venerdì 9 settembre 2011

Ominide vissuto 2 milioni di anni fa il più vicino antenato dell'uomo.


Australopithecus sediba presenta caratteri sia umani sia delle scimmie, che costringono a rivedere molte delle conoscenze sull'evoluzione del genere Homo. Su Science l'analisi dei reperti fossili rinvenuti nel sito sudafricano di Malapa.DI ALESSIA MANFREDI

E' un affascinante mosaico di primitivo e moderno quello che viene descritto come il più vicino antenato del genere umano: la new entry, che ha già acceso il dibattito nella comunità scientifica mettendo in discussione alcune delle teorie dell'evoluzione del genere umano finora più accreditate, si chiama Australopithecus sediba ed è un ominide vissuto circa due milioni di anni fa. Presenta una sorprendente combinazione di tratti che lo rendono molto vicino sia all'uomo che all'australopiteco, che ha indotto i suoi scopritori a candidarlo come il nostro progenitore più prossimo, l'anello mancante fra Lucy, femmina diAustralopithecus afarensis vissuta oltre 3 milioni di anni fa in Africa orientale, e i primi esemplari del genere Homo.

In una serie di cinque articoli pubblicati su Science 1, che allo studio dedica la copertina, il professor Lee Berger, paleoantropologo dell'università di Witwatersrand a Johannesburg, in Sudafrica, insieme a diversi colleghi internazionali, ne descrivono le caratteristiche anatomiche, emerse dallo studio di reperti fossili - sorprendentemente completi e ben conservati  -  riconducibili a due scheletri scoperti da Berger tre anni fa nel sito sudafricano di Malapa, e datati con precisione a 1,977 milioni di anni fa.

La creatura svelata da Berger ha un cervello piccolo e braccia lunghe, come gli australopitechi. Ma in parte somiglia molto ai primi Homo, con dita corte, pollice lungo e adatto a maneggiare con precisione oggetti e manufatti, e un cervello (come si vede dal calco endocranico vituale) che, nonostante le dimensioni ridotte, mostra segni di una riorganizzazione che lo avvicina a quello umano: "Una combinazione di caratteri sia dei primati che umani in un unico individuo", sintetizza Berger.


Un enigma, o meglio un "paleo-puzzle". Il docente dell'ateneo sudafricano propende per collocare sedibanel genere Australopithecus, forse quella creatura misteriosa che avrebbe poi aperto la strada agli Homo in Africa: la congiunzione, insomma, fra l'australopiteco e il genere umano.

"Vista la cronologia, però, si potrebbe considerarlo già come una forma primitiva di Homo, comparso probabilmente in Africa orientale prima di due milioni di anni fa, di cui sarebbe una varietà diffusasi fino in Sudafrica", commenta il professor Giorgio Manzi, paleoantropologo dell'università La Sapienza di Roma, esperto di evoluzione umana.

"E' un'ipotesi affascinante", conferma, "e i reperti descritti in questo lavoro sono di inusitata ricchezza, sia per il grado di conservazione che per la capacità di fare luce su un periodo cruciale dell'evoluzione umana, lo snodo decisivo per la comparsa della nostra specie", continua. E, aggiunge, "provengono da un sito che rappresenta, per ricchezza e qualità dei reperti, una cattedrale della nostra preistoria più antica, come ce ne sono poche in giro".

Le caratteristiche dell'ominide descritte su Science riguardano aspetti cruciali, spiega ancora il professore: dal bacino, particolarmente importante per avere indizi sulla locomozione, alla mano, che flette ancora in modo simile a quello delle scimmie che si arrampicano sugli alberi, ma suggerisce anche la possibilità chesediba riuscisse a maneggiare con precisione oggetti e produrre manufatti, caratteristica propria del genere Homo. Il piede, poi, sembra indicare una fase di "bipedismo facoltativo", in cui il nostro progenitore non aveva ancora "scelto" in modo definitivo di camminare solo su due piedi, ma si serviva ancora di tutti e quattro gli arti per arrampicarsi sugli alberi. Infine il cervello, ancora piccolo, ma più evoluto rispetto a quello delle australopitecine. 
Evidenze in base alle quali l'ominide sudafricano gioca un ruolo chiave nella storia della nostra evoluzione. "Non diciamo che è un nostro diretto progenitore, ma se si cominciano a valutare tutti gli elementi, di certo ne è il più probabile candidato", argomenta Berger. "Ben più di altre scoperte precedenti, come Homo habilis", precedente  a Homo erectus, da cui in qualche modo noi Homo sapiens discendiamo. Altri ricercatori sono invece convinti del fatto che varie specie convivessero nello stesso periodo, diverse sperimentazioni di ominidi. Di certo, il dibattito continua. 


