mercoledì 7 dicembre 2011

Santa Ici, i comuni possono pretendere subito il contributo del Vaticano. - di Marco Palombi






La posizione della Cassazione è chiara: le amministrazioni locali non devono attendere una nuova legge per bussare alle casse della Chiesa, per ora esclusa dal pagamento dalla nuova manovra. Il cardinal Bertone: un problema da studiare.


Far pagare l’Ici agli immobili commerciali proprietà di enti ecclesiastici? “È una questione che non ci siamo posti”, ha risposto Mario Monti alla stampa estera. La beata dimenticanza del governo non attenua però l’insostenibilità della situazione, aggravata dal fatto che, proprio mentre non si poneva la questione dei beni con cui la Chiesa genera reddito per sé e le sue mille articolazioni, l’esecutivo tartassava la prima casa degli italiani per un ammontare di 3, 8 miliardi di euro l’anno.

”L’Ici è un problema da studiare e approfondire, però la Chiesa fa la sua parte a sostegno alle fasce più deboli”, ha detto ieri il cardinale Tarcisio Bertone. Il fatto è che questa esenzione non è solo palesemente ingiusta, ma pure contraria all’articolo 108 del Trattato europeo: lo ha stabilito, da ultimo, una sentenza della Corte di cassazione (la 16728 / 2010), anche alla luce del fatto che le norme comunitarie hanno rilievo costituzionale. Cosa significa? A stare ad autorevoli esperti una cosa molto semplice: la Suprema Corte ha stabilito che l’esenzione Ici per gli immobili ecclesiastici che siano usati, anche in parte, per attività di impresa costituisce un aiuto di Stato illegale e quindi i Comuni non devono applicarlo. Insomma, i sindaci volendo potrebbero richiedere il pagamento del maltolto fin da ora.

Conviene fare un piccolo passo indietro. La Chiesa, l’Ici, non l’ha pagata mai: quando il governoAmato introdusse l’imposta, nel 1992, esentò gli immobili degli enti ecclesiastici. Nel 2004, però, successe l’imponderabile: la Consulta bocciò la norma e il governo Berlusconi fu costretto a reintrodurre l’esenzione in tutta fretta. Anche lì la faccenda si complicò: la Ue mise sotto indagine l’Italia (e anche la Spagna per le agevolazioni Iva) per aiuto di Stato e il nuovo governo (Prodi), modificò di nuovo la legge sostenendo che l’imposta fosse dovuta, tranne che per quegli edifici a carattere non “esclusivamente” commerciale. Su quell’avverbio si conduce tutta la battaglia. Che vuol dire? Nessuno lo sa e così l’albergo delle Brigidine a piazza Farnese, centro di Roma, non paga l’Ici e solo metà dell’Ires.

Finito? Macché. La Commissione europea, dopo un ricorso dei Radicali, ha aperto una nuova indagine, il cui esito è ancora sospeso: i funzionari, dice una fonte, hanno già finito il lavoro, che è sfavorevole agli interessi d’Oltretevere, ma la pronuncia ufficiale della Commissione è bloccata “dalle pressioni politiche provenienti dall’Italia”. Non ci si deve stupire: quando l’Ue impose alla Spagna di cancellare le agevolazioni Iva alla Chiesa, il mangiapreti Zapatero si oppose per due anni per poi, quando fu costretto, aumentare la contribuzione diretta dal 4 all’ 8 per mille. In attesa dell’Europa, però, c’è la Cassazione: spiegano i giudici di legittimità che gli aiuti dello Stato – che non siano preventivamente comunicati alla Commissione Ue e da questa approvati – nei confronti di chiunque offra beni e servizi sul mercato vanno considerati illegali, anche se il fattaccio avviene in edifici parzialmente adibiti a luogo di culto (è il problema dell’avverbio “esclusivamente”).

I sindaci dovrebbero dunque chiedere il pagamento dell’Ici agli enti ecclesiastici e i giudici dargli ragione in caso di ricorso. Purtroppo non è così: il comune di Verbania, per dire, lo ha fatto e, dopo aver ottenuto il via libera dalla commissione tributaria provinciale, s’è visto dare torto da quella regionale, sempre per via dell’avverbio. Difficoltà confermata dal presidente dell’Anci Graziano Delrio: “Noi non abbiamo la possibilità di interpretare quali immobili siano palesemente commerciali e quali no: saremmo anche felici di farlo visto che continuano a tagliarci i finanziamenti, ma tanto poi le commissioni tributarie ci fermano…”. E così i Comuni si perdono un bel gettito: a Quartu hanno fatto i conti e scoperto che gli mancano 148 mila euro l’anno. In generale, tra Ici e Ires, si stima che l’erosione del gettito potrebbe arrivare a 1, 5 miliardi, un po ’ troppo per chi contesta la non equità della manovra. D’altronde, nemmeno i sindacati pagano l’Ici.


