giovedì 11 agosto 2011

Default Italia 92 Giorni al Fallimento: La Presa in Giro delle Liberalizzazioni. - di Lameduck


Ho appena fatto un ordine di libri e DVD su Amazon.it, alla faccia dell’onorevole Riccardo Levi (PD). Ho approfittato dei prezzi irresistibili, della comodità di scegliere da casa e ricevere direttamente in ufficio, senza spese di spedizione e non me ne pento affatto. Anzi, lo rifarei e lo rifarò senz’altro prima del 1° settembre, giorno in cui entrerà in vigore una delle leggi più polpottiste di questo paese finto democratico che ha sempre il vizio di infilare a tradimento un dito nel culo dei suoi cittadini.

Una legge tipica da legislatore che soffre d’insonnia e non sa più cosa inventarsi a notte fonda per vessare i suoi concittadini; che va contro ogni principio di libertà di scelta e contro i fondamentali del mercato, visto che pretende di stabilire per decreto quale sconto massimo posso ottenere sui miei acquisti e dove devo farli, gli stessi. Una roba che non sarebbe venuta in mente nemmeno al più grigio dei burocrati del Cremlino brezneviano e che piace comunque agli berluscostalinisti perché difende i piccoli librai, le piccole rivendite, le piccole cartolerie, quelle che sono destinate a scomparire non per cattiveria ma per raggiunto capolinea storico. Anche i negozi di fotografo stanno scomparendo. Che facciamo, una legge sul rullino obbligatorio e il rogo delle fotocamere digitali sulla pubblica piazza?

Io non ho nulla contro le librerie della mia città. Peccato che la risposta frequente sia: “Non l’abbiamo, se vuole l’ordiniamo.” L’ultima volta che mi sono lasciata convincere ho atteso invano due mesi per poi sentirmi dire: “Mi dispiace, non è più disponibile”. Il libro l’ho poi trovato la sera stessa su Amazon, ad un prezzo inferiore a quello di listino, ovviamente, e in tre giorni l’ho ricevuto a casa.
Questa legge è un inutile esercizio di protezionismo corporativo perché ci saranno per molto tempo ancora persone che, non avendo dimestichezza con il computer, continueranno ad andare ad acquistare libri in libreria, ma intanto questi legulei ad minchiam cercano di frenare il progresso e si prendono paura delle vendite online e di Amazon che fa gli sconti per acchiappare clienti. Una cosa vecchia come la crocefissione.

Di fronte alle leggi che hanno limitato la libertà di riproduzione (procreazione assistita), che vorrebbero vietare la prostituzione low cost senza pensare a quella dei pompini da 300 euro nelle stanze del potere, alle leggi contro la libertà di scelta sul fine vita ed il sondino coatto, al divieto per le persone omosessuali di veder riconosciuti i propri diritti civili di convivenza, di fronte insomma a queste pesantissime ingerenze nella libertà personale di noi italiani, perpetrate dal vecchio coso gonfio fallito e dal suo governaccio, cosa volete che sia una legge meschina anti-e-commerce in difesa delle specie commerciali in via di estinzione. Quisquilie e pinzallacchere. Invece io mi indigno ugualmente, soprattutto perché chi ha firmato questa legge è lo stesso che vorrebbe porre dei limiti e dei paletti alla libera espressione di coloro che scrivono sul webcon l’ennesima legge bavaglio e perché non è un berlusconide rettiliano conclamato ma uno del PD, teoricamente uno di sinistra.

Odio quando sento dire: “sono tutti uguali”. Però ultimamente il qualunquismo ce lo stanno proprio tirando fuori con le pinze.

http://www.mentecritica.net/default-italia-92-giorni-al-fallimento-la-presa-in-giro-delle-liberalizzazioni/informazione/democrazia-e-diritti/lameduck/20840/

Default Italia 92 Giorni al Fallimento: Feroci o Coglioni? - di Comandante Nebbia


Come ho scritto diverse volte su queste pagine, non sono uomo di progetto. Un teorico ed idealista come me non è adatto a formulare proposte concrete al di fuori dei propri ambiti di competenza (che sono diversi, alcuni dei quali non auspicabili in queste contingenze). Al massimo posso raccontare qualche sogno, più spesso qualche incubo.
E’ per questo che mi sono astenuto dal formulare proposte concrete sulla soluzione del problema default. C’è gente più preparata e volenterosa di me in giro. Non parlo solo dei soliti soloni strapagati per scrivere quello che decide il governo, confindustria o i sindacati, ma anche di “semplici” tecnici (si legga ad esempioquesto interessante articolo) o uomini di buona volontà che hanno generosamente provato a dare il loro contributo anche su queste modestissime pagine (vedi, ad esempio, qui, qui e anche qui).

