarei stato contento. Perché non sarei stato considerato uno della Rai, ma uno graziato dai giudici di sinistra”.

Una battaglia che parte da lontano. E che ha il suo scontro principale nel 2002, quando il presidente del Consiglio emana quello che è passato alla storia della televisione come ’Editto bulgaro’. “Biagi, Luttazzi e Santoro hanno fatto un uso criminoso della televisione pubblica”, dice il premier da Sofia. Risultato: i tre vengono allontanati dalla Rai. E Santoro apre il suo contenzioso con l’azienda, ancora non concluso. In mezzo ci sono polemiche, una telefonata in diretta dell’ex direttore generale della Rai Mauro Masi e uno scandalo. “Uno scandalo mondiale”, lo definisce oggi Santoro. ”Presidente Napolitano – è l’appello del conduttore – ci rendiamo conto che siamo l’unico Paese in cui l’arbitro della comunicazione è espresso direttamente dai partiti?”. Il riferimento è all’Agcom che, tra i numerosi attacchi alla trasmissione, ha un posto di rilievo. Quello nel fascicolo della procura di Trani, in cui compaiono le telefonate tra un ex dipendente dell’Autorità garante per le Comunicazioni, Giancarlo Innocenzi, e il premier. Conversazioni in cui Berlusconi chiede di mettere fine a programmi come ‘Annozero’ e commenta che se l’Agcom non ne è capace allora fa davvero “schifo”.

“C’è una cosa che ha urtato la mia sensibilità – ha aggiunto il giornalista -. Voi dicevate che ero in onda per giudici, ma mentre ‘Annozero’ incassava milioni di euro, questi erano spesi da avvocati per portarmi in tribunale fino in Cassazione”. ”Se la mia andata via serve ad evitare il bombardamento di ciò che rende grande il servizio pubblico, come Fazio, Gabanelli, Dandini,Iacona - prosegue Santoro – preferisco andare via”. “Ora al diavolo ‘Annozero’ – conclude – comincia l’Annonuovo”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/06/09/santoro-laddio-alla-rai-nellultima-puntata-di-annozero/117093/


Acqua ai privati, i numeri del flop Denunce dai Comuni, utenti infuriati.


La privatizzazione è partita ormai da 17 anni. Da Roma, alla Campania, alla Toscana piovono contestazioni, mentre si fanno strada sospetti per l'attenzione alle norme di sicurezza.


di CORRADO ZUNINO

ROMA - La privatizzazione dell'acqua pubblica italiana, avvenuta negli ultimi 17 anni, non è stata fin qui un successo. Innanzitutto perché ha peggiorato le cose per gli utenti. Sono 114 le società che gestiscono il ciclo delle acque in Italia: 7 private, 22 a capitale misto con partner selezionato tramite gara, 9 controllate da società quotate in Borsa e 58 interamente pubbliche. Ci sono problemi, sul fronte privato, a Roma e provincia, a Rieti, a Frosinone, in alcuni acquedotti toscani (sei aperture al mercato realizzate del centrosinistra), in Umbria, in Campania, in Sicilia. Il rapporto fra utenti è gestori è sempre più conflittuale: bollette pazze, distacchi per morosità non riconosciute, letture contestate, calcoli imprecisi. E problemi per la salute, come dimostra l'arsenico trovato in concentrazioni elevate nei rubinetti dei Castelli romani e nel litorale della capitale.

