venerdì 17 giugno 2011

Costruire la rivoluzione.



Come al finire di un giorno quando cala la sera c’è un attimo in cui si rivede tutto e tutto appare in una logica complessiva che prelude al riposo e a una calma lettura degli avvenimenti, così in queste ore cerchiamo di capire i vent’anni alle nostre spalle: davvero è finita una storia? Davvero ora si apre un tempo nuovo? E, ancora, sapremo viverli in maniera dignitosa, i giorni che ci attendono, o abbiamo perso per strada, in questi anni di delusioni, di preoccupazioni, di impegno lacerante, anche la capacità di essere generosi, produttivi, ispiratori di cose buone per tutti? Capaci di giudizi giusti, non vendicativi ma nemmeno assolutori?

Oggi tutti dicono che c’è da ricostruire; che molte sono le macerie, così tante che è inutile elencarle.

Vorrei invece avere la fantasia e la possibilità di non rifare ciò che avevamo e che come si vede ogni giorno in Italia non muore mai, come il malaffare e l’antistato e la cattiva politica. A me piacerebbe che sapessimo indicare per noi e il nostro Paese strade nuove. Del tutto diverse da quelle che abbiamo già percorso con scarso successo e orizzonti limitati.

Mi piacerebbe avere la fantasia, la passione e la competenza per dire: da oggi in avanti sarà tutto diverso, da questi vent’anni e anche da quelli di prima. Vorrei un Paese che pur sapendo quanto è fragile ogni democrazia non dovesse ogni istante vigilare perché già si intravedono ombre minacciose e dunque ogni energia, giovane e vecchia, potesse esser dedicata alla cura del bene comune inteso in ogni senso. Un Paese dove i deboli si sentissero sicuri e i forti insicuri.

Un Paese dove i giovani fossero amati e non invidiati e oppressi e gli anziani compresi e aiutati, le donne rispettate e i bambini crescessero bambini. Un Paese che studiasse la storia per evitare gli errori compiuti.

Insomma, non c’è tempo, secondo me, per attardarci a chiederci se Berlusconi sia davvero al tramonto. La sua vicenda politica è comunque al tramonto e con essa la politica devastante della maggioranza e quella troppo pavida dell’opposizione.

I cittadini che hanno votato i referendum esigono una nuova politica: e di non esser chiamati soltanto all’ultimo minuto, prima delle elezioni, a certifacare le scelte prese nei vertici o nei “caminetti”, col solito vezzo di cei proclama: o prendere o lasciare, tanto non avete scelta…

Questo vorrebbe dire più che ricostruire, costruire qualcosa di nuovo e diverso da come è sempre stato.

La delusione altrimenti potrebbe essere tremenda, come ha detto Zagrebelsky, e questa volta staremmo molto peggio di come siamo stati prima. Il che appare impossibile, forse. Ma sappiamo bene che non lo è.

Cambiamola questa nostra Italia. Facciamola nuova. Non ricostruiamo macerie su macerie.

Si chiama, in gergo tecnico politico, “rivoluzione”. Non saremmo i primi e nemmeno gli ultimi a invocarla, profonda, convinta, serena, esigente, libera e giusta.

http://www.libertaegiustizia.it/2011/06/16/costruire-la-rivoluzione/


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