Comunque, non voglio astenermi dal prendere una posizione. Quella che esporrò non può definirsi una proposta. Più propriamente rientra in un quadro onirico. Sogno o incubo, lo lascio decidere a chi leggerà.

Per passi:

  1. Secondo me a questo governo andrebbero imposte dimissioni a furor di popolo. E quando dico furor di popolo non uso una metafora, ché le metafore non mi sono mai piaciute, ma intendo scioperi senza preavviso, occupazioni pacifiche di strutture pubbliche, blocco di linee ferroviarie e autostrade, presidio fisico e rumoroso ad ogni manifestazione che veda l’intervento di rappresentanti del governo, appostamenti nei pressi di alberghi (anche senza monetine), contestazioni rumorose (particolarmente di notte) nei pressi di residenze, lanci di uova crude ed ortaggi morbidi (da evitarsi le patate) ai cortei di auto blu. Chi è ricorso tante volte alla “volontà popolare” per giustificare decine di azioni deprecabili, merita di essere disarcionato per via plebiscitaria più che politica.
  2. Il presidente della repubblica, anche per giustificare un ruolo che appare tristemente più simile a quello di un prelato che di un capo di stato, dovrebbe incaricare immediatamente una persona di altissimo profilo internazionale (Mario Monti?) con due soli compiti: adottare le misure più urgenti per arginare la crisi e riscrivere una legge elettorale che restituisca ai cittadini il diritto di esprimere preferenze. Tempo massimo tre mesi e poi sciogliere le camere. Io propendo per un’uninominale secca, ma sono di bocca buona. Le preferenze. Le preferenze, sono essenziali. Sulle misure non mi dilungo. Non sono un economista e la mia esperienza mi dice che oltre i redditi fissi, le pensioni, l’abolizione dell’articolo 18 e una patrimoniale “popolare” (nel senso che colpisce i poveretti) non si può andare. Magari mi sbaglio, nel caso sono contento.
  3. Se il governo non si forma o non persegue i due soli obiettivi che gli sono affidati, si torna al punto 1, ma stavolta con i forconi e con i cappi ché tanto non abbiamo più nulla da perdere.
  4. Contemporaneamente alle elezioni politiche, affiderei ai cittadini la scelta di cento nomi di persone incensurate che non abbiano mai ricoperto nessuna carica politica o posizione in ente pubblico, che non siano mai stati iscritti ad un partito e che, esplicitamente, rinunceranno in via definitiva ad assumere qualsiasi carica pubblica successivamente all’elezione. Questi 100 probi viri, una volta eletti, avrebbero il compito di formare una commissione d’inchiesta con l’incarico di individuare eventuali responsabilità penali della classe politica partitocratica che ha governato l’Italia negli ultimi vent’anni. La commissione avrebbe il potere di dare notizia di reato alla magistratura e dovrebbe poter disporre delle forze di polizia, dei servizi segreti e libero accesso ai loro archivi e a quelli di stato, compresi i documenti secretati. Non ho pretesa di giustizia, parola troppo sacra per un laico come me, mi accontenterei di banalissima vendetta di cui, invecchiando, sento più bisogno delle pillole per la pressione o del viagra.
  5. Chi, fra gli attuali leader o peones, decidesse di riparare all’estero dovrà essere consapevole che, in via cautelativa, la Repubblica provvederà a sequestrare tutti i beni di sua proprietà o ricollegabili a società partecipate e a congelare quelli dei congiunti fino al secondo grado sino all’emissione di giudizio definitivo.
  6. Il governo, mentre la giustizia inizia a fare finalmente il suo corso, dovrebbe lavorare su diversi fronti:
    • La drastica riduzione della spesa pubblica e l’implementazione di un sistema che la renda trasparente ai cittadini. Un cittadino di una regione X deve sapere con pochi click quanto spende la sua ASL per le siringhe monouso e confrontarlo, on line, con il costo sostenuto dalla regione Y.
    • La riforma della legislazione penale sull’evasione fiscale prevedendo pene severissime ed inflessibili su quello che è uno dei reati più vili e dannosi per la comunità.
    • La pubblicazione on line dei redditi di tutti i cittadini censiti dall’agenzia delle entrate.
    • La creazione della figura professionale di delatore fiscale. Tutti i cittadini dovrebbero avere il diritto ad iscriversi alle liste dell’agenzia dell’entrate per svolgere l’attività ed ad una percentuale sull’importo recuperato. Alla seconda delazione non corretta, ci sarebbe la cancellazione permanente dalla lista.
    • Una riforma del mercato del lavoro che aumenti la flessibilità, ma che fornisca garanzie previdenziali e retributive ai lavoratori a tempo determinato in modo da rigirare sul prestatore d’opera un’aliquota apprezzabile del risparmio fiscale ottenuto dal datore di lavoro con l’adozione di un contratto flessibile.
    • Una riforma della giustizia che elimini un livello di giudizio o che, perlomeno, preveda la cassazione solo in casi particolarmente gravi e alleggerisca il carico della giustizia civile potenziando lo strumento dell’arbitrato e del giudice di pace aggirando tutte le pastoie imposte dall’ordine degli avvocati.
    • Un inserimento esplicito in costituzione dell’inalienabilità del diritto ad esprimere preferenze in fase di voto politico o amministrativo.
    • L’abolizione immediata di tutti gli ordini professionali e albi. L’avocazione a funzionari pubblici di tutte le competenze attualmente in carico al notariato.
    • La liberalizzazione totale della professione di tassista (questa merita una voce a parte perché è francamente una lobby indecente)
    • Ritiro dei contingenti schierati all’estero. Imposizione della legge marziale in Campania, Sicilia, Puglia e Calabria. Dispiego di truppe, aviazione e mezzi corazzati per il presidio e il rastrellamento delle zone di riferimento per la criminalità organizzata. Istituzione di governatori militari per le suddette regioni con il compito di segnalare ai tribunali militari le malversazioni rilevate nella cosa pubblica ed applicazione delle relative sanzioni comminate.
    • Altro che ora non voglio aggiungere perché mi sono già dilungato troppo.

