giovedì 22 settembre 2011

Male le borse europee, Milano chiude a -4,5%. Record dello spread, chiusura a 397




Standard&Poor's, dopo aver declassato sette istituti di credito 


italiani, mette sotto osservazione anche Poste Italiane. Intanto il titolo 


Fiat sprofonda a -6,44 per cento, Tenaris in caduta libera a -8 per cento.

Alla giornata negativa per tutti i mercati europei, compreso quello di piazza Affari, si aggiunge per l’Italia un’altra brutta notizia: Standard&Poor’s, l’agenzia di rating che ieri ha declassato sette banche, adesso ha messo sotto stretta osservazione il rating di Poste Italiane con “implicazioni negative”. La notizia è stata resa nota nella tarda mattinata. S&P ha confermato il rating A sul lungo termine e A-1 nel breve termine nei confronti delle Poste. Ma non ha nascosto che, dopo il declassamento degli istituti di credito, la decisione del creditwatch negativo potrebbe portare ad un altro downgrade.

Intanto tutti le borse europee sono contrassegnate dal segno meno: pesano le parole di ieri della Fed secondo cui “ci sono significativi rischi al ribasso sulle prospettive di crescita”. Il Fondo monetario internazionale aveva quantificato in 200-300 milioni di euro l’impatto della crisi sugli istituti di credito del vecchio continente. L’indice peggiore è Parigi, che perde il 5,25 per cento. Piazza Affari comincia la seduta seduta a – 2,96%. Nelle prime ore della mattinata il Ftse Mibrecupera punti, ma poi torna a cedere terreno (-4,52%). L’All Share chiude a – 4,62%.

A palazzo Mezzanotte vanno male tutti i titoli, dopo la decisione di ieri dell’agenzia di rating Standard&Poor’s di declassare da A+ ad A sette istituti di credito italiani e rivedere a negativo il loro outlook (le aspettative future): Intesa Sanpaolo in apertura cede il 3,88%, Mediobanca il 2,09% e Unicredit il 6,2 per cento. E’ debole tutto il settore, cedono terreno anche i titoli non coinvolti dal downgrade di S&P, come Mps (-2,66%), Bpm (-1,54%), Banco Popolare (-2,20). Controcorrente solo Bpm che guadagna oltre sei punti percentuali. In difficoltà tutto il settore auto, con Fiat che cede il 4,55% e Fiat Industrial -5,73%.

Vanno male anche le borse asiatiche: il Nikkei di Tokyo perde il 2,07 per cento, mentre l’indice continentale Msci Asia Pacific che raccoglie le principali piazze orientali (tranne il Giappone) segna il -4,5 per cento, il livello minimo da 14 mesi. Alle 9.15 italiane l’Hang Seng di Hong Kong segnava un ribasso del 4,3 per cento. Shanghai ha chiuso a -2,78 per cento e Jakarta addirittura a oltre sette punti percentuali di ribasso. Apertura in calo per la borsa di New York, influenzata dal tonfo delle piazze europee. L’indice Dow Jones perde lo 0,98% a 11.016,24 punti.

LA CRONACA ORA PER ORA

17.30 – Milano chiude in forte calo

Chiusura in forte calo in piazza Affari per il Ftse Mib, a 13.481,59 (-4,52%). La peggiore è Parigi (-5,25%). Il Dax di Francoforte perde il 4,96%. Londra arretra del 4,67%, Madrid -4,62%. Lo spread tra Btp-Bund chiude a 397.

16.15 – Spread Btp-Bund a 399

I titoli italiani scendono sotto quota 400 punti. Lo spread tra i btp decennali e il bund tedesco stamane è salito fino a quota 413,43 punti, mentre ora è sceso a 399,01 punti.

16.00 – Mosca chiude in calo

Tonfo della Borsa russa: in chiusura l’indice Rts ha perso quasi l’8%, mentre il Micex, denominato in rubli, ha lasciato il 7,35%. Secondo gli analisti si tratta della reazione alle ultime mosse della Federal Reserve e alla decisione dell’agenzia Moody’s di abbassare il rating di tre importanti banche Usa.

15.32 – Dow Jones apre in calo

Apertura in calo per la borsa di New York, influenzata dal tonfo delle piazze europee. L’indice Dow Jones perde lo 0,98% a 11.016,24 punti.

