sabato 10 settembre 2011

Festa Pdl, Berlusconi all’attacco “Fermare strapotere toghe rosse”


Il Presidente del Consiglio a tutto campo dal palco di Atreju: "Non c'è nessuno al mondo che mi possa ricattare". Ma riguardo all'inchiesta di Napoli emerge l'intenzione del premier di "sottrarsi e non riconoscere una certa giustizia italiana"
Il voto espresso dalla volontà popolare viene puntualmente abrogato dai magistrati. Dal palco di Atreju, la festa dei giovani del Pdl, il Presidente del Consiglio torna ad attaccare il potere giudiziario: “I cittadini sono depositari della sovranità popolare; i cittadini votano e col voto passano la sovranità popolare al Parlamento e ai suoi membri. I membri del Parlamento votano, ma il risultato del loro voto viene abrogato dalla magistratura”. Questo perchè, ha continuato il premier,  ”ogni volta che viene approvata una legge, se questa “non piace a Magistratura Democratica, politicizzata e di sinistra, viene mandata alla Corte Costituzionale a maggioranza di sinistra e viene puntualmente abrogata”.
Nel suo lungo intervento Berlusconi parla, tra le altre cose, anche dell’inchiesta della procura napoletana secondo cui sarebbe stato vittima di estorsioni di denaro da parte del direttore deL’Avanti! Valter Lavitola e dell’imprenditore barese Gianpaolo Tarantini che gli avrebbero garantito in cambio il loro silenzio sul giro di escort a palazzo Grazioli. Alla troupe televisiva che gli ha domandato se avesse timore per il suo coinvolgimento, ha risposto: “No, non c’è nessuno al mondo che mi possa ricattare”.  Però la sua intenzione, rispetto all’audizione fissata per martedì con i pm partenopei titolari dell’inchiesta, è quella di “sottrarsi, di non riconoscere la validità dell’inchiesta e una certa giustizia italiana”. “Non ho alcuna voglia di incontrare questi signori e di rispondere alle loro domande”, avrebbe detto il presidente del Consiglio ad alcuni interlocutori, aggiungendo anche la sua volontà di “denunciare in sede internazionale l’atteggiamento della magistratura italiana e l’abuso delle intercettazioni nel nostro Paese, la mancanza del rispetto della privacy, la ‘barbarie’ di spiattellare conversazioni private sui giornali”.

Poi bolla come “sfogo personale” le parole emerse dalla telefonata con Lavitola in cui aveva definito l’Italia “un paese di merda”, e offre una rettifica sostenendo che la penisola è “il paese più bello”. “A volte vorrei scappare -ha aggiunto – ma resto per cambiare il Paese. Abbiamo davanti 18 mesi e dobbiamo essere in grado di fare la riforma dell’architettura istituzionale, della giustizia e quella fiscale”.

Un assetto nuovo al sistema giudiziario è, secondo Berlusconi, necessario perché “è difficilissimo fare qualcosa di concreto in un sistema che non dà nessun potere a chi è alla guida del governo”. In questi anni il premier sostiene di aver sentito un “senso d’impotenza drammatico”. Ciononostante, sul suo operato finora appare sicuro di sé, e a chi gli chiede se ritiene di aver commesso errori, replica: “Non c’e’ nulla che io cambierei. Forse qualche volta ho esagerato in ironia, ma mai con offese brutali come quelle rivolte dai nostri oppositori. Quando mi guardo allo specchio non ho niente di cui rimproverarmi”.  L’ipotesi di un governo tecnico per il premier “fa ridere” : “Non vedo tecnici autorevoli quanto me – ha detto – non avrebbero nemmeno l’autorità per imporre i ministri”.

Quanto alle misure messe sul campo dal governo per fronteggiare la crisi economica, si difende sostenendo che la manovra è il frutto delle indicazioni fornite dalla Bce e da Bankitalia “nella lettera che ci hanno chiesto di mantenere riservata”. E poi i problemi del Paese sono il frutto degli errori della vecchia politica:  ”è una pesantissima eredità che ci viene dagli anni ’70 fino al ’92” , sono stati i governi del compromesso storico a generare il debito pubblico”, ha detto. La decisione di introdurre il pareggio del bilancio in Costituzione, invece, è un “record assoluto”, visto che l’ultimo pareggio “è stato raggiunto dal presidente del Consiglio Marco Minghetti nel 1876″.

E’ un Berlusconi a tutto campo quello che parla dal palco dell’Azione Giovani. Tra i vari temi, affronta anche quello della politica estera. Sui rapporti con Gheddafi nega che l’Italia si sia inchinata al raìs. “Io baciavo la mano a Gheddafi non come atto di sottomissione, ma di educazione” ha detto, sostenendo anche che è grazie alla sua “capacità di relazione” con il Colonnello che il Paese ha potuto consolidare la sua presenza in Libia, “importante per le forniture di gas e olio”. Ma la rivolta libica attualmente in corso è, secondo il premier, diversa rispetto a quella degli altri Paesi del Nordafrica “dove un vento di libertà inizia a soffiare”. A Tripoli, ha detto Berlusconi, “uomini di potere hanno deciso di dare vita a un’altra era facendo fuori Gheddafi”. Poi ha offerto al pubblico un ricordo dei momenti immediatamente precedenti all’intervento al fianco della Nato contro il dittatore: “quando si trattò di decidere, prima del vertice di Parigi, pensai addirittura di dimettermi, perché tra me e Gheddafi si era instaurato un sentimento di amicizia. Ho molto sofferto nel vedere come si comportava ma poi ho dovuto prendere le decisioni sulla base di ciò che era stato deciso dal Capo dello Stato e dal Parlamento e anche considerando che lui stava attaccando e decimando il suo popolo”.