Questo, ovviamente, è solo l’inizio del sogno che continua con i cittadini pronti a ripartire di nuovo dal punto 1 appena si accorgono che l’andazzo sta ridiventando lo stesso.
Che sia un sogno è chiaro, non tanto per i forconi perché tutti, prima o poi, sono capaci di fare una rivoluzione, quanto per la capacità di rimarne vigili sui propri diritti e feroci con i disonesti.
La ferocia, di cui ho ricevuto una razione francamente superiore alla necessità, è un elemento della personalità umana ingiustamente sottovalutato. Anni di comprensione nei confronti di chi ha approfittato della benevolenza di una società eccessivamente mansueta hanno indebolito la tempra nazionale trasformando l’Italia in un paese di flaccidi mollaccioni politicamente corretti che prendono il caffè con il mignolo alzato e si occupano solo dei cagnolini abbandonati in autostrada. La severità e l’inflessibilità sono un’assunzione di responsabilità. Il perdono e la tolleranza nei confronti dei rei sono una delega del problema alla collettività, cioè a nessuno.
Io non mi aspetto comprensione da nessuno e non delego. Mi auguro che sempre più persone cerchino di raggiungere questo stato di feroce disperazione. Se non vi va, rimante pure a guardare quello che succede. Magari ci rivedremo nel vostro salotto, quando cercherete di mettermi paura abbassando il ditino con cui reggete la tazza.

http://www.mentecritica.net/default-italia-92-giorni-al-fallimento-feroci-o-coglioni/cuore-di-tenebra/comandante-nebbia/20850/

Per Renzo Bossi lezioni Cepu a domicilio.


