venerdì 17 giugno 2011

Il trafficante di segreti che mancava alla destra. - di Fabio Martini

Il parlamentare Pdl già pupillo del procuratore Cordova da Napoli a via Arenula, fa carriera grazie ai misteri (veri o presunti).


ROMA
Glielo hanno detto così: «Alfonso, hai saputo?». Cortile di Montecitorio, mercoledì mattina: gli amici del Pdl - Denis Verdini, Maurizio Paniz - si avvicinano ad Alfonso Papa e, senza tanti perifrasi, sono costretti a dargli la notizia: i magistrati di Napoli lo vogliono arrestare. Lui, sempre così spavaldo e allusivo, sbianca. E, con gli occhi rossi, il primo pensiero è per la moglie. Le telefona e le dice: «Usciranno tante menzogne sul mio conto, non è vero niente!». A qualcuno dei colleghi che nel frattempo ingrossano il capannello, torna in mente una delle battute preferite da Alfonso: «E’ che a me piacciono troppo e’ femmene...».

Certo, nelle carte della pubblica accusa compaiono diverse e colorite testimonianze femminili, eppure ben altro è il tratto originale del personaggio, ciò che ne fa un prototipo senza precedenti. Ex magistrato, da quando era diventato deputato Pdl, Alfonso Papa si era inventato un ruolo scoperto nella destra italiana: il trafficante di informazioni segrete provenienti dalle Procure. Merce preziosissima per lo schieramento di centrodestra che ai giudici ha dichiarato guerra 17 anni or sono, sposando un atteggiamento diversissimo dalla Dc, che per mezzo secolo aveva trasformato la Procura di Roma nel «porto delle nebbie», ma anche dalla sinistra, che da due decenni mantiene rapporti di ottimo «vicinato» con la magistratura.

La specialità di Papa, secondo l’accusa, era promettere e in qualche caso fornire informazioni su segreti giudiziari, terrorizzare imputati reali (o solo potenziali), in cambio di regali, soldi, posizioni. Un millantatore? Un arruffone napoletano di quelli che ti dicono, conosco quello, stai tranquillo e poi non succede nulla? Lo dirà l’inchiesta. Ma Alfonso Papa, a Napoli e a Roma, era conosciuto anche prima che si occupassero di lui i magistrati. Quarantuno anni, napoletano, figlio di un piccolo imprenditore di scuole private dell’alto Casertano (zona di Teano) a suo tempo lambito da fastidi giudiziari, prima di compiere 30 anni Papa entra nella Procura di Napoli e diventa uno dei pupilli del Procuratore capo Agostino Cordova.

Sono anni in cui mostra un piglio investigativo con esiti controversi. Nel 1999, sui pontili napoletani, sequestra ormeggi e oltre cinquecento imbarcazioni, iscrive nel registro degli indagati un’ottantina di persone, ma un anno più tardi si sgonfia tutto. Per far carriera in magistratura, talora, è utile iscriversi ad una delle sue correnti, Papa sta con Unicost, della quale fa parte anche il suo amico Umberto Marconi, col quale rompe ed oggi è diventato un suo accusatore. Vice-capo di gabinetto del Guardasigilli leghista Roberto Castelli, promosso alla direzione generale degli Affari civili dal Guardasigilli unionista Clemente Mastella, nel 2008 Papa fa il salto nella politica romana.

E nel salto c’è tutto il personaggio. La sua ascesa, come dimostrano le testimonianze raccolte dai pm, non è il premio ad un merito, ma l’opera collettiva di tante mani, di tante spinte più o meno oscure. Ha detto l’ex notabile democristiano Alfredo Vito: «La candidatura fu conseguenza di un intervento diretto del generale Nicola Pollari, essendo Papa legato all’ambiente dei servizi segreti», oltreché «vicino a Nicola Cosentino». Per Fulvio Martusciello «la voce era quella che fu candidato tramite Previti», mentre Luigi Bisignani, che suggerisce Alfonso a Denis Verdini, mette a verbale: «Papa fu sicuramente appoggiato da Pera e da Castelli».