15.00 – Borse europee restano negative

Restano pesanti le principali piazze europee in attesa dell’avvio di Wall Street. Maglia nera a Parigi (-5,19%). Madrid (-5,22%), Londra (-4,89%), Bruxelles (-4,87%), Francoforte (-4,33%), Lisbona (-4,18%), Milano (-3,79%) e Zurigo (-3,50%).

14.00 – Chiude in calo anche la borsa di Mumbai 

Vanno male anche le borse del resto del mondo: il Sensex, l’indice principale della borsa indiana, ha chiuso a -4,13 per cento.

13.35 – A metà seduta le borse scendono ancora 

Peggiorano in territorio negativo tutte le piazze del vecchio continente: il Ftse Mib tocca quota -4 per cento, poi scende di nuovo lievemente. Precipita Parigi che cede il 5,04 per cento, mentre Londra è a -4,73 per cento. In affanno anche Francoforte e Madrid.

12.30 – Giù i futures di Wall Street 

Ribasso per i futures sugli indici della Borsa di New York. Il contratto sul Dow Jones cede l’1,4 per cento.

11.50 – Borse europee ancora in forte ribasso 

La peggiore è Parigi che cede oltre 4 punti percentuali. Male anche Londra a quota – 3,86 per cento, Francoforte meno 3,72 per cento.Il ribasso di piazza Affari è costante ma contenuto: il Ftse Mib cede quasi 3 punti percentuali.

10.45 – Tenaris in caduta libera, resiste in positivo Bpm

Eccesso di ribasso per Tenaris che segna il -8,02 per cento. L’unico titolo in positivo è Bpm che guadagna il 7,32 per cento. Ma c’è grossa preoccupazione anche per il differenziale tra i titoli di stato italiani e tedeschi, che in mattinata ha raggiunto i 412 punti, il livello massimo da quando la Bce ha iniziato a comprare il nostro debito pubblico. in attesa dell’incontro di oggi tra i segretari generali dei principali sindacati del credito e il vice direttore generale della Banca d’Italia, Anna Maria Tarantola, per discutere sulla governance della popolare milanese e in particolare sulle ipotesi di ingresso di nuovi azionisti.

10.35 – Titoli Fiat ancora in calo

Fiat perde il 6,78 per cento, Industrial il 4,16 per cento. Tra i bancari, il peggiore è Mediolanum che perde il 4 per cento, ma restano negativi anche Mps, Intesa San Paolo e Unicredit.

10.10 – Lo spread risale a 406 punti 

Dopo l’acquisto di titoli di Stato italiani da parte della Bce il differenziale con i bund tedeschi è a 406 punti. Lo riferiscono alcuni operatori all’agenzia Bloomberg senza però indicare i volumi degli interventi. Lo spread dei Bonos spagnoli con i titoli tedeschi si posiziona poco sotto i 370 punti.

10.00 – Le piazze europee accelerano al ribasso

Dopo l’apertura con il segno meno i principali titoli del vecchio continente continuano a perdere terreno. In rosso Francoforte, che tocca il -3,6 per cento. Ftse Mib ancora a -2,80 per cento.

9.48 – In perdita anche i titoli del comparto industriale 

Come nei giorni precedenti, anche oggi Fiat è in territorio negativo, segnando il – 4,6 per cento. Male anche gli altri titoli del comparto industriale: Exor -4,8 per cento, Pirelli -3,8 per cento. Male anche i titoli energetici: Eni -2,4 per cento, Enel -2,8% per cento.

9.29 – Differenziale a 412 punti

Sale ancora lo spread, che tocca il massimo storico dei 412 punti.

9.22 – Male i titoli bancari

Dopo il declassamento da parte di S&P, sono in perdita tutti i titoli bancari italiani: peggior performance per Unicredit che perde il 3,03 per cento. Mediolanum cede il 2,98 per cento, seguito da Mps a-2,18% per cento e Ubi banca a -2,09%. Mediobanca cede l’1,73 per cento

9.10 – Negative tutte le piazze europee

A Parigi il Cac 40 perde il 2,66 per cento a 2.857 punti, a Londra l’indice principale cede il 2,54 per cento a 5.153. In rosso Francoforte che segna il -3,24 per cento e Amsterdam a -2,40 per cento.

9.09 – Spread Btp-Bund a 411 punti

Il differenziali tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi raggiunge i 411 punti, toccando un nuovo record.

