domenica 10 luglio 2011

La speculazione che verrà. - di Superbonus


Le tensioni sul debito non dipendono ancora dai fondi speculativi ma dai grandi investitori preoccupati per la tenuta dei conti dell'Italia e per la crisi politica.


I mercati, la Bce e i politici non parlano più lo stesso linguaggio. Ci ha provato Mario Draghi venerdì a chiedere una tregua con una dichiarazione irrituale a mercati aperti: “Le banche italiane sono solide e la manovra finanziaria è un importante passo avanti”. Ma anche lui ha usato un linguaggio antico per investitori che già provano a immaginarsi un mondo dopo l’euro.

I trader che venerdì per tutto il giorno si sono scambiati opinioni e informazioni sanno che il capitale della più solida istituzione europea copre a stento il 10 per cento dell’attivo e che i passi avanti non bastano: le finanze pubbliche andrebbero risanate subito con tagli immediati. Il comunicato di Palazzo Chigi “la manovra finanziaria sarà approvata entro luglio” alle orecchie degli operatori come una barzelletta mentre lo spread dei Btp decennali raggiungeva il 2,40 per cento aumentando dello 0,70 in una settimana. Una “barzelletta”, una “commedia”, queste sono le parole più usate da chi con un click del mouse può vendere o comprare 100 milioni di Btp. Sono i market maker che macinano profitti o perdite anticipando gli ordini dei “real money”, fondi e compagnie assicurative che comprano per detenere i titoli, per offrire ai propri clienti rendimenti sui prodotti finanziari collocati al pubblico.

Più di un market maker si è lamentato venerdì sera di non aver realizzato abbastanza profitti: a inizio giornata tutti avevano venduto Btp alle poche banche italiane che acquistavano con lo spread al 2,20 per cento. Ma intorno al 2,30 per cento si erano ricoperti vendendo Bund pensando che fosse finita. E invece sul più bello sono arrivati i grossi fondi tedeschi e americani a scaricare i Btp, complici i dati sulla disoccupazione Usa che lasciano presagire un rallentamento della crescita mondiale. Quindi una minor crescita dell’Italia e una maggior difficoltà nel ripagare il debito. La cattiva notizia è che gli speculatori veri, gli hedge fund che comprano e vendono a soli fini speculativi non hanno ancora venduto. Solo un paio erano come si dice in gergo “corti”, avevano cioè venduto allo scoperto (senza averli mai comprati) i Btp.

Il meccanismo perverso della speculazione ancora non si è messo in moto, le vendite sono nella maggior parte reali. L’Europa e l’Italia non sono affidabili, hanno avuto innumerevoli aperture di credito dagli operatori in quest’ultimo anno, la Grecia il Portogallo e l’Irlanda sono problemi che un establishment che ha perso completamente il senso del pericolo. E ora i nodi vengono al pettine sia per la Spagna sia per l’Italia.
Chi ha perso soldi credendo che si sarebbero risolte le situazioni debitorie più problematiche non è disposto a perderne altri. E si allontana da tutto quello che è troppo rischioso, troppo indebitato o troppo difficile da capire. Ci sono altri mercati e altri Paesi dove allocare la ricchezza: una famosa società di gestione del risparmio organizza a Milano lo Yuan Happy Hour presentando i suoi nuovi prodotti in valuta cinese, altro denaro che se ne va, altri flussi di real money che non torneranno a comprare i Btp.

C’è qualcuno che in mezzo a ogni bufera invoca nuove regole contro gli speculatori, venerdì lo ha fatto l’onorevole Francesco Boccia del Pd che voleva vietare la vendita dei Credit defaults swap(Cds, le assicurazioni sul rischio di fallimento dei paesi): la notizia apparsa fugacemente su Bloomberg mentre lo spread fra Btp e Bund aveva appena toccato il massimo storico del 2,47 per cento ed i Bonos spagnoli addirittura il 2,82 per cento ha provocato una nuova ondata di ilarità. I Cds non c’entrano niente: chi vende allo scoperto lo fa prendendo in prestito i Btp da altri, per lo più assicurazioni, e restituendoli dopo aver lucrato fra il prezzo di vendita ed il prezzo di riacquisto.

