mercoledì 2 novembre 2011

Disoccupazione giovanile al 29,3% Ocse: “Essenziale varare riforme strutturali”




Un giovane su tre in Italia non ha un lavoro: è il dato più alto dal gennaio 2004, superiore di oltre otto punti percentuali rispetto alla media Ue. Insieme agli under 25, la categoria più in difficoltà è quella delle donne.

Il popolo dei senza lavoro in Italia cresce vertiginosamente, viaggiando verso livelli record che ci allontanano sempre più dalla media Europea. Lo rivelano gli ultimi dati diffusi dall’Istat, che parlano di un tasso di disoccupazione arrivato, a settembre, all’8,3 per cento. Ma quello che è ancora più allarmante è la percentuale che riguarda il numero dei senza lavoro tra i giovani nella fascia di età 15-24 anni: a settembre è arrivata al 29,3%, rispetto al 28,0% rilevato in agosto. E’ il dato più alto da gennaio 2004. E vuol dire che quasi un ragazzo su tre non ha un impiego. Rispetto ad agosto, secondo l’istituto di statistica, ci sono complessivamente 86mila occupati in meno.

Insieme ai giovani, l’altra categoria in maggiore difficoltà è quella delle donne: la percentuale di lavoratrici è ferma a quota 46,1%, mentre le disoccupate sono il 9,7%. La differenza uomo – donna, però, si vede soprattutto guardando agli inattivi, cioè coloro che hanno anche smesso di cercalo, un impiego: quasi una donna su due, il 48,9%, si trova in questa situazione.

Questi dati allontanano pesantemente il nostro Paese dalla media europea: la nostra disoccupazione è di 8,1 punti percentuali superiori a quella complessiva del Vecchio Continente, che si attesta al 21,4%. Per non parlare dell’impietoso confronto con i Paesi più virtuosi, come l’Austria – dove a non avere un lavoro è solo l’8% della popolazione – o il Lussemburgo, dove il dato si aggira attorno al 15%.

Preoccupare anche il fronte dell’inflazione. L’Istat ha rilevato infatti ad ottobre un tasso pari al3,4%, contro la media del 3% nell’eurozona. Si tratta del record negativo dal 2008. E ad aggravare questa situazione, secondo l’Istat, sono stati anche i provvedimenti inseriti con l’ultimo aggiustamento della legge finanziaria, in particolar modo l’aumento di un punto percentuale dell’Iva.

A chiedere misure per “contrastare la disoccupazione e riequilibrare la domanda globale” è anche l’Ocse, secondo cui, senza un intervento politico complessivo capace di affrontare in maniera radicale la situazione, la crescita del Pil globale frenerà dal 5,2% del 2010, al +3,9% nel 2011 e a +3,8% nel 2012. Una timida ripresa,  secondo le previsioni Ocse, ci sarà nel 2013, quando si attesterà a +4,6%. Un andamento simile, con una discesa nei prossimi due anni e leggera ripresa nel 2013, si avrà anche nell’area dei Paesi del G20. E’ questo in sintesi quanto si legge nell’Outlook che l’organizzazione ha preparato in vista del G20 di Cannes, in cui si stima, tra l’altro, che un deterioramento della situazione in Europa o negli Usa potrà determinare un calo del Pil fino al 5% in alcune delle maggiori economie Ocse entro la prima metà del 2013.

Ma l’Ocse ha anche indicato la via da seguire: è “essenziale”, anzi tutto, che i paesi del G20 varino le “riforme strutturali per aumentare la crescita potenziale” e che gli Stati dell’area euro “implementino pienamente e con decisione le misure annunciate lo scorso 26 ottobre” in modo tale da “assicurare alle banche un’appropriata capitalizzazione e finanziamenti”. Sono necessari il “consolidamento di bilancio e una crescita durevole”. Un invito dall’Ocse, poi, anche per le economie finanziariamente più forti, che dovrebbero “fornire aiuti aggiuntivi”.

Quanto costa B. alle banche. - di Marco Onado*



L’entusiasmo dei mercati per la lettera di intenti del governo Berlusconi è durata l’espace d’un matin, come la rosa del poeta. Venerdì il tasso sui titoli italiani a 10 anni ha oltrepassato la soglia del 6 per cento e le ultime due giornate sono state la degna cornice della notte delle streghe. Il differenziale di tasso rispetto a quello tedesco è balzato a 452 punti (4,52 punti percentuali). Per rinnovare i nostri debiti paghiamo il triplo della Germania e il doppio della Francia. È la prova definitiva del fatto che l’Italia ha perso la fiducia dei mercati.