Sempre sul piano della politica estera, si dice deluso anche dall’esito della vicenda riguardante l’estradizione del terrorista Cesare Battisti. UN caso sul quale, per il premier, non è ancora detta l’ultima parola: “Eravamo riusciti a instillare profondi dubbi nella Corte suprema di giustizia brasiliana, consideravo di aver convinto il presidente Lula, che invece nel suo giorno ultimo di governo ha dato ascolto ai sondaggi”, ha spiegato. Ma poi ha aggiunto che potrebbero “accadere delle cose che possono portare a modficare la situazione. Noi lavoreremo a questo riguardo”.

Il presidente del Consiglio offre poi uno sguardo sul futuro. Anzitutto quello del partito: rassicura la platea dei suoi supporter sul fatto che l’esecutivo ”è coeso e arriverà a fine legislatura”. E dopo? Su una sua ricandidatura rivela che deciderà solo alla scadenza del mandato. Ma due nomi li fa:Angelino Alfano come suo erede al Consiglio dei Ministri e Gianni Letta come possibile Capo dello Stato. “Sono due persone che stimo sopra gli altri”, ha affermato. E se il futuro per eccellenza sono i giovani, è a questi che il premier si rivolge, in chiusura, con un consiglio: ”prima di diventare professionisti della politica siate protagonisti nella vita come cittadini, manager e imprenditori. Se non si lavora si è staccati dalla realtà”. E soprattutto: “Lunga vita a voi e me: la medicina attualmente ci dà la possibilità di vivere fino a 120 anni. Approfittatene, approfittatene”.



D’Alema è un "nobiluomo" del Vaticano Il vice conte Max emblema della sinistra snob.




La scoperta: il leader Pd è "nobiluomo" del Vaticano dopo aver richiesto invano un titolo superiore. Tre benemerenze in sei anni: così il "compagno" è diventato un nobile. Idealizzava una società senza classi, ora si ritrova in business class. Da anni la sinistra è un susseguirsi di yacht, case chic e lussi...


Il «conte rosso» per antonomasia è sempre stato Luchino Visconti. L’idea che ora possa esserlo Massimo D’Alema è di sicura impronta marxiana: la storia, ammoniva il gran barbuto di Treviri, quando si ripete è sempre una farsa. Il Fatto pubblica delle foto del conte Max, allora ministro degli Esteri, infracchettato e superdecorato in un’udienza papale del 2006: più che il diavolo e l’acqua santa è una specie di Miseria e nobiltà: al posto del principe di Casador c’è un N.H. con i baffi, l’Ordine Cileno, la Legion d’Onore di Francia e, fresco di nomina pontificia, lo stellone di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Piano sul petto. Voleva il titolo più alto, lui. Quello di conte. Ma non sapeva che il Vaticano lo riserva ai capi di Stato.
Così si è dovuto «rassegnare» a essere solo un vice. Ma, a conti fatti, vice conte val bene una messa. Si ignora se avesse ai piedi le famose e costose scarpe di cuoio fatte a mano scoperte qualche anno prima presso un calzolaio calabrese, e se sul «Tevere più largo» dell’intesa fra Stato e Chiesa ci fosse arrivato in barca a vela. Si può escludere, visto il rigido protocollo e l’assenza dello chef Vissani, che ci sia stato il tempo per una risottata catto-comunista nella foresteria vaticana.
Abbiamo convissuto per anni con l’idea che i «compagni» fossero persone serie, pericolose proprio perché convinte delle loro idee. Eravamo giovani e quindi eravamo ingenui: non avevamo capito che sotto il vestito rosso non c’era niente, bastava invitarli a pranzo o portarli dal sarto e la rivoluzione sarebbe finita lì.
Da anni ormai la sinistra è un susseguirsi di yacht, merchant bank dove non si parla inglese, vigneti e abiti griffati. Ci siamo abituati ai vellutini di Fausto Bertinotti e ai foulard di Achille Occhetto, agli sloop di 60 piedi di SuperMax, alle piccole Atene di Capalbio (o era Cetona? Ah, saperlo), alle tenute agricole nelle Langhe care a Cesare Pavese, o nell’ubertosa Umbria da sempre cuore caldo della sinistra di lotta (ma dai) e di governo (ma sì). Ci siamo anche abituati all’idea di leader del comunismo che fu, pronti a giurare che loro, comunisti, non lo erano mai stati (Veltroni docet). Perché sorprenderci ora se li vediamo inseguire un titolo nobiliare? È vero: già Giovanni Giolitti sosteneva che un sigaro e una croce di cavaliere non si negavano a nessuno, ma quella era l’Italietta liberal-conservatrice, mica il «Paese normale» della retorica progressista...
Diceva Chateaubriand che l’aristocrazia passava per tre età successive: «L’età delle qualità superiori, l’età dei privilegi, l’età delle vanità. Uscita dalla prima, degenera nella seconda e si spegne nell’ultima». La sinistra è divenuta aristocrazia senza averne i meriti e accontentandosi dei difetti: perpetua i privilegi, è superbamente vanitosa. Da tempo non rappresenta più nulla, ma ha imparato a farlo con sussiego e prosopopea: la «diversità», la «questione morale», la «parte sana» eccetera, eccetera.
È una sinistra con la puzza sotto il naso, il mutuo cospicuo in banca e il contratto da rinnovare in Rai, o presso qualche ente, o presso qualche grande editore, sempre indignata e sempre sofferente, per anni convinta di doversene andare, sdegnata, in esilio: il clima si era fatto invivibile, la democrazia non c’era più. Naturalmente è ancora qui.
Si dirà: non c’è niente di male a volere un po’ di ricchezza, a sognare un’ascesa sociale, a inseguire un quarto di nobiltà... Ci mancherebbe: dalla società senza classi alla business class può anche essere un programma politico. Basta saperlo. Male che vada, voli Freccia alata, giri il mondo e bombardi la Serbia. È per questo che fin dall’infanzia ci si iscriveva alla Direzione del Pci.