Per fermare le vendite allo scoperto bisognerebbe proibire i pronti contro termine, (o REP0), impossibile perché tutto il sistema si basa su questo strumento, la stessa Bce quando eroga denaro alle banche lo fa sulla base di un prestito titoli. Ma proprio questo comprensibile errore è la cartina di tornasole di due mondi che non parlano più la stessa lingua: i regolatori gridano alla speculazione, gli operatori chiedono soluzioni che non arrivano. Nella conferenza stampa di giovedì il presidente della Bce Jean Claude Trichet, interrogato sulle soluzioni per il debito dei Paesi in crisi, ha risposto: “Non chiedete a me, chiedete ai governi, noi ci occupiamo di stabilità dei prezzi e della moneta”.

Se si vuole fermare la caduta, non chiedete di farlo agli operatori finanziari: loro si occupano di fare profitti non di salvare gli Stati.




Big Pharma: truffe e bugie sulla nostra salute.





Un regno che affonda in un mare di scandali. - di EUGENIO SCALFARI





LA FINE d'un regno ha sempre un andamento drammatico e talvolta addirittura tragico. Pensate a Macbeth e a Lear ma anche a Hitler e a Mussolini, dove la realtà sembra imitare i vertici della letteratura.
Talvolta però alla cupezza del dramma si accompagna la sconcia comicità della farsa; sconcia perché inconsapevole e quindi cupa e drammatica anch'essa. Vengono in mente alcuni comprimari del fine regno berlusconiano: Brunetta, Gasparri, La Russa, Quagliariello, Sacconi, Ghedini, Prestigiacomo, Gelmini, Alfano e il suo partito degli onesti. Con Calderoli siamo al culmine della comicità inconsapevole, a cominciare da come si veste e da come cammina: non è un pavone che esibisce la sua splendida ruota e neppure un tacchino con i suoi bargigli, ma ha piuttosto l'andare del gallinaccio, il più sgraziato dei pennuti.
Bossi no, non è comico ma profondamente drammatico: un leader lucido e sensibilissimo a cogliere gli umori della sua gente, cui la malattia aveva addirittura conferito un di più, quella parlata inceppata, quei gesti di una volgarità voluta, quella faccia segnata ma non rassegnata: così era stato fino a un anno fa, ma poi il vento è cambiato anche nella Lega e il Senatur ha cominciato ad annaspare. Ora sembra un timoniere senza bussola e senza stelle che procede alla cieca in una fitta foschia mentre infuria lo scontro per la successione.

Il dramma di Berlusconi è ancora più complesso ed enigmatica la sua comicità. A volte è anche per lui
inconsapevole e quindi oscena come nel caso della nipote di Mubarak. Ma poi usa consapevolmente quella stessa comicità, la trasforma in barzelletta con la quale strappare al suo pubblico una risata e un applauso con la duplice intenzione di dimostrare la sua autoironia e la sua calma nella tempesta. A volte però la barzelletta non piace, non provoca la risata liberatoria ma un assordante silenzio e in lui sempre più spesso emerge la sindrome della solitudine, del tradimento, della congiura.

Leggendo l'altro ieri la sua intervista a "Repubblica" tutti questi passaggi sono chiarissimi: c'è la stanchezza d'un leader che preannuncia il suo futuro di padre nobile, il disprezzo verso i nemici esterni, l'ira verso i traditori interni, la volontà di mantenere il potere attraverso i figliocci da lui delegati. Infine il colpo di teatro d'affidare il lascito testamentario ad un giornale da lui attaccato, vilipeso, ingiuriato.

E Tremonti? Qual è la parte di Tremonti in questo fine regno sempre più incombente?
Ha appena varato una manovra finanziaria che avrebbe dovuto mettere al sicuro i conti pubblici e il debito sovrano, ma proprio nei giorni del varo i mercati sono stati scossi da una speculazione che ha il nostro debito, le nostre banche, i nostri titoli, come bersagli primari. Invece di rafforzare la stabilità del governo e della maggioranza la manovra ha aumentato le crepe diventando a sua volta un fattore di instabilità.
Potrà in queste condizioni il ministro dell'Economia restare al suo posto? Potrà reggere al dibattito parlamentare che si annuncia estremamente difficile?

