lunedì 13 giugno 2011

Feltri torna al Giornale e Sallusti trasloca in sala riunioni. - di Francesco Cafiero


Il Diretùr bergamasco lascia Libero (per la seconda volta) e torna in via Negri (per la terza volta). Dove si comporta come se non se ne fosse mai andato riprendendosi anche la sala più importante, quella che fu di Montanelli. Sullo sfondo la polemica tra il deputato Pdl Antonio Angelucci patron di Libero e Silvio Berlusconi che rivela: "I miei figli vogliono che mi ritiri dalla politica per salvare le aziende".


Alessandro Sallusti e Daniela Santanchè a Forte dei Marmi

Gerenze e divorzi. “Libero” e “Giornale” di sabato 11 giugno. Il nome di Vittorio Feltri, in qualità di fondatore, compare sotto la testata di “Libero”. La firma però è in prima pagina sul “Giornale” diAlessandro Sallusti (direttore) e Daniela Santanché (concessionaria di pubblicità), soprannominati Olindo e Rosa da Feltri medesimo. Una trama complicata. Per fortuna, si tratta di un film già visto. Feltri che lascia “Libero” (per la seconda volta) e va al “Giornale” (per la terza volta).
La nuova puntata del tormentone inizia due settimane fa, il 30 maggio. È il lunedì nero del Cavaliere che perde a Milano e Napoli. Nemmeno Sallusti sta tanto bene: tre by-pass al cuore. Al terzo piano della redazione del “Giornale” a Milano, in via Negri, arrivano gli operai. Bisogna ricavare un ufficio in più. Al momento il piano è diviso così: il direttore Sallusti nella stanza-monumento che fu di Montanelli, con annessa segreteria; poi i vice De Bellis e Porro; infine la sala riunione. Cominciano i lavori. Si piccona, si abbatte, si restringe, si ridipinge. Al terzo piano c’è un altro inquilino da sistemare. La comparsa degli operai è la conferma più evidente alla voce che circola da giorni sul ritorno di Feltri. Altra scena, altra città. Roma, mercoledì primo giugno. Un lancio di agenzia annuncia: “Pdl: Angelucci lascia gruppo”.

Il deputato berlusconiano Antonio Angelucci detto Tonino è il patriarca della famiglia che controlla “Libero”. Melania Rizzoli, sua amica e collega a Montecitorio, va ripetendo: “Tonino è furibondo”. Furibondo per l’improvviso addio di Feltri ma anche per la sentenza dell’Agcom (il cui consiglio è a maggioranza di destra) che impone a “Libero” di restituire 12 milioni di euro di soldi pubblici e gliene fa perdere altri 6 non incassati ma già messi a bilancio. Agli Angelucci, re delle cliniche, viene contestato di aver preso finanziamenti per due testate: “Libero”, appunto, e “Il Riformista” (poi ceduto).

Venerdì 3 giugno. È l’ultimo giorno di Feltri a “Libero”. Chiuso nella sua stanza batte a macchina la lettera di dimissioni. L’affida alla segretaria che la spedisce via fax ad Arnaldo Rossi, presidente del cda del quotidiano. Il Diretùr bergamasco va via senza salutare nessuno. Né Belpietro, né la redazione, né il direttore generale Cecchetti. Lunedì 6 giugno. Feltri si presenta al “Giornale” e conduce la riunione del mattino. Chi c’era commenta: “Si è comportato come se fosse andato via il giorno prima”. Feltri torna da editorialista ma si muove da direttore. Sallusti gli cede la stanza ed è costretto a traslocare nell’ufficio ricavato dalla sala riunioni. Ma alla redazione Olindo si dice “contentissimo e rincuorato”. Al punto che l’amico ritrovato Vittorio “mi aiuterà a guarire il cuore”.Rosa, raccontano, approva. A “Libero” si vendicano così: “Azouz-Feltri è tornato da Rosa e Olindo”. Il Diretùr accoglie e boccia proposte di articoli, con lui tornano le prime pagine “squadrate come se fossero disegnate da un grafico bulgaro”.