La ciliegina è di Gianni Letta: «Berlusconi mi disse che per la candidatura di Papa si erano già espresse altre persone autorevoli». Un battesimo collettivo, che a differenza di quanto scrivono i magistrati nella richiesta di arresto, non frutta a Papa «l’inserimento in un posto sicuro». Nella lista Pdl Campania-1 Papa è inserito al diciannovesimo posto, al di sotto della soglia di sicurezza, fissata a quota 15. E una volta entrato in Parlamento, Papa confida di «voler diventare ministro». Aspirazione stroncata, pare, per effetto di un intervento dell’avvocato Nicolò Ghedini, ma rilanciata, come racconta Gianni Letta: «Papa mi chiese di fare il sottosegretario, ma non è mai stato accontentato».

Ma anche senza poltrone dorate, Papa dispiega il suo mestiere: trafficante di segreti più o meno autentici. Avvalendosi di supporti speciali. Ha raccontato il magistrato Marconi: «Papa era solito girare per Napoli con un servizio di accompagnamento della Finanza», «intrecciando rapporti con i Servizi» e avendo «a disposizione “truppe” che utilizza per perseguire scopi personali». E’ così che Papa scardina segreti istruttori. Dalla Procura di Nola riesce a sapere in anticipo la dritta giusta: vogliono arrestare l’ex convivente di Bisignani. Ma Papa regala dritte a tutti. A Letta, a Verdini.

A parlamentari intimoriti da voci sul loro conto. A tanti imprenditori. In cambio ottiene favori e regali, conducendo una vita sbrigliata: dispone di una casa per ognuno dei suoi ménages, si fa vedere con una Jaguar d’argento, una verde e una Mercedes. Ma quando è lui a fare regali, induce in qualche sospetto. Diverse amiche raccontano di aver ricevuto braccialetti e orologi in scatole anonime, senza garanzie o logo del negozio. Ha raccontato una delle ragazze: «Mi diede il Rolex così, “nudo”...». E intanto, nei confronti di Papa, magistrato in aspettativa, la Corte di Cassazione ha avviato una pratica di accertamento disciplinare, mentre l’Anm ha aperto un’istruttoria «per valutare la compatibilità di alcuni comportamenti con l’appartenenza all’Associazione».



Vespa: "Ogni lunedì Berlusconi mi telefona per dirmi chi devo invitare" (Otto e mezzo 09/06/2011)



Telefonata di Bruno Vespa alla trasmissione "Otto e mezzo" di Lilli Gruber: "Ogni lunedì mattina Silvio Berlusconi mi chiama e mi detta la scaletta degli ospiti della settimana, compresa quella della puntata di Avetrana, la prossima volta gli caldeggerò un invito per lei, così gli ascolti di Porta a porta risaliranno e il Pdl trionferà alle prossime elezioni"
Al centro del nuovo battibecco tra il conduttore di Porta a porta e il presidente della regione Lombardia sempre le presenze di Formigoni alla trasmissione di Vespa, con il politico che è tornato a ribadire di avervi preso parte 1 volta in 5 anni e il conduttore che ha invece contato 5 apparizioni in 4 anni.


Invece - Secondo livello - Concita De Gregorio


Quando più di un anno fa, nel mese di maggio del 2010, chiesi da queste colonne cosa ci facesse un tipo come Luigi Bisignani nelle stanze di palazzo Grazioli, ospite fisso munito di ogni comfort tecnologico e non solo, e quale ruolo esattamente avesse nello staff del Presidente del Consiglio ricevetti la mattina dopo, molto presto, quattro telefonate. Una era di un ex direttore di giornale che si congratulava, mi disse, per “aver avuto il coraggio di mettere il dito nella piaga”. Un’altra di una collega celebre e sempreverde, fonte occulta e abituale di un sito di regolamenti di conti, uno di quei posti on line dove chiunque fa sapere quel che non può dire in modo da poterlo poi “riprendere” come se fosse una notizia: chiedeva se ne sapessi di più.

La terza di un parlamentare di lunghissimo corso di area una volta andreottiana. L’ultima, la più importante, direttamente da palazzo Grazioli via centralino del Viminale, la Batteria. “Mia cara signora - mi disse costui - per la stima che ho di lei mi permetto di metterla in guardia da eventuali errori. Non vorrei davvero che avesse a dolersene. Lei sa meglio di me quanto certi terreni siano insidiosi e fitti di trappole. Stia attenta a non farsi strumentalizzare, a non dar credito a voci denigratorie e interessate. Sarebbe un peccato: dovremmo fare a meno di una voce che è così importante, invece, nel nostro panorama”. Credo che non vi sfugga il sottotesto muto.
Tempo dopo di Bisignani hanno cominciato a parlare in molti. Se cercate in rete trovate articoli dettagliatissimi che raccontano la sua storia e le sue amicizie.