9.03 – Piazza Affari apre la seduta in forte ribasso

All’avvio dei mercati il FtseMib cede il 2,96% a 13.694 punti e il Ftse All Share il 2,63% a 14.589 punti.



Quattro motivi per cui Giorgio Napolitano può sciogliere le camere. di bogie




PRIMO MOTIVO Lo prevede la Costituzione all'art.88
"Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse"
Lo scioglimento delle Camere è a tutti gli effetti un potere che il PdR può esercitare a patto di consultare preventivamente i presidenti delle assemblee.

SECONDO MOTIVO Il successivo art.89"Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità"  non può in alcun modo limitare o azzerare quanto previsto dall'art.88. Lo scioglimento delle camere infatti non è un atto (non prevede alcun "ministro proponente" né tanto meno un presidente del consiglio proponente), non essendo prevista tra le funzioni dei ministri quella di proporre lo scioglimento delle camere.
Non è un atto avente valore legislativo perchè non da luogo ad alcun testo di legge. E non è un atto indicato dalla legge: lo scioglimento come detto è uno dei poteri del PdR e si basa su una dinamica di rapporti che coinvolge solo Quirinale, Parlamento e i 2 presidenti delle Camere (non a caso "seconda e terza carica" dello stato) escludendo ogni tipo di relazione subordinata a pareri dell'esecutivo, vuoi dei suoi ministri che del PdC.
Inoltre chi sostenesse che l'art.89 impedirebbe la validità e l'attuazione dell'art.88 avrebbe una prima risposta già solo nell'assurdità del suo ragionamento (un articolo della costituzione che ne "blocca" un altro?); e poi dovrebbe riflettere sul fatto che questo non è certo il solo caso in cui la costituzione dà luogo a "eccezioni": si pensi ad es. all'art.3 che stabilisce che "TUTTI i cittadini sono uguali davanti alla legge"; ebbene, all'art.68 ("Nessun membro del Parlamento può essere arrestato senza autorizzazione della camera di appartenenza") si ha un chiaro caso di eccezione alla regola stabilita dall'art.3. Un altro caso di "eccezione" è stabilito ad es. dagli artt.49 ("Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti") e all'art.98 ("[...] Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari [...]).

TERZO MOTIVO Il potere di scioglimento delle camere da parte del PdR, anche nel caso in cui l'esecutivo facesse mancare la controfirma, non configurerebbe in alcun modo uno sconfinamento dei poteri assegnati al capo dello Stato dalla Carta nè una forma di ingerenza autoritaria nella vita politica del paese: è semplicemente uno dei modi in cui democraticamente e secondo le procedure costituzionali, il presidente restituisce la parola al corpo elettorale.
Perchè se e quando il PdR sciogliesse le camere, deve anche indire le elezioni del nuovo parlamento (se ciò non avvenisse si potrebbe parlare di colpo di stato). Art. 61 "Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti."; art. 87 "Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale. Può inviare messaggi alle Camere. Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione"

QUARTO MOTIVO Quando anche (e per assurdo) lo scioglimento delle camere senza controfirma volesse considerarsi un abuso (e non lo è), non si saprebbe come sanzionarlo: il Presidente della Repubblica infatti non e' responsabile degli atti commessi nell'esercizio delle sue funzioni (art.90) tranne che per alto tradimento o attentato alla Costituzione. Ora è lampante che sciogliere le camere sia proprio una delle funzioni del Presidente della Repubblica (ce lo dice l'art.88) e quindi non possa in alcun modo essere motivo di incriminazione.
Infine è altrettanto palese che, in presenza di un Parlamento paralizzato da veti contrapposti interni alla stessa maggioranza (maggioranza per modo di dire, nel caso attuale) e che non assolve la sua funzione di produrre testi di legge ma serve solamente a garantire una risicata fiducia numerica nominale al capo dell'esecutivo, sciogliere le camere e rimandare i cittadini alle urne (ossia permettere lo svolgimento di libere elezioni) non potrebbe mai e poi mai considerarsi un alto tradimento o un attentato alla costituzione stessa, ma piuttosto un legittimo tentativo del capo dello Stato di ripristinare una nuova maggioranza parlamentare in grado di assicurare la fiducia e quindi dar vita ad un nuovo esecutivo finalmente in grado di governare.


