La nuova puntata del tormentone inizia due settimane fa, il 30 maggio. È il lunedì nero del Cavaliere che perde a Milano e Napoli. Nemmeno Sallusti sta tanto bene: tre by-pass al cuore. Al terzo piano della redazione del “Giornale” a Milano, in via Negri, arrivano gli operai. Bisogna ricavare un ufficio in più. Al momento il piano è diviso così: il direttore Sallusti nella stanza-monumento che fu di Montanelli, con annessa segreteria; poi i vice De Bellis e Porro; infine la sala riunione. Cominciano i lavori. Si piccona, si abbatte, si restringe, si ridipinge. Al terzo piano c’è un altro inquilino da sistemare. La comparsa degli operai è la conferma più evidente alla voce che circola da giorni sul ritorno di Feltri. Altra scena, altra città. Roma, mercoledì primo giugno. Un lancio di agenzia annuncia: “Pdl: Angelucci lascia gruppo”.
Il deputato berlusconiano Antonio Angelucci detto Tonino è il patriarca della famiglia che controlla “Libero”. Melania Rizzoli, sua amica e collega a Montecitorio, va ripetendo: “Tonino è furibondo”. Furibondo per l’improvviso addio di Feltri ma anche per la sentenza dell’Agcom (il cui consiglio è a maggioranza di destra) che impone a “Libero” di restituire 12 milioni di euro di soldi pubblici e gliene fa perdere altri 6 non incassati ma già messi a bilancio. Agli Angelucci, re delle cliniche, viene contestato di aver preso finanziamenti per due testate: “Libero”, appunto, e “Il Riformista” (poi ceduto).
Venerdì 3 giugno. È l’ultimo giorno di Feltri a “Libero”. Chiuso nella sua stanza batte a macchina la lettera di dimissioni. L’affida alla segretaria che la spedisce via fax ad Arnaldo Rossi, presidente del cda del quotidiano. Il Diretùr bergamasco va via senza salutare nessuno. Né Belpietro, né la redazione, né il direttore generale Cecchetti. Lunedì 6 giugno. Feltri si presenta al “Giornale” e conduce la riunione del mattino. Chi c’era commenta: “Si è comportato come se fosse andato via il giorno prima”. Feltri torna da editorialista ma si muove da direttore. Sallusti gli cede la stanza ed è costretto a traslocare nell’ufficio ricavato dalla sala riunioni. Ma alla redazione Olindo si dice “contentissimo e rincuorato”. Al punto che l’amico ritrovato Vittorio “mi aiuterà a guarire il cuore”.Rosa, raccontano, approva. A “Libero” si vendicano così: “Azouz-Feltri è tornato da Rosa e Olindo”. Il Diretùr accoglie e boccia proposte di articoli, con lui tornano le prime pagine “squadrate come se fossero disegnate da un grafico bulgaro”.
Giovedì 9 giugno. Antonio Angelucci, accompagnato dal figlio prediletto Giampaolo, va a Palazzo Grazioli, la residenza romana di Berlusconi. All’uscita, sibila: “Andare via dal Pdl? Mai dire mai”. Il deputato gioca ancora con le minacce di rottura. In realtà, il colloquio con il premier sarebbe andato molto bene. Il chiarimento tocca varie questioni, compresa la sentenza Agcom. Il sospetto è che Feltri, azionista di “Libero” con il 10 per cento (pacchetto dal valore di 11mila euro), abbia fiutato il crac e sia scappato via. B. è accomodante, come al solito: “Tonino ti giuro che non sapevo nulla del ritorno di Feltri al Giornale”. Il Cavaliere si confida anche: “I miei figli vogliono che mi ritiri dalla politica per salvare le aziende”.
Sulla sentenza Agcom, poi, viene coinvolto con una telefonata anche Cesare Previti, tuttora ascoltato nell’inner circle di Palazzo Grazioli. Tra cavilli e tecnicismi il ricorso al Tar potrebbe far ben sperare. Gli Angelucci si sono sbarazzati del “Riformista” e potrebbero fare l’en plein: non restituire i 12 milioni e riprendersi i 6 previsti. Chissà. Senza dimenticare gli ottimi rapporti con il triumviro-banchiere del Pdl Denis Verdini, cui il deputato-patriarca Angelucci ha prestato 15 milioni di euro per i guai del Credito Cooperativo Fiorentino.
Venerdì 10 giugno. Feltri verga il suo primo articolo da editorialista-direttore del “Giornale”. Altra battuta maligna a “Libero”: “Per il momento non abbiamo perso copie. Feltri è uscito talmente in sordina che nessuno se n’è accorto”. Alla prossima puntata di “Casa Olindo”.