Da Licio Gelli, lo scopritore del suo talento, ai Ferruzzi e Tavaroli passando per lo Ior e quella celebre volta in cui fece transitare le tangenti Enimont su un conto corrente destinato ad un’associazione di bambini poveri. Trovate anche qualche nota di colore, come si dice in gergo: che sia stato legato da affettuosissima amicizia a Daniela Santanchè e in quanto tale sponsor della sua fulminea carriera, che sia una delle principali fonti (un’altra era il non da tutti compianto Francesco Cossiga) del sito Dagospia, quella pagina internet dove una compagnia di giro fa circolare allo stesso livello facezie e carte sporche, veline e foto di salotti in uno spaccato del Paese per nostra fortuna lontanissimo da quello che si è espresso nel voto di maggio e giugno, un paese di loschi potenti e affari di pochi - esattamente quello che da qualche giorno sembra vecchio di trent’anni.

Mummie, pterodattili. Pericolosissimi, certo, ma preistorici e destinati alla polvere. E’ questo l’effetto che fanno, del resto, certi dibattiti tv e certe riflessioni lette in queste ore: è come se in una settimana fossero passati dieci anni, come se da ieri a oggi tutto il resto fosse diventato in bianco e nero.
Certo prima o dopo sapremo con certezza dalle carte giudiziarie e dai processi in quale oscura trama fosse coinvolta la cosiddetta P4, la loggia di affaristi e facilitatori di negozi di cui Bisignani è accusato di far parte. Sentiremo tremare i vetri dei palazzi, se è vero e non ne dubito quel che mi diceva il mio quarto interlocutore. Aspettiamoci palate di fango, e forse peggio. Resta il fatto che il secondo livello di questa nuova impresa collettiva, quella culminata con il voto di 27 milioni di cittadini, è spazzare via le cricche, le mafie, le corruttele. Un’impresa titanica perchè il paese ne è infiltrato a tutti i livelli e a tutte le latitudini politiche, leggete le cronache di oggi.

La corruzione è il cancro di questo sistema: lo dicevo l’altro giorno al ministro Fitto ricevendone in cambio insulti, eppure non facevo che ripetere le ultime parole da governatore di Mario Draghi. Non ci sarà crescita senza legalità. Non ci sarà lavoro nè futuro per i giovani che sono andati domenica alle urne finchè le leve del comando saranno nelle mani delle eminenze nere. Quelle che hanno l’ufficio a Palazzo Grazioli, per esempio, e nessuno ci ha ancora spiegato per fare che cosa, per conto di chi.



Luigi Bisignani, l'uomo che collega. - di Gianni Barbacetto


Ai bei tempi della P2 era una promessa. Mantenuta: oggi, a un passo da Gianni Letta, conta più di un ministro. È il punto di collegamento alto tra lobbisti della P3, uomini della cricca, personaggi della banda larga di Finmeccanica.

Non troverete il suo nome nelle carte giudiziarie delle tante inchieste in corso sugli scandali di questa caldissima estate 2010. Eppure è il nome che le collega tutte. Non parliamo di responsabilità penali, che son faccende da magistrati. Ma di rapporti, contatti, relazioni. Chi è l'uomo che unisce, a un livello alto, lobbisti della "nuova P2", uomini della "cricca", personaggi della "banda larga" di Finmeccanica? Luigi Bisignani è un punto di convergenza. Certo, definirlo "consulente di palazzo Chigi" è impreciso da un punto di vista formale. E non è bella neppure la battuta che circola a Roma, secondo cui Bisignani è stato nominato da Silvio Berlusconi sottosegretario di Stato per interposta persona (in realtà sulla poltrona di sottosegretario è seduta la sua compagna, Daniela Santanché). Eppure Bisignani è, di sicuro, uomo dalle molteplici relazioni, incrocia mondo imprenditoriale e mondo dell'informazione, controlla tante persone, collega molti ambienti. Ed è ascoltatissimo da Gianni Letta, tanto da essere oggi certamente più influente di un sottosegretario.

