venerdì 7 ottobre 2011

La democrazia un tanto al chilo e il dopo B.





Mala tempora currunt. Verso una nuova diaspora? A destra non si è al “si salvi chi può”, non ancora almeno, ma, da tempo, è tutto un contarsi, un valutare chi sta con chi, un rimescolamento di correnti, fondazioni, uno schierarsi di cordate che fanno capo a questo o a quel maggiorente del PDL.
Si fa fatica a leggere, interpretare e persino seguire tutti gli spostamenti di truppe parlamentari. Ovunque regna la confusione: saltano antichi sodalizi, consorterie che parevano consolidate e se ne creano di nuove. Qualcunoinevitabilmente, guarda anche fuori dal perimetro del centrodestra, all’UDC o al FLI, ma magari anche a Montezemolo. Altri paventano il rischio balcanizzazione del partitoIn attesa del "liberi tutti" dell’eventuale caduta anticipata del Governo. Caduta che, peraltro, stando ai più recenti sondaggi, è auspicata, ormai, dalla stragrande maggioranza degli italiani. Gli stessi sondaggi attribuiscono al “partito degli onesti” di Alfano e alla Lega meno dei voti raccolti dal solo PDL nel 2008 al centrosinistra un vantaggio tra i 10 e i 13 punti. Il Movimento 5 Stelle di Grillo è poi stimato attorno al 4% e, verosimilmente, toglierà ai Verdi il voto di protesta che non andrà ad ingrossare le fila crescenti dell’astensionismo mentre l’ormai certa discesa di Montezemolo drenerà molte consensi tra le partite Iva.
Molti sono gli asti e i risentimenti, specie tra i fedelissimi, i forzitalioti della prima ora, che vedono gli ultimi arrivati, quell’accozzaglia di partitini a carattere familiare, trattare il loro sostegno all’esecutivo in cambio poltrone d’oro. Ma chi passa dal governo, quale che sia, all’opposizione fa comunque una figura decisamente migliore di chi fa il percorso inverso. E per perdere una reputazione, si sa, bisogna averla. Il tempismo però appare almeno dubbio: la salute della maggioranza non è infatti delle migliori e il Governo appare in affanno, a fine corsa. Chi staccherà la spina, ci si chiede, se, come pare, i leghisti, in puro stile democristiano, si accorderanno, al solito, a tavola? Da più parti si guarda a Pisanu, tra i pochi nel PDL ad avere quel tanto di autonomia sufficiente ad esser messo ai margini nel sistema di potere di B. Non si sa se il vecchio democristiano abbia i numeri per far cadere il Governo, ma è certo che una pattuglia di parlamentari della maggioranza guarda a lui per aprire la nuova fase di transizione. Un altro della vecchia guardia, Martino, berlusconiano della prima ora e liberale (una contraddizione in termini), è dato in rotta col partito. Altri parlamentari del Sud potrebbero ricollocarsi nei partiti autonomisti del Mezzogiorno, l’MPA diLombardo, a rischio rinvio a giudizio per reati associativi legati alla Mafia, o Forza del Sud, di quelMicciché già coinvolto in una brutta storia di cocaina. Entrambi hanno scoperto un po’ troppo tardi quanto il Governo penalizzi quotidianamente il Meridione per essere realmente credibili.
Tremonti, forte del sostegno leghista, trama per la successione da un pezzo, ma più Berlusconi e Bossi si parlano direttamente, più i suoi margini di manovra si restringono e le sue possibilità diminuiscono. Come se non bastasse, l’attivismo di Montezemolo aumenta la paranoia di B.almeno quanto il Ministro del Tesoro che, amato tra i leghisti, più che nel PDL per la sua politica violentemente antimeridionaleha unappeal nazionale piuttosto debole. E si rassegni il borioso fiscalista di Sondrio: sarà ricordato dai posteri esclusivamente per gli innumerevoli condoni, vera marca caratterizzante la sua azione in economia. Scajola poi, abbaia ma non può mordere, compromesso com’è per via di quella vera e propria carognata di cui è stato vittima. Mi riferisco chiaramente alla casa compratagli a sua insaputa. Ma all’immagine del reuccio di Imperia ha nuociuto persino di più il frullatore di cui gli si è fatto omaggio. A volte uno si immagina chissà che cosa succeda nelle alte sfere e la pochezza che emerge dalla cronaca giudiziaria può essere una vera delusione. Chi, per puntellare una maggioranza che traballa vistosamente, aveva puntato sul mancato raggiungimento del numero delle firme richiesto per il referendum abrogativo del Porcellum, è rimasto deluso. Anzi, sorpreso dalla mobilitazione che ha portato a più del doppio del numero di firme necessarie.