Giovedì 9 giugno. Antonio Angelucci, accompagnato dal figlio prediletto Giampaolo, va a Palazzo Grazioli, la residenza romana di Berlusconi. All’uscita, sibila: “Andare via dal Pdl? Mai dire mai”. Il deputato gioca ancora con le minacce di rottura. In realtà, il colloquio con il premier sarebbe andato molto bene. Il chiarimento tocca varie questioni, compresa la sentenza Agcom. Il sospetto è che Feltri, azionista di “Libero” con il 10 per cento (pacchetto dal valore di 11mila euro), abbia fiutato il crac e sia scappato via. B. è accomodante, come al solito: “Tonino ti giuro che non sapevo nulla del ritorno di Feltri al Giornale”. Il Cavaliere si confida anche: “I miei figli vogliono che mi ritiri dalla politica per salvare le aziende”.

Sulla sentenza Agcom, poi, viene coinvolto con una telefonata anche Cesare Previti, tuttora ascoltato nell’inner circle di Palazzo Grazioli. Tra cavilli e tecnicismi il ricorso al Tar potrebbe far ben sperare. Gli Angelucci si sono sbarazzati del “Riformista” e potrebbero fare l’en plein: non restituire i 12 milioni e riprendersi i 6 previsti. Chissà. Senza dimenticare gli ottimi rapporti con il triumviro-banchiere del Pdl Denis Verdini, cui il deputato-patriarca Angelucci ha prestato 15 milioni di euro per i guai del Credito Cooperativo Fiorentino.

Venerdì 10 giugno. Feltri verga il suo primo articolo da editorialista-direttore del “Giornale”. Altra battuta maligna a “Libero”: “Per il momento non abbiamo perso copie. Feltri è uscito talmente in sordina che nessuno se n’è accorto”. Alla prossima puntata di “Casa Olindo”.







Forza Italia!

SI, SI, SI, SI.

Forza Italia! - di Peter Gomez


Forza Italia! Adesso che non è più il nome di un partito, il suo partito, possiamo e dobbiamo davvero dirlo. Man mano che in redazione arrivano notizie di code ai seggi, di gente che per scegliere da sola il proprio destino ha deciso di non andare al mare, o di tornare a casa in anticipo sul previsto, l’urlo del tifoso, quell’urlo che per molti, troppi anni anni ci è stato espropriato, è difficile da trattenere. Il quorum ai referendum è possibile. Non è sicuro, ma è possibile. E allora eccolo qui quell’urlo: Forza Italia! Eccolo qui, per spingere alle urne chi non ci è ancora andato. Per ricordare a tutti che il futuro è nostro e non di chi, spesso con poco merito, siede nei palazzi del Potere.

Sui quattro quesiti referendari è legittimo pensarla come si vuole. Quale sia il nostro punto di vista è, del resto, noto. Più difficile invece è archiviare il non voto come il semplice esercizio di un diritto. Certo, l’astensione è una possibilità costituzionalmente riconosciuta. In passato (e nel presente) sia a destra che a sinistra c’è stato chi ha spinto gli italiani a disertare i seggi. Lo fa oggi, per esempio, pure il premier Silvio Berlusconi asserragliato nel suo buen retiro sardo. Ma se si riflette un poco, ecco che la non scelta su temi come l’acqua, il nucleare e la giustizia, che finiranno in un modo e nell’altro per influire sulla vita quotidiana di tutti, diventa qualcosa che ci assimila ai sudditi.

Molto si è detto e scritto sugli effetti politici che potrebbe avere un eventuale risultato positivo per i referendari. Ed è certamente vero che un presidente del Consiglio sommerso da una valanga di sì su materie a lui care, come il nucleare e il legittimo impedimento, si troverebbe alle prese con difficoltà sempre più grandi. Non è però per questo che, secondo noi, è un bene votare. O almeno non è solo per questo. Anche chi è convinto che Silvio Berlusconi debba rimanere al suo posto sino al 2013 dovrebbe presentarsi alle urne. Magari, se lo ritiene giusto, per segnare con una croce dei no sulle schede.