Il Sole e Il Corriere chiedono al premier di farsi da parte “per il bene dell’Italia”


Il quotidiano di Confindustria e quello di via Solferino, di solito cauti


nell'esprimere giudizi politici, escono allo scoperto: via Berlusconi per


voltare pagina e riacquistare credibilità agli occhi dell'europa e del 


mondo.

“Signor presidente, l’Italia prima di tutto” e “Una soluzione possibile”Roberto Napoletano eSergio Romano, il direttore de Il Sole 24 Ore e uno degli editorialisti più influenti del Corriere della Sera: unico comune denominatore, la richiesta al presidente del Consiglio di farsi da parte, di dimettersi per salvare il Paese ed evitare lo spettro del default. “Speranza dissolta”, “promesse non mantenute”, “comportamenti indecorosi”, “sorprendenti imprudenze”: la terminologia utilizzata dai due organi di stampa, tradizionalmente non ostili fino ad oggi al governo, sembrano il segnale della fine di un’era, quella dei buoni rapporti di Berlusconi con l’economia e l’establishment. E mentre il presidente del Consiglio è impegnato in una strenua difesa contro pm, stampa ostile, agenzie di rating e mercati negativi, dal Quirinale iniziano i sondaggi politici per comprendere come muoversi in caso di crollo improvviso della situazione.


Quello che più colpisce della presa di posizione di Sole e Corriere sono le argomentazioni a sostegno delle tesi espresse. Il direttore del quotidiano di Confindustria, ad esempio, partendo dal sogno mancato di una nuova Bretton Woods e ironizzando sugli odierni capi di Stato (“purtroppo, la cancelliera, Angela Merkel, e il presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy, insieme non fanno un Kohl”), arriva a parlare della difficile situazione dell’Italia e del premier che, secondo Napoletano, non può non fare un passo indietro, pena lo spettro di una nuova Grecia.


“Il presidente del Consiglio dimostri di amare davvero l’Italia e di avere, di conseguenza, la forza e la volontà di farsi da parte se è costretto (come tutto rende evidente) a prendere atto che non riesce a fare quello che serve – ha scritto Roberto Napoletano -. Lo faccia nell’interesse del Paese, si comporti da uomo di Stato e da uomo dell’economia. Dopo la Grecia, Signor Presidente, non ci può essere l’Italia, mai e poi mai, per una volta non si giri dall’altra parte e si ricordi che grandi responsabilità impongono anche grandi sacrifici. Sappiamo che le costerà, ma sappia pure che la storia (dopo questo gesto) saprà fare i conti giusti”. Una posizione, quella di Napoletano, che segue a stretto giro la stilettata del presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, la quale non più tardi di ieri aveva chiesto riforme strutturali al governo nell’arco di una settimana per evitare il baratro.


Molto netto anche Sergio Romano che sul Corriere, partendo dal declassamento del deficit italiano da parte di Standard&Poor’s, arriva a parlare del vero problema dell’Italia. “Esiste un altro rating , più importante, ed è quello del Paese – si legge sulla prima pagina del Corriere – . Il problema in questo caso è certamente il presidente del Consiglio. Berlusconi è stato per molti italiani una speranza di stabilità politica e dinamismo economico. Oggi quella speranza si è dissolta sotto il peso di una micidiale combinazione di promesse non mantenute, incidenti di percorso, scandali, comportamenti indecorosi e sorprendenti imprudenze. Oggi il maggiore problema italiano è la fine dell’era Berlusconi. Tutti, anche i migliori tra i suoi amici, sanno che l’era è finita e che Berlusconi deve uscire di scena. Ma non vi è ancora un accordo sul modo in cui voltare pagina”.


La vera questione, per Sergio Romano, passerebbe dalle modalità della via d’uscita scelta dal cavaliere, che dovrebbe adottare l’exit strategy già utilizzata da Zapatero: farsi da parte prima del tempo: “Berlusconi deve andarsene, ma in un modo che non faccia violenza alla Costituzione e salvi ciò che della sua fase politica merita di essere conservato [...], dovrebbe annunciare che non si candiderà più alla guida del governo e che le elezioni avranno luogo nella primavera del 2012. I sette od otto mesi che ci separano dalla prossima scadenza elettorale avrebbero un effetto simile a quello che si è prodotto in Spagna quando Zapatero ha rinunciato al terzo mandato e ha poi anticipato le elezioni al 20 novembre di quest’anno”. La conclusione a cui arriva Romano è all’insegna della speranza di voltare davvero pagina: “I vantaggi per l’Italia sarebbero considerevoli. Daremmo all’Europa e al mondo lo spettacolo di un Paese che è capace di organizzare razionalmente il proprio futuro, magari cambiando (ma non mi faccio grandi illusioni) una pessima legge elettorale. Restituiremmo la parola a un’opinione pubblica che oggi può soltanto manifestare rabbia e insofferenza. Daremmo ai partiti il tempo di prepararsi al confronto elettorale. Confermeremmo a noi stessi che gli italiani possono risolvere i loro problemi con i naturali meccanismi della democrazia. E Berlusconi potrebbe dire, non senza qualche ragione, che il merito di questa transizione è anche suo”.