Ma l’asse B&B, nonostante le molte fibrillazioni, sembra tutto sommato ancora tenere. Quanto all’annunciata democratizzazione del PDL, con la nomina di Alfano, decisa con un motu proprio da B. e che il partito ha semplicemente ratificato, se queste sono le premesse, siamo alla farsa. Le primarie, i congressi, sembrano più funzionali a contare il peso delle correnti che a eleggere un leader. B. non vuole nessuno che possa metterlo in ombra, Formigoni se ne faccia una ragione. Da qui, credo, potrebbero venire sorprese per la maggioranza, dal presidente della Lombardia che, forte dell’appoggio di CL, da tempo non fa mistero delle sue ambizioni romane. La poltrona che occupa, per quanto valga anche più di un ministero di primo piano, è chiaro, ormai non gli basta più. E solo il veto di B. ne ha impedito la nomina a ministro. Se le sue ambizioni continueranno ad essere frustrate, lo strappo non è da escludersi. 
L'edificio del potere berlusconiano sembra poter crollare da un momento all'altro e ognuno cerca riparo come e dove può. Si ricordano i precedenti e non sono solo i transfughi, i pasdaran oggi in maggioranza, ad aver conosciuto la diaspora democristiana o socialista post Mani Pulite. Si pensi all’ex craxianoCicchitto. E’ naturale che siano terrorizzati dal post B. L’uomo da cui, fino a ieri aspettano una rielezione, vista l’aria che tira, appare sempre meno in grado di garantirla. Il capo poi, avendo, di suo, ben altro di cui preoccuparsi, non riesce a guardare oltre il piccolo cabotaggio quotidiano, la navigazione a vista. L’annunciata frustrata all’economia, il piano Sud o la riforma fiscale, per chi deve contrattare giorno per giorno il sostegno di questa specie di maggioranza, non sono che chiacchiere inutili; anzi utili ai famigli, alla stampa di regime, per distogliere l’attenzione su questo osceno mercato, sul borsino del parlamentare. Per non parlare dello stato penoso dell’economia.
Gli scomposti tentativi con cui questi atei devoti cercano di rispondere ai desiderata delle gerarchie ecclesiastiche, stante la freddezza di un Vaticano che non poteva più far finta di niente, non sono che l'ennesimo segnale di debolezza. Come mostrano le intercettazioni pubblicate sulla stampa, il clima è da Basso Impero, con favorite o lenoni che, in cambio di favori sessuali, ambiscono a posti in Parlamento o comparsate in televisione. Indifferentemente. O come nel caso Tarantini, appalti nel sottobosco della politica. Protezione civile, Finmeccanica e chi più ne ha più ne metta. Ma, al di là della giusta indignazione del contribuente costretto a pagare i vizi del Capo, quello che fa davvero tristezza non è nemmeno tanto l’uomo che non riesce ad avere una donna senza pagarla in qualche modo quanto l’immagine di un anziano, solo, che mostra a questo harem di giovani questuanti nientemeno che le immagini dei vertici internazionali. Alle quelle stesse donne che poi, in privato, se non ottengono quanto si aspettano, lo chiamano vecchio culo flaccido o peggio. In un paese normale, il Primo ministro si sarebbe dimesso da tempo. Ma, si sa, l’Italia non è un paese normale e B. deve la sua impunità all’immunità garantitagli dal suo status. Il grande incantatore tiene l’Italia in ostaggio da ormai quasi un ventennio e, avendo da tempo deciso di difendersi dalle accuse non in tribunale, ma in Parlamento, impone al nostro sciagurato paese la sua agenda, le sue priorità.
Ma, ci si chiede, chi raccoglierà l’eredità del nostro seducente e sedicente playboy? Chi sarà la zattera, la scialuppa di salvataggio che salverà i profughi del berlusconismo, i boat people alla deriva? Difficile pensare alla sopravvivenza del PDL tale quale oltre il suo fondatore. B. ha fatto il vuoto attorno a sé, uno statista prepara uomini validi che possano succedergli. Vanaglorioso all’ennesima potenza, B. si circonda di una claque plaudente di yesmen, meglio se non dotati di opinioni proprie, che alimenti ulteriormente l’ipertrofia del suo già smisurato ego. L’unanimità, quell’essere d’accordo con lui a prescindere, ancor prima di conoscerne l’opinione, da tempo, anche nell’esercito dei cloni, è un lontano ricordo. Inimmaginabile solo ieri per un partito verticistico, padronale e il più antidemocratico che si possa immaginare, con il Sultano che graziosamente concede potere, cariche e onori in base ai suoi umori. Quando va bene. Quando, in altri termini, non sono altri gli umori, corporali questa volta, alle base delle nomine.
Se il Governo dovesse sopravvivere alla buriana e le primarie davvero tenersi, già questa sarebbe una novità assoluta: la dimostrazione delle crescenti difficoltà di B. di tenere unita la sua creatura politica con la sua sola volontà. E nonostante le prebende che distribuisce a piene mani; una rivoluzione di per se stessa, che segnerebbe, anche plasticamente, la fine di un’epoca. Mentre l’Italia si appresta a voltare, finalmente, la più nera della nostra storia repubblicana, sarebbe meglio se i gattopardi e i collaborazionisti avessero almeno il buon gusto di stare fermi come minimo un giro, prima di rimettersi al giudizio degli elettori. Che ne valuteranno l’operato. Magari, questa volta, senza listini bloccati e con le preferenze.