I referendum, molto più che le elezioni, rappresentano infatti il momento in cui i cittadini fanno sentire la loro voce. In cui non delegano, ma decidono. Per questo nella storia recente del Paese sono stati spesso boicottati o avversati dalla maggioranza dei partiti. Anche oggi, almeno inizialmente, è andata più o meno così. Sul punto, anzi, si potrebbero scrivere non degli articoli, ma dei trattati.

Questo però non è il momento dei distinguo o delle recriminazioni. A poche ore dalle 15 di lunedì c’è solo da urlare: Forza Italia! E c’è da farlo a pieni polmoni. Perché il quorum è lì, tanto vicino che sembra quasi di poterlo toccare. Perché adesso spetta ai cittadini l’ultimo sforzo. Sapendo che anche noi, per quel che conta, tifiamo per loro.



Vento nuovo da acqua e sole. - di Mario Agostinelli


Siamo al “batti-quorum” e la convinzione di quanti hanno impegnato le loro forze nella campagna per acqua e nucleare è rafforzata nelle ultime settimane dalla percezione di una crescita impetuosa di voglia di rappresentanza diretta e di segnali netti da mandare alla politica, ben al di là delle tradizionali appartenenze. Credo che il sequestro di informazione, l’insistenza ad esorcizzare il dibattito sui contenuti dei referendum e lo scellerato boicottaggio del voto da parte di tutto il Governo si vada a scontrare irreversibilmente con la percezione vasta dei cittadini di essere di fronte alla più costruttiva opzione sul futuro che l’agenda elettorale degli ultimi anni abbia loro riservato. Ritengo molto probabile un effetto boomerang, sotto cui un esecutivo arrogante e irresponsabile verrà ridicolizzato. Dopo quindici anni di rituali consultazioni popolari, prevalentemente su marchingegni elettorali o su questioni care all’ingegneria istituzionale, alla casta o alle corporazioni, questa volta siamo interpellati nientemeno che su privatizzazioni, compromissione dei beni comuni, qualità della politica energetica e uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Non solo assi strategici del governo in carica, ma cardini da sempre della politica economica e sociale che ha a che vedere, nell’immediato, con il superamento della crisi e delle disuguaglianze economiche e, nel medio termine, addirittura con la sopravvivenza e con la specificità della convivenza sociale. Ma, soprattutto in questa fase, prodotti di una riflessione e di una maturazione collettiva sullo spostamento dell’attenzione dall’economia alla vita. Uno spostamento che caratterizza quello che viene chiamato il “vento nuovo” e che la politica si ostina a non capire.

Non a caso sono proprio le nuove generazioni che non ci stanno a farsi monetizzare l’esistenza, ad ammonirci che decenni di amministrazione degli interessi dei più forti a danno del bene comune li priva dell’essenza della democrazia, che è la possibilità di creare una società in cui valga la pena di vivere, relazionarsi, studiare, lavorare, procreare. Io non credo che ci sarebbero stati i risultati emersi d’improvviso alle amministrative delle scorse settimane, i Pisapia, i De Magistris, gli Zedda, ma nemmeno la sconfitta pesantissima del leghismo nella sua patria di origine, senza dieci anni di penetrazione diffusa della riscoperta dei beni comuni, di faticosa ma convinta sottrazione dell’acqua alla sfera dell’economia, di spazi di rivendicazione dell’irriducibilità dei diritti e delle libertà nel lavoro, di pretesa risintonizzazione del sistema energetico con il sole e la natura. Insomma, senza movimenti, FIOM e CGIL e senza una nuova generazione che prende la ribalta, non saremmo già entrati in una stagione nuova. E se le nuove amministrazioni vogliono governare con il consenso devono certamente trovare risposte convincenti e partecipate alle domande poste dai referendum. Ci stiamo infatti tutti accorgendo – a destra come a sinistra – che siamo di fronte alla rarefazione delle risorse necessarie e indispensabili a vivere , alla mercificazione e monetizzazione di ogni forma di vita e salute, alla privatizzazione delle decisioni pubbliche relative alla valorizzazione e uso dei servizi comuni come l’energia, l’acqua, la scuola.