Serravalle, Penati indagato per corruzione. - di Igor Greganti



Filippo Penati
MONZA - C'e' una nuova accusa a carico di Filippo Penati, oltre a quelle per cui la Procura di Monza ha chiesto l'arresto, poi negato dal gip. L'ex esponente del Pd, infatti, e' indagato per concorso in corruzione nell'ambito di uno dei filoni dell'inchiesta che ha 'scoperchiato' il 'sistema Sesto', quello relativo ad una presunta tangente pagata per l'acquisto da parte della Provincia di Milano del 15% delle quote dell'autostrada Milano-Serravalle dal gruppo Gavio. Una contestazione che si aggiunge alle accuse di corruzione e concussione relative a presunte 'mazzette' che sarebbero arrivate a Penati nell'ambito di interventi di sviluppo urbanistico nelle aree ex Falck e Marelli di Sesto San Giovanni, e a quella di finanziamento illecito al partito che vede, stando alle indagini, l'ex presidente della Provincia di Milano legato 'a doppio filo' a un manager del gruppo Gavio e all'imprenditore Piero Di Caterina. I pm di Monza, Walter Mapelli e Franca Macchi, e gli investigatori del Nucleo di polizia tributaria della Gdf di Milano hanno deciso, infatti, di 'scavare' nella operazione Milano-Serravalle, che venne contestata anche dall' allora sindaco di Milano Gabriele Albertini. La Provincia compro' le quote a quasi 9 euro e cosi' il gruppo Gavio, che le aveva pagate meno di 3 euro, realizzo' una plusvalenza di 179 milioni di euro. L'imprenditore Di Caterina, sentito a verbale dai pm nel giugno 2010, ha riferito cio' che gli avrebbe detto l'ex dirigente della Provincia, Antonino Princiotta: ''nell'aprile del 2005'' ci sarebbero stati ''alcuni incontri presso lo studio del commercialista Ferruccio di Milano via Pontaccio'' per stabilire il ''sovrapprezzo'' dell'operazione ''da pagare a favore di Penati e Vimercati (suo ex braccio destro, ndr)''. Trattative a cui, stando a Di Caterina, avrebbero partecipato lo stesso Princiotta, ''Vimercati, Binasco (Bruno, manager del gruppo Gavio, ndr) e un rappresentante di Banca Intesa, tale Pagani''. Tutte le persone che avrebbero preso parte agli incontri sono state iscritte nel registro degli indagati e i finanzieri hanno primo perquisito verso meta' agosto gli uffici del manager di Intesa, Maurizio Pagani, e poi nei giorni scorsi sono andati ad acquisire documenti nelle sedi di alcune societa' del gruppo Gavio. Poi gli uomini della Tributaria hanno continuato anche oggi a prelevare 'carte' sul 'capitolo Serravalle', presentandosi nelle sede della Salt spa, altra societa' del gruppo con base in provincia di Lucca. I pm, che contestano a Penati il concorso in corruzione nella vicenda dell'acquisto della societa' autostradale, spiegano in parte l'accusa anche nell'appello depositato al Tribunale del Riesame (l'udienza e' fissata per il prossimo 21 ottobre) per chiedere l'arresto dell'ex presidente della Provincia. ''L'unica alternativa razionale e coerente - scrivono - per spiegare il pagamento di Binasco a Di Caterina (2 milioni di euro attraverso un'operazione immobiliare fittizia, ndr) nell'interesse di Penati e Vimercati e' che la somma sia parte della tangente a loro destinata per l'acquisto'' della Milano-Serravvale. ''Non ho ricevuto alcuna comunicazione formale dalla Procura di Monza. Non ho mai sentito parlare di sovrapprezzo per Serravalle'', e' stata la reazione di Penati. Mentre l'avvocato Angelo Giarda, che difende il manager Pagani, ha spiegato che il luogo indicato da Di Caterina, dove si sarebbero svolte le trattative, ''non esiste''. Intanto, oggi, e' stato interrogato dai pm l'avvocato Giovanni Camozzi, braccio destro dell'immobiliarista Luigi Zunino e indagato per corruzione nell' inchiesta. Stando alle indagini, Camozzi, ''quale legale rappresentante pro-tempore di Immobiliare Cascina Rubina'', societa' del gruppo Risanamento di Zunino che aveva acquisito la proprieta' dell'area Falck, avrebbe preso parte, tra il 2006 e il 2007, al versamento di 1,5 milioni di euro a favore dell'allora assessore di Sesto Pasqualino Di Leva, ora in carcere (domani a Milano ci sara' l'udienza davanti al Tribunale del Riesame). Da quanto si e' saputo, Camozzi avrebbe fornito a verbale riscontri all'ipotesi accusatoria, ma avrebbe in parte rettificato alcune sue precedenti dichiarazioni che riguardavano Penati. In un interrogatorio nel 2010, infatti, aveva detto che a Zunino (verra' interrogato lunedi') serviva ''un appoggio politico che Di Caterina, uomo legato all'allora presidente della Provincia di Milano Penati, poteva dare''.