L'Acea holding, quotata in Borsa, in mano al Comune di Roma al 51 per cento e con Francesco Gaetano Caltagirone primo privato con il 15, debiti per due miliardi e 350 milioni di euro, è la società che ha mostrato il maggiore interesse sul controllo dell'acqua. Gestisce il servizio idrico in dodici aree italiane attraverso società controllate. Dalla capitale al Beneventano, dal Senese al Basso Valdarno all'Umbria al Trasimeno: 8 milioni e 400 mila utenti. A Frosinone i cittadini hanno dichiarato guerra alla sua Ato5, società per azioni sull'orlo del crack visto il dissesto da oltre 40 milioni di euro.
Investimenti promessi ai Comuni da servire mai realizzati e aumenti tariffari retroattivi (mai incassati per la ribellione degli utenti) nel tentativo di riempire la voragine del debito. Una pessima gestione quella di Acea Ato5, passata nel frattempo dai manager graditi alla sinistra a quelli del centrodestra (con Gianni Alemanno azionista di maggioranza). Oggi i vertici, che hanno preannunciato la consegna dei libri contabili al Tribunale fallimentare, sono sotto inchiesta alla Procura di Frosinone.
Publiacqua, sede a Firenze, copre 49 comuni allargati su quattro province toscane e viaggia con deficit milionari da tre esercizi. Il Comitato di vigilanza sulle risorse idriche del ministero dell'Ambiente ha comminato alla società una sanzione di 6 milioni e 200mila euro: non poteva chiedere ai clienti, insieme all'aumento delle tariffe, un "deposito cauzionale".

Acea Ato2 spa (Roma e Provincia) ha aumentato le tariffe, ma i suoi conti non sono in equilibrio. E' nell'acqua che distribuisce che sono state trovate tracce di arsenico. Ad Aprilia (provincia di Latina) settemila famiglie si rifiutano di pagare gli aumenti alla società Acqualatina, partecipata dalla multinazionale francese Veolia: preferiscono continuare a versare "il giusto", ovvero le tariffe decise dal Consiglio comunale, sul conto corrente del Comune. La spa ha risposto scatenando Equitalia, il riscossore più potente del paese, e mandando i vigilantes ad abbassare la potenza dell'erogazione a chi praticava l'autoriduzione. Il Consiglio comunale di Aprilia, con una sentenza del Consiglio di Stato in mano e sfidando la volontà della Provincia, ha già chiesto la restituzione dell'acquedotto anticipando così le istanze referendarie. Il "giusto" pagato dai settimila ribelli ha portato nelle casse del Comune un milione di euro, base da cui ripartire per ripubblicizzare l'acquedotto.Domenica e lunedì, il Comitato acqua pubblica di Aprilia metterà a disposizione un'auto per accompagnare ai seggi le persone anziane.

Ad Arezzo, prima privatizzazione d'Italia (società Nuove Acque controllata da Acea e dai francesi di Gdf Suez), si pagano le terze tariffe più care d'Italia: in dieci anni sono raddoppiate. Ad Agrigento dal 2007 governa la Girgenti Acque spa: dopo due anni i sindaci hanno chiesto la rescissione del contratto di gestione. Erano arrivate bollette decuplicate, in alcune zone i comuni avevano dovuto far arrivare l'acqua con autobotti d'emergenza.

Non è certo che il ritorno al pubblico nei servizi idrici, auspicato dai referendari, possa restitutire acqua di qualità e a prezzo equo ai cittadini lasciando le casse degli enti locali in ordine. Di certo, il sistema misto, pubblico-privato, in Italia ha fallito. I sindaci si dichiarano impotenti, lasciando il governo dell'acqua ad amministratori spesso lontani dal territorio, e si accontentano di ricevere dividendi e piazzare uomini graditi nel sottogoverno delle società municipalizzate. I cittadini privatizzati sono furiosi: nel 2010 gli aumenti medi, ha testato la Federconsumatori, sono stati del 6,85 per cento con punte del 30 per cento a Carrara, Massa e Rieti. In dieci anni gli aumenti sono arrivati al 63 per cento, il triplo dell'inflazione.

Sisma Giappone, Nisa raddoppia stime radiazioni Fukushima.