Per l’Italia a bordo di una Cinquecento Obiettivo: capire se restare o fuggire. - di Eleonora Bianchini




Il documentario "Italy, love it or leave it" racconta il nostro paese. E si domanda se valga ancora la pena restare al di là del bersluconismo. Se il nostro paese produca ancora spinte vitali e di crescita
Un viaggio a bordo di una Fiat Cinquecento rosso fiammante per capire se è meglio andarsene o rimanere nel paese affetto da berlusconismo e carenza di lavoro. Gustav Hofer, altoatesino, eLuca Ragazzi, romano, si sono dati sei mesi di tempo per deciderlo e nel docu-trip “Italy, Love it or leave it” hanno attraversato l’Italia in macchina, per scoprire se valesse la pena lasciare Roma, dove vivono insieme da 12 anni, per trasferirsi a Berlino. Un film che nelle settimane scorse ha fatto incetta di riconoscimenti al Milano Film Festival e che la prossima settimana sarà al festival di Rio de Janeiro, mentre il trailer su YouTube e Vimeo in due settimane è stato visto oltre 25mila volte.
“Volevamo presentare un paese vivo e appassionato, diverso da quello dei farabutti che infestano la politica”, spiega Luca. “E’ importante dare un messaggio di positività e speranza ai giovani, visto che quelli della nostra età, sui quarant’anni, sono spacciati”. La loro generazione degli ‘anta’ infatti, secondo i due autori, è ormai fuori dai giochi: oppressa dai baroni che non lasciano la poltrona, non avranno mai accesso al potere e a un vero riscatto. “Questo paese è un gerontocomio”, prosegue il regista. “Negli ultimi tre anni abbiamo visto tanti nostri amici lasciare l’Italia. Alcuni sono andati a Londra, altri in Nuova Zelanda e Germania. Oggi però, Berlusconi è al tramonto e le cose stanno cambiando. Certo, questo non significa la fine del berlusconismo perché cambiare cultura e mentalità richiede tempo. Per questo abbiamo voluto raccontare l’Italia che normalmente non viene rappresentata. Né al Tg1 né nelle fiction”.