http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2011/09/08/visualizza_new.html_726105384.html

giovedì 8 settembre 2011

Così è se vi pare (parafrasando la frase di un grande della letteratura italiana)



In un paese in cui vige la Democrazia che significa "governo del popolo", un ministro dovrebbe rappresentare l'essenza, la parte migliore della rappresentanza dei cittadini, in quanto eletto dai cittadini e prescelto tra gli altri eletti. Dovrebbe, pertanto, garantire il buon funzionamento del suo ministero tenendo sempre a mente che rappresenta il popolo e, pertanto, deve provvedere al suo benessere. In Italia così non è. Un ministro non è scelto dal popolo, ma dal PdC in base alle sue doti trasformistiche e se dimostra abnegazione ai suoi dictat.

Qui, in Italia, funziona così, non siamo ad Atene.

Se poi aggiungiamo che un rappresentante del popolo, il sindacalista, raffrontabile al tribuno della plebe romano, anziché battersi per ottenere maggiori diritti per i cittadini, li cede....... che dire, di democrazia non ne abbiamo affatto.

Eppure il primo articolo della Costituzione recita: "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro".

Mi sa che dobbiamo ricominciare tutto daccapo. Abbiamo sbagliato tutto.




Navi militari italiane regalate a Panama. Gli strani affari di Lavitola con Finmeccanica. - di Vittorio Malagutti




L'omaggio infilato nel decreto di rifinanziamento delle missioni all'estero, dopo una visita di Berlusconi nel paese centroamericano. Le pressioni del giornalista sull'ammiraglio Picchio
Silvio Berlusconi e il presidente di Panama,Ricardo Martinelli? Due amiconi, come no? Una volta, a Milano, Berlusconi chiese al collega di procuragli “qualche attrattiva locale” quando si fosse recato in visita dalle parti del Canale. E Martinelli, un miliardario (ramo supermercati) di origini toscane, appena può, non manca mai di rendere omaggio a quel simpaticone del premier italiano. Poi però c’è anche quell’altro italiano,Valter Lavitola, Valterino per gli amici, professione commerciante di pesce con la passione dei traffici internazionali. Lavitola è di casa a Palazzo Grazioli, ma va alla grande anche a Panama. Frequenta le stanze del potere, conosce il presidente Martinelli. Sarà un caso, e forse non c’è rapporto di parentela, ma il presidente dell’associazione degli italiani a Panama si chiama Arnolfo La Vitola.