Non tifi Monti? Sei un qualunquista. - di Andrea Scanzi.






C’è un ricatto che non ha mai smesso di andare di moda, dalle parti di una certa “sinistra” salottiera e garbata. E’ quello secondo cui, se non sei di “sinistra” come loro, e al tempo stesso non ti dimostri nemmeno di destra, sei qualunquista.
L’assioma è tornato a valere, e volare, con il Governo Monti. Venerato da (quasi) tutti, in virtù non di virtù innegabili ma di una riflessione che chiunque non può confutare: anche un esecutivo di fagioli zolfini sarebbe parso più avvenente e condivisibile di quello di Berlusconi, Brunetta, Gelmini e Carfagna.
Così, in nome del sempiterno menopeggismo, ci troviamo impantanati in un fastidioso cul de sacpolitico-giornalistico: o sei con Monti, “Luomo che sprizza umanità da tutti gli spinotti” (Crozza), e quindi assurgi al rango di responsabile che ama l’Italia; o sei un disfattista, populista e qualunquista.Un demagogo che si meritava Berlusconi e non capisce la drammaticità del presente.

La manovra è liberticida, ingiusta e classista. Il primo passo verso la morte dello Stato Sociale. Non occorre Engels per intuirlo (basta molto meno, anche solo essere Mussi). Ma non puoi dirlo. Non puoi scriverlo. Non puoi neanche pensarlo. E’ anticostituzionale. Se lo fai, sei un irresponsabile totale che fomenta l’odio, cavalca l’indignazione facile e vive di utopie irrazionali(come se poi esistesse, “l’utopia razionale“: se esistesse, non sarebbe utopia).
Viviamo il tragicomico paradosso, ottimamente rappresentato da quella iattura caricaturale che è il Pd, secondo cui non solo dobbiamo accettare le lacrime e il sangue: dobbiamo pure essere felici. Ed esibire somma gratitudine. Ieri era “bacia la mano che ruppe il tuo naso“. Oggi è “ringrazia il braccio che ti elargisce (sobriamente) l’ombrello di Altan“.
Chi non è con Monti, oggi, “sa solo criticare” (approccio sbagliato, certo, mai però quanto il “sapete solo sbagliare” dei polli d’allevamento piddini). Chi non è con Monti, oggi, “si stupisce per niente” (nessuno si stupisce, al massimo può capitare a Pigi Battista, ma un calcio negli zebedei fa male anche se lo prevedevi). Chi non è con Monti, oggi, non capisce che “è il tempo dei sacrifici” (nessuno lo nega, ma da qui ad accettare che a sacrificarsi siano solo gli stessi ce ne passa).

Il Pdl aveva chiesto cose precise
. Le ha ottenute tutte, Ici (con nuovo nome) a parte. Quindi fa bene a essere soddisfatto, anche se  finge fastidio per smarcarsi dai cattivoni ora al governo e prepara la rimonta per il 2013 (con Priapino pronto a riscuotere alla cassa).

Il Pd aveva sussurrato
 (“preteso” sarebbe parola fuoriluogo) balbettii minimi. E’ stato disatteso totalmente o quasi Adesso, però, non è che alza la voce. Figurarsi: si affretta a dire che “non è la nostra manovra, però la voteremo” (logica granitica). Perché loro – guai a confutarlo – hanno il senso dello Stato. Mentre gli altri sono dei trotzkisti qualunquisti.
Se si fosse andati al voto, il Pd avrebbe vinto e goduto (una volta tanto) di una legge elettorale schifosa (che nessuno cambierà in questi mesi: quindi tanto valeva votare subito). Non sarebbe stato il Governo – e il Parlamento – dei sogni, ma peggio di quelli attuali no di sicuro. Invece, così agendo e attendendo, ridesterà – per l’ennesima volta – Berlusconi e firmerà l’ennesimo harakiri. Harakiri probabilmente voluti, perché neanche Calloni sbagliava così tanto. E Berlusconi è funzionale non alla sinistra, ma a questa “sinistra”.