Renzo Bossi (Fotogramma)

Ed è tutto gratis: le spese sono sostenute dal patron dell'istituto, Francesco Polidori.

MILANO - Eletto al consiglio regionale della Lombardia, sempre al fianco del padre Umberto nei raduni ufficiali della Lega, persino impegnato a recuperare le sue origini siciliane (per parte di madre) con un viaggio a Favara: insomma, sempre più lanciato. Eppure con i libri di scuola Renzo Bossi, soprannominato dal padre stesso «il Trota», ha ancora parecchie difficoltà. Superato finalmente, dopo vari tentativi, lo scoglio dell’esame di maturità (nel 2008 aveva tentato inutilmente per due volte, facendo ricorso al Tar, al liceo scientifico del Collegio arcivescovile Bentivoglio di Tradate), ora l'aspirante «delfino» del Carroccio si scontra con gli esami della facoltà di Economia. E ha bisogno di aiuto, al punto tale che il patron del Cepu ha organizzato per lui una formula ad hoc, con i tutor che gli fanno lezione a domicilio. Inoltre, per l'illustre allievo, è tutto gratis.

TRATTAMENTO DI FAVORE - Secondo quanto rivelato da Vanity Fair nell'articolo «Il Cepu ha pescato la Trota», visti i pressanti impegni politici del giovane Bossi (classe 1988), non è lui ad andare in classe a seguire le lezioni, ma sono gli insegnanti di sostegno del Cepu che si recano direttamente a casa sua. L'istituto organizza corsi per ogni esigenza e prezzo, ma per nessun altro sono contemplate lezioni a domicilio. Inoltre, tutte le spese sarebbero sostenute da Francesco Polidori, che già paga per i corsi delle tre «olgettine» Iris Berardi, Aris Espinosa e Ioana Visan. Questa attenzione per rampolli e rampolle vicini al centrodestra, nota Vanity Fair, stupisce chi conosce Polidori da anni: all’inizio della sua carriera imprenditoriale, infatti, aveva legami strettissimi con Antonio Di Pietro, che nel 1995 partecipò attivamente alla fondazione del Cepu prestando la sua immagine per le prime campagne pubblicitarie e tenendo seminari di Tecnica processuale nelle sue sedi.

http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/11_agosto_10/renzo-bossi-cepu-tutor-domicilio-trota-olgettine-vanity-fair-1901274331509.shtml


TEN … NINE … EIGHT … SEVEN …- di Claudia Petrazzuolo



Da qualche giorno parlare contro il governo Berlusconi ( il terzo, il quarto? non ricordo bene e non fa nessuna differenza perché tanto di sicuro è l’ultimo ) è oramai come sparare sulla croce rossa, è da Maramaldo, è come uccidere un uomo morto!. Se la situazione italiana non avesse, guardata in ogni suo aspetto, l’andamento di una tragedia, ci sarebbe da sbellicarsi dalle risate. E’ solo di qualche giorno fa l’inveterata sceneggiata al parlamento; è di poco dopo l’affermazione di quel “corto mentale”, tal piccola bruna, che sogghignando come solo i maligni sanno fare, con la quale si assicurava che il governo avrebbe sistemato tutto in due tre settimane; è dell’altro ieri la resa senza condizioni che una mummia di politicante eroso più dai suoi vizi che dall’età avanzata, rendeva nelle mani di entità fin qui troppo tolleranti e silenziose; è di queste ore una perdita massiccia della borsa di Milano che in questi momenti perde il 6% portando in una corsa verso il baratro l’economia italiana diritto all’inferno. In queste ore, i DISFATTISTI ( così definiti) come tutti quelli che da anni invocano una corsa a ripari sicuri e tranquilli, le CASSANDRE (così definite) che da anni scrivono sui loro giornali come realmente stanno le cose, i REALISTI che da sempre vivono sulla loro pelle una tragedia crescente, devono spingere, facendo fronte comune, il nostro PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ad intervenire senza più attendere oltre. NON C’E’ PIU’ TEMPO!.
Noi popolo lo sappiamo da tempo immemore oramai, lo sanno tutti: quelli di sinistra come quelli di destra, compreso quelli che una volta stanno di qua ed una volta stanno di là. Berlusconi non c’entra più niente, o meglio lui ha ampiamente dimostrato che oltre ai casi suoi non è in grado di occuparsi di altro, anche quelli, tra cui tanta povera gente purtroppo, che fin qui hanno tollerato sperando che all’occorrenza L’ARCORIANO AVREBBE FATTO anche per loro si sono convinti mettendosi le mani in tasca e constatando quanto vi resta, che L’UOMO NON C’E’ PIU’ ammesso che ci sia mai stato. Deve alzarsi un solo grido che deve andare dalle Alpi a Lampedusa: “ BASTA! “ E’ ora che qualcuno cominci a fare sul serio e lo faccia in poche ore perché altrimenti DIVENTA NECESSARIO CHE TUTTI NOI, ZONA PER ZONA, CI SI COORDINI per chiedere nelle sedi opportune, COMUNI, PREFETTURE, PROVINCE ( che servano a qualche cosa finalmente) e REGIONI di trasmettere a chi di competenza IL DISAGIO DI UN POPOLO CHE NON SI RICONOSCE PIU’ IN QUESTO STATO e che non è disposto più a OBBEDIR TACENDO!.