Il gioco è fatto, allora. Parte la giostra degli affari. Tutto ruota attorno alla visita di Berlusconi a Panama del 30 giugno dell’anno scorso. È la prima volta che un capo di governo italiano mette piede da quelle parti. Martinelli, però, nel settembre 2009, due mesi dopo l’elezione a presidente, si era già scapicollato in Italia dall’amico Silvio. Così tocca ricambiare. Tra una cerimonia e l’altra si mettono le basi di un grande appalto che di lì a poco finirà in mani italiane. Tre aziende del gruppo Finmeccanica (Agusta Westland, Selex Sistemi e Telespazio) si aggiudicano una commessa da oltre 230 milioni di dollari (165 milioni di euro). Lavitola gioca la partita da protagonista. E ci mancherebbe. Ormai è diventato un fidato consigliere di Berlusconi. Con Martinelli non ci sono problemi. E perfino Finmeccanica gli ha fatto un contratto di consulenza. Da pagarsi sul conto di una società creata dalle parti di Panama, secondo quanto si capisce dalle intercettazioni telefoniche allegate dai pm di Napoli nella richiesta di arresto di Gianpaolo Tarantini e dello stesso Lavitola, al momento latitante.

Questo però è soltanto il primo atto di una vicenda più complessa. Berlusconi, come noto, è persona generosa. E Martinelli è un grande amico, un altro imprenditore costretto a bere l’amaro calice della politica. Detto, fatto: è pronto un bel regalo con destinazione Panama. Il governo decide di donare al Paese centroamericano ben sei navi da guerra, sei pattugliatori in forze alla Guardia costiera italiana. Ricapitoliamo: Finmeccanica aumenta il fatturato con la commessa siglata grazie anche ai buoni uffici di Lavitola. E a stretto giro di posta lo Stato italiano, cioè noi contribuenti, spedisce dall’altra parte dell’Oceano un gradito pacco dono sotto forma di navi. Tra altro il regalo berlusconiano vale almeno una cinquantina di milioni.

Ancora più sorprendenti, però, sono le modalità con cui il gentile omaggio all’amico Martinelli viene presentato in Parlamento. Come segnalato dal giornale online Linkiesta, la cessione dei sei pattugliatori è stata infatti inserita in due successivi decreti per il rifinanziamento delle missioni militari all’estero. A febbraio di quest’anno è passato il primo pacchetto di quattro navi. E in agosto, un mese fa, è arrivato il decreto per le altre due. Queste ultime erano state promesse in permuta al gruppo pubblico Fincantieri come parziale pagamento di una commessa per complessivi 125 milioni. In pratica il governo si era a suo tempo impegnato a pagare in natura una parte del prezzo per due imbarcazioni costruite dai cantieri navali di Stato. E invece no. Marcia indietro. Le navi vanno a Panama. Fincantieri verrà pagata cash.

Resta da capire che cosa c’entrino le missioni militari all’estero con Panama e i buoni rapporti con Martinelli. Di sicuro l’attivissimo Lavitola, tra una telefonata a Gianpi Tarantini e un’altra a Berlusconi, trovava il tempo di occuparsi anche degli affari della Marina. Nelle carte dell’inchiesta di Napoli, infatti, spunta anche una telefonata tra il nostro uomo a Panama, alias Valterino, e l’ammiraglio di squadra Alessandro Picchio, consigliere militare di Berlusconi. Da quello che si capisce, Lavitola chiama Picchio proprio per avere notizie sul provvedimento per le due navi da spedire a Panama. L’ammiraglio si schermisce, prende tempo, accampa qualche scusa. “Sto aspettando – dice – di vedere la bozza (del decreto, ndr) che ancora non è stata pubblicata”. Lavitola insiste, implacabile. “Comunque lei non mi può far sapere se per caso insorgono problemi nel prossimo preconsiglio?”, chiede l’amico personale di Berlusconi al militare in sevizio a Palazzo Chigi. Alla fine Picchio sbotta: “Se uno insiste troppo si crea l’effetto contrario”, dice al suo interlocutore, al quale, comunque, non manca di garantire il suo interessamento.

