sabato 30 luglio 2011

Tremonti spiato, la Finanza smentisce “Non vive in caserma dall’estate del 2004″


La replica informale delle Fiamme gialle raccolta oggi da Repubblica. Il ministro aveva affermato di essersi trasferito nell'appartamento di Marco Milanese, indagato per corruzione, per sfuggire all'indebito controllo dei militari. Ma i tempi non quadrano.


“L’ultima volta che Giulio Tremonti fu ospite con cadenza regolare di una struttura del Corpo fu quando, nei primi mesi dell’estate del 2004, alloggiava in una delle foresterie al secondo piano della caserma di via Sicilia”. Così la Guardia di Finanza smentisce il ministro dell’Economia, che nei giorni scorsi aveva affermato di aver abbandonato l’alloggio a sua disposizione in una caserma delle Fiamme gialle perché si sentiva “spiato”. Si tratta di una smentita non ufficiale – ma circostanziata - raccolta da Repubblica in edicola oggi.

La vicenda era emersa nell’indagine della procura di Napoli a carico di Marco Milanese, deputato del Pdl ed ex consigliere del ministro, inseguito da un ordine di arresto per corruzione e altri reati. Tremonti non è indagato, ma è finito al centro di polemiche roventi per aver utilizzato un lussuoso appartamento romano del suo collaboratore, pagandogli, a suo dire, una quota di affitto “in contanti”. Forse un “errore”, lo ha definito, determinato appunto dalla necessità di sottrarsi alle indebite attenzioni dei militari: “Non ero più tranquillo, mi sentivo spiato, controllato, persino pedinato”.

Ricorda però la Repubblica che lo stesso Tremonti colloca il trasloco da Milanese nel febbraio 2009, cioè cinque anni dopo aver definitivamente lasciato la vita da caserma, come la Guardia di finanza sarebbe in grado di documentare, perché delle attività di vigilanza su una carica così importante “naturalmente si tiene traccia”. Il ministro, inoltre, non ha mai parlato esplicitamente di questi timori nei suoi interrogatori di fronte ai pm napoletani, ma si è riferito genericamente a “cordate” interne al Corpo che si contendevano le prospettive di carriera ai massimi livelli, con relativi rapporti politici. Una di queste, secondo il ministro, farebbe capo al generale Michele Adinolfi, molto vicino a Gianni Lettae al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

I ricordi di Tremonti, nota il quotidiano romano, diventano invece ben più drammatici “in assoluta coincidenza temporale con l’aggravarsi della posizione processuale e politica di Marco Milanese, con l’impossibilità di togliersi d’impaccio dalla vicenda di via di Campo Marzio con una scrollata di spalle, o rapide scuse”. A questo punto è possibile che il ministro dell’Economia sia risentito dalla Procura di Napoli per chiarire tutta la vicenda.



Senato verso il voto sul processo lungo L’ultimo regalo ad personam per B. - di sara Nicoli


Nella fretta i berluscones sbagliano riscrivere l'emendamento commettendo errori di diritto. Per questo, una volta arrivato alla Camera, il documento dovrà essere riscritto dalla maggioranza.


Pongono la (48esima) fiducia a sorpresa, temendo di non riuscire a portarsi a casa prima della chiusura del Senato, l’ultima legge a favore del Cavaliere, il processo lungo. Ma nella fretta spasmodica di mettersi in tasca il risultato, sbagliano clamorosamente a riscrivere l’emendamento cuore dell’articolato (Mugnai) commettendo marchiani errori di diritto che costringeranno poi la maggioranza, una volta alla Camera, a rimetterci le mani. E, a ricominciare tutto daccapo.

Una figuraccia enorme, che vanifica ogni sforzo degli uomini di Berlusconi di costruire un articolato tale da permettere agli avvocati del Cavaliere di allungare a dismisura le liste dei testimoni per raggiungere serenamente la prescrizione di tutti i suoi principali processi.