Claudia Petrazzuolo



Analisi di alcuni psicologi dei tumulti di Londra. - di Viviana Vivarelli.


Chiamare questa rivolta ‘inter-razziale’ non ha senso. Solo in certi quartieri la metà dei vandali sembrano essere immigrati. Dai 600 arrestati e dalle foto, appare che sono ragazzini dai 10 ai 14 anni, mossi dall’avidità. In genere il comportamento umano è guidato dalla propria identità e dai propri valori, che ci dicono di non fare certe cose o di non prendere certe cose senza pagarle. Ma in certe situazioni di gruppo queste regole saltano. La morale è inversamente proporzionale al numero delle persone. La maggior parte di questi ragazzi non era mai stata in una rivolta prima d’ora. Guardano quello che fanno gli altri e sono trascinati ad imitarli. Quando la rivolta è scoppiata a Londra, le forze di polizia erano in netta minoranza a causa dei tagli di Camerun e si sono limitati a guardare il vandalismo senza intervenire. Questo ha dato la spinta a fare peggio. Solo dopo tre notti la Polizia ha aumentato le sue forze richiamandole da tutto il paese ma ormai le cose erano degenerate. I vandali si sono serviti della forza dei numeri. In genere si imita ciò che ha successo. Se vedi qualcuno portare via un televisore da un negozio e nessuno lo ferma, ti chiedi: “Perché no? I ricchi hanno queste cose, perché non posso averle io?” Il loro comportamento è stato simile a quello degli hooligan. E’ lo stesso teppismo dello stadio in cui il singolo segue il peggio del gruppo. Per 30 anni l’Inghilterra ha visto un vandalismo simile che partiva dagli stadi. Nel 1980, quando giocava il Manchester United, fu saccheggiata una gioielleria. Nessuno se lo era proposto come scopo iniziale, molti seguirono il gruppo per provare una emozione, il saccheggio fu un bonus in più. In questi giorni è successo qualcosa di simile, i capi hanno attaccato dei negozi, gli altri li hanno seguiti. Per i cittadini normali dar fuoco a un bus o assaltare un negozio è impensabile. Molti di questi ragazzi probabilmente non lo avevano mai fatto prima. Ma nell’eccitazione della folla e sentendosi impunibili hanno cercato il bottino, oggetti di lussi, cellulari, computer portatili, tv a schermo ultrapiatto, vestiti… Si sono ripetute le scene del 1980. Ma questa possiamo chiamarla “una rivolta della società dei consumi”. Le cause no sono riducibili al solo teppismo. Sullo sfondo c’è il disagio crescente di una generazione che si sente emarginata, che ha davanti solo la disoccupazione, che non ha le stesse opportunità di altri, che ha scuole peggiori, famiglie disarticolare, una disparità di reddito che non colmerà mai. La maggior parte di questi ragazzi è povera ed essi sanno che partecipando al saccheggio non avranno niente da perdere. Non hanno una carriera a cui pensare. Non hanno proprietà, non emarginati, delusi, privi di speranza. Essi non sono ‘noi’. Vivono ai margini del mondo, sono incazzati e in grado di fare cose terribili.