Eppure, di pari passo con la propensione fantozziana all’harakiri, la sicumera piddina del “noi siamo nel giusto” non scema. Con il carisma da battipanni che gli è consono, Fra’ Bersani è stato contestato da parte della claque su Facebook: buona cosa, gli elettori del Pd sono quasi sempre meglio di chi dice di rappresentarli, ma tanto lui non sa aprire Facebook e non lo scoprirà mai. Col cipiglio di chi non sa, Fra’ Bersani ha quindi minacciato Di Pietro: O la voti o sei fuori.Democratico, no? No.

Diciassette anni di berlusconismo hanno creato un cortocircuito tale per cui ormai anche il buon senso – e l’ovvio – divengono rivoluzionari. Financo eversivi.

E allora, sì, sarò (e qua e là saremo) eversivi. Qualunquisti. Populisti. Demagoghi. Saremo questo e quell’altro, ma la manovra fa schifo. Oggettivamente schifo. Così schifo che peggio di così era impossibile (se l’avesse fatta Berlusconi, la stessa gente che ora invita alla moderazione avrebbe scritto articolesse piccate).
E’ una manovra banale e didascalica (toh, aumentare Iva e benzina: ci volevano quelli della Bocconi per concepire cotanta strategia). Colpisce i soliti poveracci e titilla lascivamente i potenti di sempre.Voto di fiducia, no Irpef, no patrimoniale, frequenze tv regalate, pensionati stangati, tassazione ridicola sui capitali scudati, Chiesa salvata: si scrive Monti, si legge Berlusconi.

La Fornero – noiosamente divinizzata per qualche lacrima, con un trasporto laico che neanche la Madonnina di Civitavecchia – avrà anche pianto con sincerità. Ma se era così consapevole di quanto facesse orrore la sua “riforma previdenziale”, poteva esimersi dal concepirla. E chi è nato nel ’52, tradisce ora desideri neanche troppo reconditi di farla piangere  per motivi più concreti (però sobriamente, s’intende). Madama Fornero, e i suoi guizzantissimi sodali vicini a banche e clero, hanno rovinato in un attimo la vita di milioni di italiani. E non basta dire ”quanto ci dispiace” per indorare la pillola. Fa male lo stesso. Ancor più se si nota come, disgraziatamente, non sono state prese decisioni altrettanto pregne di “coraggio” su ciò che concerne missioni di guerra, patrimoniali (presunte) e beni della Chiesa. Vedi te le coincidenze.

E’ una manovra che qualsiasi “sinistra” non voterebbe neanche sotto tortura. Perché iniqua, vessatoria, irricevibile. Da noi, invece, la “sinistra” non solo la vota ma ti scomunica – altro antico vizio dei tonni in salamoia miglioristi – se non partecipi al giubilo bipartisan. Mi va bene che la voti Casini. Va bene che la voti Lupi. Va bene che la voti il giovane vecchissimo Enrico Letta. Ma non va bene – quantomeno è incoerente – la pretesa che tra i tre soggetti, e relativi partiti, esistano differenze sostanziali (sì, anche questo è qualunquismo).

Sarò e saremo demagoghi. Disfattisti, incazzosi e perennemente insoddisfatti. Ma è insultante sentire il Cardinale Bertone che blatera come “I sacrifici fanno parte della vita” (bene: comincia tu, che poi ti veniam dietro). Non è così peregrina la rabbia provocatoria di Fulvio Abbate su Teledurruti (“Elettore del Pd, non ti fai schifo?“).
Ed è avvilente il ricatto di sempre: “Eh, ma allora tu rivuoi Berlusconi“. Anche perché (conclusione tripartita). Punto primo: Berlusconi non ha bisogno di essere “rivoluto”, poiché non se n’è veramente mai andato. Punto secondo: La copertina di Linus del “così vogliono Europa e mercati europei” è ormai lisa. Punto terzo: I tempi sono duri e con questa classe politica è arduo aspettarsi di più. Innegabile. Un conto però è constatarlo, giungendo all’amara constatazione che siamo immersi nel guano. Un altro è crogiolarsi – ilari e compiaciuti – nel letame. Stupendosi se qualcuno non partecipa al bizzarro giubilo melmoso.