È stato il senatore dell’Idv, l’avvocato Luigi Li Gotti, a mettere in aula la maggioranza spalle al muro, raccontando ai pochissimi presenti rimasti ad ascoltare un dibattito totalmente inutile dopo la presentazione della fiducia da parte del governo (in aula erano in 13) in quale errore fosse incorsa la compagine degli avvocati berlusconiani di stanza a Palazzo Madama; in pratica, confondendo i numeri di alcuni articoli del codice di procedura penale, quelli legati al reato di strage e quelli sul sequestro di persona con le successive aggravanti, i berluscones in commissione Giustizia hanno escluso dai benefici penitenziari coloro che hanno commesso una strage “se è morto il sequestrato”.

Insomma, un papocchio giuridico, una svista che si tramuta in un mostro giuridico e inficia tutta la legge. Il relatore del processo lungo, Roberto Centaro del Pdl, ha provato fino all’ultimo a convincere le opposizioni a far finta di nulla, consentendogli di mettere mano all’errore, ma il no è stato netto, anche perché il regolamento non lo consente e i funzionari di Palazzo Madama si sono opposti con vigore. Morale; una fiducia sprecata e un buco nell’acqua per il Cavaliere che non potrà vedersi approvata la sua legge entro ottobre, come avrebbe voluto, in modo da mandare a gambe per aria i processi Mills, Mediaset e Mediatrade.

Ma quello di ieri, se possibile, è stata l’ennesima prova di una maggioranza totalmente allo sbando, minata al suo interno e gravata da un’unica, vera urgenza oltre a quella di omaggiare ancora Berlusconi con una legge ad personam; andare in vacanza il prima possibile. Con Renato Schifani, presidente del Senato, vero regista di una grottesca commedia degli equivoci che ha fatto andare su tutte le furie il Pd e ha lasciato perplessa anche la Lega. In un primo momento, infatti, si è offerto di fare da garante del dibattito, evitando di contingentare i tempi, ma minacciando comunque di farlo se le opposizioni avessero tentato manovre ostruzionistiche. Poi, in sua assenza, il governo è arrivato a porre la fiducia, consentendo a Rosi Mauro, la pasionaria leghista che presiedeva l’aula, di chiudere di botto il dibattito che solo più tardi si è riavviato, ma con “solo delle anime morte, non più di una quindicina di senatori – racconta Pancho Pardi dell’Idv – che non avevano alcuna voglia di stare lì”.

È stato in questa atmosfera surreale, da “ottundimento dei sensi” (sono sempre parole di Pardi, ndr) che Felice Casson, ha sparato alzo zero contro la maggioranza: “Vorrei dare un consiglio agli avvocati di Berlusconi – ha detto l’ex pm di Venezia – anche se non ne avrebbero bisogno; di portarsi nei processi a Milano tutte le escort della città, quindi centinaia e centinaia di persone: possono star sicuri che con la nuova norma di legge il giudice non potrà assolutamente dirgli di no. Sia in Internet sia sulle pagine gialle se ne possono trovare centinaia e centinaia”.

Anche dell’Amn, che aveva parlato di normativa capace di “avere effetti devastanti, fino a rischiare la paralisi di tutti i procedimenti pendenti” ma a Montecitorio, a settembre, la strada del processo lungo si annuncia tutta in salita; Giulia Bongiorno, presidente della Commissione Giustizia della Camera ha già detto che per lei è un provvedimento “inaccettabile”.



Sos dal pool anticamorra "Noi, a piedi e senza scorta"


Situazione d'emergenza per gli straordinari non pagati agli autisti. Lettera dei pubblici ministeri al prefetto: chi è esposto rischia di rimanere senza protezione.


di CONCHITA SANNINO

Un "unicum" nel panorama delle Procure antimafia italiane. Mentre a Napoli si accelera nelle inchieste su corruzione (in politica) e crimine organizzato (dentro e fuori le istituzioni) i pubblici ministeri del pool anticamorra di Napoli denunciano di essere rimasti "senza tutela". In due parole: a piedi. Dalle 18 in poi, ormai di fatto è "vietato" restare a lavorare. Il motivo? Non vi sono autisti disponibili ad accompagnarli nelle auto blindate, cosiddette di tutela. Il caso, anticipato da Repubblica e confermato dal procuratore Giandomenico Lepore con una punta di amarezza, finisce ora nero su bianco all'attenzione del prefetto Andrea De Martino. E a scrivere, sono proprio i pm.