Viviana Vivarelli


Berlusconi imprenditore di successo? Una favola. - di Peter Gomez.




Proprio come aveva preannunciato il 5 agosto, con uno scatto quasi d’ira in Parlamento, anche ieri Silvio Berlusconi è rimasto “in trincea”. Col corpo, certo, il premier è lì, nel suo buen retiro di villa La Certosa, tra palme, laghi artificiali e vulcani finti. Ma con lo spirito resta in prima linea e tiene in testa un poco politico, e molto imprenditoriale, elmetto.

Mentre quello che suo padre chiamava “l’orologio rotto della Borsa” riprendeva in chiusura un po’ di fiato, i titoli Mediaset e Mondadori hanno continuato a segnare rosso fisso (rispettivamente meno 47,14 % in un anno e meno 25,92 in sei mesi). E nemmeno il leggero recupero di Mediolanum (+1,92%) è bastato per ridare al Cavaliere il buon umore. Pure a guardare il grafico del gruppo gestito dal socio Ennio Doris vengono, del resto, le vertigini: qui l’asticella dal febbraio a oggi è scesa del 38,61%. Il tutto in una Piazza Affari che in un anno ha perso solo (si fa per dire) il 25 per cento.

Eh sì, il Cavaliere ha un bel ripetere che le “Borse hanno una vita scostata da quella economica”. Può benissimo tentare di usare Palazzo Chigi per invitare i cittadini a comprare azioni del suo gruppo (“io se avessi risparmi importanti da parte, investirei prepotentemente nelle mie aziende” ha detto in conferenza stampa pochi giorni fa). E può persino (non senza qualche ragione) ricordare che la crisi è internazionale e generalizzata. Resta però un fatto. Anzi ne restano due. Il primo: negli ultimi dieci anni (otto dei quali con Berlusconi al governo) il Pil italiano è cresciuto in media dello 0,25% ogni 12 mesi: un dato migliore solo a quello di Haiti e Zimbabwe. Il secondo: la storia italiana del Berlusconi imprenditore di successo, che proprio per questo avrebbe saputo cosa fare con la nostra economia, è appunto una storia. Anzi una favola.

E non perché il politico più ricco del mondo una volta andato al potere sia diventato improvvisamente un incapace. Ma perché il Cavaliere ha applicato al sistema Italia le stesse tecniche che utilizzava nella gestione delle sue aziende. Scorciatoie, trucchi, poco o nessun rispetto delle regole. Sistemi buoni per fare cassa, per salvarsi per il rotto della cuffia, ma non certo per modernizzare e rendere competitivo un paese.

Così, se un tempo i suoi manager per evitare problemi con le tasse versavano mazzette alla Guardia di Finanza (lo ha fatto l’attuale senatore Pdl, Salvatore Sciascia), Berlusconi per tre volte, tra il 2001 e il 2009, tira su qualche miliardo, facendo approvare lo scudo fiscale. La tangente (legalizzata)è del 5 per cento e mette l’evasore al riparo al riparo da ogni conseguenza. Per chi non ha conti all’estero il premier, inventa invece due condoni tombali (2003 e 2009) e una legge che depenalizza di fatto il falso in bilancio (2001).

Anche in campo economico a Palazzo Chigi si va avanti allo stesso modo, prendendo a modello ciò che si era fatto con la vecchia e gloriosa Fininvest tra il 1992-93. Si scommette per anni sulla ripresa internazionale (che quando poi è arrivata non si è peraltro stati in grado di agganciare), ma si evita di procedere con le ristrutturazioni. Per rendersene conto basta leggere alcuni documenti: i verbali delle riunioni dei manager del Biscione allora redatti dall’ex segretario di Berlusconi e attuale senatore Guido Possa. A quel tempo i debiti totali del gruppo ammontavano 4.550 miliardi di lire, contro i 3.300 comunicati ai giornali. I manager temevano il default e suggerivano dismissioni e profondi cambiamenti. Niente da fare. Il colpo di genio di Berlusconi è una furbata: aspettare, spingere la Rai a smetterla con la concorrenza e risparmiare così “300-350 miliardi di lire l’anno”. Come? Il Cavaliere, scrive Possa, ordina di trovare dei nomi di manager da inserire in Rai con un’operazione di lobby con i quali sia possibile “raggiungere un buon accordo”. Poi decide di entrare in politica. Vince il piatto e in Rai si mette a comandare. Una mossa da gambler spregiudicato. Utile di certo per salvare un’azienda. Perfettamente inutile oggi per tentare di far progredire un Paese.