Questo governo è quantomeno fosco (a meno che il menopeggismo sia ormai l’unico termometro democratico), questa manovra annichilente. E questa “sinistra”, a metà strada tra il bolso e il fighetto, ha davvero sfrangiato con la sua incapacità pavida.

Se asserire tutto ciò è “populismo”, e sia: tanti altri sono stati definiti tali. E avevano – lo ha decretato poi la Storia – molta più ragione dei “realisti”. Nel grigio bivio tra qualunquismo ipotetico e masochismo inconsapevole, è forse meglio inseguire la terza via: quella dell’onestà intellettuale. Che va quasi sempre di pari passo col gusto salvifico di indignarsi personalmente. Che nessuno potrà mai toglierti.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/07/tifi-monti-qualunquista/175697/

MAURIZIO CROZZA - Ballarò 06/12/2011 - Le lacrime di Maurizio

Compenso Di Fiorello: 300 Mila Euro A Puntata.

fiorello

Compenso di Fiorello ‘Il più grande spettacolo dopo il weekend’, a quanto pare anche il più caro! 
Infatti si parla di un compenso, per lo showman, di 300mila € a puntata. Pronta la reazione di Aldo Grasso che, nella sua rubrica del Corriere, dà un nomignolo a Fiorello, che fa sorridere: prezzemolo.
Lo show che presenterà Fiorello si prospetta come qualcosa di mastodontico, fuori da ogni scena, così come preannuncia il giornalista Michele Galvani del quotidiano Leggo.
Il pubblico si aspetta grandi cosa dallo show di Fiorello, anche se al momento di grande ci sono solo le cifre spese per la realizzazione. Lo show di Fiorello, complessivamente, costerà la bellezza di 12 milioni, 300 mila € lordi a puntata solo per Fiorello.
A seguito della polemica nata subito dopo la notizia del compenso a Fiorello, la Rai ha subito smorzato il tiro dicendo che la cifra assegnata a Fiorello con lo show “Il più grande spettacolo dopo il week-end” è in pratica lo stesso percepito nel 2004, anno del fortunato “Stasera pago io Revolution
E’ uno schiaffo a chi non arriva a fine mese!!!



http://www.youtab.it/2011/11/compenso-di-fiorello-300-mila-euro-a-puntata/


Leggi anche:
http://www.intvmagazine.com/index.php?option=com_content&view=article&id=1012%3Adodici-milioni-di-euro-per-le-quattro-puntate-dello-show-di-fiorello&catid=25%3Arai&Itemid=117

Così i boss truccavano le elezioni. "Nicola è una volpe, qui comanda lui"


Nuova richiesta di arresto per Cosentino, ex sottosegretario e coordinatore del Pdl in Campani. Le intercettazioni: "Quel centro commerciale è roba sua".


di IRENE DE ARCANGELIS e DARIO DEL PORTO

NAPOLI - La realizzazione del centro commerciale "Il Principe" non era solo "sponsorizzata" da Cosentino. Era proprio "cosa sua". Questo, almeno, gli inquirenti napoletani deducono anche da una conversazione intercettata il 17 luglio 2006. Parlano dell'affare il futuro sindaco di Casal di Principe, Cipriano Cristiano, il genero del boss del clan dei Casalesi Giovanni Lubello, l'imprenditore Nicola Di Caterino, l'architetto comunale Mario Cacciapuoti.

Cristiano: "Noi dopo dobbiamo dire che questo fatto è un fatto di Nicola. Nicola Cosentino, non lo conosci tu?",
Lubello: "No, io lo conosco".
Di Caterino: "... allora... "
Cristiano: "... allora Nicola Cosentino ha detto... dopo guarda, quello che dici tu quello facciamo. Mo lascia stare 7-8 mesi, poi quando è tanto... ".
Di Caterino: "Poi quando è tanto (quando sarà) quando tu sei andato a fare il sindaco, dici il sindaco lo faccio io e il tecnico lo fa... quello che ci sta va troppo bene". 



"GLI INCONTRI CON SANDOKAN"
Agli atti i magistrati hanno allegato sia i verbali già depositati con la prima ordinanza cautelare nei confronti di Cosentino, sia dichiarazioni più recenti. Come quella fornita il 25 maggio 2011 dal pentito Roberto Vargas, che racconta: "Nicola Cosentino è il politico che 'comanda' a Casal di Principe. 
Tramite il fratello è imparentato con la famiglia Russo (il boss Giuseppe detto 'o padrino, ndr) Cosentino è persona molto accorta. Direi è una volpe. E pur essendo il politico da sempre portato dal clan dei Casalesi non si è mai incontrato, per quanto mi risulti, con esponenti del clan. Se non con Francesco Schiavone detto 'Sandokan', con cui aveva un rapporto speciale".