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La storia - lo sappiamo - non si fa con i se, ma i se a volte ci aiutano a capir meglio i fatti che sono realmente avvenuti. Dove saremmo oggi se il 14 dicembre del 2010 Berlusconi non avesse avuto la fiducia?
Il governo sarebbe caduto, il Presidente della Repubblica avrebbe aperto le consultazioni e molto probabilmente avrebbe nominato un nuovo governo, un nuovo presidente del Consiglio, un nuovo ministro del Tesoro. I nomi non mancavano ed erano tutti di primissimo piano, da Mario Monti a Mario Draghi. I mercati sarebbero stati ampiamente rassicurati da quei nomi e dalla loro politica.
Purtroppo non andò così. Oggi i mercati stanno attaccando i titoli pubblici emessi dallo Stato e i titoli delle banche; il rendimento dei buoni del Tesoro decennali è salito al 5 e mezzo per cento, lo "spread" rispetto al Bund tedesco a 2,48.

Nel frattempo ieri mattina la Corte civile d'appello di Milano ha condannato la Fininvest, nel processo di secondo grado sul Lodo Mondadori, a pagare alla Cir di Carlo De Benedetti 560 milioni di euro. Si tratta d'una sentenza che fa giustizia in sede civile d'uno dei più gravi reati che il nostro codice penale contempla: la corruzione di magistrati. Quel reato fu accertato con sentenza definitiva ma Berlusconi ne fu tenuto fuori perché per lui erano decorsi i termini della prescrizione.
Restava tuttavia il diritto della parte lesa al risarcimento del danno e a questo ha provveduto la sentenza di ieri. Essa certifica che l'impero editoriale del presidente del Consiglio è fondato su un gravissimo reato penale. Noi l'abbiamo sempre saputo e sempre detto e questo è per noi il valore politico e morale della sentenza di ieri.

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Ribadito che la reazione negativa dei mercati è motivata principalmente dall'implosione della maggioranza di centrodestra, occorre tuttavia esaminare la manovra nella sua impostazione politica e tecnica, ambedue estremamente manchevoli.
Il ministro dell'Economia aveva inizialmente spacchettato i tempi dell'operazione: per l'esercizio in corso un intervento di un miliardo e mezzo, di semplice manutenzione. Nel 2012 cinque miliardi e mezzo e tanto bastava secondo il calendario concordato con l'Ue. Il grosso nei due esercizi successivi, 20 miliardi in ciascuno di essi per azzerare il deficit nel 2013 e per realizzare il pareggio del bilancio nel 2014. In totale 47 miliardi, ai quali bisognava aggiungerne circa 32 utilizzati nel 2009-2010 per mettere i conti pubblici in sicurezza.
Sembrò che queste operazioni fossero sufficienti e che il loro risultato finale segnasse il pieno successo di Tremonti e per riflesso del governo di cui egli è il perno economico. Mancavano in questo quadro di rigore finanziario, interventi destinati alla crescita del prodotto interno lordo, ma il superministro non mostrava di preoccuparsene. La crescita sarebbe venuta al momento opportuno. Protestavano le imprese, protestavano i sindacati, protestavano le organizzazioni dei commercianti e dei consumatori e protestavano anche Berlusconi e Bossi, ma Tremonti restava fermo e sicuro con l'appoggio dell'Europa e - così sembrava - anche dei mercati.
Ma poi le cose sono radicalmente cambiate e una realtà del tutto diversa è venuta a galla. Fermo restando lo spacchettamento temporale, si è venuti a sapere che Tremonti aveva effettuato un altro tipo di spacchettamento: la manovra vera e propria non era di 47 miliardi ma soltanto di 40; di questi, 25 erano contenuti nel decreto firmato quattro giorni fa da Napolitano (dopo che era stata ritirata la vergognosa norma mirata a bloccare la sentenza sul Lodo Mondadori). Altri 15 miliardi sarebbero stati invece reperiti con la legge delega per la riforma fiscale, che dovrà anch'essa esser votata dal Parlamento nelle prossime settimane o nei prossimi mesi.