"Inganno Globale", di Massimo Mazzucco



Il film-inchiesta italiano di Massimo Mazzucco, il responsabile di Luogocomune.net.

L'atto di accusa contro tutte le incongruenze, assurdità e bugie che i media e le inchieste ufficiali stanno offrendo al pubblico da quel lontano settembre 2001. Nessuna teoria della cospirazione, nessuna fantasiosa ricostruzione, ma solo una serie di domande che nessuno ha mai voluto porre prima ed a cui nessuno ha voluto mai rispondere.



Leggi anche:
https://www.facebook.com/notes/mario-scarpanti/1-tutto-quello-che-avreste-sempre-voluto-sapere-sull11-settembre-2001-ma-che-non/10150315283195909


https://www.facebook.com/notes/mario-scarpanti/2-tutto-quello-che-avreste-sempre-voluto-sapere-sull11-settembre-2001-ma-che-non/10150315270915909


http://www.tempi.it/11-settembre-tutte-le-tesi-complottiste-e-le-versioni-ufficiali?page=3



venerdì 9 settembre 2011

Da www.mentecritica.net




  • Sacconi Neri
  • Default Italia, 62 Giorni al Fallimento: I Maledetti Sindacati
  • Sciopero CGIL, Camusso: questo è uno sciopero politico!
Sacconi Neri

La barzelletta, l’aneddoto, chiamiamolo come ci pare, di Sacconi. E vabbé, il delirio di un tizio che sembra survoltato da chissà quale sostanza – visto quanto si agita? – e reduce probabilmente la sera prima dalla visione annebbiata di “Flavia la monaca musulmana”. Sono miserie da vecchi dai neuroni morenti.
Piuttosto io ho notato Bonanni, lì a fianco, che non ha battuto ciglio. Ecco, un pensierino, un leggerissimo sfanculamento anche per lui non guasterebbe. Per par condicio.
Vado a dar di rota alla vecchia Guillottin.
 

Default Italia, 62 Giorni al Fallimento: I Maledetti Sindacati

C’è chi, da centro-destra, da filo-governativo o da servo di Berlusconi, ha bocciato lo sciopero della Cgil e  definito la Camusso una in “crisi d’identità che sciopera per un mondo che non c’è più”.

E’ vero. Un certo mondo non c’è più. Ma i lavoratori ci sono. Il mondo del lavoro, c’è. Con buona pace dei berlusconiani.
Si tratta di capire – onestamente  – quale sia oggi il contesto specifico professionale di quel mondo e quello più ampio della società dove gli italiani lavorano, non trovano lavoro, hanno un lavoro precario.
Liquidare lo sciopero del 6 settembre 2011 proclamato dalla Cgil, e al quale hanno aderito anche lavoratori iscritti ad altre sigle sindacali o non iscritti, come il solo tentativo di sopravvivenza di una parte di rappresentanza sindacale significa non capire o, peggio ancora, non voler capire cosa sia il paese reale.
Qualcuno ha anche definito come “demenziale” lo sciopero proclamato dalla Cgil. Per un solo motivo: ne temeva la partecipazione estesa.
Costoro, come coloro che dal centro-destra hanno sminuito in buona o mala fede la scelta di manifestare, non hanno presente quale sia stata l’evoluzione o l’involuzione del lavoro in Italia.

Molti anni fa, nel nostro paese c’era il lavoro ma non c’erano i diritti dei lavoratori. O quanto meno, non erano garantiti in maniera adeguata rispetto ai dettami della Costituzione, al rispetto della dignità della persona, alla logica del do ut des che presiede un corretto e proficuo rapporto professionale.
In anni successivi, i lavoratori hanno visto riconosciuti i loro diritti. C’era lavoro. C’erano i diritti dei lavoratori. L’approvazione dello Statuto dei lavoratori è stato un atto importante. Indispensabile.