Nel frattempo, però, c’è già chi lavora al domani e ai possibili scenari che verrebbero a crearsi all’indomani di un’ipotetica uscita di Berlusconi. Il crollo di credibilità internazionale, del resto, preoccupa non poco il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ieri ha iniziato una serie di colloqui politici con i maggiorenti di Pdl, Lega e opposizione. Il Capo dello Stato, infatti, ha incontrato al Colle il leader Udc Pierferdinando Casini, il segretario del Pd Pierluigi Bersani, il ministro degli Interni Maroni, i capigruppo del Pdl alla Camera e al Senato Cicchitto Gasparri. Una sorta di preconsultazioni, insomma, per comprendere la tenuta di una maggioranza che ieri è andata sotto alla Camera per ben cinque volte su un provvedimento del ministro Prestigiacomo anche a causa di ben 54 assenze all’interno del Popolo della Libertà. I generali del Pdl hanno attribuito la debacle in aula alla “trascuratezza” dei singoli deputati, ma a Napolitano le rassicurazioni di facciata non bastano più: teme che la maggioranza in Parlamento sia destinata a durare ancora per poco, e per questo motivo ha chiesto ai rappresentanti dell’opposizione se e fino a quanto siano disposti a dare una mano in caso di governo di emergenza nazionale. Casini, lo ha detto più volte, non avrebbe problemi; stesso discorso per Bersani. Se il governo va a sbattere, quindi, gli airbag sono già pronti ad attutire il colpo.


Satellite verso Terra, ignoto luogo impatto.



Rappresentazione artistica del satellite Uars (fonte: NASA)



Nasa: 'Arrivo domani sera ma non si conosce l'area del contatto'



Sulla base dei piu' recenti aggiornamenti della Nasa non c'e' al momento alcuna certezza sull'area sulla quale avverra' l'impatto con l'atmosfera del satellite Uars (Upper Atmosphere Research Satellite). L'impatto e' atteso nella serata di domani, ma non e' ancora possibile stabilire con certezza l'orario. Al momento il vecchio satellite della Nasa per lo studio dell'atmosfera si trova su un'orbita compresa fra 190 e 205 chilometri dalla Terra e i ricercatori ritengono che soltanto nelle prossime ore sara' possibile avere dati piu' precisi.
Tra gli scenari possibili resi noti ieri anche l'ipotesi che alcuni componenti del vecchio satellite della Nasa potrebbero finire sull'Italia. Per analizzare questi scenari e mettere a punto gli eventuali interventi che potrebbero coinvolgere il sistema di Protezione civile, il capo del Dipartimento, Franco Gabrielli, ha convocato per domani mattina una riunione del comitato operativo d'intesa con l'Asi, l'Agenzia spaziale italiana. Una conferenza stampa e' prevista per le 12.
E' previsto per venerdì 23 l'impatto che porterà a bruciare nell'atmosfera il vecchio satellite della Nasa Uars (Upper Atmosphere Research Satellite), per lo studio dell'atmosfera. Non ci sara' nessun pericolo per la Terra: soltanto un'esplosione spettacolare, al punto che sarà possibile vederla anche durante il giorno. Le variazioni nella luminosita', rilevano gli esperti, sarebbero infatti così rapide e importanti da essere visibili molto facilmente a occhio nudo.

Secondo le previsioni della Nasa è probabile che il satellite Uars non sarà totalmente distrutto nell'impatto, ma almeno 26 frammenti potenzialmente pericolosi potrebbero disperdersi nel raggio di circa 600 chilometri. Il rischio che possano esserci danni per gli esseri umani è pari a 1 su 3.200. Grande quanto un autobus, il satellite era in orbita da 20 anni per raccogliere dati sulla fascia di ozono che protegge la Terra dai raggi ultravioletti. La sua caduta è probabilmente la conseguenza dell'impatto con i detriti di un altro satellite, avvenuto pochi anni fa.



