mercoledì 27 luglio 2011

Roma caput cazzi.


Qualche giorno fa, nelle stesse ore nelle quali Francia e Germania definivano il futuro economico a medio termine dell’intera Europa, il parlamento italiano ascoltava rapito l’accorata difesa di di Papa che modulava i contenuti sull’onda dei temi più classici della sceneggiata: l’onore, i figli, o’carcere. Alla fine urla di giubilo, applausi, lacrime e abbracci. All’appello mancavano la pizza o’mandulino e gli spaghetti, assenti per motivi di servizio.

L’Italia schiera oltre 10.000 uomini e relativi mezzi su numerosi fronti di guerra. Libia, Afghanistan, Libano, solo per citare i principali. Sì, guerra, perché la storia delle missioni di pace non regge più da diversi anni nonostante lo stupore beota di presidenti della repubblica, del consiglio, di camera e senato, quando uno dei nostri, che va in giro con elmetto, giubbotto anti proiettile, granate e fucile d’assalto, non riesce a farsi passare per colombella e si becca una palla in testa da un cecchino.
Un’ambizione di controllo militare internazionale che male si sposa con la limitata autorevolezza in ambito economico ed industriale che il nostro paese esporta nonostante la sua portaerei e mezza, i tornado che partono nel tramonto e le soldatesse (bone) che fanno i sorrisoni arrapanti per far pensare che sotto le armi si guadagnano i dobloni e si tromba come i ricci, salvo fare la fine di Parolisi.

Non bisogna essere degli scienziati per capire che, a meno che tu non sia gli Stati Uniti con decine di portaerei, caccia invisibili, flotte di satelliti e arsenale nucleare, non bastano un po’ di bersaglieri sparsi a cazzo per il mondo per far paura ai debitori.
Il rispetto internazionale va prima guadagnato tramite l’affidabilità, l’innovazione e il lavoro. Poi, se serve, difeso con le armi. Al contrario non funziona e quello che si sta facendo ora è solo uno spreco di risorse funzionale ad interessi non comprensibili e, proprio per questo, inquietanti.

http://www.mentecritica.net/roma-caput-cazzii/informazione/cronache-italiane/dellefragilicose/20655/


Frequenze, ecco il bando pro B.- di Alessandro Longo



Il ministro Romani ha reso note le regole per l'asta pubblica: strafavorite (indovinate un po'?) le reti Mediaset, mentre Sky dovrà vedersela con le emittenti locali. Penalizzata, infine, la banda larga di Internet.

Il governo ha pubblicato (leggi) venerdì, di soppiatto, il bando (beauty contest) delle frequenze tv che ha scelto di dare gratis alle emittenti. Appare subito, ben oltre le aspettative dei giorni scorsi, un regalo da 350 milioni di euro a Rai e Mediaset. A danno delle casse dello Stato e dell'innovazione del Paese.

Sono le frequenze che si sono liberate, nell'etere, grazie al passaggio alla tv digitale terrestre. Con questo bando l'Italia vorrebbe scongiurare la procedura d'infrazione prospettata dalla Commissione europea contro alcuni aspetti della legge Gasparri (allora ministro di An).

Ma il rimedio è sorprendente, a firma di Paolo Romani (ministro dello Sviluppo Economico, che ha pubblicato il bando). Si sapeva già che il governo aveva rinunciato a chiedere soldi per quelle frequenze (la gara non è basata sulle offerte economiche migliori ma sulle caratteristiche delle aziende partecipanti). La sorpresa, rispetto a quanto previsto nei giorni scorsi, è che il governo ha scelto di "blindare" le migliori frequenze perché vadano quasi certamente a Rai e Mediaset.

Non si è accontentato di pubblicare un bando che indirettamente favorisse le due emittenti. No: ha voluto andare sul sicuro. E quindi ha suddiviso le nuove frequenze in tre pacchetti: A, B e C. A per i nuovi entranti, come Sky Italia, autorizzata dalla Commissione europea a partecipare, nonostante la pubblica opposizione dello stesso Romani. B per i preesistenti (il duopolio Rai-Mediaset) e C per i telefonici.

Il trucchetto: solo nel blocco B hanno messo le frequenze pregiate, quelle a singola frequenza e coordinate a Ginevra, utili a coprire a lenzuolo l'intero territorio nazionale senza rischio di interferenze.

Nel blocco A, da dare a Sky, hanno messo frequenze a forte rischio di interferenza, perché vicine a quelle utilizzate anche da emittenti locali.