È proprio la riduzione della manovra che ha indotto Giorgio Napolitano nel momento in cui firmava il decreto a indicare la necessità di ulteriori interventi da prendere al più presto possibile. Senza ancora entrare nel merito, la criticità che ha allarmato i mercati si deve soprattutto a quei 15 miliardi affidati alla legge delega. Dovrà essere approvata dal Parlamento e dovrà poi confrontarsi, nel momento di emettere i decreti delegati, non solo con l'apposita commissione bicamerale ma soprattutto con la conferenza Stato-Regioni. E poiché la parte più rilevante dei 15 miliardi da reperire è prevista proprio a carico delle Regioni e degli Enti locali, è facile prevedere che il negoziato sarà lungo e molto complesso.
La reperibilità e la tempistica restano dunque i punti interrogativi che difficilmente saranno risolti nel prossimo esercizio.
Quanto al merito, la manovra da 25 miliardi e la riforma fiscale per reperirne altri 15 poggiano, come ha più volte osservato Bersani, su prelievi a carico del sociale: il taglio dei contributi agli Enti locali, le maggiori imposte territoriali, il peggioramento dei servizi, il potere d'acquisto delle famiglie, la mancata rivalutazione delle pensioni, i giovani disoccupati, l'età pensionistica delle donne.

Se si dovesse definire con due parole il significato politico di questa imponente operazione, di cui uno degli interventi principali è l'imposta sui titoli depositati nelle banche, si dovrebbe definirla una manovra di classe. Forse questo piacerà al Pdl e per alcuni aspetti anche alla Lega, ma certo non piacerà alle opposizioni e soprattutto a quelle fasce sociali che si sono manifestate nelle recenti elezioni amministrative e nel voto referendario.

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L'ultimo capitolo che marca il fine regno berlusconiano è la marea degli scandali che coinvolge due eminenti deputati del Pdl, Alfonso Papa e Marco Milanese, un ministro di recente nomina, quel Saverio Romano sul quale il Presidente della Repubblica nell'atto di firmare il decreto di nomina voluto da Berlusconi indicò un possibile impedimento giudiziario che in quel momento era soltanto potenziale ma che ora è diventato di stringente attualità perché a suo carico è stato formalizzato dal Tribunale di Palermo un mandato di cattura per associazione mafiosa.
Papa, Milanese, Romano sono i tre terminali sui quali stanno lavorando le Procure di Napoli, Palermo e Roma e che riguardano appalti, nomine in alcune imprese di natura pubblica, dazioni di danaro, gioielli, automobili di altissimo pregio, immobili, informazioni riservate ed usate per ricatti e vere e proprie estorsioni.
Il centro di alcuni di questi scandali e di questi reati è la Guardia di finanza e il suo Comando generale. Il ministro dell'Economia, ascoltato di recente come testimone dalla Procura di Napoli, ha addirittura ammesso che esistono due cordate nella Guardia di finanza che operano per favorire due diversi candidati alla nomina di comandante generale.

Tremonti del resto è coinvolto in pieno dallo scandalo Milanese; un uomo che è al suo fianco dal 2005 e che è stato colto con le mani nel sacco per decine di reati, ricatti, uso di informazioni riservate. Di tutto ciò il ministro garantisce di non essere mai stato al corrente. Delle due l'una: o il ministro non dice il vero oppure la sua dabbenaggine nella scelta dei collaboratori rasenta un livello tale da minare la sua credibilità.
In questa situazione sarebbe estremamente urgente che il Partito democratico producesse una seria proposta alternativa di politica economica, di politica istituzionale e di legge elettorale. Bersani si era impegnato a farlo subito dopo le elezioni del maggio scorso, ma quella promessa non è stata mantenuta, si è restati nel vago di dichiarazioni che non descrivono una politica nella sua completezza e concretezza.
Il Pd rischia di perdere un'occasione storica per ridare un ruolo al centrosinistra e al riformismo. Viene da dire - insieme alle donne italiane di nuovo mobilitate - se non adesso, quando?


Se non ora quando. di Alberto Capece Minutolo.


No, non parlo di Siena dove secondo la buona novella dovrebbe nascere il nuovo femminismo, con l’apporto di fascistone tipo Perina e Bongiorno, cattoliche come la Bindi, o sindacaliste come la Camusso, appena sbarcata dall’aver dato un sonoro colpo al lavoro femminile, assieme alla cara Marcegaglia. Più che altro è l’apoteosi di un maschilismo crossgender, di un’area di privilegio che si autoreferenzia sulla carta stampata.

