giovedì 28 luglio 2011

Rai, Cda approva contratto della Gabanelli Accettata clausola temporanea 'manleva'.



Roma - (Adnkronos) - Sì di viale Mazzini alla prossima edizione di 'Report' con l'impegno di rispondere di eventuali cause per danni ma solo a certe condizioni.

Roma, 28 lug. (Adnkronos) - Il Cda della Rai ha approvato a maggioranza il contratto per la prossima edizione della trasmissione 'Report'. Questo - a quanto apprende l'ADNKRONOS - vuol dire che il consiglio ha accettato la clausola temporanea della 'manleva' proposta dalla Gabanelli, cioè con l'impegno da parte della Rai di rispondere di eventuali cause per danni ma solo a certe condizioni.

"In nome di un dovere cui la Rai è tenuta, quello di garantire la sopravvivenza e il rilancio del Servizio pubblico, è augurabile che la decisione di assicurare a Milena Gabanelli la tutela legale per la trasmissione da lei condotta sia un atto, non isolato né provvisorio, da iscriversi a una strategia rifondativa del valore civile e culturale che la Rai ha sempre rappresentato". Ad affermarlo il presidente della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, Sergio Zavoli.


Terremoto a L'Aquila, nove indagati per i lavori di ricostruzione della questura.


I soccorsi del dopo terremoto

L'Aquila - (Adnkronos) - Gli avvisi di garanzia nell'ambito dell'inchiesta supresunte irregolarità nell'affidamento delle opere di ripristino. Il reato ipotizzato è di abuso d'ufficio. A far nascere qualche sospetto sarebbe stato il rialzo dei prezzi passati da 3 a 18 milioni di euro.

L'Aquila, 28 lug. - (Adnkronos) - Nell'ambito dell'inchiesta su presunte irregolarità nell'affidamento dei lavori di ricostruzione della questura del capoluogo, la Procura della Repubblica dell'Aquila ha emesso nove avvisi di garanzia. Il reato ipotizzato è quello di abuso d'ufficio. A far scattare l'inchiesta sarebbe stata la forte lievitazione dei prezzi passati da 3 a 18 milioni di euro.

Destinatari del provvedimento sono Giuliano Genitti, Lorenzo De Feo, ingegnere, Carlo Clementi, dirigente attualmente in servizio all'Aquila; Giovanni Guglielmi, ex provveditore. Con loro quattro esponenti interni ed esterni del comitato tecnico amministrativo tutti provenienti da Roma. Indagato risulta anche il legale rappresentante della ditta Inteco Spa, che aveva ricevuto inizialmente l'affidamento diretto dei lavori, poi ritirato.

Per via dell'urgenza i lavori erano stati assegnati dal provveditorato interregionale alle opere pubbliche Lazio-Abruzzo-Sardegna con affidamento diretto alla ditta Inteco spa, ma dopo i rilievi della Corte dei conti il nuovo provveditore alle opere pubbliche, Donato Carlea, ha ritirato l'affidamento per indire una nuova gara d'appalto vinta dall'associazione temporanea d'imprese (Ati) Nidaco-Califel.


La “cassaforte” di Filippo Penati. - di Davide Vecchi


L'associazione Fare Metropoli, fondata dall'ex capo della segreteria politica di Pierluigi Bersani, ha raccolto finanziamenti per decine di migliaia di euro. E' gestita da un solo dipendente e in pochi nel partito la conoscono. Tra i finanziatori: Gavio, Sarno, Bmg comunicazione, Banca di Legnano.


A Milano tra gli iscritti e funzionari del Partito democratico non la conosce quasi nessuno. Non è segreta, ma molto riservata. Nessun sito web, nessun numero sull’elenco telefonico, un ufficio di appena quattro stanze sempre vuote. Eppure Fare Metropoli è la cartina di tornasole per capire la storia dei rapporti, incestuosi secondo la magistratura, tra Filippo Penati e il sistema delle imprese. Si, perché questa associazione culturale senza scopo di lucro, nata nel dicembre del 2008 a ridosso delle elezioni provinciali, è uno dei canali attraverso cui l’ex capo della segreteria politica diPier Luigi Bersani ha ricevuto, in gran segreto, finanziamenti per decine e decine di migliaia di euro. Soldi regolarmente registrati nei bilanci dell’associazione (non pubblici) che venivano versati anche da imprese e professionisti ai quali la Provincia aveva concesso appalti, incarichi, consulenze. I fondi raccolti venivano poi anche girati al comitato elettorale di Penati. Quindi registrandoli nei rendiconti ufficiali come provenienti dall’associazione. Rendendo così impossibile sapere da dove realmente arrivavano i finanziamenti.