Caso Ruby, la Procura di Milano: “La Camera interferisce oltre la Costituzione”







L'attacco contenuto nel memoriale presentato per il conflitto di 
attribuzione davanti alla Consulta. Nel mirino, il voto parlamentare che 
avallò la versione di Berlusconi su Ruby "nipote di Mubarak".

Sul caso Ruby, ”la Camera si è arrogata il potere di interferire con l’esercizio del potere giudiziario al di fuori di qualsiasi previsione costituzionale”. Lo scrive l’avvocato Federico Sorrentino che, per conto del Procuratore della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati, ha depositato alla Corte Costituzionale una memoria per chiedere che venga dichiarato inammissibile o infondato il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Parlamento sul processo che vede Silvio Berlusconi imputato per concussione e prostituzione minorile.

“Il dubbio sollevato dalla Camera sulla possibile natura ministeriale di una delle condotte contestate al Presidente del Consiglio”, continua la memoria della Procura, “è tutto fuorché ‘ragionevole’ e pone in luce la sua tendenza a proteggere la persona del presidente del Consiglio piuttosto che la sua funzione”. In sostanza, la Procura contesta alla Camera di avere dato credito alla tesi che Berlusconi, quando telefonò alla Questura di Milano per liberare la ragazza, fosse davvero convinto che si trattasse della nipote dell’allora premier egiziano Mubarak. E quindi, nelle sue funzioni di presidente del consiglio, si sia adoperato per evitare un incidente diplomatico, fatto che sposterebbe la competenza al tribunale dei ministri. Ma per la Procura, questa “supposizione” avvallata dal voto parlamentare, è “pacificamente infondata”, “risibile” e “urta contro il comune buon senso”.

La Corte costituzionale, con un’ordinanza del 6 luglio 2011, aveva dichiarato ammissibile il conflitto di attribuzioni tra i poteri dello Stato proposto dalla Camera dei deputati nei confronti del Tribunale di Milano, in merito alle indagini e alla successiva richiesta di giudizio immediato per concussione nei confronti del Presidente del Consiglio. Montecitorio aveva infatti chiesto di annullare tutti gli atti compiuti dalla magistratura milanese poichè “non spettava alla procura di Milano” avviare indagini nei confronti del premier.

Non si costituisce in giudizio , invece, l’ufficio dei giudici per le indagini preliminari. Nessuna polemica con i colleghi pm, assicura il vicepresidente dei gip Claudio Castelli. Sarebbe stato “superfluo”, afferma, perché “il nostro ufficio si è spogliato del fascicolo e non ha più nessun interesse al riguardo”. Il procedimento Ruby, infatti, è già approdato in aula.

Il premier è accusato di concussione per le telefonate fatte la notte tra il 27 e il 28 maggio 2010 in Questura a Milano per far sì che la giovane Ruby-Karima El Marough, fermata per un furto, venisse rilasciata e affidata al consigliere regionale del Pdl Nicole Minetti.



Berlusconi a Napolitano: “Non lascio Se vogliono mi sfiduci il Parlamento”







Il Cavaliere non molla. Lo ha ribadito in un'ora di vertice al colle. Mentre
 sul caso Milanese la Lega spegne l'incendio. Bossi: "Io voto per non far 
cadere il governo". Tradotto: niente manette al parlamentare del Pdl.

Io non faccio passi indietro. Ho una maggioranza e chi mi vuole sfiduciare se ne assuma la responsabilità in Parlamento. E se non dovessi avere più i numeri si va alle elezioni. E’ un Silvio Berlusconi determinatissimo quello che si presenta davanti a Giorgio Napolitano pronto a rispedire al mittente qualsiasi soluzione alternativa che preveda un suo passo indietro e l’addio da palazzo Chigi. Sente di poterselo permettere, raccontano i retroscena, dopo avere parlato ancora una volta con il Senatùr. Con Bossi il premier avrebbe tirato le somme: il governo va avanti, non fino alla fine della legislatura, ma almeno a gennaio. Intanto Berlusconi porterà avanti la sua operazione verità: parlare direttamente con gli elettori per cercare di risalire la china.

