mercoledì 14 settembre 2011

L'Avvenire: Una follia denunciare il Papa all'Aia sulla pedofilia.


Per il quotidiano della Cei i denuncianti cercano solo pubblicità e soldi su pelle vittime.

L'Avvenire: Una follia denunciare il Papa all'Aia sulla pedofilia
Roma, 14 set. (TMNews) - "Enorme piccineria". Così l'Avvenire, il quotidiano della Cei, definisce in un editoriale la denuncia del Papa e dei cardinali Sodano, Bertone e Levada alla corte penale internazionale dell'Aja con l'accusa di stupro, violenza sessuale e tortura per aver "tollerato e permesso" abusi sessuali sui minori.

"Non è la trama di un fantathriller - scrive il giornale dei vescovi - e se non ci fosse di mezzo l'orrore per quella che lo stesso Benedetto XVI ha definito una tragedia, ci sarebbe solo da buttarla sul ridere, tanto scoperta, smaccata, è la strategia mediatica scelta dai denuncianti (l'associazione statunitense di vittime di preti pedofili Snap e il Center for Constitutional Rights) per alzare il livello dello scontro. Che, tanto per chiamare le cose con il loro nome, significa pubblicità e soldi. Non a caso i due organismi hanno già annunciato un tour europeo di sensibilizzazione. Da farsi cadere le braccia di fronte all'enormità di una tale piccineria".

"Ma - osserva Avvenire - di mezzo ci sono le vittime, dalla cui parte, proprio per volontà di Benedetto XVI la Chiesa si è schierata senza se e senza ma e pronta a pagare per questo il prezzo della vergogna gettata sulla Chiesa stessa dai colpevoli, sacerdoti indegni del loro ministero. Le stesse vittime che oggi rischiano di essere nuovamente straziate da cinici e scaltri azzeccagarbugli che provano a rendere più grasso il piatto dei rimborsi da chiedere in sede civile".

"Una follia - insiste il quotidiano della Cei - tanto più che con tutta evidenza mai bersaglio poteva essere più sbagliato. Perché il 'denunciato' Papa Benedetto è lo stesso che, ancora cardinale, col suo predecessore Giovanni Paolo II iniziò l'era della tolleranza zero riguardo a questo odioso crimine. Di che si parla allora? Delle capziosità giuridiche che tentano di far rientrare dalla finestra un principio di responsabilità stiracchiato quasi all'infinito, già rifiutato dalle giurisprudenze di mezzo mondo? O dell'infinita tristezza, meschinità, di chi, non esitando a tirare fango sulla figura stessa del Papa per uno scoperto tornaconto, torna a violentare le stesse vittime di ieri colpendo proprio chi con tanta incrollabile passione se n'è fatto difensore?".

Luc/Dmo

Parigi rompe l’ultimo tabù: lo Stato dentro il capitale delle banche in crisi”. - di Leonardo Martinelli




Allarme rosso per i principali istituti di credito francesi che sono stati declassati da Moody's. Fra le cause del downgrading la troppa esposizione ai titoli italiani
E se la soluzione migliore, alla fine, fosse nazionalizzare, almeno parzialmente? In questi giorni di caos sui mercati e di sfiducia crescente anche nei confronti della Francia e delle sue banche, l’argomento a Parigi non è più tabù. Tanto più questa mattina, dopo che Moody’s ha declassato due dei colossi del credito d’Oltralpe,Société Générale (da Aa2 a Aa3) e Crédit Agricole (da Aa1 a Aa2), mantenendo Bnp Paribas “sotto osservazione negativa”.

Il valore in Borsa di questi colossi del credito si sta ormai liquefacendo. “Too big to fail”, non possono crollare: si porterebbero dietro svariate controllate qui e là in Europa (vedi la nostra Bnl, proprietà di Bnp Paribas). Ebbene, la maggior parte di loro avrà bisogno di una ricapitalizzazione. Ma di questi tempi chi oserà metterci qualche soldo?

Potrebbe farlo lo Stato francese. E a quel punto ne prenderebbe il controllo o comunque pretenderebbe di imporre una certa influenza sulla gestione, in proporzione alla quota di capitale detenuta. Già nel 2008, dopo il crack di Lehman Brothers, i contribuenti francesi avevano messo mano al portafogli: un totale di 10,5 miliardi di euro di obbligazioni distribuite fra i soliti noti, soprattutto il trio Bnp Paribas, Société Générale e Crédit Agricole, che oggi si ritrova nell’occhio del ciclone. Quei fondi erano poi stati restituiti prima che lo Stato potesse approfittare dei successivi rimbalzi in Borsa dei titoli delle banche. Che avevano beneficiato di una boccata d’ossigeno in piena tempesta, mantenendo la loro piena indipendenza. Stavolta, invece, le cose potrebbero andare diversamente. E il Governo imporre una quota di partecipazione vera e propria. Badiamo bene, siamo ancora a livello di ipotesi. Giudicate “totalmente premature” dal ministro dell’Industria, Eric Besson.