Negli anni successivi, la triade sindacale Cgil-Cisl-Uil ha rafforzato il suo potere contrattuale e, di fatto, è diventata la terza gamba politica: governo, parlamento, sindacato.
In questo ruolo ha contribuito al disfacimento della società italiana quando ha scelto di battersi per privilegi, quando ha ottenuto condizioni – ne cito una: andare in pensione con lo stipendio medio degli ultimi cinque anni – che aumentavano la spesa pubblica e nulla avevano a che vedere con il giusto riconoscimento dei diritti dei lavoratori. Erano gli anni in cui la triade sindacale, accanto a battaglie contrattuali anche sensate, ha spesso difeso lavativi e ricattatori più che sostenere misure economiche indirizzate ad una maggiore giustizia sociale. Così facendo, ha indebolito il lavoratore nel contesto sociale generale. In quel periodo, CGIL, CISL e UIL erano fuori dal mondo. E non lo sapevano.

Gli errori commessi in quegli anni li stiamo pagando. Non solo i giovani. Li stanno pagando anche i  lavoratori e le lavoratrici ai quali oggi si vuole allungare l’età pensionabile.
Costoro devono pagare le pensioni baby, il sistema retributivo (pensione determinata in base agli stipendi degli ultimi anni) anziché contributivo (pensione determinata secondo gli effettivi contributi) nonché tutti gli sperperi, le inefficienze, le ruberie della classe politica.
Capite che, in questa condizione, tanto vale dire ai lavoratori: scordatevi la pensione. Oppure: morite prima.

Passano gli anni.
Siamo nella cosiddetta seconda repubblica. Lo scenario è prevalentemente quello di una classe politica mediamente volgare, incapace di governare un paese, e con un italiano medio – va detto – che ha perso il senso della collettività ed è soggiogato dal modello consumistico e, a seguire, dal modello del berlusconismo.  
I sindacati ci sono sempre. La logica comportamentale non è cambiata. Stanno però cambiando alcune condizioni sociali. L’introduzione dell’euro già chiede di “tirare la cinghia”. Gli anni dall’euro ad oggi hanno prodotto un impoverimento degli italiani perché, nel contesto dell’individualismo e del berlusconismo, si è approfittato per aumentare prezzi mentre pensioni e stipendi rimanevano al palo. I nodi stanno venendo al pettine.

Siamo quindi partiti con: lavoro ma non diritti, siamo passati a lavoro con diritti, poi a lavoro, diritti e privilegi. E oggi come siamo messi?
Oggi stiamo con padri e madri di famiglia che perdono il lavoro, con giovani senza lavoro o con lavori precari che non consentono un reddito adeguato al costo della vita. E con il tentativo di perdere i diritti acquisiti. Coloro che hanno ottenuto privilegi non sono minimamente toccati da nessuna manovra economica. Siamo sommersi di evasione ma stiamo anche pagando pensioni in misura maggiore di quanto spetterebbe. Stiamo dando un reddito pensionistico minimo ad alcuni ma anche servizi aggiuntivi che forse andrebbero tagliati o ridimensionati. Perché non si può riconoscere un reddito in base ad un modello sociale che dobbiamo cambiare. Perché se non cambiamo il nostro stile di vita, salteremo per aria.
In realtà: una parte del paese salterà per aria. Un’altra no. Perché continuerà ad evadere e quindi potrà continuare a vivere assorbita dal modello del berlusconismo.

Alla classe politica – di governo e di opposizione – agli economisti che ci intrattengono sullo spread dei Btp e sull’andamento delle borse che corrisponde o non corrisponde alla situazione reale dell’impresa italiana (avrei da dire su questo punto, ma al momento tralascio), ai giornalisti – pochi indipendenti e troppi servi e/o condizionati dalla pubblicità che paga il loro stipendio – ai sindacati, non vorrei sfuggisse  in che mondo siamo.
Stiamo entrando, o siamo già, nell’era: senza lavoro, senza diritti, con i soliti privilegi. In qualsiasi modo siano stati ottenuti: per evasione, corruzione, clientelismo, sindacalismo.
Senza lavoro e senza diritti non si può stare. E non perché lo affermi la Costituzione. Perché lo sancisce il diritto alla dignità della persona. Che si garantisce comprendendo la realtà, cercando onestamente soluzioni ai problemi sociali, rimediando agli errori del passato non aggiungendo altri errori.
Non so se la Cgil sia in “crisi d’identità per un mondo che non c’è più”. Credo di sapere però che CISL e UIL non abbiano le proposte adeguate e non facciano le azioni appropriate per rimediare agli errori del passato.
Ovvio che tanto più vale per la classe politica. Ma vale anche per tutti gli italiani che non sono in grado, culturalmente, mentalmente, di capire che è ora di rivedere un modello sociale. Nel quale, certi errori non sono più ammessi.

Lo sciopero della CGIL aveva una ragione d’essere. Non è fuori del mondo. Lo sarà, se questo sindacato si limita a contarsi e compiacersi. Lo sarà, se questo sindacato non capisce che non è più tempo per certi errori. Che bisogna conoscere la realtà del lavoro e quali diritti debbano essere tutelati.
Senza cedimenti. Senza compromessi. Senza pateracchi. Ovviamente, l’auspicio vale anche per CISL e UIL e le altre sigle sindacali.

Non sono più accettabili contrattazioni per ottenere illogiche condizioni, privilegi, sprechi dei contributi pubblici. La classe politica è incapace di governare e legiferare. Il sindacato vuole continuare ad essere la terza gamba degli incapaci? 

Sciopero CGIL, Camusso: questo è uno sciopero politico!