"PER NOI È UN PUNTO IN PIÙ"
Un altro pentito, Francesco Della Corte, interrogato il 28 febbraio sostiene: "Cosentino rappresenta un punto di forza dei casalesi. È la garanzia politica del clan. E quando mi sono rapportato ad appartenenti ad altre organizzazioni, il fatto che noi casalesi godessimo di un rapporto privilegiato con l'onorevole Cosentino ci dava un punto in più". 

Della Corte aggiunge che un avvocato calabrese con il quale era stato detenuto e che "si diceva molto amico del senatore Dell'Utri nonché persona inserita nella 'ndrangheta, diceva che noi a Casale stavamo a posto grazie a Cosentino, che diceva di conoscere personalmente e che in Campania avevamo gli appalti che volevamo proprio grazie a Cosentino".

L'INCONTRO ROMANO
Il coordinatore regionale del Pdl viene intercettato quattro volte con l'imprenditore Nicola Di Caterino, ideatore del progetto sul centro commerciale, per concordare l'appuntamento a Roma, presso la sede Unicredit, per sbloccare un finanziamento da oltre 5 milioni alla società. "Nicola, sò Nicolino", esordisce Di Caterino in una delle telefonate del 7 febbraio 2007. Nel pomeriggio, l'incontro si fa. E viene fotografato dagli investigatori della Dia. In 7 scatti compare, a piedi, Cosentino, accompagnato dal presidente della Provincia di Napoli Luigi Cesaro, adesso raggiunto da avviso di garanzia per violazione della legge bancaria. I due poi andranno via in taxi.

"CI MANCAVA GOMORRA"

In una conversazione del luglio 2008, l'imprenditore Di Caterino discute con il dirigente di Unicredit Cristofaro Zara di questioni burocratiche legate al centro commerciale. E si lasciano andare a uno sfogo.

Di Caterino: "Cristofaro, uno dei problemi fondamentali che io sto vivendo in questo momento è proprio questo tam tam mediatico su Casal di Principe che ci..."
Zara: "E ci mancava pure Gomorra... ".

IL POSTO AL FRATELLO DEL BOSS
Da una conversazione intercettata il 18 settembre 2009 nell'auto di un familiare dei presunti boss Giuseppe e Massimo Russo, emerge che Cosentino avrebbe aiutato Pasquale Iavarazzo, già consigliere comunale e assessore a Casal di Principe, fratello del presunto capoclan Mario, a trovare lavoro.

"Pasquale ha avuto il posto. Su una petroliera, una piattaforma. Glielo ha fatto prendere 'o Mericano", commentano gli interlocutori. "'o Mericano" è proprio l'appellativo di famiglia di Cosentino. Scrive il gip: "Cosentino si era adoperato per sdebitarsi con un familiare di uno dei più importanti esponenti del clan Russo".

I BROGLI ELETTORALI
A Casal di Principe il clan faceva votare malati mentali, pazienti ricoverati in ospedale, emigranti mai rientrati in Italia e decine di testimoni di Geova che per motivi religiosi disertano le urne. Come? Con certificati elettorali e carte d'identità clonate. Oppure con il sistema della "scheda ballerina": un affiliato portava all'esterno del seggio una scheda in bianco, segnava la preferenza e affidava la scheda a un altro affiliato che entrava nel seggio, la infilava nell'urna uscendo con un'altra in bianco. E così via. 

Altri voti venivano comprati per 50-100 euro o in cambio di posti di lavoro. Dice il pentito Salvatore Caterino: "Antonio Corvino "comprava" le donne regalando i tagliandi della mensa per i bambini".

LE PROSTITUTE IN COMUNE
Il consigliere comunale Antonio Corvino avrebbe usato gli uffici del comune di Casal di Principe per incontrare donne, forse prostitute. In una intercettazione telefonica, Corvino parla con una ragazza e dice: "Tu ci stai con la tua amica? Ma questa come è?". "È carina - la risposta - è una bella donna". E Corvino: "Va bene dai... E dove ci vogliamo vedere? Andiamo in un ufficio... Sta un ufficio mio". L'esponente politico locale, dopo aver fissato l'appuntamento, chiama un amico di nome Massimiliano. "Adesso la chiamo stanno a venire... quella Cinzia, mi devo fare un po' di chiava..... sto come un pazzo... ce le portiamo sopra il Comune, nella stanza mia, là hai voglia di fare".