LA SUCCESSIONE/Ecco i 16 candidati alla guida della Procura

Al centro della vicenda, il braccio di ferro in corso tra gli autisti addetti alla guida delle blindate assegnate alla Distrettuale antimafia ed il Ministero della giustizia. Il quale deve a questi lavoratori un anno intero di arretrati (il 2010) più alcuni mesi del 2011. "Non ci pagano lo straordinario, e dalle 18 basta servizio", è stato il legittimo annuncio. Lasciando pm e procuratori "a piedi": paradossale visto che per almeno 15 di loro è alta la soglia di rischio. Lepore aveva già detto: "Speriamo che il ministro Tremonti firmi presto questo provvedimento".

Dopo l'sos di alcuni magistrati, come Antonello Ardituro, ieri è il pm Cesare Sirignano a mettere nero su bianco l'allarme. Non è un caso. Sirignano è autore di catture di capiclan e vari blitz, dai killer del clan Setola ai rapporti economico-mafiosi con le articolazioni mafiose di Totò Riina: ma soprattutto, insieme con il pm Alessandro Milita, è uno dei magistrati già minacciati dai clan, vedi le parole di morte del detenuto Giovanni Venosa, estorsore e nipote del boss (omonimo) dei casalesi (nonché attore - non per caso - nel film Gomorra).

Scrive Sirignano: "Gli autisti di questo ufficio si astengono dalle prestazioni straordinarie, adducendo ragioni connesse al mancato pagamento degli emolumenti. I magistrati dell'ufficio (...) hanno fino ad oggi mostrato ampia comprensione". Ma la situazione comincia a diventare pesante. Spiega il pm: "Incide sulla funzionalità, e determina di fatto una pericolosa interruzione del dispositivo di protezione previsto per i magistrati esposti a pericolo. In mancanza di risposte immediate del Ministero e in previsione del protrarsi dello stato di agitazione per la carenza di fondi - sottolinea ancora il sostituto - appare urgente procedere all'adozione dei necessari provvedimenti". Appare peraltro "incomprensibile" che quando i magistrati sono in ufficio al lavoro e dunque non è necessaria l'auto, "venga assicurata la funzionalità del servizio di accompagnamento; e che, viceversa, "quando il magistrato lascia l'edificio in cui presta la propria attività per l'intera giornata, sia privato sia dell'accompagnamento sia, soprattutto, della tutela".

http://napoli.repubblica.it/cronaca/2011/07/29/news/sos_dal_pool_anticamorra_noi_a_piedi_e_senza_scorta-19767709/?ref=HREA-1