Non ama apparire. A differenza di tanti altri animali del circo berlusconiano, ritiene che l'esibizione sia, oltre che di cattivo gusto, anche nemica del potere vero. Così, lui che ha tanti amici fedeli nei giornali e nelle società di pubbliche relazioni (quelle che contano), non li attiva mai per una citazione, per una notizia su di sé. Anzi, è difficile trovare negli archivi perfino qualche sua fotografia da pubblicare. È ben altro quello che chiede, quello che ottiene.

Al piano inferiore del caos italiano si muovono bande, cricche e logge, poi subito derubricate, raccontate come l'agitarsi di "tre pirla", "quattro sfigati", improbabili "amici di nonna Abelarda". Al piano di sopra, al riparo da rischi e incursioni giudiziarie, almeno per ora, stanno i registi e gli utilizzatori finali. Bisignani è personaggio di grande simpatia, dalla mente lucida e dall'intelligenza rapidissima. Scrive romanzi gialli e parla, oltre che con Letta, con Angelo Balducci, con Guido Bertolaso, con Denis Verdini, con Pier Francesco Guarguaglini, con Cesare Geronzi...

Ha un certo know-how. Ha sempre negato l'appartenenza alla P2, quella classica, eppure le carte e la tradizione orale gli attribuiscono la tessera 1689 e la qualifica di reclutatore. Nel 1981, quando Giuliano Turone e Gherardo Colombo scoprirono a Castiglion Fibocchi gli elenchi della loggia segreta di Licio Gelli, il ragazzo aveva solo 28 anni. Brillante giornalista dell'Ansa, precoce capoufficio stampa del ministro del Tesoro Gaetano Stammati (piduista) nei governi Andreotti degli anni Settanta. Era una giovane promessa. Mantenuta: dieci anni dopo ha attraversato la stagione di Mani pulite solo con qualche fastidio in più. Una condanna (3 anni e 4 mesi per aver smistato la maxitangente Enimont, ridotti in Cassazione a 2 anni e 8 mesi) che dimostra che il ragazzo, nel 1993, a 40 anni, potente responsabile delle relazioni esterne del gruppo Montedison, era cresciuto. Anche in abilità e coperture, visto che il peggio di quella stagione resta ancor oggi segreto. Qualcosa ha raccontato Gianluigi Nuzzi nel suo libro "Vaticano Spa". Negli anni Novanta, infatti, zitto zitto Bisignani manovra una gran quantità di soldi parcheggiati in Vaticano. Con l'aiuto di monsignor Donato de Bonis, già segretario di Paul Marcinkus, cardinale e indimendicato compagno di scorrerie dei bancarottieri Michele Sindona e Roberto Calvi. L'11 ottobre 1990, dunque, Bisignani apre, con 600 milioni in contanti, un conto riservatissimo presso lo Ior . È il numero 001-3-16764-G intestato alla Louis Augustus Jonas Foundation (Usa). Finalità: "Aiuto bimbi poveri".

"Bisignani ha ottimi rapporti con lo Ior da quando si occupava di Calvi e dell'Ambrosiano", raccontò poi de Bonis in un'intervista. "La sua è una famiglia religiosissima; suo padre, Renato, un alto dirigente della Pirelli scomparso da anni, era un sant'uomo, la madre, Vincenzina, una donna tanto perbene. Bisignani è un bravo ragazzo. L'Istituto si occupa di opere di carità e gli amici aiutano i poveri, quelli che non hanno niente. Anche il sarto Litrico mi diceva 'io vesto i ricchi per aiutare i poveri'".

I bimbi poveri, in realtà, non ebbero gran giovamento dai soldi della Jonas Foundation. Il 23 gennaio 1991, de Bonis si presenta allo Ior con quasi 5 miliardi di lire in titoli di Stato, li monetizza e suddivide il ricavato su due conti: 2,7 miliardi sul deposito dell'amico Bisignani, mentre quasi 2,2 li accredita sul conto Cardinale Spellman, che gestisce in proprio e per conto di "Omissis", come viene chiamato in Vaticano Giulio Andreotti. Dal conto Spellman parte subito un bonifico da 2,5 miliardi al conto FF 2927 della Trade Development Bank di Ginevra: è la prima tranche della supermazzetta Enimont, "la madre di tutte le tangenti", che andrà a irrorare, a pioggia, i partiti politici italiani per benedire il divorzio di Stato tra Eni e Montedison.