Il problema è che la situazione sta precipitando. Ieri i titoli bancari a Parigi hanno finalmente guadagnato ma Société Générale resta ancora sotto di oltre il 55 per cento rispetto all’inizio dell’anno e del 28 rispetto a un mese fa. Per Bnp Paribas i cali sono stati rispettivamente del 41 e del 25 per cento e per Crédit Agricole del 46 e del 23,5 per cento. Oggi, poi, è arrivata la nuova mazzata: Moody’s ha proceduto al downgrading del rating di due dei tre colossi e messo le mani avanti sul terzo. Alle tre banche viene rinfacciata un’eccessiva esposizione nei confronti della Grecia. Se si considerano sia i titoli di Stato ellenici che i crediti concessi al sistema privato, le banche francesi risultano le più a rischio d’Europa: la loro esposizione ammonta a 92 miliardi contro i 69 di quelle tedesche e i 20 delle britanniche. Ma se la sfiducia è lievitata cosi’ tanto negli ultimi giorni è per un’altra ragione. E questa si chiama Italia. I nostri titoli di Stato totalizzano più di 1.600 miliardi di euro. E ben 550 si trovano in mani francesi contro i 120 della Germania e i 77 delRegno Unito. Non solo, le banche d’Oltralpe hanno fatto shopping nel mondo del credito italiano (fino a poco tempo fa ritenuto redditizio, grazie a una ricchezza privata elevata): chi si è impossessato di Bnl (Bnp Paribas,) chi di Cariparma (Crédit Agricole). E cosi’ via.

Insomma, se l’Italia scivolasse sul dirupo, per le banche francesi sarebbe terribile. E quindi occorre ricapitalizzare. E per questo l’intervento dello Stato sarà forse necessario. Il primo a rompere il tabù è stato Marc Fiorentino, economista apprezzato e senza particolare colore politico. “Lo Stato farebbe bene a prendere una volta per tutte questa decisione – ha sottolineato – : nazionalizzare le banche per tre o quattro anni e rimetterle in sesto, distruggendo una volta per tutte i loro stock di armi di distruzione di massa e riportarle al loro ruolo principale al finanziamento dell’economia”. Insomma, finirla con la ricerca del profitto a ogni costo rischiando in Paesi che non se lo meritano e giocando con i derivati. E recuperare la funzione più sana degli istituti di credito, i finanziamenti alle imprese e alle famiglie, possibilmente in Francia. Tanto più che, sempre secondo Fiorentino, visti i bassissimi livelli delle azioni, lo Stato potrebbe cavarsela con “appena” 25 miliardi di euro. E con questo gruzzolo prendere il controllo delle banche più importanti.

Quella che poteva apparire come una pura provocazione è stata raccolta con entusiasmo da diversi economisti e politici. Per Jean-François Copé, segretario generale dell’Ump, il partito di Nicolas Sarkozy, “non si puo’ lasciar cadere le nostre banche” e non esclude che “lo Stato entri nel loro capitale”. Per Pierre-Alain Muet, consigliere economico di Martine Aubry, uno dei candidati alle imminenti primarie socialiste per scegliere il rivale della destra alle presidenziali 2012, “se il Governo deve intervenire, lo farà ovviamente prendendo una quota del capitale delle banche”. A destra riemerge l’antica passione gollista della partecipazione pubblica. A sinistra la mai sopita ambizione di uno Stato dirigista. Intanto oggi comincia una nuova giornata in Borsa.
Dopo la bocciatura di Moody’s, probabilmente di dolori.


MAURIZIO CROZZA - Ballarò 13/09/2011 - "Italia paese di merda!"

martedì 13 settembre 2011

“Processate il Papa per crimini contro l’umanità”


La Corte penale internazioanale dell'Aia


Associazioni americane di vittime della pedofilia depositano un dossier alla corte penale internazionale dell’Aia. “Il pontefice e i vertici della Curia hanno coperto lo stupro di bambini in tutto il mondo”. Il no comment della Santa Sede

ALESSANDRO SPECIALE



La più grande associazione di vittime di pedofilia da parte di membri della Chiesa cattolica ha chiesto alla Corte Penale Internazionale (Cpi) di processare papa Benedetto XVI e i vertici della Curia romana per “crimini contro l'umanità”.