Luca e Gustav, già registi del documentario sui DICO “Improvvisamente l’inverno scorso”, iniziano il loro viaggio alla Fiat di Settimo Torinese, con gli operai che vivono con mille euro al mese e il mutuo da pagare. Poi incontrano gli ex dipendenti oggi disoccupati e in cassa integrazione della Bialetti, brand del ‘made in Italy’, che ha deciso di delocalizzare tutta la produzione in Romania. Con Carlo Petrini di SlowFood smontano il luogo comune della cucina italiana, che “non è la migliore del mondo”, e scendono fino a Rosarno per documentare le condizioni di sfruttamento in cui versano gli immigrati. Eppure a questi squarci drammatici drammi fanno da contraltare gli imprenditori che lottano in Calabria e sfidano la ‘ndrangheta, la società civile che denuncia l’abusivismo edilizio ed è impegnata nell’antimafia. E oltre a questi segnali di reazione, i due registi intravedono negli avvenimenti politici degli ultimi mesi la volontà degli italiani di voltar pagina.

“La vittoria di Pisapia e De Magistris è stata un segnale di forte cambiamento dal basso, insieme alla valanga di sì per il referendum e alla manifestazione di ‘Se non ora, quando?’”, osserva Luca. “Certo, ci sono problemi strutturali. L’affitto a Berlino costa un terzo rispetto a Roma, siamo il paese europeo con meno laureati e un italiano su quattro è a rischio povertà”, osserva. “Eppure tanti dei nostri amici che sono partiti, all’inizio erano entusiasti delle metro che circolavano di notte e dei sussidi statali. Poi hanno affievolito l’energia iniziale”. Complice un sentimento di malinconia legato al calore umano, agli amici e alla cultura che potevano ritrovare solo in Italia.

“Ho vissuto tra Roma e New York per cinque anni – conclude Luca – . Vivevo bene dal punto di vista economico, ma sentivo che mancava la convivialità italiana”. Per Gustav è stato lo stesso: ha trascorso gli anni dell’università tra Vienna e Londra, poi si è trasferito nella Capitale per scrivere la tesi ed è rimasto. Vivere in Italia oggi non è facile secondo i due registi, ma il cambiamento è alle porte. E per averlo bisogna reagire: “Quello che i giovani devono fare è smettere di sottostare alle cattive abitudini imposte da chi vuole ancora rimanere al comando. Bisogna dire no al lavoro gratuito, rifiutarsi di firmare a nome di un professore un articolo scritto di proprio pugno. Basta farsi fottere da questa classe di vecchi al potere”. Messaggio per i trentenni: visto che dal basso le cose stanno cambiando, “non lasciate il paese o il vostro posto ve lo occuperà chi volete combattere”.


Go pussy!

La notizia sull'ipotesi di nuovo nome per il partito del premier sulla Cnn: «Forza Gnocca» diventa «Go Pussy!»

Ma davvero Wikipedia non vale la Treccani?






Martedì, come probabilmente già sapeteWikipedia Italia ha sospeso il suo servizio in segno di protesta contro quel comma del disegno di legge anti-intercettazioni che prevedeva per ogni sito web l'obbligo di rettifica entro le 48 ore (ne avevo già parlato un anno fa). Ieri il testo è stato modificato: l'obbligo di rettifica dovrebbe riguardare soltanto le testate giornalistiche on line, risparmiando quindi wikipedia e i blog. Ma nel frattempo abbiamo sperimentato in tanti il senso di vuoto di chi cerca qualcosa su internet e... non la trova più. Proprio quando ormai davamo per scontato di poter recuperare qualsiasi informazione in pochi secondi. Forse non ci rendevamo conto di come buona parte di tutte le informazioni che trovavamo provenisse in realtà da un sito preciso: Wikipedia. Incompleto, inattendibile, ma anche insostituibile, ormai.