"LA MONETA COMPRA TUTTO"
Gaetano Corvino (non arrestato) ex sindaco e padre dell'ex assessore Antonio, riassume al figlio la sua "filosofia di vita": "Se avessi avuto 200 mila euro, riuscirei a mantenere tutto Casale, perché con la moneta si può corrompere tutto, si può corrompere ogni equilibrio in ogni modo". 



http://napoli.repubblica.it/cronaca/2011/12/07/news/cosentino_volpe-26207360/?ref=HREC1-4 

martedì 6 dicembre 2011

Terremoto, Letta scrisse a Bertolaso "Caro Guido, aiuta gli amici di Verdini". - di Giuseppe Caporale


Nuova inchiesta sugli appalti per la ricostruzione post-sisma, ancora una volta sul ruolo del consorzio Federico II in cui aveva interessi il coordinatore del Pdl. Al centro del ricorso della Procura in Cassazione, il messaggio dell'allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio all'ex capo della Protezione civile. "Semplice raccomandazione", per il Gup. "Serrata attività di condizionamento", secondo il sostituto procuratore.


L'AQUILA  -  C'è una lettera di raccomandazione sotto inchiesta. E' una lettera firmata da Gianni Letta, ex sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri con il governo Berlusconi. Venti righe su carta intestata del sottosegretario per favorire un gruppo di imprenditori negli affari del post-terremoto. Venti righe che ora sono oggetto di indagine da parte della Procura dell'Aquila. 


GUARDA LA LETTERA 1

Il destinatario della lettera è Guido Bertolaso, all'epoca capo del dipartimento della Protezione Civile (struttura sotto la direzione della Presidenza del Consiglio). L'obiettivo è aiutare gli amici di un amico speciale, specifica lo stesso Letta nel documento - "come potrai facilmente immaginare, non posso sottrarmi a tale richiesta..." - Denis Verdini, coordinatore nazionale del Pdl.

L'impresa da aiutare è  -  ancora una volta  -  il consorzio Federico II, ovvero il raggruppamento di società che aveva al suo interno Riccardo Fusi, imprenditore (amico e in passato anche socio di Verdini) e una serie di imprese abruzzesi legate alla Carispaq, banca del territorio aquilano. Non solo Fusi secondo le verifiche dei Ros risulta debitore per una cifra intorno ai 20 milioni di euro nei confronti del Credito Cooperativo Fiorentino, presieduto all'epoca dei fatti proprio da Verdini. 



La lettera. "Caro Guido, come ho avuto modo di accennarti per telefono l'altro giorno, l'onorevole Denis Verdini mi ha presentato un gruppo di imprenditori aquilani che insieme ad una grande impresa nazionale, hanno dato vita al consorzio Federico II, per la ricostruzione dell'Abruzzo. Adesso, a pochi giorni dall'incontro, lo stesso Verdini mi sollecita di nuovo il contatto con te (o con la tua struttura) e come potrai facilmente immaginare, non posso sottrarmi a tale richiesta. Nell'appunto che ti invio troverai la descrizione degli obiettivi e delle finalità del consorzio e il profilo delle imprese locali e nazionali che hanno dato vita all'iniziativa. Ti sarò grato perciò, se per non deludere Denis Verdini, potrai dedicare a questi imprenditori dieci minuti del tuo preziosissimo tempo per poi affidarli a chi riterrai possa diventare il loro interlocutore istituzionale. Sicuro della tua comprensione, ti chiedo scusa per il fastidio e ti ringrazio di cuore. Perdonami e grazie (scritto a mano, ndr). Gianni Letta". E poi ancora a penna "Gianni". 

Verdini e Fusi, già prosciolti per la raccomandazione. Proprio per la vicenda degli appalti del consorzio Federico II negli affari post-sisma, Verdini e Fusi sono stati prima indagati e poi prosciolti dal tribunale dell'Aquila perché "il fatto non sussiste". Secondo il giudice per le udienze preliminari Romano Gargarella  -  che si è pronunciato a riguardo appena il mese scorso - quella di Verdini per l'imprenditore Fusi fu una "mera raccomandazione" non prefigurabile come reato penale. Ma contro questa decisione il sostituto procuratore Stefano Gallo ora ha presentato ricorso in Cassazione puntando come elemento centrale proprio sulla missiva, svelando così anche una parte della nuova indagine che stavolta vede al centro Letta.