mercoledì 10 agosto 2011

I sacrifici dei concessionari pubblici.


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I sacrifici. Questa è la parola d'ordine dell'estate 2011. Tutti sono d'accordo sul fatto che, per non fallire, i sacrifici sono necessari. Nessuno dei dichiaranti però è disposto a farli. Preferisce che siano gli altri a dare il buon esempio. I cittadini non abbienti, diciamo pure quasi indigenti, hanno già capito che il cerino rimarrà in mano a loro. Sono abituati da tempo alle vessazioni di questo Stato post feudale. Hanno le tasse più alte d'Europa, gli stipendi più bassi, tagli decennali ai servizi sociali, a iniziare dalla salute e dalla scuola, e la cancellazione di fatto della pensione. Lo Stato è diventato un pozzo senza fondo che non ti restituisce più neppure l'eco.
Ora si parla di privatizzazioni, di mettere all'asta i beni pubblici, le aziende dello Stato, dall'ENI all'Enel, per fare cassa. E' una spoliazione fatta senza il consenso dei cittadini che ne sono i legittimi proprietari. Nessun bene dello Stato va venduto, è anzi vero il contrario per avere una possibilità di sviluppo. Cedere sovranità su aziende chiave per il Paese vuol dire abdicare a qualunque ruolo internazionale, come è avvenuto per la sciagurata cessione a debito di Telecom Italia, che era allora il motore dell'innovazione del Paese, da parte di D'Alema, il merchant banker di Gallipoli.
I sacrifici? Partiamo dai concessionari, da coloro che usano beni pubblici in concessione per farci una montagna di soldi. Per brevità ne cito soltanto due, ma sono molti di più: Benettone Berlusconi. Benetton ha la concessione di alcuni rami delle autostrade italiane attraversoAtlantia Spa, società quotata in borsa. Nel 2010 ha realizzato 3,750 miliardi di euro di ricavi con 701 milioni di euro di utili di esercizio. Chiunque paghi il biglietto autostradale sa di quanto siano aumentati i pedaggi negli ultimi anni. Atlantia non è la sola ad avere in concessione autostrade già strapagate dalle nostre tasse, da quelle dei nostri padri e nonni. La domanda da porsi è semplice: "Perché delle società private devono beneficiare di beni dello Stato?". In alcuni Paesi europei le autostrade sono gratuite, in quanto il loro costo è già stato pagato dai cittadini. Si vuole delegare Atlantia come gestore? Lo si faccia per i solicosti di manutenzione con gare d'appalto. Lo Stato vuole incassare i proventi autostradali per ridurre il debito? Lo faccia! Vuole rendere gratuito il pedaggio, come sarebbe corretto, per diminuire i costi di trasporto che ricadono su imprese e cittadini? Lo faccia. Ma quello che non può fare è arricchire dei privati con beni pubblici.
Veniamo a Berlusconi, l'imprenditùr. Il tizio che oggi chiede "sacrifici" al Paese paga solo l'uno per cento del fatturato della sua azienda per la concessione governativa di tre frequenze nazionali. La gratifica ad vitam la deve al sempiterno D'Alema, che come primo ministro fece approvare la legge 488 del 1999, (pagina 32, articolo 27, comma 9). Credo che sia corretto, in tempi di sacrifici, rivedere la legge e portare l'un per cento del concessionario Berlusconi almeno al 30% (e mi tengo basso) oppure mettere all'asta le frequenze. Cari concessionari, la festa è finita. Prima di chiedere a un qualunque cittadino un solo euro in più, lo Stato deve riprendersi e farsi remunerare ciò che è suo. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.


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