L’Italia è così costretta a ricevere ultimatum tanto pressanti quanto umilianti. Dai problemi di oggi si esce o innestando la marcia dello sviluppo economico o tagliando senza pietà le spese pubbliche per ridurre il debito. Se non riusciamo ad imboccare la prima strada, ci spingono sulla seconda e comunque in Italia qualcuno apprezza che ciò comporti anche una bella botta ai diritti sindacali. L’abolizione dell’articolo 18 è come un diamante per una fanciulla: un regalo per sempre. A questo bivio siamo arrivati con un progressivo smottamento da inizio anno scandito dai downgrading del Paese e dall’aumento degli spread: quello a due anni, già prima delle ultime giornate di fuoco era aumentato di 183 punti base rispetto a dicembre scorso; per la Spagna l’aumento è stato di soli 70 punti base. È la misura più lampante della differenza con cui oggi i mercati guardano al nostro Paese: è quello che ci costa l’agonia del governo.

Fra le vittime di questa situazione ci sono anche le banche, cui l’autorità bancaria europea (Eba) oggi chiede di aumentare i capitali (per le prime 5 italiane si tratta di 15 miliardi su un totale di 106 per le principali 70 dell’Unione). Un importo indispensabile per garantire un flusso adeguato di crediti all’economia.

Lunedì i principali banchieri italiani hanno chiesto una sostanziale riduzione degli obblighi di capitale imposti dall’Europa, ma è difficile che le loro richieste arrivino a Bruxelles, perché nessuno oggi è disposto a fare sconti all’Italia. Ma soprattutto dovrebbero capire che stanno chiedendo soccorso a chi è la causa dei loro principali problemi, che derivano in larga misura proprio dalla spirale perversa degli spread. Per le banche infatti questi aumenti di tassi sono dannosi quanto per le casse statali. Da un lato devono accantonare più patrimonio per fronteggiare le perdite potenziali sul debito pubblico e su quello privato che subisce gli effetti dei downgrading. Dall’altro, vedono aumentare i costi della raccolta sul mercato obbligazionario e interbancario, perché gli spread bancari si muovono parallelamente a quelli del debito pubblico.

In termini pugilistici, un uno-due micidiale. Solo per le banche oggetto della richiesta dell’Eba, il primo effetto comporta maggiori esigenze di capitale per quasi 9 miliardi per ogni 100 punti base di spread. Basterebbe cioè oggi essere fra 300 e 350 punti (che sarebbe comunque il doppio di dicembre) per ridurre di due terzi l’onere che viene imposto dall’Europa e renderlo ben più tollerabile. E poi ci sono i maggiori costi di raccolta: le 5 banche hanno rinnovato titoli per 94 miliardi nel corso del 2011: ogni punto percentuale di maggior tasso è dunque costato quasi un miliardo. Per la raccolta interbancaria, 65 miliardi, l’incremento dei costi è attenuato dalle condizioni di favore della Bce, ma vale comunque qualche centinaio di milioni. In totale, un aumento dei costi di 1,2 miliardi significherebbe il 14% dei profitti lordi prima delle tasse del 2010 e dunque una sostanziale riduzione della capacità di aumentare i capitali accantonando utili futuri. E ci meravigliamo se in borsa i titoli bancari scendono?

Insomma: ogni 100 punti base di spread comportano per le banche un salasso di 9 miliardi in termini patrimoniali e 1,2 di riduzione dei profitti lordi. Ed è ragionevole ipotizzare che la debolezza delle risposte italiane alla crisi vale almeno tanto, che è comunque meno del differenziale che si è aperto rispetto alla Spagna. Ma cosa è questa se non la misura della “tassa Berlusconi”, la nuova versione della “Robin tax” che all’inizio del suo mandato il ministro Tremonti, quello che aveva previsto la crisi, proponeva di far pagare alle banche? Altro che chiedere al governo di essere protette a Bruxelles; le banche dovrebbero limitarsi ad una sola parola: vattene.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/02/quanto-costa-b-alle-banche/167842/

*http://it.wikipedia.org/wiki/Marco_Onado (altro che Brunetta!)