Tokyo (Giappone) – L'agenzia governativa giapponese per la sicurezza nucleare (Nisa) ha raddoppiato le stime sulla quantità di radiazioni rilasciate nell'aria dalla centrale nucleare di Fukushima, aggiungendo che i danni ai reattori sono stati peggiori di quanto si pensasse in precedenza. In un rapporto pubblicato oggi, la Nisa sostiene che il combustibile nucleare in tre dei reattori della centrale di Fukushima Daiichi si è fuso non solo all'interno dei noccioli, ma è anche fuoriuscito dalle vasche di contenimento. La quantità di radiazione rilasciata sarebbe pari a un quinto delle radiazioni fuoriuscite durante il disastro di Chernobyl. Gli analisti Nisa hanno usato per le rilevazioni un diverso metodo rispetto a quello usato lo scorso mese dalla Tepco, che si ritiene "rifletta meglio la realtà".



giovedì 9 giugno 2011

Prideaux e l’uomo che ha fregato l’Italia. - di Andrea Valdambrini


Ecco il mio incontro-intervista con John Prideaux, autore del rapporto speciale dell’Economist sull’Italia.

“Per quanto mi possa sforzare, non riesco a trovare nessun settore in cui Berlusconi abbia giovato all’Italia. Non nell’economia, che in questi ultimi anni è rimasta al palo e non ha beneficiato di alcuna riforma strutturale. Non nella fiducia verso le istituzioni, che è stata danneggiata forse irreparabilmente dal premier. Neppure nella politica estera, che ha pericolosamente oscillato tra la vicinanza alla Libia di Gheddafi o alla Russia di Putin e Medvedev”. John Prideaux, 35 anni, è l’autore del “rapporto Italia”, quasi 20 pagine di articolo – unico firmato, in una pubblicazione dagli articoli tradizionalmente anonimi – che comparirà nel prossimo numero dell’Economistin uscita l’11 giugno. Il testo è frutto di quasi due mesi di lavoro tra Torino, Milano (anche se prima delle comunali), e infine Roma alla ricerca di un quadro complessivo del nostro Paese. A 150 anni dalla sua nascita, Berlusconi ancora – e per quanto ancora? – “regnante”.

Qualche giorno fa abbiamo incontrato Prideaux nella sede dell’Economist, chiedendogli di sintetizzare per il Fatto le conclusioni della sua lunga e dettagliata analisi.

“Sono andato in Italia senza pregiudizi. E certo, il primo elemento che è emerso è quanto la situazione economica sia allarmante”. Come osservatore certamente super partes Prideaux ammette che sia la destra che la sinistra tirano acqua al loro mulino, dipingendo la prima una situazione non terribile, la seconda addossando invece ogni colpa all’attuale governo. “Ho incontrato molti imprenditori, anche importanti, del nord industriale. Ho visto voglia di fare, e realtà anche molto dinamiche e interessanti”. Ma tutto questo si infrange contro un’amara realtà. “Ho conosciuto tantissimi italiani giovani qui in Gran Bretagna, negli Stati Uniti. Ce ne sono ovunque nelle organizzazioni internazionali come nelle università più prestigiose, e tutti preferiscono non tornare. La risposta che mi sono dato è che non lo faranno finché questo sistema bloccato non cambia. È molto triste”.

Contatti con il governo ne ha avuti, ma con estrema difficoltà. “Sono riuscito a intervistare solo il ministro Gelmini. In altri Paesi sono gli stessi politici che cercano contatti con noi per chiarire la loro posizione, ma in Italia sembra ci sia molta diffidenza nei confronti della stampa estera, o forse nel confronti proprio dell’ Economist”. Sarà mica per la critica a Berlusconi, inadatto a guidare l’Italia, come titolaste anni fa? Sarà mica perché il premier pensa che siete comunisti? Prideaux non trattiene un sorriso: “Tempo fa Berlusconi era a un incontro con la stampa estera, a Roma. Incontra un giornalista inglese e gli chiede per chi scrive. ‘Per il Guardian, risponde il corrispondente. Ma anche per l’Economist. Nessuno è perfetto’, scherza. Berlusconi lo fredda: ‘Infatti, lo dice lei stesso’.

Altra figura chiave è quella di Gianfranco Fini. “Lasciamo da parte le questioni personali tra lui e il premier, la rivalità e l’ambizione. In ogni caso penso che un grande merito ce l’abbia”. Prideaux affonda il coltello in una della realtà del panorama politico italiano meno comprensibili ad un britannico, abituato ad una ordinata, persino noiosa, politica bi-tripartitica, in cui le parole della politica non hano perso tatalmente di significato. “Immagino di essere un conservatore italiano, che vuole la libertà economica e che crede nelle istituzioni. Come posso essere rappresentato da un populista come Berlusconi? Le uniche riforme liberali, negli ultimi anni, le ha fatte Bersani, con le cui politiche un cittadino di destra potrebbe tranquillamente identificarsi”.