La telefonata porta la data del 27 maggio. Alla fine il decreto per il rifinanziamento delle missioni militari all’estero verrà approvato dal Consiglio dei ministri il 7 luglio successivo. Il via libera definitivo dalla Camera, con voto unanime di maggioranza e opposizione (Idv esclusa) arriva il 2 agosto. In tempi di crisi nera per il bilancio pubblico anche le spese per le missioni militari vengono tagliate per 120 milioni. Ma il governo riesce comunque a trovare 17 milioni per rimborsare Fincantieri. L’amico Martinelli, da Panama, sarà contento.

Da Il Fatto Quotidiano dell’8 settembre 2011

E B. disse a Lavitola: 'Non tornare'. - di Lirio Abbate



Il faccendiere chiamò il premier dalla Bulgaria dopo la fuga di notizie e chiese: mi presento ai giudici? "No, resta all'estero". Ecco l'ultima telefonata tra i due prima della latitanza.

Il faccendiere Valter Lavitola suda freddo, non tanto per il caldo di Sofia in cui si trova il 24 agosto, ma per le notizie che apprende dai siti Web che rilanciano lo scoop di "Panorama", il settimanale della Mondadori.

Ha appena scoperto che contro di lui c'è un'inchiesta pesantissima della procura di Napoli: lo accusano di estorsione nei confronti del presidente del Consiglio. E quell'articolo è pieno di dettagli giudiziari: ci sono particolari sulle intercettazioni dei dialoghi tra lui e Giampaolo Tarantini, il Giampi che nel 2008 portava prostitute e amiche a casa del Cavaliere. Nell'indagine è coinvolta anche la moglie di Giampi, Angela Devenuto, che gli amici più intimi chiamano "Ninni" o "Nicla".

La donna ha una relazione con Lavitola nata tra i fornelli di casa del faccendiere, mentre lui le cucinava il coniglio. Oggi Lavitola è diventato lepre in fuga per il mondo, mentre i coniugi Tarantini sono stati arrestati. E la sua latitanza è cominciata, forse per coincidenza, dopo aver parlato al telefono proprio il 24 agosto scorso con Silvio Berlusconi, che già in quel momento sembra essere a conoscenza - come lo erano i giornalisti del settimanale mondadoriano - del lavoro riservato dei pm napoletani e della richiesta di arresto che avevano presentato al gip Amelia Primavera.

Il faccendiere è a Sofia per concludere affari per conto di Finmeccanica ma si rende subito conto del pericolo. Per questo si attacca al telefono e comincia a comporre ripetutamente il numero di Marinella Brambilla, la storica assistente personale del premier. Dall'inchiesta emerge come la Brambilla conosca perfettamente lo stretto rapporto che lega Lavitola al Cavaliere. La donna spiega che "lui" è impegnatissimo tra crisi economica e turbolenze politiche: non può rispondere. Lavitola dalla Bulgaria però insiste e, preso dall'ansia per le notizie che rimbalzano su tutti i media, continua a chiamare. E dopo vari tentativi, gli passano al telefono Silvio Berlusconi. 

Il premier si mostra calmo, la voce è serena: rassicura Lavitola, spiega che tutto sarà chiarito e gli dice di "stare tranquillo". A quel punto - come se fosse un'anticipazione della sua autodifesa - gli espone quella che sarà la linea: la stessa in parte pubblicata alcuni giorni dopo sullo stesso settimanale autore dello scoop sull'inchiesta. Berlusconi ricorda a Lavitola che attraverso lui ha "aiutato una persona e una famiglia con bambini che si trovava e si trova in gravissime difficoltà economiche". E sottolinea: "Non ho nulla di cui pentirmi, non ho fatto nulla di illecito".

Valter LavitolaValter LavitolaDa Sofia Lavitola sembra comprendere: capisce quale è la linea difensiva e concorda su questi punti. Appare però sconfortato e in qualche modo anche dispiaciuto per le intercettazioni. E' rammaricato per essere stato registrato mentre parlava con il premier. Lavitola, a quanto sembra, aveva assicurato a Berlusconi che le utenze panamensi usate per i loro dialoghi telefonici erano a prova di intercettazione e quindi sicure. Ma così con è stato. La Digos di Napoli è riuscita a captarle tutte su delega dei pm Piscitelli, Woodcock e Curcio. Il premier anche in questo caso mantiene un tono di voce calmo e risponde a Lavitola in modo sarcastico: "Te lo avevo detto che ci avrebbero intercettati".