Fukushima, segni possibile fissione nucleare.





Iniezioni acido borico in reattore n.2, no rialzo temperature.


TOKYO - La Tepco ha cominciato a iniettare acido borico nel reattore n.2 della centrale disastrata di Fukushima per controllare un'eventuale reazione nucleare dopo la rilevazione di possibili segnali di fissione. Lo ha reso noto il gestore dell'impianto, precisando che al momento non si sono registrati cambiamenti nei livelli delle temperature.
Al momento, con le temperature invariate, non sono state segnalate 'maggiori anomalie', quali aumento della pressione o delle radiazioni presso il reattore, il cui combustibile si ritiene si sia parzialmente fuso con la distruzione dei sistemi di raffreddamento a seguito dell' impatto del devastante sisma/tsunami dell'11 marzo. Le procedure di allerta, in particolare, sono state lanciate con la rilevazione nel vaso di contenimento di possibili tracce di xenon, un gas generato solitamente dalla fissione nucleare. La Tepco, in attesa di ulteriori accertamenti e verifiche per capire i caratteri del fenomeno, ha precisato che le misure per l'arresto a freddo procederanno secondo i piani stabiliti. Il reattore n.2 era ormai considerato vicino alla messa in sicurezza con la temperatura nella parte inferiore del suo involucro scesa ampiamente sotto i 100 gradi.
AGENZIA NUCLEARE, VERIFICHE SU IPOTESI FISSIONE - L'Agenzia nipponica per la sicurezza nucleare (Nisa) sta facendo verifiche per accertare l'ipotesi del rilascio degli isotopi di xenon 133 o 135 nel vaso di contenimento del reattore n. 2 della centrale di Fukushima. La possibile presenza di xenon, gas di solito rilasciato nel processo di fissione, è stata annunciata in mattinata dalla Tepco, gestore del disastrato impianto: xenon 133 e 135 hanno, rispettivamente, tempi di decadimento di 5 e 9 giorni. La loro misurazione, quindi, farebbe pensare al rilascio recente. La Nisa ha fatto sapere che lo Xenon rilevato e' forse solo una piccola quantita', frutto anche di un possibile errore di misurazione. I fattori da tenere in considerazione sono molteplici e anche la prova della presenza di Xenon non e' detto possa suggerire che il combustibile parzialmente fuso sia in condizione di criticita' con una reazione a catena auto-sostenuta. In altri termini, per la fissione e' necessaria la presenza di neutroni che, in questo caso, potrebbero essere stati generati non dal processo di fissione stesso, ma dalla attivita' di cosiddetti 'emettitori' di neutroni o da reazioni di natura secondaria. Ogni processo fissile nel reattore numero 2, qualora si fosse anche verificato, sarebbe estremamente limitato, secondo la Nisa. L'agenzia ha ribadito che non ci sono state misurazioni anomale di temperature o pressione, mentre l'iniezione di acido borico (che neutralizza i neutroni) e' stata decisa e avviata in mattinata ''a scopo precauzionale''.

I Bossi, questione di famiglia. - di Daniele Sensi



Umberto Bossi e famiglia

Si sa: la moglie baby pensionata Manuela prende finanziamenti pubblici per la sua scuola e il figlio Renzo è ben sistemato al Pirellone. Ma ci sono anche il fratello Franco e l'altro figlio Riccardo, entrambi beneficiati Ue, e l'altro pargolo, Roberto Libertà, che sta già nello staff del padre. Più il nipote Matteo, assessore nel varesotto.


Varese, 19 giugno 1987. La Lega Nord ancora non esisteva, ma, da nemmeno cinque giorni, Umberto Bossi già era senatore, anzi il "Senatùr". Un esordio fortunato per quella Lega Lombarda che egli stesso aveva fondato solo tre anni addietro e che ora, alla sua prima prova nazionale, era riuscita a raccogliere duecentomila voti, eleggendo un uomo anche a Montecitorio. In piazza del Podestà, in una sede di due stanze, computer e caminetto, si analizza il voto, si pianificano strategie e, naturalmente, si festeggia. Una festa che presto volge in lite e la lite in scazzottata. 