E conclude tornando a Fini: “Penso che il leader di Fli abbia aperto la possibilità di una destra nuova. Indipendentemente da dove il suo gesto condurrà, gliene va dato atto”.



Spinoza. Maltempo si spera.


Referendum, si voterà il 12 e il 13 giugno. Ma solo nei seggi elettorali che aderiscono all’iniziativa.

(Quattro sì per dire no. Un referendum a misura di donna)

I referendum riguarderanno Berlusconi e l’uso del nucleare. Ma sono due quesiti diversi.

Tra i quesiti c’è quello dove si è chiamati a decidere se non fare le centrali nucleari o protestare dopo per non averle vicino casa.

Questi referendum potrebbero avere implicazioni terribili. Tipo doversi leggere i quesiti.

Gli italiani saranno di nuovo chiamati a esprimersi sul nucleare. Finché non daranno la risposta giusta.

Sul nucleare pesa la questione delle scorie: vengono ammassate a tempo indeterminato in attesa dello smaltimento, la gente ne ha paura, nessuno le vuole e spesso finiscono in fondo al mare. Dov’è il problema? Con gli immigrati funziona.

I primi due quesiti riguardano l’acqua. Chiamato alle urne il 65% di ogni avente diritto.

Bossi: “Il quesito sull’acqua è attraente”. Il fascino dell’ignoto.

Si parla pochissimo del legittimo impedimento. È che non ci sembra vero poter parlare anche d’altro.

Si voterà anche per abrogare il legittimo impedimento del presidente del Consiglio. Ma voi per semplicità immaginate che sulla scheda ci sia scritto “Vuoi che Berlusconi vada in galera?“

Berlusconi ricorre alla Consulta tentando di bloccare il referendum. Comincia già a sentire la punta.

Il referendum sul nucleare si farà anche grazie ad Adriano Celentano. O almeno lui è convinto così.

La decisione della Cassazione è giunta a sorpresa. Ormai non si parlava nemmeno più di Fukushima.

Berlusconi: “Il referendum sull’acqua è demagogico, quello sul nucleare è inutile”. Allora mi dia solo quello divertente.

Il premier sembra intenzionato a lasciare libertà di voto. Uno prima di morire le vuol provare tutte.

“Ai nostri elettori daremo libertà di coscienza”. E in euro quanto fa?

Alla vigilia del voto Berlusconi promette tagli alle tasse. Un colpo di scena del genere non si vedeva dai tempi di Titanic.

Giornalista del Tg1 sbaglia la data dei referendum. Poi si dice contrario al divorzio.

Pronta la rettifica dell’edizione serale: non è un giornalista.

In vista del voto si temono brogli: il rischio è quello di migliaia di astensioni false.

Enel, rubate informazioni segrete sul programma nucleare. Giusto per ribadire il concetto di sicurezza.

Veronesi: “Senza il nucleare l’Italia muore”. Umberto, quella è l’acqua.

Anche Margherita Hack è d’accordo sul nucleare. Conosce gli atomi personalmente.

Vasco Rossi: “La Francia ha il nucleare, tanto vale che ce l’abbiamo anche noi”. Anche se questa frase un senso non ce l’ha.

(Vasco è favorevole al nucleare. Con un po’ di fortuna gli eviterà di dover lavorare a un altro album)

Dopo il Tg1, anche il Tg2 sbaglia la data del referendum. Ora è di nuovo giusta.

I principali tg pubblici sbagliano le date dei referendum. Poi rimediano con un appello di Alessandro Natta.

Molti andranno al mare. Hanno saputo che si vota anche sull’acqua.

Il Pdl detta la linea ai suoi elettori: “Non fate il bagno dopo mangiato”.