Mentre noi fissavamo il vuoto un po' sgomenti, altri esultavano. “La nuova legge sulle intercettazioni potrebbe avere un merito inaspettato: far scomparire Wikipedia”, scrivevaAntonio Di Majo sul Tempo. “L'enciclopedia sul Web, scritta e modificata dai lettori, piena di strafalcioni e di fonti incerte, ha fatto impallidire studiosi, spaventato accademici e depistato studenti”: se scompare tanto meglio, fa capire Di Majo, e suggerisce: “Rispolveriamo la Treccani”.

Non c'è alcun bisogno di rispolverarla, aggiungo io, visto che da qualche tempo la Treccani è presente on line in un'ottima versione molto comoda da consultare. A questo punto però vorrei chiedere una cosa a Di Majo: lei la usa davvero la Treccani, voglio dire abitualmente? Io no. Una volta ci ho anche provato, volevo fidarmi. Non mi ricordavo più chi fosse Mister Pesc e sulla Treccani c'era scritto: "attualmente la carica è ricoperta dallo spagnolo Javier Solana". Così ho scritto, sul mio blog, "Javier Solana". E ho fatto una figura orrenda, visto che (come un commentatore mi ha subito fatto presente) dal novembre 2009 è subentrata, nel suo ruolo, Catherine Ashton. Ma la voce della Treccani non è stata aggiornata. Probabilmente non è facile modificarla. Invece aggiornare una pagina di wikipedia è semplicissimo, come sappiamo tutti. E infatti su wiki è segnalata la Ashton, non Solana. Con tanto di foto e rimando alla biografia.

È solo un piccolo esempio, ma ne potrei fare tanti altri. Per dimostrare quello che gli studiosi del campo hanno ormai accettato, più o meno dallo studio di Nature del 2005: Wikipedia è autorevole quanto l'Encyclopaedia Britannica. Certo, Nature ha esaminato la Wikipedia inglese, molto più elaborata e condivisa. Ma tutto sommato anche la wiki italiana si difende bene. Non avrà l'autorevolezza della Treccani, ma sa aggiornarsi e correggere i suoi errori assai più rapidamente.

Ammettiamo per amor di discussione che su tanti argomenti la Treccani sia più precisa di Wiki: ci sarà sempre qua e là qualche errore o qualche dato non aggiornato. L'utente della Treccani però rischia di non rendersene conto, lasciandosi cullare da un'impressione di infallibilità che nessuna enciclopedia può davvero garantire. L'utente di Wikipedia no, e forse la differenza più importante è questa: chi consulta Wikipedia impara presto che nulla è sicuro. La pagina che sta leggendo potrebbe contenere soltanto informazioni sbagliate: potrebbe essere stata falsificata pochi minuti prima da un vandalo o un burlone. Su wikipedia non ci si può fidare mai al cento per cento. Bisogna stare attenti. Dare un'occhiata alle fonti, se ci sono – e se non ci sono, l'articolo non è così buono.

Bisogna insomma sviluppare un senso critico. Chi consulta la Treccani non ne ha certo bisogno: come scrive Di Majo, gli serve un sapere “sicuro”, “verificato da esperti”. Va bene, facciamo così: chi ha bisogno di sicurezza, chi non sa verificare da solo e ha bisogno degli esperti, usi pure la Treccani. Al massimo confonderà Catherine Ashton con Javier Solana, in fondo su certi siti che differenza vuoi che faccia. Almeno finché qualche Solana o qualche Ashton non avrà niente di meglio da fare che chiedere una rettifica. http://leonardo.blogspot.com


giovedì 6 ottobre 2011

Con la Gelmini, l'ignoranza regna sovrana: sbagliati mille quesiti del concorso per dirigenti scolastici.