In due, tra i quali il neo senatore, si riversano fuori dandole di santa ragione a un terzo, il quale finirà all'ospedale urlando: "Tirerò fuori il dossier! Ve la farò vedere!". "C'è stata una semplice colluttazione", dirà poi Bossi: "E' un bravo ragazzo, era solo un po' agitato e gli abbiamo consigliato di andare a mangiare un pizza". Quel bravo ragazzo era Pierangelo Brivio, cognato di Umberto, marito della sorella Angela. Pare che all'origine del diverbio vi fosse la composizione delle liste: Bossi aveva escluso Brivio dalla competizione, tenendo per sé la testa di lista in tutte le circoscrizioni e non facendo correre il cognato nelle due che quello aveva reclamato. Di lì a breve, Brivio viene espulso dal partito. Per tutta risposta,Angela Bossi interrompe ogni rapporto con il fratello e, assieme al marito, fonda un nuovo soggetto politico, Autonomia Alleanza Lombarda, con il dichiarato obiettivo di strappare voti alla Lega.


Magri i risultati (un seggio al Pirellone nel 1990 e una manciata di consiglieri comunali nelle successive elezioni amministrative), ma ampia la copertura mediatica nel 1993, quando Angela sfida Marco Formentini nella corsa a sindaco di Milano. Alla stampa dichiara: "Mio fratello è un mantenuto, non ha mai lavorato in vita sua". Più articolato il marito: "Mio cognato è fuori di testa, si comporta come Craxi o come i potenti mafiosi del Sud: si crede il grande imperatore del Nord e invece è soltanto il padroncino di un'azienda in liquidazione. Ormai la Lega è un partito come gli altri, pronto a spartirsi le poltrone che il Palazzo mette a disposizione".


Il giornale di Alleanza Lombarda, primo di tanti partiti che negli anni, per gemmazione, sarebbero nati da quella che nel frattempo si costituisce come Lega Nord (compreso il Partito federalista di Gianfranco Miglio, che della Lega era l'ideologo) additerà Umberto Bossi come il "nemico numero uno", dedicando intere prime pagine ai "fatti e misfatti del partito che dice di fare gli interessi dei lombardi ma che ha tradito la causa autonomista il giorno stesso che ha messo piede a Roma".


In quegli stessi anni, ben più generoso appare Franco Bossi, il secondogenito di casa, che confiderà di aver anche lui litigato col fratello, ma "solo perché la sera io volevo dormire, mentre lui non voleva saperne di spegnere la luce, perché leggeva, leggeva sempre, dalla filosofia ai classici greci". Una generosità presto ricambiata. Licenza di scuola media inferiore, l'unico della famiglia ad essere rimasto nel paese natale dove manda avanti un negozio di autoricambi, Franco Bossi, già consigliere comunale a Gallarate, viene dapprima nominato commissario tecnico della squadra di ciclismo padana, quindi membro del consiglio di amministrazione Aler, la società che gestisce le case popolari di Varese, e infine, nel 2004, viene assunto all'Europarlamento in qualità di assistente accreditato dell'onorevole Francesco Speroni. Assistente accreditato, ovvero portaborse, ovvero 12.750 euro al mese. 


"La lotta per la libertà della Padania continuerà anche dopo di me, con i miei figli", andava oramai ripetendo Umberto Bossi nei suoi comizi. Così, al seguito di Matteo Salvini, al Parlamento europeo ci finisce anche il primogenito Riccardo, avuto dalla prima moglie Gigliola Guidali. 23 anni, grande ammiratore di Napoleone ("sono andato anche a vedere il campo di battaglia dove perse") e già a busta paga, qualche anno prima, di "Made in Padania Scrl", una delle "cooperative padane" che Umberto Bossi aveva fortemente voluto nel tentativo di imitare il sistema delle Coop rosse ma che già allora stavano andando a rotoli, Riccardo Bossi replicherà, serafico, alle accuse di nepotismo mosse al padre dalla stampa: "Dov'è il problema? Se uno ha un'azienda chi pensa di inserire? I suoi figli o degli estranei?". Chiusa la breve parentesi europea (il padre lo farà tornare per mettere a tacere le polemiche) Riccardo potrà dedicarsi interamente alla sua vera passione: le gare di rally. Continuerà a dichiararsi interessato di politica, ma in televisione comparirà solo più nei rotocalchi rosa, per una storia sentimentale con una delle ragazze della scuderia Mora.