L’elenco è custodito nella sede di Fare Metropoli, al terzo piano di via Galileo Galilei 14. I movimenti maggiori, come ilfattoquotidiano.it può documentare, sono concentrati nei mesi tra febbraio e maggio 2009. Le elezioni si sono tenute il primo fine settimana di giugno.

L’associazione viene creata il 30 dicembre 2008. Presidente è Pietro Rossi. Già designato daMilano Serravalle (quindi Penati) come consigliere d’amministrazione della società Tangenziali Esterne di Milano Spa. Dove siede anche Bruno Binasco, l’imprenditore arrestato nel 1993 per aver finanziato illecitamente il Pci tramite il “compagno G”, Primo Greganti, e oggi indagato dalla Procura di Monza che ritiene abbia finanziato illecitamente con 2 milioni di euro Penati nel 2010. Binasco, storico braccio destro di Marcellino Gavio, è amministratore delegato della cassaforte del gruppo dell’imprenditore scomparso del 2009: gestisce oltre mille chilometri di autostrade, fattura 6 miliardi di euro ed è primo azionista di Impregilo.

Alla campagna elettorale di Penati contribuisce anche Renato Sarno, tra i perquisiti mercoledì scorso per l’inchiesta della procura di Monza. Nel maggio 2009 stanzia a favore dell’allora candidato presidente un importo superiore a 40mila euro. Nel collegio dei revisori dell’associazione, tra gli altri, viene nominato Antonio Franchitti, con incarichi anche in diverse società in cui la Provincia è tra gli azionisti di riferimento: Autostrada Pedemontana, Milano Serravalle, Agenzia Sviluppo Milano Metropoli e altre.

Fare Metropoli, ufficialmente, chiede, ricevendoli, contributi per “l’attività culturale” che svolge. Anche se, in realtà, non ha mai organizzato alcun tipo di evento. In compenso i fondi arrivano. Da numerose società e da diverse enti. La Banca di Legnano, ad esempio, nel giugno 2009 stanziadiecimila euro. Alla guida del Cda dell’istituto di credito siede Enrico Corali. Lo stesso Corali nominato pochi mesi prima da Penati nel consiglio di amministrazione di Expo 2015 come rappresentante della Provincia. Contributi arrivano anche dalla Bmg comunicazione. La società che nel novembre 2007 ha ottenuto dalla Provincia un appalto da 95 mila euro. Gara in cui figurava come unica concorrente. L’elenco è lungo. E per ogni singolo nome è stato registrato il motivo del finanziamento. Dalla semplice donazione alla quota versata per l’iscrizione. E poi: campagna elettorale, elezioni Filippo Penati, contributi volontari, finanziamento eventi culturali e altro. Documenti custoditi in via Galileo Galilei. Dove è registrato il comitato elettorale “Lista Penati Presidente” ma dove mai nessun incontro pubblico è avvenuto. Né la sede è stata utilizzata per incontri con la stampa durante le due campagne elettorali che hanno impegnato negli ultimi anni l’ex capo della segreteria politica di Bersani: le provinciali 2009 e le regionali contro Roberto Formigoni nel 2010.

Su Internet si trova solamente una traccia di vita relativa all’associazione: la deputata democraticaLucia Codurelli appunta sul calendario del suo blog un “incontro Mauri” il 28 febbraio 2011 alle ore 14.30 in via Galilei. Un incontro politico. Ma non pubblico. Tra la deputata eletta in Lombardia eMatteo Mauri. Un fedelissimo dell’ex presidente della Provincia di Milano, tra i più fidati assessori dell’era penatiana a Palazzo Isimbardi. Mauri, dopo la vittoria di Bersani alle primarie, viene portato da Penati nella segreteria politica nazionale. Dove ancora siede. Anche dopo le dimissioni di Penati del novembre 2010, rassegnate dopo la sconfitta di Stefano Boeri (candidato del Pd fortemente voluto e sponsorizzato da Penati) alle primarie di Milano contro Giuliano Pisapia.

In pochi hanno avuto modo di entrare nella sede dell’associazione. Molti esponenti locali del Partito democratico non ne conoscono neanche l’esistenza. Pochi hanno avuto il privilegio di visitare l’ufficio che affaccia su Porta Nuova. Pochissimi hanno libero accesso, solo i collaboratori più stretti dell’ex presidente.