Altri tempi quando i rettori si contendevano la nomina di ministro dell'istruzione e dell'università della Repubblica Italiana. Erano pur sempre baroni, ma certo non li si poteva accusare di essere degli ignoranti.
Con l'arrivo di Maria Stella Gelmini al ministero dell'Istruzione, abbiamo invece toccato il fondo e la situazione è diventata a dir poco paradossale.
Non c'è solo il problema di un ministro particolarmente ciuccia, non è solo la sua impreparazione scolastica, universitaria, professionale e politica che arreca danni sostanziali al funzionamento della struttura ministeriale, ma il problema è che la Gelmini si è portata altrettanti analfabeti che ora occupano ruoli dirigenziali nel suo ministero.
Dopo lo scandalo del fantomatico tunnel segreto che collega il CERN di Ginevra con i laboratori del Gran Sasso, che il ministro gelmini ha scaricato sulle spalle del direttore generale Massimo Zennaro, lasciandolo però al suo posto, arriva un'ulteriore prova del loro analfabetismo.

Oggetto dello scandalo questa volta sono la batteria di quesiti per la prova preselettiva del concorso per il reclutamento di 2.386 dirigenti scolastici.
Pubblicate ai primi settembre, qualsiasi persona con un minimo di preparazione e studi alle spalle è rimasta pietrificata dinanzi al contenuto delle 5.750 domande.
Una infinità di errori nelle risposte indicate come esatte, moltissime domande prive di contestualizzazione alle quali è pertanto impossibile dare risposta, una presenza continua di riferimenti a norme non più in vigore assunte come vigenti, per non parlare delle tantissime domande incomprensibili e illogiche.
Al ministero non sembrano però accorgersene.
Tempestata di proteste, richieste di chiarimento, invocazioni di aiuto, il ministro ha sempre parlato di poche, pochissime domande incorrette, arrivando a firmare un decreto per la cancellazione di una sola domanda.
Ieri arriva finalmente la risposta ufficiale: cancellati per errori e inesattezze all'incirca 1000 quesiti, quasi uno su cinque!!
Mercoledì 12 ottobre si terrano ugualmente le prove preselettive.
Il dubbio resta : ci sono (ignoranti) o lo fanno (per pilotare le selezioni)? 

S.t.

il comunicato del ministero sulla cancellazione dei quesiti:



La Lega alla deputata Pd: “Fatti scop***”




Il solito spettacolo trash in Aula all’arrivo di Berlusconi. Il racconto di Sarubbi.


Andrea Sarubbi, deputato del Partito Democratico, ha un account Twitter molto attivo dal quale è solito raccontare cosa succede a Montecitorio. Oggi, in occasione dell’arrivo del premier in Aula, fa sapere che Berlusconi è entrato raccontando barzellette e, dopo le proteste dei deputati Pd, dalle parti della Lega si è proceduto ad un invito piuttosto netto:


L’onorevole Lucia Codurelli è una militante di lungo corso prima del Pci e poi del Partito Democratico. A quanto pare l’episodio non è stato riportato dalle agenzie di stampa. Che però hanno raccontato dell’ottimo umore del premier: "Venite a trovarmi, bussate alla porta e vi ricevero’, non posso dare appuntamento a tutti perche’ voi siete tanti e io sono uno solo. E da quando tutti sanno che mi intercettano le telefonate non mi chiama piu’ nessuno… Cosi’ il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi si e’ congedato dai deputati del Pdl che lo hanno incontrato a Montecitorio."


Berlusconi si e’ trattenuto all’interno dell’aula fino a poco prima che iniziasse la seduta sulle intercettazioni e ha chiacchierato con un capannello di parlamentari del partito. In tanti hanno chiesto al premier un appuntamento, ma Berlusconi si e’ schermito: Non posso dare un appuntamento a tutti – ha detto – voi siete tanti e io sono da solo. E poi – ha concluso – da quando tutti sanno che sono intercettato non mi chiama piu’ nessuno e tutti vorrebbero incontrarmi. (AGI)


Edit: l’onorevole Sarubbi ha ribadito quanto accaduto direttamente in Aula (dall’agenzia di stampa DIRE e TMNEWS):


“Ho sentito con queste orecchie dai banchi della Lega, mentre il presidente Berlusconi li intratteneva in aula, un collega che e’ intervenuto dicendo alla collega Codurelli: ‘Fatti scopare’”. Lo dice il deputato del Pd Andrea Sarubbi intervenendo in aula.
Sarubbi aggiunge: “Ho scattato una foto del presidente Berlusconi con i deputati e l’ho pubblicata su Twitter. So che non si puo’ fare, mi autodenuncio e chiedero’ all’ufficio di presidenza di prendere provvedimenti contro di me”.