Snap – il Survivors Netword of those Abused by Priests – ha presentato allaCorte dell'Aia una documentazione di 80 pagine (e 20mila documenti allegati) per dimostrare che il Vaticano avrebbe “tollerato e reso possibile la copertura sistematica e diffusa di stupri e crimini sessuali contro i bambini in tutto il mondo”.


Snap, insieme alla Ong statunitense Center for Constitutional Rights, chiede alla Cpi una “dichiarazione di competenza giurisdizionale”: in pratica, la Corte dovrebbe dichiararsi competente alla luce delle prove che “le azioni legali condotte a livello nazionale non sono state sufficienti a impedire che gli abusi contro i minori continuassero”.


Spetta ora il procuratore generale della Cpi, Louis Moreno-Ocampo, decidere se accogliere o meno il ricorso. La speranza di Snap è che la Corte dell'Aja decida quanto meno di aprire un'indagine preliminare per verificare se il caso rientra sotto la sua giurisdizione.


La Corte penale internazionale, organismo indipendente dall'Onu, è operativa dal luglio del 2002 e, in base al suo trattato costitutivo, viene chiamata a giudicare i presunti responsabili di crimini contro l'umanità e i genocidi. Può agire nel caso in cui il sistema penale di un Paese risulti incapace di affrontare un caso oppure su mandato del Consiglio di Sicurezza del Palazzo di Vertro, come è avvenuto nel caso di Muammar Gheddafi e della leadership del regime libico.


La Santa Sede non è tra i 117 Paesi che hanno firmato il trattato di Roma che ha dato vita alla Corte.


Oltre a papa Benedetto XVI, citato anche per il suo incarico precedente di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, le vittime di abusi puntano il dito nel loro ricorso anche contro il segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, il suo predecessore, il cardinale Angelo Sodano, e l'attuale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, cardinale William Levada.


La Santa Sede per ora ha rifiutato di commentare l'iniziativa ma da Monaco di Baviera, dove partecipa al meeting interreligioso per la pace indetto dalla Comunità di Sant'Egidio, il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, ha bollato il ricorso come “il solito tentativo anti-cattolico che tende in qualche maniera ad offuscare un'immagine che, dal punto di vista umano, è quanto di più prestigioso abbiamo nella nostra società".


A presentare il caso, oltre a Snap, ci sono anche cinque vittime singole le cui storie, secondo un comunicato stampadell'organizzazione, mostrano la “portata globale” della crisi degli abusi. Tra questi ci sono un adolescente del Minnesota che sarebbe stato “stuprato” a più riprese da un prete indiano a partire dal 2004 e un congolese di 44 anni che avrebbe subito abusi da parte di un missionario belga quando aveva tra i 12 e i 16 anni di età.


In entrambi i casi, la Santa Sede non avrebbe offerto collaborazione con le indagini internazionali e i due sacerdoti sarebbero ancora oggi a contatto con minori per il loro ministero.


“Oggi abbiamo presa questa iniziativa storica – ha dichiarato il presidente di Snap, Barbara Blaine – per una ragione molto semplice: proteggere bambini innocenti e adulti vulnerabili. In tutto il mondo, crediamo ci siano centinaia di bambini e bambini vittime di violenze da parte di preti, suore, vescovi e seminaristi cattolici. Una violenza diffusa che viene sistematicamente occultata, come accade da decenni, dai loro capi e da una gerarchia insensibile, reticente, rigida e potente”.


I rappresentanti statunitensi e europei di Snap hanno lanciato per i prossimi giorni un tour europeo a sostegno della loro iniziativa che li porterà a toccare le principali capitali del Continente. Saranno a Roma il prossimo 20 settembre.


Ciao, Salvo.

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Scompare dopo una lunga malattia uno dei fotoreporter piu' creativi della citta'. Nei suoi scatti impegno civile, ricerca d'immagine, espressivita' poetica. Lascia la moglie, Lia Vicari, e una figlia, Carla. I funerali domani, alla Chiesa di Maria Santissima Mediatrice.  
Dopo una lunga malattia è morto Salvo Fundarotto, uno dei più impegnati e creativi fotoreporter di Palermo. Aveva 56 anni. Lascia la moglie Lia Vicari, direttrice della libreria Feltrinelli di Palermo, e una figlia, Carla. Dopo un primo contatto con il giornale L'Ora, Fundarotto si é formato al Laboratorio d'If, aperto nei primi anni '80 da Letizia Battaglia, Franco Zecchin e Shobha. Dopo un reportage in Messico ha collaborato prima con l'agenzia Young & Rubicon, in Spagna e Francia, poi con Grazia Neri.