Ecco perchè il doppio Giulio non ci convince per nulla. - di Franco Bechis



Ecco perché il doppio Giulio non ci convince per nulla

L’unica cosa che aveva regalato finora agli italiani era una battuta o poco più. Un comunicato di poche righe nel giorno più difficile, e uno scherzoso «mi sono dimesso… da inquilino», con cui Giulio Tremonti aveva pensato di archiviare la vicenda della casa romana sbucata fra le pieghe del caso Milanese. C’è voluta la punzecchiatura del suo amato Corriere della Sera (il quotidiano con cui collaborava) e il richiamo di una firma illustre come quella dell’ambasciatore Sergio Romano che stigmatizzava quella casa pagata in nero dal ministro che insegue gli evasori per convincere Tremonti a qualche passettino in più.
Il ministro dell’Economia ieri ha scritto una breve lettera al quotidiano diretto da Ferruccio De Bortoli e l’ha accompagnata per non fare torto al rivale in edicola a una chiacchierata informale con il vicedirettore di Repubblica, Massimo Giannini. Al Corriere ha raccontato di essere un ricco professionista e rivelato di ricevere come tutti i ministri 2.390 euro al mese di stipendio in contanti. Quindi per uno come lui non è stato un problema dare 4 mila euro mensili in contanti a titolo di rimborso spese per la casa che gli aveva messo a disposizione il suo collaboratore Marco Milanese. Per Tremonti non si tratterebbe di nero perché «fra privati cittadini non era dovuta l’emissione di fattura o vietata la forma di pagamento». Il ministro spiega di avere raggiunto un accordo verbale con Milanese e di avere pensato all’inizio «a un diverso contratto, che ho poi subito escluso per ragioni personali». E sostiene di non avere fatto nulla di male. A Repubblica invece la versione fornita è assai diversa, e in qualche passaggio addirittura divergente. Per prima cosa Tremonti ammette: «Ho fatto una stupidata». Poi aggiunge una spiegazione choc (che peraltro era già stata rivelata da Libero qualche settimana fa): «In quella casa ci sono andato per banale leggerezza. Il fatto è che prima ero in caserma, ma non mi sentivo più tranquillo. Nel mio lavoro ero spiato, controllato, pedinato».
Nel lungo colloquio Tremonti aggiunge di essersi sentito spiato perfino in hotel e che per questo dal febbraio 2009 ha deciso di «accettare l’offerta di Milanese. L’ospitalità di un amico, presso una abitazione che non riportava direttamente al mio nome, mi era sembrata la soluzione per me più sicura».
Basta tutto ciò a cancellare ombre? Francamente no. Anzi la duplice versione di Tremonti pare aggiungere ombra ad ombra. Per chiarire bisognerebbe andare avanti settimane con carteggi e colloqui confidenziali. E già in questo c’è la principale anomalia. Tremonti è il capo del fisco italiano. Negli ultimi due anni ha varato misure assai severe su evasione ed elusione fiscale. Il suo mandato all’Agenzia delle Entrate è stato recuperare ad ogni costo 10 miliardi di euro l’anno scorso (obiettivo raggiunto) e 20 miliardi nell’anno in corso. Non ci possono essere ombre sui comportamenti fiscali privati di chi obbliga tutti gli altri a una condotta rigorosa. Quando quelle ombre sono emerse sulla casa romana di Tremonti, il ministro non avrebbe dovuto attendere nemmeno un giorno. La soluzione più naturale sarebbe stata convocare una conferenza stampa ed accettare di rispondere a qualsiasi domanda fosse arrivata. In quel modo si sarebbe rivolto ai contribuenti italiani e non ai giornalisti di fiducia, che è ben altra cosa. Questa incapacità di parlare all’elettorato e a tutti gli italiani sta diventando un handicap grave nel centro-destra. Lo avesse fatto Tremonti avrebbe forse chiarito quel che al momento è ancora oscuro.
Che significa che fra privati può girare del nero? Non è forse privata la mia padrona di casa a cui pago l’affitto? Lo devo fare in contanti e lei semplicemente incassarlo nel disinteresse del fisco? Si poteva quindi non firmare un contratto con la mia padrona di casa per «ragioni personali» come quelle misteriosamente citate dal ministro dell’Economia? Se è così per Tremonti, deve essere così anche per tutti gli altri italiani.
Abbiamo letto su Repubblica qualche giorno fa Milanese negare qualsiasi rapporto di amicizia con il ministro: «Gli do del lei e lo chiamo professore». Due giorni dopo Tremonti spiega di essersi sentito più sicuro con «l’ospitalità di un amico». Le due versioni palesemente stridono. Quale è falsa?
Infine la domanda più rilevante: quanti anni ha passato il ministro a sentirsi spiato e perfino pedinato prima di riparare nel 2009 a casa Milanese? Quali sono le prove di un’accusa così grave? È stata denunciata alla magistratura? Ha chiesto di essere sentito dal Copasir? Ha dovuto prendere in questa situazione decisioni che altrimenti non avrebbe preso? Non sono domande inutili. Inutile è il rimpallo con i giornalisti amici. Che contano assai meno dei contribuenti italiani.



Bellissimo discorso di una manifestante NO TAV alle forze dell'ordine!!!.mp4




venerdì 29 luglio 2011

Due milioni di metri quadri di monnezza In Campania ora è disastro ecologico. - di Nello Trocchia



L'allarme viene lanciato dall'ultimo rapporto Arpac. Il documento rileva macchie estesi di contaminazione invasa da oltre 17 milioni di tonnellate di rifiuti anche tossici e nocivi. L'agenzia ha individuato sette macro zone.