Da wikipedia “Al di là delle definizioni, la politica in senso generale, riguardante “tutti” i soggetti facenti parte di una società, e non esclusivamente chi fa politica attiva, ovvero opera nelle strutture deputate a determinarla, la politica è l’occuparsi in qualche modo di come viene gestito lo stato o sue substrutture territoriali. In tal senso “fa politica” anche chi, subendone effetti negativi ad opera di coloro che ne sono istituzionalmente investiti, scende in piazza per protestare.”
Si è svolto ieri lo sciopero della CGIL che ha visto la partecipazione, oltre agli aderenti alla CGIL, anche di iscritti alla CSL e UIL.
Una grande manifestazione contro la manovra economica che il governo sta approntando e di cui ha messo, proprio ieri, la fiducia.
La Camusso, nel suo discorso a Roma, oltre alle critiche, ormai conosciute, alla manovra, di cui la CGIL ha preparato una contromanovra, (vedi anche qui) ha ribadito un concetto importantissimo in risposta a chi sosteneva la politicità dello sciopero: “ancora una volta si è detto che lo sciopero della CGIL è uno sciopero politico. Si, lo è, perché il sindacato ha una funzione alta. Non abbiamo paura di questa parola. Piuttosto ci spaventa l’anti-politica. Abbiamo fatto tante proposte, le cose da fare non mancano. Si potrebbe cominciare con il taglio del vitalizio ai parlamentari. Solo così potremmo scoprire se questa maggioranza fa gli interessi del Paese o solo ed esclusivamente della classe politica eletta”.
Dunque, lo sciopero non è solo uno strumento di ricatto, ma è, innanzi tutto, uno strumento politico con cui chi non detiene il potere può bloccare provvedimenti governativi che sarebbero negativi per loro o ritenuti tali per l’intera società.
Niente di più vero in una società che, pur richiamandosi a valori democratici e laici, tende ad usare i cittadini unicamente come serbatoio elettorale togliendo loro ogni possibilità di intervento. Al riguardo basta pensare alle resistenze quando, i cittadini, raccolgono firme per un referendum che, dopo lo sciopero, è l’unico momento in cui può intervenire direttamente.
Lo sciopero di ieri è stato uno sciopero politico, e non poteva essere diversamente visto i problemi affrontati. Ma politico lo sarebbe, e lo erano, anche qualora si fosse trattato di richieste salariali o, comunque, riguardanti il mondo del lavoro. Questo perché la politica non è e non deve essere appannaggio dei soli “politici”, anzi, la politica è proprio il contrario di quanto vogliono farci credere, specialmente a destra. La politica è l’interesse generale nei confronti della società e di coloro (i politici) che sono chiamati a gestirla. Se cosi non fosse, il cittadino sarebbe degradato a semplice numero elettorale; perderebbe i presupposti democratici di responsabilità che sono alla base anche della nostra costituzione.
Concludendo, è giusto riportare lo sciopero alla sua dimensione politica perché, in ogni caso, influenza le decisioni dei politici.



Obama: "450 mld di dollari per rilanciare l'occupazione e aiutare l'economia"



(Foto dal sito della Casa Bianca)


Washington, 9 set. - (Adnkronos/Aki) - Presentate ieri sera al Congresso l''American Jobs Act'. Tra le misure del pacchetto un mix di sgravi e deduzioni fiscali per i lavoratori e le imprese che assumono. Il presidente Usa: "Ridare dignità a milioni di americani disoccupati".


Washington, 9 set. - (Adnkronos/Aki) - Un piano ancora più ambizioso del previsto, per rimettere in moto l'economia e aiutare concretamente le famiglie americane, quello presentato davanti al Congresso Usa da Barack Obama. E' ricordando l'urgenza della crisi in cui versa il paese che il presidente ha illustrato il suo 'American Jobs Act'. Un piano largamente anticipato con cui rispondere alla disoccupazione e dare un segnale forte in vista della campagna elettorale per la rielezione. Sul tavolo, Obama ha messo unpacchetto di misure da 450 miliardi di dollari, ben superiore ai 300 miliardi annunciati, spese che saranno tutte coperte, ha assicurato Obama. ''In questa proposta - ha sottolineato - non dovrebbe esserci nulla di controverso. Ogni misura prevista era stata sostenuta sia dai Democratici che dai Repubblicani e ognuna di queste ha copertura''.


Washington, 9 set. - (Adnkronos/Aki) - Un piano ancora più ambizioso del previsto, per rimettere in moto l'economia e aiutare concretamente le famiglie americane, quello presentato davanti al Congresso Usa da Barack Obama. E' ricordando l'urgenza della crisi in cui versa il paese che il presidente ha illustrato il suo 'American Jobs Act'. Un piano largamente anticipato con cui rispondere alla disoccupazione e dare un segnale forte in vista della campagna elettorale per la rielezione. Sul tavolo, Obama ha messo unpacchetto di misure da 450 miliardi di dollari, ben superiore ai 300 miliardi annunciati, spese che saranno tutte coperte, ha assicurato Obama. ''In questa proposta - ha sottolineato - non dovrebbe esserci nulla di controverso. Ogni misura prevista era stata sostenuta sia dai Democratici che dai Repubblicani e ognuna di queste ha copertura''.


http://www.adnkronos.com/IGN/News/Esteri/Obama-450-mld-di-dollari-per-rilanciare-loccupazione-e-aiutare-leconomia_312432237820.html