E' solo l'ultima conferma di un vecchio piano: Romani aveva già dato a Mediaset, in via sperimentale, il canale 58, che ora va nel gruppo B. L'emittente così, a differenza di qualsiasi altro concorrente, ha potuto provare per mesi quello che ora avrà servito su un vassoio.

"E' l'ennesima conferma del conflitto di interessi", ha detto Paolo Gentiloni, ex ministro alle Comunicazioni e responsabile Ict del Pd. "Le difficoltà della finanza pubblica passano ancora una volta in secondo piano quando entrano in gioco gli interessi economici dell'azienda del premier", aggiunge. Già, perché le emittenti tv avranno gratis frequenze (dello stesso tipo, a 800 MHz) che invece gli operatori telefonici dovranno pagare con un altro bando recente, da cui lo Stato conta di ricavare tra i 2,4 e i 3,1 miliardi di euro. Così, prendendo questo come metro di paragone e dividendolo per la quantità di frequenze al bando, si può stimare in 350 milioni di euro il regalo a Rai e Mediaset. Sembra quasi che stia già cominciando l'opera di recupero di quanto forse sarà perso per il lodo Mondadori.

L'altro bando servirà a dare nuove risorse alla banda larga mobile, condizione necessaria per sviluppare in Italia connessioni veloci ovunque.

Ed è qui che si valuta il danno all'innovazione. Gentiloni e Antonio Sassano (docente della Sapienza) avevano infatti fatto una proposta: di non mettere a gara alcune frequenze nel beauty contest, ma di lasciarle libere per facilitare il bando per internet mobile. Questo è infatti minacciato da una controversia con le tv locali, a cui il governo ha deciso di togliere tutte le frequenze da dare alla banda larga, pur di assegnarne gratis, quante più possibili, alle emittenti nazionali. Nonostante le proteste da più parti e il rischio che le frequenze internet mobile siano paralizzate dalla guerra con le tv locali, il governo ha scelto di andare avanti imperterrito per quella strada. E, visto che si trovava, ha pure blindato le frequenze a Rai e Mediaset. Peggio persino di quanto previsto dai critici più pessimisti.


Romani è Viceministro dello sviluppo economico con delega alle Comunicazioni, anche se:

A seguito del fallimento di Lombardia7 nel 1999, Romani viene indagato dalla procura di Monza per bancarotta preferenziale[6]. Interrogato, nega ogni coinvolgimento, avendo ceduto l'azienda prima del fallimento. Il reato è derubricato in falso fallimentare, le cui pene sono ridotte dalla nuova legge sulfalso in bilancio[7]La sua posizione è infine archiviata, ma deve risarcire 400.000 euro al curatore fallimentare[6].

(wikipedia)


CRISI: SPREAD BTP-BUND VERSO QUOTA 300 PUNTI. DECENNALE AL 5,71%



Della serie: le manovre del cacchio!

La sconfitta di Maroni-don Rodrigo. - di Domenico Gallo



“Questo matrimonio non s’ha da fare!” esclamò il principe conte, don Rodrigo, riferendosi al matrimonio fra Renzo e Lucia. “Questi matrimoni non s’hanno da fare” esclamò il Ministro dell’interno Maroni, fiero del suo “pacchetto sicurezza” appena approvato nel luglio 2009, con il quale aveva emanato l’editto che reintroduceva in Italia, a settant’anni dalle leggi razziali, il divieto dei matrimoni misti.
Perché proprio questo era l’oggetto della oscena disposizione introdotta da Maroni nel codice civile che la Corte Costituzionale, con la sentenza depositata lunedì scorso ha cancellato dall’ordinamento giuridico.

Con il Regio decreto legge del 17 novembre 1938 (provvedimenti per la difesa della razza italiana) furono introdotte nell'ordinamento una serie di misure discriminatorie, la prima delle quali consisteva nel divieto dei matrimoni misti (art. 1 "il matrimonio del cittadino italiano di razza ariana con persona appartenente ad altra razza è proibito").
Lo stesso divieto, con altre forme, è ritornato nel pacchetto sicurezza dove è stata decretata l'impossibilità giuridica per gli stranieri, privi di un permesso di soggiorno in corso di validità, di contrarre matrimonio. In questo modo è stato reintrodotto nel nostro ordinamento il divieto dei matrimoni misti (fra cittadini italiani e cittadini extracomunitari in condizione di irregolarità amministrativa), un divieto fondato sulla stessa discriminazione, questa volta non più religiosa, ma su base etnica.