Il se non ora quando lo dico piuttosto all’opposizione e al suo maggior partito. Se non ora quando è tempo di presentare in Parlamento e al Paese una manovra economica alternativa che sia meno iniqua e oltretutto più credibile agli occhi del mercato? Se non ora quando è tempo di far capire al proprio elettorato, già deluso nei giorni scorsi, che l’opposizione è pronta a governare e si batterà perché al Berlusconi indecente non subentri un Berlusconi presentabile, ma pur sempre un Berlusconi? Se non ora quando l’opposizione vorrà dissipare l’orrenda sensazione di avere i cassetti vuoti perché prima di riempirli si deve decidere sulle alleanze centriste e quindi non si può osare dire qualcosa di sinistra?

Oppure si aspetta che la situazione divenga così drammatica da imporre un governo di unità nazionale che bastoni i ceti popolari perché ovviamente con certi compagni di strada, anzi di camarilla sarebbe sconveniente affrontare il tema dell’etica civile, dell’evasione ormai insopportabile, del precariato, del welfare?

Se non ora quando sarà il momento di affrontare questi problemi? Oppure si sta aspettando che vi siano le quote del coraggio politico e dell’intelligenza? Se non ora quando si capirà che proprio la mancanza di un’alternativa, in un Paese ormai diviso per bande, è il fattore di maggiore instabilità per la tenuta dell’economia? E se non ora quando si capirà che la prosecuzione del berlusconismo con tutto il peso dei mille conflitti d’interesse, con la devastazione dell’erario, con un sistema premiale della cialtroneria, è l’immagine peggiore che si possa dare ai mercati?

Ma ho una paura, che l’eco di questa richiesta non certo mia, ma che sale dal Paese, ritorni deformata, rimbalzata da un muro di gomma e suoni Se e Quando, ma non ora.

http://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2011/07/10/se-non-ora-quando/


La visita di Ratzinger in Germania suscita un’ondata di critiche. Comunicato stampa.


Alojzije Stepinać

Il discorso che il papa terrà il 22 settembre davanti al parlamento tedesco incontra critiche sempre più aspre: “Com’è possibile permettere che una persona che prega davanti alla tomba di un amico dei fascisti possa tenere un discorso davanti al Parlamento tedesco?” Questa è la questione sollevata all’associazione di persone critiche verso la chiesa Freie Bürger für demokratische Werte“ (cittadini liberi per valori democratici).

Il motivo che spinge a sollevare tale questione è l’imminente visita di papa Joseph Ratzinger in Croazia, prevista per il 4 e 5 giugno. Domenica pomeriggio alle ore 17.00 Ratzinger, a Zagabria, intende pregare davanti alla tomba del Cardinale Alojzije Stepinać (1898-1960) beatificato nel 1998. “Ma Stepinać era coinvolto negli orrori commessi dalle milizie degli Ustascia di stampo cattolico-fascista“, afferma l’associazione „Freie Bürger“.