Fundarotto ha interpretato il lavoro di fotoreporter come una ricerca nella quale si mescolano impegno civile, espressività poetica e creatività. Grande l'attenzione di Fundarotto al mondo della cultura, alla musica e al glamour.

Molto noti e apprezzati i suoi scatti sugli scorci di una Palermo popolare, con i vicoli, i volti di bambini e di una umanità dolente e disincantata in parte pubblicati dalla rivista 'Palermo'. Negli ultimi tempi si era dedicato alle mostre e alle gallerie, rigidamente in bianco e nero, di personaggi e interpreti dell'arte e della cultura. I funerali di Salvo Fundarotto si svolgeranno domani, alle 10,30, nella chiesa di Maria Santissima Mediatrice, nella zona di corso Calatafimi. 

L’Italia di Berlusconi secondo il NyT “L’agonia e il bunga-bunga”



The agony and the bunga-bunga: “L’agonia e il bunga-bunga”. Con questo titolo, ispirato dal libro del 1961 di Irving Stone The agony and the ecstasy il New York Times dedica un ampio editoriale alla situazione economica dell’Italia e agli scandali sessuali che hanno coinvolto il suo “libidinoso imperatore – sorry, primo ministro -”Silvio Berlusconi, che fra “due settimane” compirà gli anni.

“Settembre è stato il mese più incerto per l’Italia”, con il Parlamento impegnato nell’approvazione del “pacchetto di austerità” e le possibili reazioni dell’Europa alla manovra, scrive il Nyt nella sezione del suo sito web ‘Op-Ed Columnist’.

“Ma c’è dell’altro. Quale tipo di celebrazioni sta orchestrando il premier Berlusconi per il suo 75esimo compleanno? Quest’uomo non ha mai avuto timore di saziare se stesso”, osserva ancora l’editoriale evocando le vicende giudiziarie del premier: “Come sappiamo dai processi in cui è coinvolto per aver pagato per fare sesso con una minore, lui riunisce regolarmente degli autentici harem di giovani donne per dei baccanali con un dress-code che si potrebbe definire bizzarro. Li chiama ‘Bunga bunga party’, termine che non ha e non necessita di una traduzione precisa”.

E gli americani “hanno ricavato un gran divertimento da tutto questo, perché è terrificante ma anche rassicurante. La nostra follia politica impallidisce di fronte a questa opera buffa a luci rosse”, scrive il Nyt che però lancia un avvertimento. “Non dovremmo solo restare a bocca aperta e ridere. Il cammino dell’Italia dalla gloria al ridicolo, spianato dalle distrazioni legali e carnali del premier, minaccia la stabilità finanziaria dell’Europa e non beneficia a nessuno. E oltre a ciò, l’Italia presenta una storia ammonitrice per molte democrazie occidentali privilegiate che si sono fatte cullare dal comfort nella compiacenza di sè”, è la conclusione del quotidiano newyorkese.


Procura Napoli: «Memoria Berlusconi non basta, dobbiamo sentire il premier».



Il procuratore di Napoli, Lepore (foto Ciro Fusco - Ansa)



Lepore: è una versione unilaterale sulla presunta estorsione di Tarantini, vanno fatte domande e ci sono fatti da contestare.


ROMA - «La memoria difensiva del premier Berlusconi non basta ad evitare il faccia a faccia coi magistrati», ha detto questa mattina a Radio 24 il procuratore capo di Napoli, Giandomenico Lepore, parlando del procedimento sulla presunta estorsione ai danni di Silvio Berlusconi.

Commentando la notizia che i legali di Berlusconi hanno depositato una memoria, Lepore ha detto: «Non è un memoriale ma una memoria difensiva. Ma non basta, anche se va letto ciò che c'è scritto e tenerne conto ai fini processuali. Va sentita la parte lesa, noi abbiamo elementi per pensare che ci sia un'estorsione e la vittima, il premier, nega l'estorsione, quindi dobbiamo sapere i particolari».

«La memoria difensiva non basta - ha spiegato Lepore - perchè è una versione unilaterale, vanno fatte le domande e ci sono fatti specifici da contestare. Le controdeduzioni con domande da parte dei magistrati sono necessarie per fare chiarezza, non per senso di persecuzione nei confronti di qualcuno. Nessun cittadino si può sottrarre a suo piacimento all'esame da parte dei magistrati. Lo stesso Presidente della Repubblica può essere sentito come teste, con prerogative come quella di essere sentito al Quirinale, ma non si può sottrarre».



http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=162843&sez=HOME_INITALIA

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http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=156357