Per quanto possa sembrare strano, il divieto dei matrimoni misti introdotto da Maroni si è rivelato, sul piano pratico, una misura molto più grave del divieto introdotto da Mussolini con le leggi razziali, poiché afferente ad una popolazione che oscilla fra le centinaia di migliaia ed il milione di persone. E gli effetti si sono visti immediatamente, perché se nel 2008 sono stati celebrati circa 37.000 matrimoni misti, nel 2009, anno in cui (negli ultimi quattro mesi) la legge Maroni è entrata in vigore, il numero dei matrimoni misti è sceso a 32.000. Quindi a migliaia di coppie è stato impedito di contrarre matrimonio, proprio come accadeva, nei Promessi sposi, a Renzo e Lucia.

Dopo Alessandro Manzoni, il prototipo dell’ingiustizia più ingiusta e dell’esercizio più arbitrario del potere è rappresentato proprio dalla rottura di quel legame di coppia che la religione consacra attraverso il matrimonio. Sul piano giuridico questo vuol dire che il diritto di contrarre matrimonio con la persona che amiamo (discendente dagli articoli 2 e 29 della Costituzione) rientra nei diritti fondamentali, diritti che – come ha osservato la Corte Costituzionale – spettano «ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani».

Eppure quest’ingiustizia è stata perpetrata, nel silenzio generale, malgrado lo strepito dei partiti e dei leaders politici che si sbracciano a farsi paladini dei valori “non negoziabili” della famiglia.
E’ successo anche questo nell’Italia di oggi: don Rodrigo si è reincarnato ed ha assunto le sembianze umane del Ministro dell’Interno Maroni.

Don Rodrigo aveva le sue ragioni per interdire il matrimonio: si era invaghito di Lucia. Ma quali erano le ragioni di Maroni? E’ difficile che Maroni o i suoi amici leghisti si fossero invaghiti di tutte le badanti, le colf, le commesse, le infermiere, le ballerine e le donne delle pulizie che meditano di contrarre matrimonio con un cittadino italiano. La ragione è un’altra. La spiegazione ce l’ha data l’eurodeputato leghista Mario Borghezio quando ha dichiarato alla radio che: “il 100% delle idee di Breivik (il nazista massacratore dei ragazzi norvegesi) sono buone, in qualche caso ottime”.
Quando un ceto politico frequenta ideologie di questo tipo, non c’è da stupirsi proprio di niente. Peccato che la Corte costituzionale non le capisca e si attesti ancora sull’idea retrograda che tutti gli uomini sono uguali.



martedì 26 luglio 2011

Il bluff leghista dei ministeri al Nord Gli uffici inaugurati sono già tutti chiusi


Il deputato dell'Udc Luca Volonté è andato alla Villa Reale di Monza alla ricerca di informazioni sulle nuove sedi. Ma non ha trovato nemmeno un cartello o un citofono. E sugli eventuali costi in più dei dicasteri ora si attiva la Corte dei conti.


Né un custode, né una segretaria. Nessuna insegna e nemmeno un citofono o un campanello. Degli uffici ministeriali al Nord inaugurati in pompa magna il 23 luglio a Monza, dopo tre giorni rimane solo una porta sbarrata. Tutto chiuso. Inutile cercare l’avviso “La sede sarà operativa da settembre”, come previsto daBossi e compagni.

Il deputato dell’Udc Luca Volonté racconta alMessaggero la sua visita alla Villa Reale del capoluogo brianzolo. Alla vana ricerca di quelle tre stanze da 150 metri quadri che devono essere condivise dai ministri Calderoli, Tremonti, Brambilla, oltre che dal Senatùr. E che per ora hanno avuto l’effetto di fare arrabbiare diversi esponenti del Pdl e di suscitare l’interesse della Corte dei conti per l’aumento delle spese dei quattro dicasteri. “E’ stata una specie di caccia al tesoro – spiega Volonté -. Ero in Brianza per alcuni impegni familiari e ho deciso di fare una deviazione per scoprire quali servizi sono offerti dalle nuove sedi di rappresentanza ai cittadini e agli imprenditori. Alla fine, per fortuna, ho trovato alcuni operai che facevano lavori di manutenzione e sono stati loro a indicarmi la palazzina. Credevo di avercela fatta, invece nisba”. Tutto chiuso. Nessuna traccia delle targhe ministeriali in ottone mostrate sabato dall’orgoglioso Calderoli. Il quotidiano romano parla di “sedi fantasma”, “bluff in salsa verde”, “inaugurazione tarocca”.