Tanto basta per ringalluzzire il premier e superare un confronto teso come quello con il Capo dello Stato, in cui il Cavaliere avrebbe ribadito ancora una volta la volontà a finire la legislatura mettendo mano, già nel Consiglio dei ministri di domani, a quelle misure per la crescita auspicate dal Colle. Napolitano non ha nascosto la sua preoccupazione di fronte alla situazione economica e alla difficoltà, vista la fragilità dell’esecutivo, di far fronte ad un eventuale peggioramento dell’economia italiana. Il capo dello Stato insomma ha messo in chiaro che l’esecutivo può andare avanti solo se garantisce di avere i numeri. Poco prima era toccato a Bossi  spegnere le polemiche sulla tenuta dell’esecutivo. Argomento: il voto per l’arresto di Milanese, il parlamentare del Pdl che proprio ieri si è autosospeso dal partito. “Io voto per non far cadere il governo”. Questa la fine di una giornata di melina e di attesa in vista del verdetto di questa mattina alla Camera. In serata poi, le parole di Bossi prima e la fermezza del premier chiudono i giochi di chi, come Bersani, auspicava che il cavaliere andasse da Napolitano per rimettere il mandato.

Da un lato così Berlusconi resta ostinato sul ponte di comando, dall’altro l’ennesimo possibile sgambetto all’esecutivo rappresentato dal caso Milanese sembra disinnescato: in casa Lega si vota no. O almeno così vuole la versione ufficiale del Senatùr. Versione che dovrebbe, in ipotesi, mettere una pezza allo scivolosissimo voto segreto che potrebbe favorire gli indecisi. Nel frattempo, c’è spazio per il senatùr per confermare che vertice pomeridiano con Silvio Berlusconi è “andato bene”.

Ma la risposta (reale) la dà ancora una volta l’agenzia Standard & Poor’s, che ieri sera ha tagliato il rating di sette banche. Tra queste Banca Intesa e Mediobanca, non certo piccoli istituti. Notizia non confortante che inchioda il quadro economico dopo l’ennesimo tracollo di Piazza Affari e l’aumento dello spread che ha sfiorato di nuovo il tetto dei 400 punti.

E non è finita. Perché mentre il Tesoro conferma il pareggio di bilancio entro il 2013 (cosa peraltro smentita ieri da S&P), Moody’s ha declassato il rating della Fiat. Tutte questioni, quelle economiche, di cui si è discusso al Quirinale. Il Presidente della Repubblica  ha ribadito la propria preoccupazione per la situazione economica del nostro Paese. Ma Napolitano ha ribadito anche la necessità di varare misure che siano il più possibile condivise tra le forze politiche in Parlamento e che siano frutto di “consultazioni ampie”, coinvolgendo anche le parti sociali. Quella “coesione”, più volte sollecitata dal Quirinale, che può consentire al Paese di affrontare e superare la crisi.

Sul tavolo del vertice anche la nomina del nuovo governatore di Bankitalia visto che Mario Draghida novembre siederà sulla poltrona di presidente della Banca centrale europea. Il Cavaliere ha fatto il nome di Fabrizio Saccomanni la cui nomina a palazzo Koch compie una nuova accelerazione. La procedura è di fatto avviata. E sarà ora il Consiglio Superiore di Bankitalia, che dovrebbe riunirsi il 28 settembre in seduta straordinaria, trasformando il carattere della riunione ordinaria già convocata, a esprimere il suo parere. Quindi il Cdm potrà deliberare a favore di quello che, salvo improbabili colpi di scena, sarà il nuovo Governatore della Banca d’Italia. L’obiettivo è quello di arrivare in tempi rapidi al decreto di nomina da parte del Presidente della Repubblica. La scelta è orientata a dare un segnale di affidabilità e di tempestività. Due fattori che hanno consentito a Saccomanni, con una accelerazione che si è concretizzata nelle ultime settimane, di superare l’altro candidato forte, l’attuale direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli. Il banchiere romano avrà il compito di assicurare continuità con il mandato di Draghi e di garantire l’autonomia alla banca centrale. Continuità e autonomia che, nel pieno della crisi del debito dell’Area Euro e con l’Italia sorvegliato speciale, vengono considerate fondamentali dalle autorità internazionali e dai mercati. La scelta di Saccomanni, è stata considerata da subito la migliore opzione possibile anche in Europa e al Quirinale. E ora, con il via libera del Governo, può concretizzarsi.