Qualche giorno fa, nelle stesse ore nelle quali Francia e Germania definivano il futuro economico a medio termine dell’intera Europa, il parlamento italiano ascoltava rapito l’accorata difesa di di Papa che modulava i contenuti sull’onda dei temi più classici della sceneggiata: l’onore, i figli, o’carcere. Alla fine urla di giubilo, applausi, lacrime e abbracci. All’appello mancavano la pizza o’mandulino e gli spaghetti, assenti per motivi di servizio.
L’Italia schiera oltre 10.000 uomini e relativi mezzi su numerosi fronti di guerra. Libia, Afghanistan, Libano, solo per citare i principali. Sì, guerra, perché la storia delle missioni di pace non regge più da diversi anni nonostante lo stupore beota di presidenti della repubblica, del consiglio, di camera e senato, quando uno dei nostri, che va in giro con elmetto, giubbotto anti proiettile, granate e fucile d’assalto, non riesce a farsi passare per colombella e si becca una palla in testa da un cecchino.
Un’ambizione di controllo militare internazionale che male si sposa con la limitata autorevolezza in ambito economico ed industriale che il nostro paese esporta nonostante la sua portaerei e mezza, i tornado che partono nel tramonto e le soldatesse (bone) che fanno i sorrisoni arrapanti per far pensare che sotto le armi si guadagnano i dobloni e si tromba come i ricci, salvo fare la fine di Parolisi.
Non bisogna essere degli scienziati per capire che, a meno che tu non sia gli Stati Uniti con decine di portaerei, caccia invisibili, flotte di satelliti e arsenale nucleare, non bastano un po’ di bersaglieri sparsi a cazzo per il mondo per far paura ai debitori.
Il rispetto internazionale va prima guadagnato tramite l’affidabilità, l’innovazione e il lavoro. Poi, se serve, difeso con le armi. Al contrario non funziona e quello che si sta facendo ora è solo uno spreco di risorse funzionale ad interessi non comprensibili e, proprio per questo, inquietanti.
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