A quel punto il faccendiere è "giudiziariamente" con le spalle al muro, e chiede consiglio al premier: "Che devo fare? Torno e chiarisco tutto?". Berlusconi risponde: "Resta dove sei". Il messaggio è chiaro, non richiede commenti. Già pochi mesi fa Lavitola si era rifugiato a Panama dopo avere saputo dell'arresto di Luigi Bisignani per l'inchiesta sulla P4: lui stesso ammette, parlando con la moglie di Tarantini, di avere responsabilità penali in questa storia collegata a Finmeccanica. E anche dopo la telefonata con Berlusconi i piani di viaggio dell'ex direttore dell'"Avanti" cambiano improvvisamente. Organizza la fuga, cercando la meta più ostica per la giustizia italiana: il Brasile. Lui aveva già in tasca un biglietto per Roma, destinato a non essere usato perché compra di corsa un volo per il Paese sudamericano scelto per trascorrere la latitanza.



http://espresso.repubblica.it/dettaglio/e-b-disse-a-lavitola-non-tornare/2160098



mercoledì 7 settembre 2011

Manovra, ridotti i tagli alla Casta e arriva un salvacondotto agli evasori fiscali.



                                                

                                            
La manovra arriva al Senato protetta dallo scudo del voto di fiducia e accompagnata da un maxiemendamento che, per quanto prometta il pareggio di bilancio nel 2013, contiene due clamorose retromarce rispetto a quanto annunciato in queste settimane da Silvio Berlusconi eGiulio Tremonti. I tanto sbandierati tagli agli stipendi dei parlamentari sono stati ulteriormente ridotti e la lotta all’evasione è accompagnata da una sorta di salvacondotto: per evitare il carcere basta non evadere le tasse per più del 30% del volume d’affari.

Complessivamente il provvedimento vale 4,3 miliardi di euro in più per il 2012. Viene introdotto un punto percentuale in più all’Iva (dal 20 al 21%) e dal 2014 un aumento dell’età pensionabile per le donne. Il cosiddetto contributo di solidarietà, inoltre, è fissato al 3% per i redditi superiori ai 300mila euro, cioè per circa 35 mila contribuenti. Da questo contributo arriveranno 53,8 milioni nel 2012. Nel maxiemendamento, inoltre, c’è una correzione al condono del 2002: i termini per l’accertamento ai fini dell’imposta sul valore aggiunto “pendenti al 31 dicembre sono prorogati di un anno”.

Ma ciò che colpisce maggiormente, come detto, sono le modifiche ai tagli dei parlamentari e al carcere per gli evasori fiscali. Tagli più leggeri delle indennità parlamentari, per chi percepisce anche un reddito da attività lavorativa. Nella manovra approvata il 12 agosto è prevista una decurtazione dell’indennità pari al 50%, mentre nel maxiemendamento si stabilisce che “la riduzione dell’indennità parlamentare si applica in misura del 20% per la parte eccedente i 90.000 euro e in misura del 40% per la parte eccedente i 150.000 euro”.

Per quanto riguarda la norma che prevede il carcere per chi evade oltre 3 milioni di euro, invece, il maxiemendamento allenta la stretta: perché scattino le manette l’ammontare dell’imposta evasa dovrà essere superiore al 30% del volume d’affari. Si prevede infatti che la sospensione condizionale della pena prevista all’articolo 163 del codice penale “non trova applicazione nei casi in cui ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore al 30% del volume d’affari; l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore a tre milioni di euro”.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/07/manovra-ridotti-i-tagli-alla-casta-e-un-salvacondotto-agli-evasori-fiscali/155898/

Mora ai pm: “Chiesi a Berlusconi 3 milioni. All’incontro c’era anche Emilio Fede



                                       

Nell'inchiesta è indagato anche il direttore del Tg4 Emilio Fede: avrebbe trattenuto 1,2 milioni di euro, parte della somma che il premier aveva ceduto all'agente dei vip attualmente è in carcere per bancarotta.
“Vidi Berlusconi in ottobre e gli chiesi altri 3 milioni di euro. All’incontro partecipò anche Emilio Fede”: lo ha ribadito questa mattina Lele Mora ai pm del tribunale del Riesame nell’ambito dell’inchiesta che lo ha portato in carcere per bancarotta.