Sul nucleare pesa l’incognita degli italiani all’estero: potrebbero vendicarsi.

Berlusconi prepara un viaggio a Sidney nella data del referendum. Per le prossime politiche pensa a Caracas.

Bossi: “Non andrò a votare”. Teme di finire come la sora Lella.

Il Papa dice no alla convivenza e alle coppie di fatto. Gli annulleranno la scheda.

“Non dobbiamo politicizzare i referendum” ha dichiarato Pierluigi Bersani, 59 anni, casalinga.

http://www.spinoza.it/2011/06/09/maltempo-si-spera/



Palermo si organizza per il Referendum Quattro SI per colpirli al quorum. - di Giuseppe Pipitone



"Il 12 e il 13 giugno il mare è chiuso. I seggi no!" è stato lo slogan del comitato referendario siciliano "2 sì per l'acqua bene comune". E' per convincere la gente ad andare a votare per la consultazione referendaria c'è anche chi fa il 20 per cento di sconto.

Comunque vada sarà una consultazione referendaria che passerà alla storia come una triste pagine di estrema lontananza tra la classe dirigente e il paese reale. Dopo aver tentato tutte le carte per affossare il referendum (compresa quella di porre la fiducia sul decreto Omnibus) il Governo ha scelto semplicemente di non parlarne. O parlarne male. E' toccato quindi ai movimenti di liberi cittadini cercare di pubblicizzare la consultazione referendara del 12 e 13 giugno. Con il quorum fissato al 50 per cento più uno degli elettori italiani (oltre 25 milioni di voti) l'impresa di coinvolgimento al voto è ardua ma non impossibile. "Il 12 e il 13 giugno il mare è chiuso. I seggi no!" è stato lo slogan del comitato referendario siciliano "2 sì per l'acqua bene comune". Gli appartenenti al comitato si sono spinti fin sulle spiagge di Mondello per convincere la gente ad andare alle urne e votare contro la privatizzazione dell'acqua.

"Fissare la data del referendum- scrive il comitato palermitano n un nota - nell'ultima domenica disponibile è stato senza dubbio un gesto che va nella direzione di scoraggiare la partecipazione democratica. Allora - concludono - noi chiederemo un gesto di responsabilità ai cittadini per non rinunciare ai loro diritti e difendere la democrazia".

Nel capoluogo palermitano anche alcuni negozi hanno deciso d'impegnarsi attivamente nelle operazioni di sensibilizzazione per il referendum. E' il caso del Bar Libreria Garibaldi di via Paternostro dove il 13 e 14 giugno si ha diritto ad uno sconto del 20 per cento su libri e consumazioni al bar, presentando la tessere elettorale con il timbro del voto referendario. Tutto pur di colpire al quorum chi non vuole amministrare secondo il volere popolare.

http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=375

Come ti uccido un referendum: tutti i tentativi del Governo. - di Matteo Pucciarelli


Cosa non si fa per un referendum. Per sabotarlo, ovviamente. La storia della Repubblica è piena di tentativi mirati a uccidere nella culla i quesiti referendari “scomodi”. A volte riuscendoci, a volte no. Ma quanto fatto dal governo Berlusconi negli ultimi mesi è un record: mai così tanti ostacoli messi lì per far saltare il banco, e mai così tanti fallimenti. L’unica consolazione è stata quella di non consentire l’election-day, cioè far votare insieme amministrative e referendum: ma la vittoria del marzo scorso la maggioranza deve condividerla con l’opposizione, che allora le diede una bella mano.

Ma andiamo con ordine: il 12 gennaio di quest’anno parte l’allarme rosso per il governo. Infatti la Corte Costituzionale dà il via libera a quattro quesiti su sei. Quello che preoccupa di più è il quarto, che chiede l’abrogazione del legittimo impedimento. Tradotto in parole povere, niente scudo per Berlusconi. Fu un giorno di giubilo per Di Pietro, promotore n.1 della raccolta firme, che allora esclamò: “La resa dei conti con la giustizia per Silvio Berlusconi si avvicina. Anzi, è inevitabile ed inesorabile”. Il 3 febbraio arriva anche l’ok della Cassazione.