Governo, ultimatum di Confindustria "Il governo agisca o se ne vada"


Emma Marcegaglia: "C'è un problema di credibilità molto serio. Il Paese è in pericolo". Passera: "Serve piano per la crescita". La protesta della Anm: "Pronti ai ricorsi". Cgil:  "Porteremo la manovra alla Corte Costituzionale". Presentati circa 400 emendamenti (20 sono della Lega)

.ROMA - "Oggi il nostro paese è in pericolo" afferma Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria alla festa dell'Udc. Che lancia un preciso messaggio al governo. O meglio un vero e proprio ultimatum: "Nei prossimi giorni il governo deve essere in grado di fare velocemente una grande operazione. Altrimenti deve trarne le conseguenze. Noi facciamo un altro mestiere ma c'è un problema di credibilità molto serio: o questo governo dimostra di essere in grado di fare una grande operazione in termini di equità e di visione a medio termine e di superare i veti nei prossimi giorni oppure deve trarne le conseguenze perchè il paese rischia molto, non possiamo rimanere in questa situazione di incertezza".

Marcegaglia non risparmia critiche alla manovra perchè "per il 60% è composto da nuove tasse. Passiamo a una pressione fiscale pari al 44,5%, cioè il massimo storico in Italia. Si tratta di una manovra depressiva". Inoltre "non contiene interventi strutturali: bisogna affrontare il nodo pensioni, fare le liberalizzazioni e le privatizzazioni".
Marcegaglia ritiene che si debba intervenire anche sui costi della politica "senza demagogia perchè in un momento complicato come questo non bisogna accendere la miccia dell'antipolitica". Ma "per riuscire a tornare a crescere dobbiamo dare più fiducia alla gente. Ognuno di noi deve fare un passo indietro perchè in questa fase ognuno protegge se stesso. Quindi tutti facciano sacrifici a partire da chi ha di più: bisogna mettere insieme un sistema per cui abbassiamo le tasse su chi tiene in piedi il paese cioè i lavoratori e le imprese e alzarle sul resto: Iva, patrimoni, rendite, su tutto quello che è necessario".

E anche Corrado Passera, consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, chiede un "ampio piano" per la crescita: "Se sapranno farlo bene sennò bisogna cambiare perchè non possiamo rinunciare a un piano effettivo di crescita".

Emendamenti. 
Sono circa 400 gli emendamenti al decreto legge con la manovra presentati in commissione bilancio della Camera. Una ventina sono a firma di deputati della Lega (tra questi quello che ipotizza una tassa del 5% su ciascuna giornata di sciopero da parte dei calciatori professionisti). Al momento non risulta il Pdl abbia depositato proposte di modifica. Anche i Responsabili hanno preferito non presentare emendamenti, preferendo la via degli ordini del giorno in assemblea. Dell'opposizione, il Pd ha firmato un centinaio di testi, l'Idv una settantina e 15 il Terzo polo. I parlamentari della componente radicale del gruppo democratico avrebbero a loro volta depositato un centinaio di emendamenti.

Tra gli emendamenti presentati dal Pd ne spunta uno che taglia le indennità dei deputati. Il testo originale del decreto del governo varato l'11 agosto prevedeva una riduzione del 50% dell'indennità per i parlamentari che avessero un altro reddito da lavoro. Dopo una raccolta di firme partita tra i senatori, il maxi-emendamento del governo ha limitato questa sforbiciata al 20% per i redditi oltre 90.000 e del 40% per i redditi oltre 150.000 euro. "Il nostro emendamento - spiega il democratico Paolo Baretta - ripristina il testo originale del decreto per quanto riguarda la quantità del taglio, ma allarga la platea a tutti i redditi, compresi quelli da patrimonio. E' illogico che chi scrive un libro abbia l'indennità decurtata, e Berlusconi no".

Anm. 
E si mobilita anche l'associazione nazionale dei magistrati. Il comitato direttivo dell'Anm ha proclamato lo stato di agitazione della categoria contro la manovra, definita "iniqua" perché penalizza soprattutto i dipendenti pubblici. In particolare, si preannunciano ricorsi contro il contributo di solidarietà per i redditi superiori ai 90 mila euro solo per il pubblico impiego. Severo anche il giudizio della Cgil. "Manovra ingiusta, depressiva e irresponsabile" taglia corto il segretario generale Susanna Camusso - Stiamo gia' preparando con i nostri consulenti legali i ricorsi sui singoli punti della manovra, a cominciare dal contributo di solidarietà solo per i pubblici dipendenti".

Commissione bilancio. 
I lavori sono stati sospesi per consentire lo svolgimento di un ufficio di presidenza chiamato a svolgere una valutazione politica sugli effetti sui mercati delle dimissioni del consigliere Bce, Jurgen Stark. La commissione ha interrotto i lavori appena annunciate le inammissibilità: alla ripresa verranno discussi i ricorsi e solo dopo potranno iniziare le votazioni sugli emendamenti.




http://www.repubblica.it/economia/2011/09/09/news/tagli_parlamento-21428208/

Indennità e vitalizi d'oro, la beffa dei tagli alla politica e le promesse non mantenute.



Non c'è traccia di «scelte epocali» e risparmi milionari. Via anche la norma sull'ineleggibilità dei corrotti.