Il pm: "portata dirompente dei nuovi documenti"
. "Bisogna tener conto della portata dirompente dei nuovi documenti depositati", scrive Gallo nel ricorso in Cassazione producendo la lettera di Letta. "I termini usati dal potente sottosegretario di Stato sono assolutamente significativi della concreta possibilità dell'onorevole Denis Verdini di incidere sulle scelte degli apparati dello Stato in ordine all'affidamento dei lavori post-terremoto" scrive nel ricorso. E aggiunge: "Come va interpretato il non posso sottrarmi alla richiesta?". Così la lettera di Letta oltre a essere alla base del nuovo fascicolo potrebbe far riaprire l'inchiesta su Fusi e Verdini, oltre che chiamare nuovamente in causa Guido Bertolaso. E il sostituto procuratore Gallo  -  come annunciato nel ricorso  -  ha intenzione di interrogare sia Letta che Bertolaso per verificare la veridicità della lettera. 

Ma per Gup la lettera di Letta è solo una raccomandazione. Il nuovo documento, in realtà, era stato già depositato all'ultima udienza per la vicenda Verdini e Fusi, ma il giudice Gargarella aveva derubricato anche questo documento come prova di "mera raccomandazione". Per la procura dell'Aquila invece è la dimostrazione del tentato condizionamento di alcuni appalti post-terremoto. Per i magistrati infatti, seppure la missiva pare sia arrivata in procura in forma anonima, è "vera". Gli inquirenti al riguardo hanno già eseguito una perizia sulla grafia dello scritto ed è risultata chiaramente riconducibile a Letta. Così come sono "perfettamente coincidenti" date e altre circostanze citate nella lettera e poi riscontrate nelle intercettazioni e nelle informative dei carabinieri del Ros. 

L'altra prova: la mail di Verdini a Letta. Non solo, la procura ha in mano anche molti altri documenti. 
Tra questi, un'altra lettera questa volta inviata da Verdini (attraverso la mail del credito fiorentino) a Letta e datata sempre 22 maggio: "Caro Gianni, a seguito dell'incontro con Fusi, presidente della Baldassini Tognozzi Pontello s. p. a., Ettore Barattelli (dell'omonima azienda), il direttore della cassa di risparmio dell'Aquila Rinaldo Tordera e il suo vice Angelo Fracassi, ti invio l'informativa sul consorzio Federico II come tu mi avevi richiesto. Ti prego di contattarmi al più presto perché tutti i partecipanti all'incontro sono rimasti favorevolmente impressionati dalla tua cortesia e dal tuo sincero interessamento, che corrisponde al loro sentimento di abruzzesi. Potrai notare l'enorme professionalità e potenzialità del consorzio e il forte radicamento territoriale e come ricorderai, il prezioso sostegno della cassa di risparmio dell'Aquila. Denis Verdini". 

Ci sono anche altri risconti, indizi e prove. La riunione che si tenne effettivamente a palazzo Chigi il 12 maggio 2009 tra Letta, Verdini, Fusi e gli altri imprenditori abruzzesi (incontro che fu confermato sia da Verdini che da Fusi durante gli interrogatori); la costituzione del consorzio appena tre giorni dopo l'incontro con Letta; il successivo incontro tra Bertolaso e il consorzio il 3 giugno del 2009. E poi gli appalti: i lavori della caserma Capomizzi (11 milioni di euro) e i lavori per la scuola Carducci (7 milioni di euro). 

Il pm: serrata azione di condizionamento degli appalti. "Altro che semplice raccomandazione  -  conclude Gallo nel ricorso  -  vi fu una serrata attività di orientamento e condizionamento delle scelte statuali per l'affidamento dei lavori post-sisma". Fin qui i fatti. Al momento dal palazzo di giustizia dell'Aquila non emerge di più. L'indagine è coperta dal più stretto riserbo e non è dato sapere se, formalmente, il nome di Letta sia stato effettivamente iscritto nel registro degli indagati. Certo è che questa volta la nuova inchiesta della procura dell'Aquila è incentrata sulla sua lettera e sulle presunte pressioni per affidare gli appalti del post terremoto.