Parte la mobilitazione e le opposizioni paiono capire l’importanza della posta in gioca. Si comincia a ragionare sull’election-day il 29 maggio: un po’ perché accorpando amministrative e referendum si risparmierebbero 300 milioni di euro, che in tempo di recessione non sono pochi; e soprattutto perché arrivare al quorum sarebbe molto più facile. Il segretario del Pd Bersani punzecchia Di Pietro: “Noi non abbiamo bisogno di sollecitazioni, abbiamo presentato noi una mozione alla Camera per l'accorpamento del voto amministrativo e del referendum”. Come va a finire? Il 16 marzo la mozione non passa per un voto. Quale? Quello del radicale – eletto nelle liste del Pd, occorre sempre ricordarlo – Marco Beltrandi, che vota “no” all’accorpamento insieme al governo. Tirando fuori giustificazioni difficilmente comprensibili ai comuni mortali. Ma tant’è. Tra i banchi dell’opposizione, inoltre, mancavano due deputati Pd, due Idv e ben otto di Fli. I capogruppi di una maggioranza risicatissima avevano tirato per i capelli last minute tre o quattro onorevoli dei loro sorpresi a spasso nel Transatlantico invece di stare lì a votare: un po’ di fortuna, e un po’ di aiuto esterno, ecco che la missione era riuscita. Ma è stata l’unica.

Il 19 aprile, dopo la catastrofe di Fukushima, il governo teme che l’effetto Chernobyl possa spingere molta più gente a votare contro il nucleare e fa un’improvvisa retromarcia. Con una modifica al decreto omnibus che sospendeva il programma nucleare. Non per sempre, ma per un anno. Ottima idea per far saltare il quesito forse più sentito del referendum. E depotenziando, così, anche il quesito sul legittimo impedimento, of course. E ancora: dopo il nucleare, perché non fare fuori anche quelli sull’acqua? Il ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani, il 22 aprile, annuncia la necessità di un “approfondimento legislativo ad hoc” anche su quello. Ma sull’acqua la maggioranza non si mette d’accordo, anche Bossi fa capire che la questione non va trattata con leggerezza e la soluzione ventilata da Romani va a monte.

La corsa contro il tempo per il governo va avanti, il 24 maggio viene posta la fiducia sul dl. Il decreto passa e sembra fatta. Lo scippo, come in quei giorni lo chiamano tutti, è riuscito. E invece no. Perché l’1 giugno la Cassazione rileva le incongruenze del dl omnibus e conferma il referendum. E anche se Berlusconi fa sapere di non temere il referendum, le resistenze del centrodestra non finiscono qui: in fretta e furia, con una mossa disperata, viene presentato ricorso alla Consulta, ma anch’essa – con decisione unanime – conferma il quesito sul nucleare.

C’è poi tutto il caos relativo al voto degli italiani all’estero, oltre tre milioni di persone interessate. Una faccenda dove approssimazione e dolo si legano tutt’uno. C’è chi non ha ricevuto la scheda, chi ne ha ricevute due, chi ha votato sulla vecchia scheda – quella col quesito originario sul nucleare, prima della modifica della Cassazione a seguito dell’intervento del governo con dl omnibus. Insomma, una storia densa di punti interrogativi, col Viminale che sta in silenzio e non ha preso una decisione: quei tre milioni verranno conteggiati oppure no? Perché se sì, l’asticella del quorum si alza e non di poco. E sarebbero tre milioni di voti praticamente “rubati” a favore dell’astensionismo. A oggi, tutto è ancora avvolto nel mistero.

Naturalmente non va dimenticata l’opera di scientifica disinformazione della Rai, che del referendum ha parlato poco, in orari impossibili, e male (vedi Tg1 e Tg2 che sbagliano ripetutamente le date della consultazione). E per questo motivo la tv pubblica ha ricevuto il richiamo dell’Agcom. Se la Rai, come dice Berlusconi, è in mano ai comunisti, anche stavolta non se n’è accorto nessuno. A parte lui.