Ed ecco i fatti: quale arcivescovo di Zagabria, Stepinać non solo fu una delle massime autorità ecclesiastiche di un regime cattolico-fascista benvisto da Hitler– dal 1941 al 1942 – ma, dal gennaio 1942, fu anche il vicario militare ufficiale delle milizie degli ustascia che in quel periodo avevano già convertito con la forza centinaia di migliaia di serbi ortodossi o li avevano assassinati – in molti casi compiendo entrambe le cose una dopo l’altra. I serbi furono fucilati, uccisi a pugnalate o bastonate, decapitati, annegati, squartati, strangolati, seppelliti vivi, arsi vivi, crocefissi o torturati fino alla morte. Le orrende crudeltà perpetrate sconvolsero perfino le truppe dei fascisti italiani e dei nazisti tedeschi stazionate nel paese. Tutto ciò non impedì comunque a Stepinać, vescovo supremo della Croazia, di collaborare del tutto apertamente con il regime fascista per tutto il periodo, festeggiando i compleanni del leader fascista e genocida Ante Pavelić facendo celebrare messe e Te Deum in tutte le chiese del paese. Stepinać non oppose pubblicamente nemmeno una protesta contro i massacri in massa che erano simili a un genocidio; nessuno degli assassini venne mai scomunicato. E del resto non sarebbe nemmeno stato possibile, dal momento che tra di loro si contavano numerosi monaci francescani, come per esempio Miroslav Filipović-Majstorović, che diresse per un certo periodo il famigerato campo di concentramento di Jasenovac, dove vennero assassinati circa 100.000 serbi ed ebrei. Ancora nel 1943 Stepinać ringraziò espressamente i francescani per i loro “meriti” nella “conversione” degli ortodossi. Le chiese e i monasteri cattolici venivano utilizzati come depositi di armi e centrali di comando; Stepinać e altri dieci ecclesiastici si fecero eleggere nel parlamento fascista. Anche Papa Pio XII non solo non si pronunciò in merito ai crimini di guerra, ma concesse continuamente con benevolenza udienza al comandante Pavelić e ai suoi generali, definendo il capo fascista un “cattolico praticante” e congendandosi da lui con “i migliori auguri per il lavoro da svolgere”. Dopo la guerra, Pavelić riuscì a fuggire grazie al “canale dei ratti” organizzato dal Vaticano e morì nel 1959 a Madrid con la benedizione del Papa.
Questo tetro capitolo della storia del XX° secolo sarebbe quasi stato dimenticato, se lo storico jugoslavo Vladmir Dedijer („Vatican i Jasenovac“, Belgrado 1987, in italiano: „ Jasenovac – l’Auschwitz jugoslavo e il Vaticano “, 1988) e lo scrittore tedesco Karlheinz Deschner (La politica dei papi nel XX° secolo) non avessero documentato questi fatti per i posteri.

Come il suo predecessore, sembra che anche Papa Joseph Ratzinger, in occasione della sua visita in Croazia, non abba intenzione di elaborare questo terribile passato, ma al contrario intende pregare davanti alla tomba di uno dei responsabili” – così afferma l’associazione “Freie Bürger”. “Il Bundestag tedesco, che vuole invitarlo malgrado tutto a tenere un discorso, è quindi alleato con forze che accettano con la loro “benedizione” gli orrori della guerra fascista – come del resto il Vaticano, sotto la guida di Ratzinger, continua ad occultare fino ad oggi i crimini sessuali commessi su bambini. La Germania dovrebbe vergognarsi, se è disposta a mettere in gioco con tanta leggerezza la buona reputazione che si è guadagnata dopo la guerra quale nazione democratica con una costituzione esemplare.”


Torino. Fiaccolata no Tav e saluto al carcere.



Torino. Un bel segnale la fiaccolata di ieri sera a Torino: tanta gente, decisa a non abbassare la testa, a denunciare la militarizzazione dell’area della Maddalena, trasformata in un fortino pieno di uomini in armi. Altro che cantiere!

A Torino come in Val Susa non bastano i gas, le botte, i lacrimogeni sparati come proiettili, la criminalizzazione feroce, i feriti e gli arresti a fermare la lotta popolare.

Nonostante le ambiguità del testo di indizione, gli oltre ventimila partecipanti alla marcia hanno dimostrato di avere le idee chiare, di non essere disposti a dividere chi resiste all’invasione in buoni e cattivi.

I cattivi, quelli veri, siedono nei consigli di amministrazione delle banche e delle aziende, che si apprestano a spartirsi la torta Tav; i cattivi, quelli veri, sono i partiti di governo ed opposizione che vogliono imporre con la forza delle armi un’opera inutile, dannosa, costosissima.

I cattivi sono al ministero dell’Interno: Maroni, non pago delle violenze e delle torture che gli uomini ai suoi ordini hanno inflitto a chi ha assediato la Maddalena il 3 luglio, a chi l’ha difesa il 27 giugno, oggi sostiene che in Val Susa ci sono “millecinquecento terroristi pronti ad uccidere”.

Una follia. La lucida follia di un criminale politico che ha deciso che la miglior cura per chi protesta, per chi si ribella, per chi non si piega alla violenza dello Stato sono galera e manganello.