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/i-bossi-questione-di-famiglia/2165149

martedì 1 novembre 2011

La vergogna delle auto blu-blu. - di Fabio Cavalera

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In Italia circolano 72 mila auto blu: il dato ufficiale basta consultarlo sul sito del Formez che ha compiuto il monitoraggio per conto del ministero della pubblica amministrazione. Numero sbalorditivo ma il bello deve ancora venire.
Già, perchè si scopre che la nostra burocrazia è riuscita a catalogare le auto di servizio in tre gruppi: le "auto blu-blu" (proprio così, due volte blu) che sono quelle di rappresentanza politico-istituzionale  "a disposizione di autorità e alte cariche dello Stato e delle amministrazioni locali", poi le "auto blu"(una sola volta blu) che sono quelle a disposizione dei "dirigenti apicali" (testuale), infine le "auto grigie" adibite, dice la relazione del Formez, ai "servizi operativi". Gli addetti sono 35 mila (di cui 14 mila autisti), la spesa per il personale è di 1,2 miliardi di euro all'anno. La spesa di gestione di di 350 milioni di euro che, sommando gli ammortamenti, diventa di 650 milioni. C'è poco da commentare, basta una parola: vergogna.
E nel Regno Unito? Occorre una premessa: le auto di servizio vengono gestite da un'authority che dipende dal ministero dei trasporti e si chiama "Government Car and Despatch Agency". In pratica, se un dipartimento ha bisogno di un'auto blu deve rivolgersi e farne richiesta all'Agenzia. Ecco i numeri ufficiali (anche in questo caso consultabili facilmente sul sito della "GCDA" oltre che governo): al 31 marzo 2010 le auto blu in dotazione ai ministeri erano 78, il parco auto era complessivamente di 261 nel 2010, sceso a 195 nel 2011. Per parco auto s'intendono le vetture "blu-blu" (usiamo la terminlogia italiana e non quella britannica che si limita a un sobrio "ministerial cars") e le vetture "blu" e "grigie", utlilizzate per i servizi (ad esempio trasporto documkenti e posta). Gli addetti sono 239 e il costo complessivo è di circa 7 milioni di sterline.
Ammettiamo pure che alla statistica sfuggano le auto di rappresentanza della famiglia reale (che sono 8). Ammettiamo che ne sfuggano pure quelle dei magistrati dell'Alta Corte e dei sindaci delle maggiori città. Nonostante tutto il raffronto fra Roma e Londra (sulle auto blu-blu) è imbarazzante. E poi ci sorprendiamo se scivoliamo sempre più giù..

Il referendum greco affonda le Borse Italia sorvegliato speciale, vola lo spread.




Il differenziale di rendimento tra Btp decennali e i bund tedeschi vola al record di 450 punti base. Georges Papandreou annuncia un voto popolare sugli aiuti da Atene e rallenta il processo d'aiuti.


MILANO - Seduta in profondo rosso per le Borse europee e Usa. E' un clima di vendite da panico, soprattutto dopol'annuncio del primo ministro greco 1Georges Papandreou 2: la Grecia voterà con un referendum sull'accordo europeo per il salvataggio del Paese. Se vincessero i no, il Paese andrebbe in defualt mettendo in crisi l'euro. "E' una mossa politica, non certo da statista. E i mercati pagano" dice Giovanni Landi 3, senior partner di Anthilia, che aggiunge: "Di fronte a comportamenti irrazionali è impossibile prevedere le mosse degli investitori". E Atene chiude la seduta cedendo il 6,92%. Secondo l'agenzia di rating Fitch, il referendum rappresenta una minaccia per la stabilità finanziaria dell'Eurozona, mette a repentaglio la "vitalità" stessa dell'euro. "Non si può escludere un default della Grecia nel caso in cui i cittadini greci votassero no", ha confermato il presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker parlando alla radio Rtl. Per affrontare la situazione il presidente francese Nicolas Sarkozy e la cancelliera tedesca Angela Merkel "hanno deciso di ritrovarsi a Cannes mercoledì 2 novembre nel pomeriggio, per una riunione di consultazione con le istituzioni europee e il Fmi, oltre che per una riunione con le autorità greche". Nel pomeriggio, intanto, Angela Merkel ha telefonato al premier greco Papandreou.