«E tu osi credere ai tuoi occhi invece che a me?». Il fastidio con cui nella maggioranza vivono lo scetticismo dei cittadini nei confronti dei tagli alla politica ricorda la battuta di una leggendaria diva del cinema al marito che l'aveva sorpresa a letto con un amante: ma come, non ti fidi?
Il guaio è che di impegni, promesse, giuramenti, in questi anni ne abbiamo sentiti davvero troppi. Prendiamo due titoli di poche settimane fa dell'Ansa. Il primo: «Ok a bilancio Camera, tagli per 150 milioni». Il secondo: «Via libera Senato a tagli per 120 milioni». Non c'è estate, praticamente, che le agenzie non annuncino tagli radicali. Tutti futuri: il prossimo anno, nei prossimi due anni, nei prossimi tre anni... Poi vai a vedere e scopri che le spese correnti, quelle che contano, non scendono mai. E se Montecitorio nel 2001 costava 749,9 milioni di euro oggi ne costa un miliardo e 59 milioni. Sforbiciata reale nel 2011: meno 0,71%. E se Palazzo Madama dieci anni fa costava 349,1 milioni oggi ne costa 574. Con un aumento del 65%. In un decennio in cui il Pil pro capite italiano è calato del 4,94%. Sforbiciata reale nel 2011: 0,34%. Meno di un centesimo della amputazione radicale ai fondi per la cultura, falcidiati in un decennio del 50,2%.

E se al Quirinale va riconosciuto d'avere tentato di frenare la macchina impazzitae ormai quasi incontrollabile con un aumento del 5,07% negli ultimi anni seguiti al divampare delle polemiche sui costi della politica, non si può dire lo stesso per il Senato (+9,37%), la Camera (+12,64), la Corte Costituzionale (+11,48) e soprattutto il Cnel, schizzato all'insù, dopo un periodo di magra, del 20% tondo: il quadruplo dell'aumento del Colle.