Ma di tutto questo Penati, cui abbiamo chiesto un incontro, non ha voluto rilasciare dichiarazioni ufficiali. L’ex vicepresidente del consiglio regionale anche ieri ha ribadito la sua totale estraneità dai fatti che gli sono addebitati dalla Procura di Monza. Insiste nel bollare le accuse degli imprenditori Pasini e Di Caterina come pure invenzioni. Soprattutto, confermano i pochi fedelissimi rimasti al suo fianco, Penati si sentirebbe una sorta di “agnello sacrificale”, una semplice pedina usata per colpire il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, di cui ha guidato la segreteria politica fino al novembre 2010. Ora però c’è anche l’associazione Fare Metropoli.




Emilio Fede indagato per il crac di Lele Mora.


Al centro della vicenda il prestito da 2 milioni 850 mila euro concesso da Silvio Berlusconi (non indagato) all'agente dei vip, emerso nelle indagini su Ruby. Il direttore del Tg4 avrebbe trattenuto parte dei soldi destinati alla Lm Management.


Emilio Fede è indagato per concorso in bancarotta fraudolenta nell’inchiesta sull’agente televisivo Lele Mora. Si tratta della stessa indagine sul crac da 8 miloni di euro della Lm Management, coordinata dai pm milanesi Eugenio Fusco e Massimiliano Carducci, che il 20 giugno scorso ha portato all’arresto di Mora, che si trova tuttora detenuto nel carcere di Opera.

Nei giorni scorsi il direttore del Tg4 è stato interrogato negli uffici della Guardia di Finanza, dopo aver ricevuto un invito a comparire, mentre gli inquirenti oggi hanno risentito Mora. La vicenda oggetto di indagine è venuta alla luce durante le indagini sul caso Ruby e sulle notti a luci rosse di Arcore. Dalle intercettazioni era emersa l’intercessione di Fede presso Silvio Berlusconi per far avere un prestito di due milioni 850 mila euro a Mora, che lamentava difficoltà econoniche.

Il prestito sarebbe documentato anche da una scrittura privata del gennaio 2010, siglata dal giornalista e dall’agente dello spettacolo. Dei 2 milioni e 850 mila euro, Fede afferma di averne trattenuti 400 mila, mentre la Lm era già in procedura concorsuale. Mora, invece, afferma di avergli dato poco meno della metà della somma ricevuta. Le versioni dei due divergono, e gli inuirenti stanno cercando di venirne a capo. E’ indagata anche una terza persona, un factotum di Lele Mora.

”Come ho già detto altre volte”, si è difeso Fede all’Ansa, “quei soldi sono un prestito che avevo fatto a Lele e che lui mi ha restituito. Sapevo che lui era in difficoltà ma non in bancarotta, credo di aver chiarito tutto ai magistrati”.



L’Alta corte Ue boccia il ricorso di Mediaset “Recuperare incentivi per i decoder digitali”. - di Alessio Pisanò


Doccia fredda per le reti del Biscione che si sono viste respingere il ricorso dalla Corte di Giustizia di Strasburgo. Ora l'azienda di Cologno monzese dovrà restituire gli "aiuti di Stato" stanziati dal governo per l'acquisto dei decoder per guardare il digitale terrestre.


La Corte di giustizia Ue ha condannato l’Italia al recupero immediato degli aiuti di stato stanziati per l’acquisto dei decoder per il digitale terrestre nel 2004-2005 rimandando al mittente il ricorso presentato da Mediaset. Secondo le toghe di Strasburgo, i fondi stanziati sono “incompatibili con il mercato comunitario” e soprattutto “contro la libera concorrenza”.

Grazie a quei soldi, molti italiani erano riusciti a comprare i decoder a un prezzo scontato in media di 150 euro continuando così a guardare sul digitale i loro canali preferiti, tra cui anche le reti del Biscione, dopo lo switch off della televisione analogica.

Già nel 2007 la Commissione aveva bocciato l’iniziativa del governo italiano (220 milioni di euro nel 2004-2005) perché costituiva un “aiuto di Stato” a favore di quelle emittenti che offrivano anche servizi televisivi a pagamento, come per esempio Mediaset Premium.

Ai tempi erano state proprio le televisioni del Cavaliere a fare ricorso contro la decisione di Bruxelles. La Commissione, infatti, pur ritenendo il passaggio dalla tv analogica a quella digitale un “obiettivo di interesse comune”, aveva rilevato che aiutare solo gli operatori analogici terrestri, come Mediaset, “non risultava un provvedimento proporzionato” e “produceva distorsioni della concorrenza”. In altre parole ci guadagnava solo Mediaset e per giunta con i soldi di tutti.