Da questa constatazione sono nati i quesiti di Giugno e la gente se ne è accorta, al punto da partecipare in questa campagna a migliaia di iniziative, darsi momenti di ritrovo, puntare sulla creatività e, potrei dire, sull’allegria dello stare insieme. Qualcosa che supera temporalmente i referendum e che dovrà produrre nel tempo che viene tutte la sue potenzialità, dato che non ci è stata data la possibilità di una discussione pubblica limpida e di una registrazione del cambiamento così inconfutabile da costringere il mondo politico e i manipolatori dei media a non sottovalutarlo. Perché di vera discriminante si tratta per l’appuntamento di fine settimana e i casi dell’energia e dell’acqua sono tra i più emblematici e di rilevanza strategica per il divenire delle società umane e della biosfera che caratterizza il pianeta.

In questa prospettiva mi sento di “forzare” i quesiti su acqua e nucleare dentro una dimensione comune, che fino ad ora la campagna referendaria ha mantenuto ancora disarticolata. La prendo volutamente da lontano. La questione dell’alternativa tra atomo e sole va impostata non solo sul piano della sfida tra tecnologia e sicurezza, o del conflitto tra interpretazione prometeica e precauzionale del ruolo della scienza, ma, utilizzando continue allusioni alla metafora dell’universo,va collegata alla sopravvivenza della specie, alla necessità di una condivisione dello spazio e del tempo tra uomo e natura, alla constatazione dell’incompatibilità tra giustizia sociale e spreco dei beni comuni, a cominciare dall’acqua. Niente cattura l’attenzione quanto l’accostamento delle parole vita e universo. Ci sono voluti miliardi di anni per formare i mattoni necessari a qualunque forma di complessità chimica come quella del fenomeno che chiamiamo «vita», così dipendente – come sappiamo – dall’acqua. Questi mattoni si sono formati in seguito a una lenta sequenza di reazioni nucleari all’interno delle stelle: dall’idrogeno diffusissimo fino all’uranio, relativamente instabile. Se l’universo non fosse così “vecchio” e espanso, sarebbe così denso di energia in tutti i suoi punti da non consentire pianeti raffreddati e stelle assai distanti che li irraggiano e li illuminano. E’ per questo che su un pianeta del sistema solare come la Terra è apparsa la vita, che si è evoluta e differenziata fino ai nostri giorni e che verrebbe meno senza acqua o con troppo consumo istantaneo di una energia accumulata nei millenni, quando l’uomo non abitava ancora la Terra, come è nel caso del petrolio o, ancor più, dell’uranio.