"Impossibile sapere quando si placherà la volatilità" 4 spiega Giulio Casuccio responsabile gestioni quantitative e ricerca di Fondaco: "In questo contesto difendersi è difficile". Anche perché le vendite sono pesanti. Tra le Piazze europee Francoforte cede il 5%, Parigi il 5,24% e Londra il 2,37%. Maglia nera del Vecchio continente Milano che sprofonda del 6,80%. Piazza Affari non registrava perdite così pesanti dall'ottobre 2008, nel pieno della crisi dei mutui subprime. In una sola seduta bruciati 22 miliardi di euro e in tre sedute negative, azzerati i guadagni di ottobre. Nella cronistoria delle peggior performance registrate, a partire dal 1997, sono soltanto tre i risultati peggiori: il 10 ottobre di tre anni fa (-7,14%); l'11 settembre 2001 (-7,57%), giorno degli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono, e il 6 ottobre 2008 (-8,24%). Nel 2011, il record negativo finora era stato il 10 agosto, quando il Ftse MIb aveva chiuso a -6,65%. Sotto tensione sono sempre i titoli bancari con Unicredit e Intesa Sanpaolo che cedono oltre il 12% 5 e sono state a lungo sospese per eccesso di ribasso: gli istituti di credito, oltre a ricapitalizzarsi, rischiano di vedere compromesse le proprie stime di crescita in caso di maggiori difficoltà dell'economia italiana. Inoltre sono tra i principali compratori di titoli di Stato. Male le banche in Francia e Germania. Société Générale perde il 16,74%, Crédit Agricole il 13,14%, Bnp il 12,51%, giù anche Deutsche Bank: -8,72%. Pesano soprattutto le incertezze sui meccanismi del fondo Salva Stati:  "A disposizione del Fondo ci sono 200 miliardi e bisogna capire come arrivare a 1000 miliardi. Raccogliere questi fondi non è facile sono tutti molti guardinghi", dice il capo economista Felice De Gregorio di Intesa Sanpaolo. 6

Ma il mercato paga anche la bancarotta della finanziaria Mf Global, un broker che aveva in portafogli oltre 6,3 miliardi di euro di titoli di Stato europei, tra cui bond italiani, spagnoli e greci. I riscatti degli investitori hanno costretto la società al fallimento. Si tratterebbe di un buco da 40 miliardi di dollari, l'ottavo della recente storia finanziaria Usa. E così anche Wall Street si muove in profondo rosso: il Dow Jones cede il 2,45%, lo Standard & Poor's perde il 2,77% e il Nasdaq il 3,03%.

Lo spread del Btp sui Bund tedeschi è ai massimi a 450 punti 7. "C'è poca fiducia nella capacità italiana di ripagare il debito e molti investitori vendono i titoli del debito italiano. E i prezzi scendono facendo scattare al rialzo i rendimenti", spiega un operatore."Mancano i compratori - aggiunge il trader -  anche se in una giornata semifestiva come questa è facile che la speculazione ne approfitti, vista la scarsa liquidità dei mercati". Volano anche i cds per assicurarsi contro il fallimento dell'Italia: i credit default swap costano 491 punti. E sale anche il differenziale tra titoli di Stato francese e il bund a 121,5.  

La forza del dollaro spinge a ribasso l'euro che chiude nei confronti della divisa verde a 1,36 lontano dai massimi delle ultime sedute che avevano visto l'euro volare sopra la soglia di 1,4 dollari. Solo ieri, il Giappone è intervenuto sui mercati in difesa dello yen, facendo salire le quotazione della moneta statunitense. 

Il petrolio Wti scende sotto i 90 dollari a New York, per poi risalire sopra tale soglia, restando comunque in calo del 3% a 90,43 dollari. Male anche il Brent, che sulla piazza di Londra cede il 2,5% a 106,83 dollari

 

http://www.repubblica.it/economia/finanza/2011/11/01/news/borsa_1_novembre-24218328/?ref=HREA-1

«Incarico al Copasir per creare il dossier contro Woodcock».




La rivelazione dello 007 in una registrazione.