Nel giro vorticoso della lavanderia vaticana, sul deposito Jonas Foundation di Bisignani entrano 23 miliardi. E lui, fra l'ottobre 1991 e il giugno 1993, ne ritirerà in contanti 12,4. Che l'uomo sia sveglio lo si capisce già nell'estate del 1993, quando annusa il disastro (i magistrati di Mani pulite stanno per arrivare alla maxitangente Enimont): così il 28 giugno di quell'anno corre allo Ior, ritira e distrugge i documenti che vi aveva lasciato all'apertura dei conti e chiude il Jonas Foundation. Ritira, in contanti, quel che resta: 1 miliardo e 687 milioni. Non avendo borse abbastanza capienti, deve fare due viaggi per portar via il malloppo. Un mese dopo è latitante. È il momento più nero di Mani pulite. Tre protagonisti della vicenda Enimont muoiono in circostanze drammatiche: il presidente dell'Eni Gabriele Cagliari con un sacchetto di plastica in testa in una cella di San Vittore; il regista sconfitto dell'operazione Enimont, Raul Gardini, con un colpo di calibro 7,65 nella sua dimora milanese; il direttore generale delle Partecipazioni statali, Sergio Castellari, con il volto spappolato nella campagna romana.

Tanti conti non tornano, in questa storia. Anche quelli dei soldi. La tangentona Enimont, rivelano i documenti vaticani messi a disposizione da Nuzzi, era ben più grossa di quella individuata dai magistrati di Mani pulite. E molti personaggi sono stati coperti dai silenzi vaticani. Tra questi, l'ineffabile "Omissis". Almeno 62 miliardi sono stati nascosti, si sono volatilizzati. E di questo tesoro rimasto segreto, 1,8 miliardi sono passati sul conto di Bisignani.

Quattordici anni dopo, un altro magistrato bussa alla sua porta. Si chiama Luigi De Magistris, alle prese con l'inchiesta Why not. Sta indagando su un comitato d'affari attivo in Calabria, ma con la testa a Roma. È convinto che sia organizzato come un'associazione segreta, una nuova P2, tanto che contesta ai suoi indagati proprio il reato previsto dalla legge Anselmi. È convinto che Bisignani di questa nuova P2 sia uno dei punti di riferimento. Il 5 luglio 2007 si presenta di persona, a sorpresa, ai suoi indirizzi romani, l'abitazione e la sua azienda Ilte (Industria Libraria Tipografica Editrice) di piazza Mignanelli. Ha un mandato di perquisizione. Bottino scarso: qualche documento e un Blackberry 7230 blu. "Ho avuto l'impressione che fosse stato avvertito: lui era volato improvvisamente a Londra", dice oggi De Magistris. "Dopo quella perquisizione, le manovre contro di me hanno un'accelerazione. Due mesi dopo mi sottraggono l'indagine".

Di Why not restano oggi soltanto i rapporti accertati degli indagati. Bisignani, per esempio, era in contatto con molti politici, imprenditori, manager, uomini degli apparati. Tra questi, Clemente Mastella, allora ministro della Giustizia, Walter Cretella Lombardo, potente generale della Guardia di finanza, Salvatore Cirafici, il dirigente di Wind responsabile della gestione delle richieste di intercettazioni e tabulati inviate all'azienda telefonica da tutte le procure italiane.

Oggi, tre anni dopo, nuova indagine, nuovo comitato d'affari, nuova P2. Luigi Bisignani resta a guardare, dall'alto. Ha visto sbriciolarsi la Prima Repubblica, la Dc, il Psi. Non s'impressiona certo per la decomposizione del berlusconismo.

http://www.societacivile.it/focus/articoli_focus/bisignani.html


Masi ammette: “La lettera di licenziamento per Santoro la scrisse Bisignani”. - di Marco Lillo e Antonio Massari


Ai pm di Napoli che indagano sulla loggia P4 l'ex direttore generale della Rai dice di essersi rivolto al lobbysta "perché è dentro al mondo istituzionale". Il 26 gennaio scorso Masi chiama Annozero per dissociarsi e il giorno dopo ha una conversazione con Bisignani: "Come sono andato?". La risposta: "Bella figura di merda"