Lucia Codurelli, deputata del Pd, sarebbe stata offesa da un deputato leghista in aula alla Camera, durante l’esame della nuova legge sulle intercettazioni, che le avrebbe gridato ‘…fatti scopare…’. Lo ha formalmente denunciato in aula a Montecitorio, prendendo la parola a fine seduta, il deputato del Pd Andrea Sarubbi sottolineando di essere stato testimone diretto dell’insulto.


Sarubbi ha contestualizzato l’episodio come concomitante alla “inusuale presenza in aula del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che non ha ascoltato una sola parola degli interventi ma è venuto alla Camera solo per intrattenersi in capanelli con i suoi deputati, con espressioni e racconti coloriti di cui tutti abbiamo avuto notizia e che hanno disturbato con le loro risate tutti i lavori”. Capannelli che Sarubbi, autodenunciandosi per violazione del regolamento della Camera, ha riferito di aver volutamente fotografato con il cellulare, mettendo poi le immagini su Twitter. “Sono pronto ad assumermi le conseguenze – ha detto il parlamentare Pd ma è giusto che si veda cosa fa il Presidente del Consiglio l’unica volta che è venuto in Parlamento…”. Sulle denunce di Sarubbi, il presidente di turno dell’assemblea Antonio Leone ha informato che saranno trasmessi a presidenza della Camera e Questori, seppure relativi ad accadimenti al di fuori dei lavori parlamentari.


http://www.giornalettismo.com/archives/155253/la-lega-alla-deputata-pd-fatti-scop/3/

Addio al fondatore di Apple Steve Jobs Obama: “Grande innovatore e visionario”







Il 26 agosto aveva lasciato tutte le cariche della società che aveva fondato nel 1976 e "ripreso" vent'anni dopo, salvandola dal fallimento. Oggi lo conosciamo per l'Iphone, l'Ipad e l'Ipod, ma fu lui a lanciare il primo personal computer. Il suo testamento spirituale: "Siate folli, siate affamati". Gates e Zuckerberg: "Ci mancherai".

“Apple ha perso un genio creativo e visionario e il mondo ha perso un formidabile essere umano”. Così il sito di Apple annuncia la morte del suo fondatore Steve Jobs, insieme all’anno della nascita e quello della morte: 1955-2011.

Il “visionario della Silicon Valley” aveva annunciato, lo scorso 26 agosto, le sue dimissioni irrevocabili da amministratore delegato dell’azienda che ha fondato e che dall’orlo della bancarotta ha portato nell’Olimpo delle grandi. Quarantun giorni dopo è arrivata la tanto temuta quanto attesa notizia. A finirlo è stato quel male che per anni lo ha tormentato e lentamente consumato.

“Visionario” è la definizione ricorrente. Oltre all’azienda della Mela, la utilizza il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. ”Il mondo ha perso un grande innovatore visionario. E non ci può essere maggior tributo al successo di Steve che ricordare che la maggior parte del mondo ha saputo la notizia della sua scomparsa sui computer che lui stesso ha inventato”. All’inventore dell’Iphone e di tanto altro viene tributato un merito a cui molti  politici ambiscono, raramente con successo. Quello di avere “cambiato il mondo”. Continua il presidente Usa: “Ha trasformato le nostre vite, ridefinito interi settori industriali e compiuto una delle imprese più rare nella storia dell’umanità: ha cambiato il modo in cui ognuno di noi guarda il mondo”.