Non diversamente è andata con altri impegni solenni. «Costi della politica, tagli epocali» era il titolone de «la Padania» di tre settimane fa. All'interno, lo stesso entusiasmo strillato a tutta pagina: «La Casta colpita al cuore». E il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli sventolava una serie di successi trionfali: taglio delle Province, taglio dei seggi e degli stipendi dei Consigli regionali, taglio dei Comuni sotto i 1.000 abitanti, taglio complessivo di 54 mila «poltrone». Pochi giorni e il trionfo si ridimensionava. Ed ecco emergere che le Province in via di soppressione da 37 scendevano a 22, il taglio dei seggi e degli stipendi dei consigli regionali non poteva violare l'autonomia degli enti e dunque era affidato a un «ricatto virtuoso» (o tu tagli dove dico io o io taglio a te un po' di finanziamenti), i Comuni più piccoli non ne volevano sapere e le 54.000 «poltrone» si rivelavano così poco «lussuose» che dopo la pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale» anche un giornale non ostile come «Libero» denunciava in un titolo: «Nella manovra non è previsto neppure un euro di ricavi dalle sbandierate soppressioni di Comuni e Province: segno che non ci credono neppure loro». Qualche giorno ancora e saltavano sia l'accorpamento dei piccoli Municipi che l'abolizione delle poche Province, rimandata a un lunare disegno di legge costituzionale. Come volevasi dimostrare.
Più o meno lo stesso tormentone che da anni ruota intorno alla soppressione degli enti inutili, bollati addirittura nella prima versione del codice delle autonomie, provvedimento governativo arenato in Senato da quattordici mesi, come «enti dannosi». Estate 2008: «Entro quest'anno sugli enti inutili calerà la ghigliottina». Estate 2009: «Via 34.000 enti inutili». E via così. Il risultato si può leggere nella relazione tecnica della manovra del 2011: «L'abrogazione degli enti con dotazione organica inferiore alle 50 unità non ha prodotto alcun risparmio». Enti tagliati? Manco uno. Ed ecco il 13 agosto scorso una nuova Ansa: «Via gli enti pubblici non economici con una dotazione organica inferiore alle settanta unità». Lo prevede il testo della manovra ma «con esclusione degli ordini professionali e loro federazioni, delle federazioni sportive, degli enti la cui funzione consiste nella conservazione e nella trasmissione della memoria della Resistenza e delle deportazioni». Restano fuori anche le organizzazioni per la Giornata della memoria, del Giorno del ricordo, le Autorità portuali e gli enti parco. Tempi? «Gli enti sotto le 70 unità sono soppressi al novantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della manovra». Da allora, di giorni, ne sono passati venti. E invece che essere soppressi gli enti inutili, nella nuova versione della manovra, è stata soppressa la loro soppressione. Andiamo avanti?
Nella prima bozza Tremonti del 23 giugno era previsto che «i compensi pubblici erogati a qualsiasi titolo, politico o di pubblico servizio, ed a qualsiasi livello, tanto centrale quanto regionale, provinciale o comunale, non possono superare quelli erogati per i corrispondenti titoli europei». Traduzione: basta con le indennità e gli stipendi troppo alti rispetto alla media Ue. Decisione sacrosanta. Ma una misteriosa manina ha nottetempo infilato nel testo di un emendamento di poche paroline e la media europea di riferimento è diventata «ponderata rispetto al Pil» e limitata ai «sei maggiori Paesi», così da tagliar fuori i Paesi che avrebbero fatto abbassare le buste paga. Un giochetto che, secondo una nota interna della Cisl, avrebbe messo in salvo circa mille euro al mese.
Ancora più divertente, si fa per dire, è l'epilogo della promessa di adeguare le regole italiane a quelle straniere, che in molti casi vietano espressamente a chi è pagato per fare il parlamentare di fare altri lavori. Facoltà che in certi casi (ad esempio quello del medico Antonio Gaglione, che ha detto di non avere nessunissima intenzione di dimettersi e rinunciare alle prebende) ha portato anche al 93% di assenze.
La riforma sbandierata all'inizio prevedeva il taglio del 50% dell'indennità lorda. Poi il trauma è stato ridimensionato col raddoppio del prelievo di solidarietà, il 20% oltre i 90 mila e il 40% oltre i 150 mila. Ma siccome pochissimi hanno una indennità superiore a questa cifra (quelli che guadagnano molto lo devono proprio all'attività privata) la percentuale di riferimento reale è quella del 20%. Facciamo due conti? Dato che l'indennità lorda di un deputato semplice è di 140.443 euro e 68 centesimi lordi l'anno (poi bisogna aggiungere le diarie e rimborsi vari, al netto) un doppiolavorista avrebbe avuto con la prima versione delle nuove regole, un taglio di 70.221 euro e 84 centesimi. Con le regole nuove, 10.088 euro e 73 centesimi. Un settimo. Non bastasse, mentre il prelievo di solidarietà «doppio» non aveva scadenza, l'ultima versione dice esplicitamente che dura tre anni: 2011, 2012 e 2013. Non solo: non tocca più la Corte Costituzionale e il Quirinale. Che com'è noto, alla denuncia di Roberto Castelli, ha risposto bruscamente: tutta farina vostra, noi non c'entriamo, è il governo che decide.
Non bastasse ancora, la legge che vietava l'accumulo di cariche e già era di fatto ignorata (si pensi che siedono in Parlamento vari presidenti provinciali, da quella di Asti a quelli di Foggia, Bergamo, Salerno, Brescia...) è stata addirittura annacquata: l'incompatibilità assoluta fra incarico parlamentare e altre cariche elettive, introdotta nella prima versione della manovra agostana, si è ridotta a vietare l'accumulo del seggio alle Camere con le cariche elettive «monocratiche», presidenti provinciali e sindaci di Comuni oltre i 5 mila abitanti. Non con altre poltrone, come quelle di assessori o consiglieri provinciali e comunali. E non basta ancora. Nella prima bozza della manovra di luglio si diceva che dopo la scadenza dell'incarico nessun «titolare di incarichi pubblici, anche elettivi, può continuare a fruire di benefici come pensioni, vitalizi, auto di servizio, locali per ufficio, telefoni, etc...» Nel testo approvato, sorpresa sorpresa, è sparito ogni riferimento a «pensioni e vitalizi». Anche lì, la solita manina? Ma non è finita. Da giugno scorso giace alla Camera un altro disegno di legge che era stato sbandierato in pompa magna dal governo il 1° marzo 2010, sull'onda degli scandali sui grandi eventi e la Protezione civile: quello contro la corruzione. Ricordate?
Suonarono le trombe: «Nessuno mai è stato così duro contro i corrotti!».
Dopo più di un anno il disegno è stato approvato in Senato, ma diverso da come era nato. Nel testo iniziale si stabiliva per la prima volta che una persona condannata con sentenza definitiva a una pena superiore a due anni per reati come la corruzione non potesse venire eletta in Parlamento. In quello approdato a giugno dalla Camera la norma tassativa e immediatamente applicabile dopo l'approvazione della legge è diventata una «delega al governo per l'adozione di un testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e divieto di ricoprire cariche di governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi». Ricapitoliamo? Prima bisognerà approvare la legge. E già immaginiamo che verrà opportunamente modificata alla Camera per poi tornare in terza lettura al Senato... Un annetto per ogni passaggio e già siamo fuori tempo massimo. Ma se per miracolo dovesse superare l'esame del Parlamento prima della fine della legislatura, da quel momento il governo avrà ancora un anno di tempo per scrivere la delega. Campa cavallo... Per capire cosa è successo «davvero» è sufficiente citare un caso: quello di Salvatore Sciascia, l'ex manager Fininvest condannato in via definitiva a due anni e mezzo per corruzione della Guardia di finanza e portato nel 2008 in Senato. Come ha votato? Indovinato: a favore.
Per chiudere, a parte la sottolineatura che la telenovela intorno all'abolizione della metà dei parlamentari ormai giunta alla 1327a puntata è ancora aperta a ogni colpo di scena, vale la pena di ricordare che nonostante tutte le promesse è ancora in vigore la leggina più infame che, sotto l'infuriare delle polemiche, si erano impegnati a cambiare. Quella sulle donazioni. La quale riconosce a chi regala 100.000 euro alla ricerca sul cancro o ai lebbrosi uno sconto fiscale di 392 euro e chi regala gli stessi soldi a un partito politico uno sconto 50 volte più alto. Giuravano tutti che sarebbe stata spazzata via: e ancora lì.
E i cittadini dovrebbero fidarsi delle promesse di oggi?
Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella
09 settembre 2011 11:42