Dopo aver avuto dal premier un prestito di 2,8 milioni per tentare di evitare il fallimento della sua società  il manager delle star gliene chiese altri 3. Soldi che però non ricevette mai, la sua richiesta passò in secondo piano quando, nell’ottobre scorso, scoppiò il caso Ruby. All’incontro, ha raccontato Mora, prese parte anche il direttore del Tg4 Emilio Fede, che invece davanti ai pm aveva negato questa circostanza.

La decisione di chiedere ancora soldi al premier, Mora la prese in seguito ad un consiglio dei suoi legali: poichè la sua società, la LM Management, era in seria difficoltà, gli avevano suggerito di provare la strada del concordato preventivo. Ma, per avviarlo, servivano 3 milioni di euro. L’agente dei vip ha raccontato anche che di fronte alla nuova richiesta Berlusconi gli domandò che fine avevano fatto gli oltre 2,8 milioni di euro del primo prestito. Una somma, questa, di cui, secondo il racconto di Mora, una parte pari a 1,2 milioni di euro, sarebbe stata trattenuta da Fede. Il presidente del consiglio inizialmente prese tempo ma poi, quando venne a galla il caso Ruby, decise di non prestargli il denaro.

La versione dei fatti raccontata da Mora sarebbe in parte confermata da Patrick Albisetti, funzionario di una banca di Lugano, ascoltato per rogatoria lo scorso 8 agosto dai pubblici ministeri di Milano Eugenio Fusco e Massimiliano Carducci: il direttore del Tg4 – che nell’inchiesta è indagato per concorso nella bancarotta – avrebbe preso 300mila euro in contanti in Svizzera. Poi, per lui, sarebbe stato aperto e svuotato anche un altro conto da 200mila euro.

Per Mora, però, la cifra intascata da Fede è più alta: il giornalista avrebbe tenuto per sé 1,2 milioni di euro degli oltre 2,8 che l’agente dei vip avrebbe ricevuto in prestito da Silvio Berlusconi, attraverso il manager Giuseppe Spinelli.

Secondo il racconto di Albisetti, inizialmente fu lo stesso Mora a chiedere di poter prelevare 500mila euro in contanti dal suo conto svizzero per girarli a Fede. Ma quando la banca negò il prelievo, il direttore del Tg4 andò di persona a Lugano, nell’aprile dello scorso anno, dove gli vennero dati 300mila euro in contanti e venne aperto un conto a suo nome con altri 200 mila euro. Conto che fu rapidamente prosciugato.

Per ora gli inquirenti hanno accertato che nelle tasche di Fede sono finiti 350 mila euro: 200mila del conto svizzero e altri 150mila in assegni circolari. Quest’ultimi, secondo la versione di Mora, sarebbero stati dati dal premier all’agente dei vip e da questi girati a Fede, che avrebbe ricevuto anche un’altra somma, di circa 450mila euro, direttamente dalle mani di Mora in un incontro che avvenne negli uffici Mediaset

Il prestito di Berlusconi al manager, secondo le indagini, avvenne in tre tranche: circa un milione di euro nel gennaio 2010, circa 1,5 milioni di euro nel marzo dello stesso anno e altri 300mila euro nell’autunno successivo. Soldi che, secondo l’accusa, il talent scout avrebbe fatto sparire senza metterli nelle casse della sua società per cui era già partita la procedura fallimentare.

La vicenda del giro di soldi tra Mora e Fede era venuta fuori anche da alcune intercettazioni sul caso Ruby, nel quale i due sono imputati per induzione e favoreggiamento della prostituzione. Telefonate trascritte e acquisite ora dai pm Fusco e Carducci nell’inchiesta che ha portato all’arresto del manager. Quest’ultimo, intanto, ha chiesto al Riesame di essere messo ai domiciliari.