Cercare di non mandarci a votare per impedire una discussione pubblica sull’insostituibilità dei beni comuni o sull’alternativa tra atomo e sole, corrisponde a precluderci il confronto centrale di questa fase storica: come assicurare la sopravvivenza e un avanzamento civile quando le risorse naturali incominciano a scarseggiare. Tutti, dopo Chernobyl e Fukushima, hanno capito che un reattore a fissione funzionante come quelli ad altissima potenza che Berlusconi vorrebbe acquistare da Sarkozy, è in termini energetici un incidente latente “moderato e controllato”, fatale per la vita e divoratore fino al paradosso del “termometro” della salute: il liquido incolore che piove dal cielo e circola negli enormi condensatori delle centrali e che viene riversato degradato e contaminato nei fiumi e nei mari. Un incidente “scientificamente” predisposto, contenuto e tenuto a bada da barre, circuiti di raffreddamento, contenitori a tenuta stagna, complessi sistemi software, fintantoché non se ne scopre l’insostenibile effetto termico e radiante, a seguito di qualche incidente non eliminabile in principio, in quanto prodotto dall’ambiente naturale o dalla quotidianità di cui l’impianto è entrato a far parte. Una quotidianità, ai tempi del cambiamento climatico, sempre più sensibile alla siccità, all’aumento di temperatura e di contenuto energetico dell’atmosfera, all’evaporazione di mari, fiumi e laghi e allo scioglimento dei ghiacciai. La scelta di abbandono del nucleare, come quella di sottrarre alla privatizzazione l’acqua per consegnarla al governo territoriale dei cittadini, non è quindi roba da ingegneri, ma riflessione alla portata di qualsiasi persona responsabile che ha diritto di voto.

E come non collegare la proiezione vorace delle multinazionali verso l’”oro blu” alla volontà delle stesse di mantenere in vita un sistema elettrico centralizzato, concentratore di risorse finanziarie e dissipatore di risorse naturali, “sicuro” solo fintanto che se ne possano trarre profitti privati e scaricare costi sulla collettività?

Forse, dopo lo sconquasso dei decenni passati, siamo alla più importante svolta di politica economica e sociale del nuovo millennio, che prevede il ritorno nel campo dei beni comuni del sole e dell’acqua, due fonti di vita, di giustizia climatica e sociale, di lavoro qualificato e di occupazione dignitosa. Perché farcela sfuggire e non imprimergli invece quella torsione permanente che solo la democrazia praticata e la partecipazione consapevole e informata assicurano nel tempo?

Da Il Manifesto, domenica 12 giugno 2011

SuperDario Bros. Dal 4 al 10 giugno


Scajola lancia l’idea di costruire la casa dei moderati. I soldi ce li metterebbe Anemone.

Il TG1 sbaglia la data del Referendum. In compenso, nel servizio successivo, hanno azzeccato perfettamente l’età di un criceto nano della Patagonia.

Caos alle Poste: si blocca il cervellone. Nessuno aveva mai sospettato che ne avessero uno.

Domenica 05 Giugno

Domani ad Arcore si terrà un vertice di maggioranza. Alfano sarà al fianco di Berlusconi, che così, dopo aver raccontato una barzelletta, lo userà per il numero del ventriloquo. E indovinate dove gli infilerà la mano?

Il Papa attacca le coppie di fatto: “Non è questa la vera famiglia. Non riducete l’amore a una pulsione”. Per quella basta anche il retro di una sagrestia…

Anche Bossi si è pronunciato sui Referendum. Peccato che – come al solito – nessuno ha capito cosa cazzo ha detto.

Lunedì 06 Giugno

Sul sito “forzasilvio.it”, il popolo del Pdl fa sentire la sua voce, e c’è chi – come futuro Premier – vorrebbe Mara Carfagna. Dai nani alle ballerine.

L’obiettivo di Bersani è che il PD diventi il primo Partito. A me basterebbe che non fosse semprel’ultimo arrivato.

Vertice Pdl. Secondo Letta, “Oggi ad Arcore sarà una giornata calda”. Per questo, alle ragazze invitate, è stato raccomandato di vestirsi poco.

Martedì 07 Giugno

Fisco. Tremonti ha dichiarato: “Ci serve rigore”. Per ottenerlo, già contattato Beppe Signori.

Arrestato il patron della Riso Scotti. Bruciava illecitamente i rifiuti. Pare che, anche in questo caso, si avvalesse della collaborazione di Gerry Scotti, che davanti ai rifiuti gli chiedeva: “ E’ la tua decisione definitiva? Li accendiamo?”

Santoro lascia la Rai. Si parla di una separazione consensuale, ma secondo me – come al solito – è stata Lei che ha lasciato lui.