E forse non c’è altro modo per sintetizzare la vita di chi, nel 2005, consegnò una sorta di testamento spirituale agli studenti dell’Università di Stanford: “Siate folli, siate affamati” (“Stay hungry, stay foolish”, guarda il video qui sotto). Una follia e una fame che hanno portato Jobs a rivoluzionare la vita di milioni di persone. L’annuncio arriva con uno stringatissimo comunicato del gruppo californiano. Ma in contemporanea sul sito appare una foto in bianco e nero di Jobs con la data di nascita e quella della morte. “Quelli di noi che hanno avuto la fortuna di conoscerlo abbastanza e di lavorare con lui – si legge – hanno perso un caro amico e un mentore ispiratore. Steve lascia una società che solo lui avrebbe potuto costruire e il suo spirito sarà sempre il fondamento di Apple”.

Qui il video integrale del discorso di Stanford, con sottotitoli in italiano.
A prendere in mano le redini dell’azienda è stato già da tempo Tim Cook. Ma Jobs lascia un vuoto incolmabile tra i suoi collaboratori, come tra i milioni di fan. Ora tutti, soprattutto i più giovani, lo conoscono come l’inventore dell’iPad e dell’iPhone, che hanno rivoluzionato il mondo della tecnologia e delle comunicazioni. E dell’iPod, che ha fatto lo stesso con la musica. Ma fu lui che nel 1977 – dopo aver creato la Apple l’anno precedente insieme all’amico Steve Wozniak – lanciò il primo personal computer della storia (qui le tappe principali della sua carriera). La marcia era appena cominciata. Lasciò la Apple nel 1985, in polemica con l’amministratore delegato da lui stesso nominato. Quando fu richiamato nel 1996 l’azienda di Cupertino era in profonda crisi, e Jobs in quindici anni l’ha trasformata nella società più ricca del pianeta.

Nel 2007 la rivista Fortune lo ha indicato come l’uomo d’affari più potente del mondo: il suo rivale di sempre, il fondatore di Microsoft Bill Gates, finì solo sesto. “Steve mi mancherà immensamente”, commenta ora Gates. ”Il mondo raramente ha conosciuto qualcuno capace di avere sul mondo stesso un impatto profondo come quello di Steve, il cui effetto si sentirà ancora per generazioni. Per quanti tra noi sono stati così fortunati da lavorare con lui è stato un onore incredibilmente grande”.

Nel 2010 – quando già la malattia lo aveva allontanato da ogni ruolo operativo in Apple – ilFinancial Times ha eletto Jobs uomo dell’anno, riconoscendo la sua capacità di riportare in vetta un’azienda raccolta sull’orlo del fallimento. Con l’iPhone e l’iPad ha realizzato il suo sogno del “piccolo schermo”, di un mondo al di là del computer e senza Windows. Non a caso il sorpasso sulla rivale Microsoft per valore di mercato è oramai da tempo compiuto.

Sempre il Financial Times lo definì “la prima rock star dell’industria high-tech’’ per la sua abitudine – oramai copiata da tutti – di presentare ai suoi fan tutte le novità della casa dal palco di un teatro. Ma anche per aver portato Apple in Borsa a soli 25 anni: prima di quanto non abbia fatto Mark Zuckerberg con Facebook. Neppure l’inventore del più famoso social network si sottrae al ricordo dell’illustre collega: ”Grazie per essere stato un mentore e un amico, grazie per aver dimostrato che ciò che tu costruisci può cambiare il mondo. Mi mancherai”.

Qualcuno lo ha descritto come un “tiranno” nei confronti dei suoi collaboratori e dipendenti. Ma la verità – spiega la maggior parte degli osservatori – è che in un momento di grande crisi economica e occupazionale in America, Jobs, a differenza di tutti gli altri Ceo, ha continuato a creare posti di lavoro. E probabilmente la Apple ne continuerà a creare ancora malgrado la morte del suo “genio”, grazie alla sue ultime creature: l’ultimo modello di iPhone, presentato appena ieri, e la terza terza generazione dell’iPad che dovrebbe vedere la luce all’inizio del prossimo anno.

Nel discorso di Stanford, citatissimo fin dalle prime ore dopo la sua scomparsa, Steve Jobs affrontò anche il tema della morte, già consapevole che presto sarebbe toccato a lui: “E’ un agente di cambiamento: spazza via il vecchio per fare largo al nuovo”.