E’ stato l’ex piduista Luigi Bisignani, finito mercoledì scorso agli arresti domiciliari perché considerato a capo di una rete che forniva notizie sulle indagini ai potenti sotto inchiesta e pilotava nomine negli enti pubblici riuscendo anche a condizionare i giornali, a scrivere la lettera di licenziamento di Michele Santoro. Un tentativo sventato ma che svela il potere reale del lobbysta a capo della P4, vicino a Gianni Letta. Lo ammette lo stesso ex direttore generale della Rai durante un teso interrogatorio del febbraio scorso davanti ai magistrati di Napoli del quale il Fatto Quotidiano può svelare il contenuto. I magistrati che indagano sulla P4 fanno ascoltare a Masiuna telefonata con Bisignani dell’ottobre 2010. Santoro ha appena fatto infuriare Masi con l’ormai famoso “vaffan … bicchiere” in tv. Durante la telefonata l’allora numero uno della Rai si fa dettare la lettera dal lobbysta. Messo di fronte all’evidenza, l’ex direttore della Rai ammette: “Mi si chiede perché mi sono fatto scrivere la lettera di licenziamento di Santoro da Bisignani e chi sia la persona dalla quale avrei dovuto fare prima un passaggio. Rispondo che mi sono rivolto a Bisignani perché addentro al mondo istituzionale in ragione delle sue conoscenze nel mondo politico”. Insomma il condannato a tre anni e 4 mesi per la tangente Enimont era l’uomo giusto per scrivere una lettera che normalmente una grande azienda pubblica affida al capo dell’ufficio legale.

Ma il misterioso uomo da sentire prima di fare il passo chi è? Masi fornisce questa versione: “la persona dalla quale volevo andare a fare un passaggio è il prefetto Pecoraro (Giovanni Pecoraro, prefetto di Roma, ndr) perché temevo per la mia incolumità personale, cosa che ho fatto”. A sentir Masi, insomma, nessun potente ispiratore. Solo la paura della rabbia dei facinorosi fan di Annozero privati del loro programma. Anche se poco dopo Masi stesso dice ai pm: “Bisignani mi era utile per capire il clima politico… insomma per dirla ancora più chiaramente io utilizzavo Bisignani per avere un’idea di cosa pensava il sottosegretario Gianni Letta”.

Quel licenziamento poi non si è materializzato perché i consiglieri berlusconiani della Rai non se la sono sentita di farlo proprio. Ma quando i pm chiedono se fosse ispirato dai suoi referenti politici, Masi ha la risposta pronta: “Santoro aveva insultato me, non il governo, per questo volevo licenziarlo”. Un’offesa personale che continuerà ancora per molto a ossessionarlo. Come dimostrano le stesse intercettazioni. Il 26 gennaio lo scontro tra Masi e Santoro raggiunge il culmine. Il dg telefona all’inizio della trasmissione e davanti a milioni di telespettatori dice a Santoro: “Mi dissocio”. La conversazione assume toni e linguaggio surreali: “Le sto dicendo – continua Masi – che ritiro me stesso e l’azienda dal tipo di trasmissione che sta facendo”. “Se ritira se stesso mi pare anche buono. Buonanotte”, conclude Santoro lasciandolo di sasso. Ma la telefonata più surreale è di qualche minuto dopo, quando Masi parla con Bisignani, per avere conforto. “Mi hai visto?”, gli chiede, “Come sono andato?”. E Bisignani: “Una figura di merda”. Dopo la prima telefonata i magistrati fanno ascoltare a Masi altre conversazioni con Bisignani suSerena Dandini, Paolo Ruffini, Monica Setta, Anna La Rosa e Giovanni Minoli. Al telefono Masi e Bisignani parlano di “fregare Ruffini”. “Cosa intendeva dire?”, chiedono i pm. E Masi spiega che stava parlando del direttore della terza rete Rai e aggiunge che si discuteva del programma di Serena Dandini, Parla con me, ma aggiunge subito però che comunque le cose sono andate diversamente. Masi si dipinge come un censore un po’ pasticcione. Nonostante volesse ostacolarlo, Parla con me è rimasto nella programmazione della Rai.