La definizione tecnica è aree vaste. La traduzione è disastro ecologico. La Campania radiografata dal rapporto dell’Arpac, l’agenzia regionale di protezione ambiente, è un territorio con macchie estese di contaminazione. Il dossier è stato presentato da Antonio Episcopo, direttore dell’Arpac e daMarinella Vito, direttrice tecnica, durante le audizioni davanti alle commissioni anticamorra e bonifiche della regione. Le aree vaste individuate si ricavano dalla collocazione geografica dei siti potenzialmente contaminati inseriti in due elenchi.

Sono sette le macro zone individuate: “Nelle aree vaste – scrive l’Arpac – i dati esistenti inducono a ritenere che la situazione ambientale sia particolarmente compromessa, a causa della presenza contemporanea, in porzioni di territorio relativamente limitate, di più siti inquinati e/o potenzialmente inquinati”. Ogni area vasta presenta una scheda con il dettaglio dei siti, la presenza di inquinanti, lo stato degli interventi. Antonio Amato, presidente regionale della commissione Ecomafie e bonifiche, riassume i numeri del disastro: “Oltre due milioni e settecento mila metri quadri di territorio devastati, oltre 17 milioni e 400 mila metri cubi di rifiuti stimati, tra quelli noti, livelli di inquinamento che impongono un immediato intervento”.

C’è l’area vasta Masseria del pozzo nel comune di Giugliano, in provincia di Napoli, con la presenza nei siti censiti di rifiuti solidi urbani, tossici, nocivi e speciali. Non solo, nelle acque sotterranee si è evidenziata la presenza di manganese, ferro, piombo, benzene e altri inquinanti. Nei pozzi spia, discarica Masseria del Pozzo, superamenti dei livelli di “Ferro, manganese, azoto ammoniacale, idrocarburi totali, ammonio e fluoruri”.

Per ogni sito, la maggior parte discariche, c’è anche il dettaglio con lo stato delle attività di messa in sicurezza e bonifica. Ogni scheda con progetto annesso di ripristino ambientale si conclude con la stessa dicitura: non attuato. Tra i siti c’è l’area di stoccaggio Fibe Spa con 215 mila metri cubi di rifiuti solidi urbani, con il piano di caratterizzazione redatto, ma non attuato. Per molti siti, anche gestiti da mano pubblica, non sono state realizzate indagini e in molte discariche mancano anche i teli di copertura e di contenimento con fuoriuscita di biogas e percolato.

Cambiamo area vasta e la situazione è la stessa. Cittadini e colture che convivono con vere e proprie bombe ecologiche. Area Maruzzella, in provincia di Caserta. Non solo i buchi della camorra e dell’imprenditoria collusa. In questo caso i siti censiti hanno avuto tutti il controllo pubblico (consorzi o partecipate) o della Fibe Spa, la società di Impregilo che avrebbe dovuto realizzare il ciclo di gestione dei rifiuti in Campania. Ci sono ammassati circa 2 milioni e 900 mila tonnellate di rifiuti. In uno dei siti monitorati, nelle acque sotterranee si rilevano superamenti dei livelli di arsenico, ferro, manganese, idrocarburi, piombo così come nelle acque di falda: ferro e arsenico. Area vasta Pianura, ancora in provincia di Napoli.

Un quadro agghiacciante di contaminazione con la presenza di rifiuti speciali, tossici, nocivi, industriali nei siti monitorati. Nelle acque di falda i superamenti dei livelli di ferro, manganese, arsenico, nei suoli, invece: stagno e berillio. Completano le aree vaste quella di Lo Uttaro, Bortolotto, in provincia di Caserta, e Regi Lagni e Fiume Sarno ( che comprendono aree interprovinciali). L’Arpac scrive: “ Si tratta di aree particolarmente interessate dalla presenza contemporanea di due o più siti di smaltimento rifiuti, per le quali le diverse indagini effettuate nel tempo, principalmente sulla falda acquifera, hanno evidenziato situazione di contaminazione delle acquee sotterranee, potenzialmente correlabili ad una cattiva gestione dei siti presenti”.