ROMA - Allo 007 che preparava i finti dossier contro il pubblico ministero Henry John Woodcock fu promessa una consulenza al Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti. È lui stesso a raccontarlo in una conversazione registrata e allegata agli atti dell'inchiesta sull'associazione segreta che sarebbe stata guidata da alti magistrati in servizio a Potenza. Nicola Cervone, 54 anni, l'ex agente del Sisde assunto come cancelliere presso il Tribunale di Melfi, è accusato di essere il «terminale» del gruppo che avrebbe fatto capo al sostituto procuratore generale Gaetano Bonomi e al suo collega Modestino Roca e per questo nei mesi scorsi è stato arrestato per calunnia. Nell'elenco ci sono anche carabinieri e finanzieri, tutti indagati nel fascicolo affidato al procuratore aggiunto di Catanzaro, Giuseppe Borrelli.
Il pm Henry John Woodcock (Ansa/Abbate)
Il pm Henry John Woodcock (Ansa/Abbate)
Per mesi Woodcock sarebbe stato spiato insieme ad altri colleghi e alla giornalista Federica Sciarelli, conduttrice di Chi l'ha visto?. I dati sui loro tabulati telefonici e contatti sono finiti in alcuni esposti anonimi spediti alla Procura locale e ai giornali con l'obiettivo di delegittimarli e di farli finire sotto procedimento disciplinare in modo che fossero trasferiti in altra sede. Denunce preparate proprio da Cervone, che per le spedizioni si affidò a un poliziotto, Leonardo Campagna. Ed è stato proprio quest'ultimo, quando ha capito di essere coinvolto in una trappola che avrebbe potuto portarlo in carcere, a decidere di collaborare con gli inquirenti consegnando loro le registrazioni delle conversazioni con Cervone, che lui stesso aveva effettuato durante alcuni appuntamenti.
In particolare agli atti dell'inchiesta è allegata una cassetta audio che dà conto di un colloquio tra i due del 30 gennaio 2010. Campagna è preoccupato perché dopo essere stato individuato come «mittente» degli anonimi grazie alle telecamere piazzate davanti all'ufficio postale teme per gli esiti dell'indagine. E dunque afferma: «Sono sottoposto a procedimento e per le vostre stronzate devo passare i guai...». Cervone cerca di rassicurarlo e così rivela i suoi obiettivi futuri: «Io a breve, molto a breve sono chiamato come consulente al Copasir e vieni pure tu», ma non fa riferimento a quale sia il suo referente nell'organismo guidato da D'Alema.
In realtà dopo poco l'ex 007 finisce sotto inchiesta e questo blocca ogni possibilità di ottenere nuovi incarichi. Ma quanto afferma subito dopo fa ben comprendere quale fosse lo scenario nel quale si muoveva ed è su questo che si continuano a concentrare gli accertamenti nei confronti dei magistrati che vengono ritenuti dall'accusa i «mandanti» dell'operazione. Dice Cervone: «Là c'era tutto un giro di magistrati che s'erano accordati fra loro per poter fare diversi casini e tutta una cosa, ti dovrei, dovremmo sederci e parlarci ore, capito! Era tutto un bordello che avevano fatto tra loro, non è che c'era accanimento ma quello sembrava il paladino senza macchia e non era così». Evidenzia il giudice nel provvedimento che ha disposto l'arresto dell'ex agente del Sisde: «In buona sostanza nella spiegazione di Cervone le motivazioni della spedizione dell'esposto risiedono nel rancore nutrito da alcuni magistrati "che s'erano accordati tra loro per poter fare diversi casini" nei confronti del dottor Woodcock che "sembrava il paladino ma non era così"».
Di tutto questo risponderà domani Bonomi, convocato per l'interrogatorio come indagato di associazione a delinquere, corruzione in atti giudiziari, calunnia e rivelazione di segreto. L'alto magistrato ha sempre respinto le accuse, ma di fronte ai pubblici ministeri dovrà spiegare il contenuto di decine e decine di intercettazione telefoniche che invece mostrano la sua volontà di delegittimare i colleghi e i suoi rapporti con numerosi politici e imprenditori lucani, oltre alla sua ricerca di sponsor a livello nazionale per ottenere un incarico all'ispettorato del ministero della Giustizia oppure per diventare procuratore di Potenza.