Niente, a Volonté non è proprio riuscito di rivedere i tre uffici con tanto di foto di Napolitano e Bossi. E la statuetta dell’eroe leghista Alberto da Giussano, vicino a quell’unico computer che in Calderoli ha suscitato qualche imbarazzo in Calderali il giorno dell’inaugurazione. “Speravo che qualcuno mi potesse dire se, e quando, avrei potuto ottenere le informazioni che cercavo – continua Volonté -. Un altro buco nell’acqua”. E poi la sconsolata conclusione: “Ho visto una desolazione assoluta, questa storia dei ministeri al Nord è una grottesca pantomima”. Alemanno può stare tranquillo, quindi. “A Monza non c’è nulla”, garantisce l’esponente dell’Udc.

Eppure l’inaugurazione c’è stata. E per non mancare Bossi ha inforcato un paio di occhiali da Top Gun, convalescente dall’operazione di catarratta che solo il giorno prima gli aveva impedito di essere presente al Consiglio dei ministri. Ha parlato con una mazzetta di banconote in mano, il Senatùr. Come a dire: “I soldi per questi uffici ce li mettiamo noi”. Ma non tutti ne sono convinti. “Il contenimento della spesa e le regole per non duplicare gli uffici non valgono?”, si chiede il presidente della Toscana Enrico Rossi. “A me sembrano tutti un po’ matti. Con queste sedi avremo più spesa pubblica, più sprechi”, commenta Nicola Zingaretti, presidente della provincia di Roma. Certo, sui decreti dei ministeri che prevedono le nuove sedi c’è scritto che “non devono derivare maggiori oneri a carico dello Stato”. Personale e gestione dei locali, però, dovranno pur essere pagati. E così un occhio ai decreti l’ha già iniziato a dare la Corte dei conti.


"Dossier per far eleggere Bossi jr" blitz negli uffici della leghista Rizzi


La guardia di finanza ha perquisito anche l'abitazione dell'assessore regionale lombardo.
L'inchiesta riguarda una serie di documenti per colpire 'nemici' fuori e dentro il Carroccio.



La casa e gli uffici dell'assessore regionale a Giovani e sport della Lombardia, la leghista Monica Rizzi, sono stati perquisiti da agenti della polizia giudiziaria. Le perquisizioni, ha spiegato il suo legale Alessandro Didd, sono state affettuate per "ricercare tracce di una ipotizzata attività di dossieraggio" su richiesta della Procura di Brescia.

Non è ancora noto l'episodio o gli episodi ai quali si riferisce l'inchiesta. Nei mesi scorsi, comunque, un ex collaboratore dell'assessore, Marco Marsili, aveva presentato una denuncia nei confronti della Rizzi alla Procura di Brescia per trattamento illecito di dati personali. Dossier, ha spiegato Marsili, che sarebbero serviti poi per colpire 'nemici' fuori e dentro la Lega Nord assicurando anche il miglior risultato elettorale possibile alle scorse regionali a Renzo Bossi detto 'il Trota', figlio del leader leghista Umberto.

"Io sono stato sentito dalla guardia di finanza - ha detto Marsili - Una con un minimo di decenza sarebbe andata a casa da un pezzo". "L'assessore Rizzi non si dimetterà - ha spiegato in una nota l'avvocato Didd - essendo consapevole di non aver nulla da temere e di potere confidare nella serenità della magistratura, che certamente non si farà ingannare da queste manovre". L'avvocato Didd parla di una vera e propria "delegittimazione" nei confronti dell'assessore Rizzi. "Avendo intuito l'organizzazione di queste operazioni - ha aggiunto - avevo richiesto all'autorità giudiziaria di Brescia di conoscere se la stessa fosse o meno indagata. Il pm mi ha anticipato nel fornirmi la risposta notificando all'assessore l'avvio dell'indagine". Già in settimana il legale ha detto che prenderà contatti con il pm Fabio Salamone "perché in tempi brevissimi possa ascoltarla".

"E' stato un atto dovuto", ha commentato l'assessore Rizzi. "Sono serena e, anzi, contenta che siano venuti a controllare se c'erano carte collegate a dossieraggi, non hanno trovato nulla". "In Lega non funziona il metodo dei dossier, ci si candida in altri modi e si viene esclusi per altre ragioni", ha aggiunto "Un po' mi sono sentita sotto tiro da parte di qualcuno e penso che qualcuno dovrà risponderne in un secondo tempo".

http://milano.repubblica.it/cronaca/2011/07/26/news/dossier_per_far_eleggere_bossi_jr_blitz_negli_uffici_della_leghista_rizzi-19642398/?ref=HREC1-11

Un solo neurone per portare avanti due testate giornalistiche.


















No comment.