Nel dossier si evidenzia lo stato di avanzamento degli interventi dei siti potenzialmente ‘contaminati’, censiti nel 2005. Su 2551 siti radiografati ( potenzialmente inquinati) solo su 519 ( il 20%) si registra, a settembre 2010, un avanzamento dell’iter procedurale. Su questi 519, 67 sono risultati non contaminati, i bonificati sono 5, quelli in corso di bonifica 3. Per intervenire servono risorse: “ L’anagrafe e il censimento – conclude Amato – dei siti inquinati in Campania, restituiscono una situazione drammatica e realisticamente, sarebbero necessarie oltre 4 finanziarie dello stato per realizzare una bonifica completa”.


giovedì 28 luglio 2011

Menarini, l'inchiesta si allarga altra azienda truffava lo stato.


La procura di Firenze accusa la filiale italiana della multinazionale Bristol Myers Squibb.
Avrebbe aiutato Alberto Aleotti a frodare il servizio sanitario e aumentare i prezzi dei farmaci.


Avrebbero gonfiato notevolmente i prezzi di vendita dei farmaci commercializzati, ottenendo un indebito rimborso di oltre un miliardo di euro dal Servizio Sanitario Nazionale. E' l'accusa rivolta dalla Procura della Repubblica di Firenze alla multinazionale Bristol Myers Squibb Italia, che avrebbe messo in atto la truffa assieme al gruppo Menarini. Nei confronti della società sono state effettuate oggi delle perquisizioni dalla Gdf.

L'ipotesi degli inquirenti è che entrambi i gruppi industriali abbiano messo in atto comportamenti finalizzati ad ottenere, attraverso una serie di artifici e raggiri, l'inserimento nel Prontuario farmaceutico nazionale di farmaci commercializzati sia da Menarini che da Bristol Myers Squibb a prezzi notevolmente gonfiati rispetto al costo effettivamente sostenuto.

Unico indagato, per il momento, risulta l'ex amministratore delegato Guido Porporati, accusato di concorso in truffa con Alberto Aleotti, patron di Menarini.

La vicenda è collegata all'inchiesta che sempre la procura di Firenze sta conducendo sul gruppo Menarini, nella quale sono indagati i vertici dell'azienda. Secondo i magistrati, il gruppo, attraverso società 'cartiere' che avevano come compito quello di aumentare il costo dei principi attivi acquistati, era riuscito ad ottenere un prezzo di vendita dei farmaci più alto rispetto al prezzo reale, con notevole aggravio di spesa per il servizio sanitario nazionale che doveva rimborsarli.

In questo contesto la Bristol Myers Squibb, fin dal 1984, avrebbe concesso al gruppo Menarini la licenza non esclusiva per il confezionamento e la vendita in Italia di farmaci preparati sulla base proprio di quei principi attivi, essendo a conoscenza dell'esistenza delle cartiere per aumentare il prezzo. Ci avrebbe guadagnato adeguando il prezzo dei suoi farmaci, prodotti con lo stesso principio attivo di quelli di Menarini, a quelli della società toscana.

Oltre alle perquisizioni nelle sedi della multinazionale, gli uomini della Guardia di Finanza hanno notificato alla Bms il decreto di fissazione dell'udienza per l'applicazione di misure cautelari, prevista per il 19 settembre.

L'ipotesi di frode su cui lavorano gli inquirenti non riguarderebbe la qualità dei farmaci bensì l'illecita sovrafatturazione dei costi sostenuti dalla Bms Italia per l'acquisto dei principi attivi (Pravastatina, Fosinopril, Captopril, Aztreonam) utilizzati per la produzione e la vendita di farmaci impiegati nella cura di malattie cardiache e di battericidi (anch'essi impiegati per il trattamento di particolari patologie cardiache), per i quali è previsto il rimborso da parte del Servizio sanitario nazionale.

http://firenze.repubblica.it/cronaca/2011/07/28/news/prezzi_dei_farmaci_gonfiati_truffa_da_1_miliardo_al_servizio_sanitario-19733317/?ref=HREC2-6