Mercoledì 08 Giugno

Calcio scommesse. Accordi fra i club di serie A: spunta anche il nome di Totti. Cazzi is now!

Governo battuto al Senato. La maggioranza chiedeva un comitato anticorruzione presieduto da Berlusconi. Nello stesso ddl, si proponeva anche di affidare a Ruby la direzione di un convento di orsoline.

Incredibile! Dopo il TG1, ieri anche il TG2 ha sbagliato le date dei referendum. A questo punto, per non rischiare altri errori, pare che il TG4 abbia deciso di non dare nemmeno la notizia che si vota.

Giovedì 09 Giugno

Galan ha dichiarato: “I Ministeri al Nord sono una puttanata intercontinentale”. Si sa che quando si tratta di puttanate, Silvio preferisce le straniere…

Siria. Il giallo della blogger gay rapita: nessuno la conosce. Tutti i media l’hanno sempre contattata via email. Persino la sua partner dice di non averla mai incontrata. Ora l’ipotesi, è che in realtà la blogger lesbica sia zio Michele.

E’ stato reso noto solo ieri, ma la scorsa settimana la macchina di Piersilvio ha sbandato. Nel giro di pochi giorni è stato il secondo episodio in casa Berlusconi. Il 30 maggio, infatti, ha sbandato il PDL.

Venerdì 10 Giugno

In provincia di Treviso, i leghisti chiedono di celebrare la messa in dialetto. Sarebbe tutta uguale a quella in italiano, tranne nel momento dell’Eucarestia. Nella versione in Veneto, infatti, il prete beve il vino e tira un’ostia!

Secondo la Società italiana di Pediatria, la scuola ideale dovrebbe essere pitturata di giallo. In disaccordo la Gelmini, che preferisce lasciare tutte le scuole al verde.

Berlusconi ha dichiarato: “Se gli italiani sapessero cos’ha fatto il Governo, dovrebbero farci un monumento”. Tranquillo, stiamo già preparando una lapide!

di Dario Vergassola con la collaborazione di Dario Tiano.



Inquinamento, la Cina dice no alla Ue Non pagherà per le emissioni degli aerei. - di Alessio Pisanò


L'Ue vuole inserire il traffico aereo nel mercato delle emissioni Ets, comprese le compagnie extracomunitarie. Dopo gli Stati Uniti, arriva anche il No della Cina, pronta ad andare in tribunale. Ma Bruxelles non è disposta a rinunciare. In gioco ci sono miliardi di euro. La direttiva entra in vigore il 1 gennaio 2012

La Cina dice no all’inserimento del traffico aereo all’interno del mercato delle emissioni Co2 europeo. L’Ue ha deciso che dal 1 gennaio 2012 anche le compagnie aeree che fanno scalo in Europa dovranno comprare le quote di emissioni e pagare per quanto inquinano. Alle proteste di Washington si aggiungono quelle di Pechino, che minaccia di trascinare Bruxelles in tribunale per voler gravare di costi aggiuntivi le proprie compagnie.

Si sa, inquinare poco costa. Nel tempo la lotta contro le emissioni può portare anche a benefici economici, ma nell’immediato vuol dire investire in nuove tecnologie, in know how e ricerca. Ecco quindi che la decisione di Bruxelles, d’includere le compagnie aeree nel sistema di emissioni Ets, è vista dalla Cina come un attacco ai propri interessi economici. Stessa storia del trattato di Kyoto, non rettificato dalla potenza orientale perché reputato controproducente ai propri interessi in una fase di ascesa economica.