L’ex direttore generale della Rai nelle conversazioni con Bisignani, intercettate dalla Guardia di Finanza di Napoli, si lamenta anche di Roberto Saviano. Il motivo? Il protagonista di Vieni via con me – spiega Masi ai pm – aveva dichiarato pubblicamente di aver subìto un cattivo trattamento da parte della Rai. E questo non era vero, dice Masi in procura, spiegando anche le pressioni, ricevute da molti politici, per favorire invece due conduttrici che aveva lasciato in ombra: Monica Setta (molto amica di Bisignani) e Anna La Rosa, sponsorizzata, secondo Masi, da politici di tutti gli schieramenti.



Costruire la rivoluzione.



Come al finire di un giorno quando cala la sera c’è un attimo in cui si rivede tutto e tutto appare in una logica complessiva che prelude al riposo e a una calma lettura degli avvenimenti, così in queste ore cerchiamo di capire i vent’anni alle nostre spalle: davvero è finita una storia? Davvero ora si apre un tempo nuovo? E, ancora, sapremo viverli in maniera dignitosa, i giorni che ci attendono, o abbiamo perso per strada, in questi anni di delusioni, di preoccupazioni, di impegno lacerante, anche la capacità di essere generosi, produttivi, ispiratori di cose buone per tutti? Capaci di giudizi giusti, non vendicativi ma nemmeno assolutori?

Oggi tutti dicono che c’è da ricostruire; che molte sono le macerie, così tante che è inutile elencarle.

Vorrei invece avere la fantasia e la possibilità di non rifare ciò che avevamo e che come si vede ogni giorno in Italia non muore mai, come il malaffare e l’antistato e la cattiva politica. A me piacerebbe che sapessimo indicare per noi e il nostro Paese strade nuove. Del tutto diverse da quelle che abbiamo già percorso con scarso successo e orizzonti limitati.

Mi piacerebbe avere la fantasia, la passione e la competenza per dire: da oggi in avanti sarà tutto diverso, da questi vent’anni e anche da quelli di prima. Vorrei un Paese che pur sapendo quanto è fragile ogni democrazia non dovesse ogni istante vigilare perché già si intravedono ombre minacciose e dunque ogni energia, giovane e vecchia, potesse esser dedicata alla cura del bene comune inteso in ogni senso. Un Paese dove i deboli si sentissero sicuri e i forti insicuri.

Un Paese dove i giovani fossero amati e non invidiati e oppressi e gli anziani compresi e aiutati, le donne rispettate e i bambini crescessero bambini. Un Paese che studiasse la storia per evitare gli errori compiuti.

Insomma, non c’è tempo, secondo me, per attardarci a chiederci se Berlusconi sia davvero al tramonto. La sua vicenda politica è comunque al tramonto e con essa la politica devastante della maggioranza e quella troppo pavida dell’opposizione.

I cittadini che hanno votato i referendum esigono una nuova politica: e di non esser chiamati soltanto all’ultimo minuto, prima delle elezioni, a certifacare le scelte prese nei vertici o nei “caminetti”, col solito vezzo di cei proclama: o prendere o lasciare, tanto non avete scelta…

Questo vorrebbe dire più che ricostruire, costruire qualcosa di nuovo e diverso da come è sempre stato.

La delusione altrimenti potrebbe essere tremenda, come ha detto Zagrebelsky, e questa volta staremmo molto peggio di come siamo stati prima. Il che appare impossibile, forse. Ma sappiamo bene che non lo è.

Cambiamola questa nostra Italia. Facciamola nuova. Non ricostruiamo macerie su macerie.

Si chiama, in gergo tecnico politico, “rivoluzione”. Non saremmo i primi e nemmeno gli ultimi a invocarla, profonda, convinta, serena, esigente, libera e giusta.

http://www.libertaegiustizia.it/2011/06/16/costruire-la-rivoluzione/


Fiom-Santoro, oggi in diretta su RepTv.



''Signori entra il lavoro, tutti in piedi''. La festa per i 110 anni del sindacato dei metalmeccanici: una serata speciale insieme al conduttore di AnnoZero, Marco Travaglio, Vauro, Serena Dandini, Maurizio Crozza, Daniele Silvestri e numerosi altri ospiti. Oggi alle ore 21 da Villa Angeletti, a Bologna, in diretta su RepubblicaTV.