Oggi, dopo il fallimento del ricorso al Tribunale, l’altra doccia fredda. L’Alta Corte condivide infatti il ragionamento del Tribunale secondo cui “l’elemento di selettività basato sulle caratteristiche tecnologiche, che favorisce la tecnologia digitale terrestre rispetto a quella satellitare, ha comportato una distorsione della concorrenza, ragion per cui la misura di cui trattasi è incompatibile con il mercato comune”.

Adesso le autorità nazionali dovranno mettere mano al portafogli e calcolare loro stesse la cifra da recuperare, visto che “il diritto dell’Unione non impone alla Commissione di fissare l’importo esatto dell’aiuto da restituire”. E qui sorge un altro problema, visto che l’Italia non è esattamente uncampione di velocità nel recupero fondi. È recentemente successo con gli aiuti stanziati dall’Italia per le alluvioni e disastri naturali del 2002 che secondo l’Ue erano illegittimi e troppo alti. Condannato al recupero di tali aiuti, il governo nazionale si è fatta ulteriormente sanzionare dall’Alta Corte per il ritardo del recupero stesso, accumulando sanzioni su sanzioni.

“E’ stata bocciata una legge ad aziendam”, dice David Sassoli, presidente degli eurodeputati del Pd, che sottolinea come la decisione riaccenda i riflettori sul “confitto d’interesse del presidente del Consiglio”.


A picco le azioni delle banche. In borsa valgono la metà. - di Vittorio Malagutti



I bilanci di Unicredit, Banca Intesa, Monte dei Paschi e Banca Popolare restano zavorrati da 200 miliardi di titoli di Stato italiani e da troppi prestiti a rischio.

“Le banche italiane? Pronte ad affrontare le prove più dure, garantiva nemmeno due settimane fa Giuseppe Mussari, presidente dell’Abi cioé la Confindustria del credito. Il 15 luglio, data delle dichiarazioni di Mussari tutti e cinque i grandi istituti nazionali sottoposti agli stress test dalle autorità di controllo europee avevano superato l’esame. Promosse a pieni voti Intesa, Unicredit, Monte Paschi e Ubi, con qualche riserva il Banco Popolare. Tutto bene, allora? Proprio per niente. Perchè dal 15 luglio a oggi i titoli bancari italiani sono entrati nel frullatore dei mercati. Forti ribassi, seguiti da fiammate al rialzo. Il clima resta pesante, come dimostra la giornata di ieri.

Il fatto è che i grandi investitori internazionali vendono Italia a piene mani e se la prendono con le banche perché queste concentrano al massimo grado tutte le debolezze del nostro sistema. A cominciare dalla fortissima esposizione ai titoli di Stato, di cui le banche hanno fatto incetta negli ultimi due anni per garantirsi facili guadagni. Nei bilanci degli istituti, in base agli ultimi dati disponibili, sono parcheggiati qualcosa come 200 miliardi di Btp le cui quotazioni sono scese molto negli ultimi mesi. Di conseguenza gli stock di titoli in portafoglio alle banche si svalutano. Inoltre i banchieri vedono crescere i costi della raccolta, perché devono offrire ai risparmiatori che comprano le loro obbligazioni rendimenti competitivi con quelli dei titoli di Stato.

In prospettiva quindi i margini di guadagno degli istituti di credito italiani, già inferiori a quelli di buona parte dei maggiori concorrenti internazionali, sembrano destinati a scendere ancora. E un primo segnale concreto potrebbe arrivare già nei prossimi giorni, quando verranno resi noti i conti semestrali delle banche quotate. Gli analisti si attendono risultati stabili nella migliore delle ipotesi e comunque non proprio esaltanti.
Poi c’è il problema delle sofferenze, cioé i crediti difficili da recuperare. Alla fine del 2010 questa voce pesava per 85 miliardi nei bilanci dei primi cinque gruppi bancari (Unicredit, Intesa, Monte Paschi, Ubi, Banco Popolare), ovvero ben oltre il doppio rispetto alla fine del 2007, quando l’economia reale è entrata in crisi.

E’ vero che di recente il trend di aumento delle sofferenze ha rallentato il passo. E anche i prestiti alla clientela hanno ripreso ad aumentare. Tutto questo però non basta ancora, soprattutto se la ripresa economica resta debole come negli ultimi mesi. Di conseguenza le banche saranno costrette ad accantonare ancora somme importanti a copertura dei crediti a rischio, penalizzando così il conto economico.