Ma il dado ormai è tratto. Dal primo gennaio 2012 tutte le compagnie aeree europee e quelle che fanno scalo in aeroporti Ue faranno parte del sistema Ets, lo strumento amministrativo utilizzato per controllare le emissioni di inquinanti e gas serra a livello internazionale attraverso la quotazione monetaria delle emissioni ed il loro commercio tra stati diversi. Si tratta del più importante strumento Ue per contrastare il cambiamento climatico, che oggi include solo le emissioni degli Stati e di qualche categorie idustriale. Questo vuol dire che ad ogni compagnia aerea verrà assegnato un tetto di emissioni in milioni di tonnellate di CO2, e che per poter sforare dovranno acquistare dei crediti da altre realtà più virtuose. L’obiettivo è proprio spingere le compagnie a inquinare meno, visto che, secondo statistiche Onu, le emissioni di Co2 del traffico aereo (30.6 gigatonnellate nel 2010) hanno ormai superato quelle del traffico su gomma.

Dura la reazione di Pechino, che per proteggere le sue 16 compagnie (tra cui Air China, China Southern Airlines e China Eastern) che fanno scalo in Europa, ha minacciato Bruxelles di andare in tribunale e di vendicarsi imponendo tasse sulle compagnie aeree europee che arrivano in Cina. L’Associazione cinese di trasporto aereo (Cata) stima che questo costerà alle sue compagnie 84 milioni di euro l’anno, e che la cifra triplicherà entro il 2020. D’altronde anche gli Stati Uniti (insieme alla Cina, il grande assente tra i firmatari del trattato di Kyoto) avevano già deciso di intraprendere azioni legali contro la decisione di Bruxelles, con la Corte di giustizia Ue che esaminerà il caso il prossimo luglio.

Dal canto loro, i grandi paesi europei sono determinati ad andare avanti. In una lettera ufficiale alla Commissione europea, la Francia aveva lasciato intendere che avrebbe accettato di includere le proprie compagnie aeree nel sistema Ets solo se questo avrebbe riguardato tutti i voli facenti scalo in Ue, compreso quelli extracomunitari. Anche Berlino sembra essere sulla stessa lunghezza d’onda.

Ma Bruxelles sembra decisa a non farsi intimorire. La Commissaria Ue per il cambiamento climatico Connie Hedegaard ha dichiarato che “l’Europa deve andare avanti. Se gli stati e le regioni non difendono il loro legittimo diritto a legiferare, si manderebbe al mondo un segnale estremamente negativo”. “Non possiamo permetterci di aspettare altri 5 o 10 anni per raggiungere un accordo. Le emissioni del traffico aereo stanno crescendo esponenzialmente e le previsioni non fanno ben sperare”. Sulla stessa linea il Presidente della Commissione José Manuel Barroso: “Siamo sempre aperti al dialogo con i nostri partner ma non abbiamo alcune intenzione di cambiare una direttiva così importante per diminuire le emissioni e proteggere il nostro pianeta”.

Visti gli interessi in gioco e gli attori in campo, la battaglia si annuncia dura.



domenica 12 giugno 2011

Il piccolo Berlusconi di Cento: “Compravendita di consiglieri? Così facevan tutti”. - di Marco Zavagli


Al processo all'ex sindaco si apre uno spaccato di scambi di favori, poltrone, soldi. L'imputato Tuzet in tribunale spiega ai giudici: "Ero circondato da persone incapaci, e dovevo muovermi in mezzo ai ricatti"

Un sindaco sotto ricatto. Si presenta così Flavio Tuzet davanti ai giudici del tribunale di Ferrara. L’ex primo cittadino di Cento è imputato di istigazione alla corruzione e minacce. Del processo a suo carico Il Fatto Quotidiano Emilia-Romagna ha già parlato. Era la primavera del 2008 e la sua maggioranza stava scricchiolando dopo l’uscita di tre consiglieri. Di fronte allo spettro del commissariamento andò in scena una corposa “campagna acquisti”, con offerta di soldi e poltrone ai reprobi e minacce nei confronti di un consigliere dell’opposizione.

Ora tocca a lui difendersi. E a sentire le sue dichiarazioni più che un aula di giustizia sembra di spiare all’interno di un confessionale. “Ero circondato di incapaci e dovevo muovermi in mezzo ai ricatti” sospira davanti alle toghe. È solo il preludio al rosario di affari, favori, scambio di poltrone che, con un candore disarmante, sta per salmodiare.