Dopo la fiaccolata un centinaio di No Tav, prima di tornare a casa, è passato dal carcere Le Vallette, per fare un saluto ai quattro ragazzi arrestati domenica. Fuochi d’artificio hanno bucato la notte malata di questa tristissima periferia torinese, dove il confine tra il carcere e la galera quasi non si vede. Una mezz’ora di saluti accolti con calore dai prigionieri, che hanno risposto con grida e battiture.

Sarà dura. Resisteremo.

I No Tav della rete “Torino e cintura sarà dura”, che in questo mese e mezzo di lotta alla Maddalena, nonostante il pressante impegno in alta Val Susa, hanno continuato a fare iniziative di informazione e lotta a Torino e, in particolare in borgata Lesna. Dopo numerosi presidi, volantinaggi ed un’affollatissima assemblea all’istituto Albe Steiner mercoledì 13 presidio No Tav, sabato 15 luglio dalle 17 assemblea/festa/incontro popolare con interventi, musica, banchetto informativo ai giardini di via Monginevro angolo via Rizieri



Il vuoto.


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David Wojnarowicz, Buffalo Falling

La natura rifugge il vuoto, l'Italia ne è attratta.

Politica, economia, società sono vuoti che ci ostiniamo a riempire con il nulla.

La nostra soluzione al vuoto che ci assedia, che divora gli spazi quotidiani, è sempre un altro vuoto.

A finzione si sussegue uguale finzione. A ogni problema, nessun rimedio. Navighiamo a vista, ma non vediamo più l'orizzonte e neppure la stella polare.

Siamo in default, con un Tremorti azzoppato, l'ennesimo ministro inconsapevole di favori ricevuti.

Un governo di figuri e figuranti presieduto da un vecchio corruttore è al comando della nazione.

Sindaci e assessori finiscono in galera senza sosta, gli arresti sono diventati routine. L'opposizione è una via di mezzo tra una larva e un parassita. Un vuoto a perdere.

Due eventi concomitanti ci attendono. Il primo è il fallimento economico conclamato dell'Italia, il secondo è il crollo degli attuali partiti.

Entro fine anno dovremo vendere 200 miliardi di titoli di Stato a interessi sempre più alti. Se non ci riusciremo salta il banco.

Non ci sarà una tragedia greca, ma una commedia all'italiana. L'improvvisa ricerca dei colpevoli da parte degli stessi colpevoli.

I moniti alti e circostanziati di Napolitano. I guaiti di Confindustria. Gli appelli all'Europa dei principali editorialisti e, in fondo al tunnel, la bandiera bianca, forse il nostro vero simbolo nazionale.

I maggiori responsabili, la triade Pdl, Pdmenoelle e Lega, collasseranno, come avvenne nel 1992 per Dc e per il Psi. Molti loro esponenti saranno ospiti delle patrie galere, altri ripareranno all'estero emuli di Bottino Craxi.

Si sente nell'aria una nuova Tangentopoli.

Gli arresti di Torino, Parma, Voghera possono saldarsi in una rivolta popolare.

Osservare i tranquilli parmigiani chiedere la testa del loro sindaco e affrontare a pugni nudi le forze antisommossa dovrebbe far scendere un brivido nella schiena di molti.

L'Italia può trasformarsi in un'enorme bacino di White Bloc, cittadini comuni che pretendono onestà dalle amministrazioni e dalle istituzioni a qualunque costo, con qualunque rischio personale.

Il vuoto politico di inizio anni '90 fu riempito con il trasformismo.

La Dc si divise in due, Dc di sinistra e Dc di destra, e sopravvisse tranquillamente.

Il Psi si arruolò sotto le bandiere di Forza Italia.

Il PCI si limitò a cambiare nome.

Oggi il trasformismo non è più possibile. In politica, i vuoti sono spesso riempiti dall'uomo della Provvidenza.

Da un cialtrone che dichiara poteri taumaturgici. L'italiano ne è da sempre affascinato come un coniglio da un serpente a sonagli. Il presidente della Repubblica deve, al più presto, dare l'incarico di formare un nuovo governo a un uomo estraneo ai partiti con l'unico obiettivo di evitare il peggio, altrimenti ci aspetta un altro 8 settembre, ma forse anche questo non sarà sufficiente.

Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.


http://www.beppegrillo.it/2011/07/il_vuoto/index.html