Se si sommano tutti questi fattori negativi, Btp, sofferenze, bilanci deludenti, il minimo che può succedere in Borsa è il tiro a segno sugli istituti con targa italiana. E il ribasso è amplificato dai programmi computerizzati di trading che vendono in automatico titoli, oppure strumenti derivati con azioni come sottostante, sulla base di complessi algoritmi. Una batosta tira l’altra e le quotazioni si stanno pericolosamente avvicinando ai record negativi fatti segnare nel marzo 2009, nel pieno della bufera finanziaria globale. Anzi, a ben guardare, il Monte Paschi ha già superato, al ribasso, quella soglia.

Le grandi banche italiane, come Unicredit e Intesa, ormai valgono in Borsa meno della metà dei loro mezzi propri. Per il Banco Popolare questo rapporto è addirittura arrivato al 20 per cento, per il Monte dei Paschi si aggira intorno al 30 per cento. Valori lontani da quelli dei maggiori concorrenti internazionali tedeschi, francesi, britannici che in media vantano mezzi propri pari o di poco superiori alla capitalizzazione borsistica. E allora, se le banche italiane sono così penalizzate la colpa non può essere solo delle scommesse al ribasso degli speculatori. Il problema è che gli investitori temono che i banchieri tricolori si siano infilati in un tunnel di guai da cui faticheranno molto a uscire.



Giarre, concorso con "profezia" "Ecco chi saranno i vincitori". di MASSIMO LORELLO


Una lettera anonima anticipa i risultati delle selezioni: indovinati 4 nomi su oltre 1700 candidati. I primi 35 prescelti dovranno affrontare una seconda prova. La missiva spedita anche alla Procura.


Una premonizione misteriosa, un'inquietante profezia, un giallo dai risvolti enigmatici da due settimane inquieta la città di Giarre. Il 23 agosto si sono svolte le selezioni per sette posti di vigile urbano. La graduatoria dei 564 candidati che si sono sottoposti all'esame è stata pubblicata dall'amministrazione municipale appena pochi giorni fa. Eppure, prima ancora che le prove cominciassero, proprio il 23 agosto, qualcuno prevedeva come sarebbero andate a finire le cose.

Questo qualcuno, che non ha nome, era talmente certo della sua previsione da metterla per iscritto in una lettera spedita alla Procura di Catania, alla guardia di finanza e persino ai vigili del fuoco. Nella missiva, l'anonimo veggente ha citato sei dei candidati che si sarebbero piazzati nei primi sette posti. La profezia si è rivelata corretta ma fino a un certo punto. L'anonimo ha azzeccato quattro nomi: i figli di tre dipendenti comunali e la figlia di un sindacalista Cisl. Considerato che complessivamente i candidati erano 1.706 (tanti hanno presentato la domanda al concorso) la sua previsione è da ritenersi degna almeno del mago di San Remo.
Il pronostico è diventato un caso anche su Facebook, dove s'avanzano sospetti sulla correttezza della prova d'esame. L'assunzione avverrà dopo una ulteriore prova d'esame aperta ai primi 35 concorrenti, ma i primi sette (tra i quali i quattro del pronostico) hanno ottenuto tutti punteggi superiori a 150, mentre dall'ottavo candidato in poi i punti precipitano sotto quota 92.

Il sindaco, Maria Teresa Sodano (Mpa) non si scompone: "Non mi occupo di chi fa parte delle graduatorie e non rispondo agli anonimi. So che partecipavano figli di dipendenti e di amministratori: in un piccolo centro è fisiologico che questo accada. Ma garantisco sull'assoluta trasparenza della prova".

I candidati hanno dovuto rispondere a una raffica di quiz sul diritto civile e penale, sull'edilizia, l'annona e l'infortunistica, sui sistemi informatici e sulla conoscenza della lingua inglese. I test sono stati elaborati da Alfia Serafina Nucifora, una commercialista di Catania scelta tra cinque privati che avevano presentato l'offerta. "Posso garantire in maniera assoluta che prima della prova d'esame nessuno ha visto gli elenchi con le domande - assicura Nucifora - né tantomeno le schede con le risposte". Eppure qualcuno aveva previsto (quasi) tutto. Altro che Codice da Vinci. Vallo a svelare il mistero di Giarre.

http://palermo.repubblica.it/cronaca/2010/09/07/news/giarre_concorso_con_profezia_ecco_chi_saranno_i_vincitori-6825217/