Un episodio su tutti. All’indomani della sua elezione viene avvicinato da Paolo Matlì, oggi coordinatore comunale del Pdl, all’epoca in forza ad Alleanza nazionale, partito di riferimento anche dell’ex primo cittadino. “Mi disse dopo pochi mesi dal mio insediamento che poteva farmi cadere quando voleva, perché aveva 270mila euro a disposizione per corrompere sei consiglieri di maggioranza”. La circostanza viene confermata nel corso del dibattimento dal coimputato che parlerà dopo di lui.

Ma i soldi non erano l’unica moneta di scambio in questo feudo del centrodestra consegnato dal ballottaggio del 30 maggio al centrosinistra. “Ci sono i posti della Fondazione Patrimonio Studi, dove su cinque consiglieri tre sono di nomina politica spettante al Comune, c’è la Cmv… Si decide a chi darli, come penso facciano tutti”.

Uno di questi posti andò proprio ad Antonio Baroni uno dei consiglieri più contesi al momento del voto di fiducia del 2008 (fu lui a denunciare ai carabinieri il presunto tentativo di corruzione operato nei suoi confronti). Al processo Baroni disse che gli vennero offerti 20mila euro per far cadere Tuzet.

“Baroni mi diceva che eravamo seduti sopra una montagna d’oro e che bastava allungare la mano per prenderlo – racconta Tuzet -. In quei giorni mi confidò che era stato avvicinato per votare contro il bilancio. Aggiunse che gli offrirono 20mila euro, ma che lui ne valeva almeno 50mila. Chiese del denaro anche a me”.

Baroni non voterà contro e otterrà una poltrona alla Patrimonio studi e successivamente nel collegio della Fondazione Zanandrea. “Incarichi non di responsabilità, ma di mera visibilità” specifica l’imputato. E in effetti a quel tempo i consiglieri della Patrimonio studi non erano retribuiti. Ci penseranno loro stessi a darsi lo stipendio, deliberando una prebenda di 600 euro mensili.

Un’altra comoda poltrona finì nel curriculum di Adriano Orlandini. Stiamo parlando dell’uomo che, a capo della coalizione di centrosinistra sfidò Tuzet al ballottaggio di cinque anni fa. Insomma il capo dell’opposizione. Fu il suo voto a salvare colui che fino ad allora era il suo nemico politico numero uno. Dal successivo rimpasto gli verrà affidata la carica di presidente del consiglio comunale (“incarico retribuito con circa 1000/1500 euro al mese”), “proprio in funzione del suo aiuto” ammette Tuzet, salvo poi correggere il tiro e aggiungere che “con lui si era fatto un più ampio discorso politico per iniziare un nuovo corso”.

Cambi di casacca e manovre che non avevano lasciato indifferente l’elettorato. “Voci”, come le definiscono i testimoni, di compravendite di consiglieri giravano con insistenza a Cento. Con tanto di listino prezzi e scommesse al rialzo. Come al più classico mercato delle vacche.

E allora il pm Nicola Porto gli chiede se ne fosse a conoscenza, di queste voci. “Giravano da sempre” ammette quasi stupito dalla domanda Tuzet: “questo è l’ambiente in cui mi sono venuto a trovare; io ho solo cercato di evitare il commissariamento del Comune, perché sarebbe stato ancora peggio per Cento”.

Le “confessioni” di questo medico prestato alla politica vanno verso la conclusione. Non prima però di spargere un po’ di fiele dietro la sua porta che si chiude. “Si andava avanti a ricatti – allarga le braccia -. E bisognava accettare. Non credo che sia una cosa tanto strana, nei Comuni è la normalità”.

Una normalità che è costata la sconfitta elettorale. Ma Tuzet non si cruccia. Anzi. “Sono contento che il Comune sia passato al centro-sinistra”.