sabato 17 dicembre 2011

La Consulta inguaia Bossi: via l’immunità sul tricolore.


RomaNon sono più coperte da immunità parlamentare alcune dichiarazioni di Umberto Bossi di dieci anni fa, che la Camera aveva dichiarato protette dall'ombrello dei deputati ma che ora la Corte Costituzionale, con una sentenza pubblicata ieri, ha consegnato alla giustizia. 

La Consulta ha infatti annullato la delibera della Camera su Bossi. Le dichiarazioni incriminate riguardano una pesante critica che Bossi aveva rivolto al giudice di Cantù, Paola Braggion, la quale lo aveva condannato per vilipendio della bandiera. Il leader leghista aveva infatti detto che il tricolore andrebbe usato come carta igienica, con un linguaggio non da salotto, come d'abitudine. Braggion aveva chiesto il risarcimento danni a Bossi e la Corte d'appello di Brescia lo aveva condannato a pagare 40mila euro al magistrato. Bossi impugnò la sentenza e la Camera approvò una delibera in cui si dichiarava che le affermazioni del capo del Carroccio non erano perseguibili, in quanto espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari. Ma a quel punto la Cassazione ha sollevato il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera e ora la Consulta lo ha accolto, escludendo l'immunità parlamentare. 
Le dichiarazioni di Bossi, che gli erano costate la condanna per vilipendio, risalgono al 26 luglio 1997, quando nel corso di un comizio a Cabiate (Como) il leader della Lega notò la bandiera italiana che sventolava da una scuola vicina e disse: «Quando vedo il tricolore mi incazzo. Il tricolore lo uso per pulirmi il c...». La condanna arrivò nel 2001: un anno e quattro mesi per vilipendio della bandiera. Nei giorni seguenti il Senatùr in diverse interviste si scagliò contro il giudice Braggion, accusandola di strumentalizzare il proprio ufficio per incidere sulla competizione politica.
Braggion chiese il risarcimento danni, ma la Camera sollevò Bossi da ogni responsabilità giuridica. «Non spettava alla Camera - rileva ora la Corte Costituzionale nella sentenza - affermare che le dichiarazioni rese dall'onorevole Umberto Bossi costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni». 


http://www.ilgiornale.it/interni/la_consulta__inguaia_bossi_via_limmunita_tricolore/17-12-2011/articolo-id=562746-page=0-comments=1

Frequenze tv, sì del governo all'asta Berlusconi: da Mediaset neanche un euro. - di Marco Conti




Silvio Berlusconi

ROMA - «Il nostro appoggio è stato sempre fuori discussione ma qui c’è il problema della tenuta del Pdl». L’ex ministro è nel cortile di Montecitorio dove è più facile inviare sms per bloccare i molti deputati pronti a salire su un aereo o su un treno per rientrare a casa prima del voto di fiducia finale. In aula il partito di Alfano ha già perso pezzi nel primo voto e, soprattutto, ha lasciato che alcuni deputati votassero contro, come Stracquadanio e Mussolini, e altri si astenessero come Martino e Moles. «Non possiamo lasciare alla Lega il monopolio dell’opposizione. Così come non possiamo permettere che il Pd recuperi il dissenso grazie alla Cgil». Il ragionamento del Cavaliere sembra però più il frutto di una presa d’atto che di una strategia e sconta la matta voglia degli ex di An di votare contro. «Se toccavano i tassisti e le farmacie l’avremmo mandato sotto», insinua un deputato romano cresciuto in via della Scrofa.


La decomposizione del centrodestra, si materializza in serata, quando la Camera vota un emendamento dell’Idv e della Lega che annulla la distribuzione gratuita delle frequenze e stabilisce l’asta.Un colpo basso che il disorientato gruppone guidato da Fabrizio Cicchitto, incassa con un sommesso brusio che taglia i banchi. Berlusconi non è in aula al momento del voto, ma si aspettava il colpo basso del Carroccio frutto, a suo giudizio, anche della guerra più o meno sotterranea che contrappone nella Lega il capogruppo Reguzzoni all’ex ministro Maroni che da tempo vorrebbe un suo uomo alla guida del gruppo leghista di Montecitorio. «L’asta non mi interessa e Mediaset non tirerà fuori un euro», continua a sostenere il Cavaliere poco o nulla turbato per il voto sull’ordine del giorno che di fatto non cambia nulla.

La sfida lanciata dalla Lega è però solo la prima di una lunga sequenza di colpi sotto la cintura che mirano ad innervosire il Pdl, ma non scalfiscono l’accordo fatto da Berlusconi con Monti prima del primo voto di fiducia e che sostanzialmente, raccontano a palazzo Grazioli, impone al governo di non intervenire sul sistema radio-televisivo. Ieri sera Berlusconi si diceva «tranquillo» con i suoi. Al punto da sbracciarsi e spiegare che con quel «disperato non volevo offendere il governo e Monti. Anzi, era un modo per condividere difficoltà che ben conosco». Malgrado gli sforzi di Berlusconi e Bossi, l’alleanza di centrodestra, così come è stata sino al 2008, non c’è più e, viste le assenze in aula di ieri, potrebbero essere tutti in salita i prossimi appuntamenti in aula. A cominciare dal voto di giovedì prossimo sull’uso delle intercettazioni che riguardano l’ex ministro Romano e dal voto in commissione che dovrebbe autorizzare o meno l’arresto di Cosentino. La Lega è infatti pronta a schierarsi con Idv e Pd pur di dare un pesante segnale all’alleato. Non solo, ma incassata una manovra che alla fine scontenta più il Pd che il Pdl, Berlusconi teme che al prossimo giro, ovvero sul pacchetto crescita e liberalizzazioni, sia il centrodestra a dover pagare il prezzo più alto con un Pdl chiamato a dare prova di unità su tassisti, municipalizzate e farmacie. Uno scenario che solletica l’ala centrista del partito di Alfano che da tempo medita l’emarginazione degli ex An.

venerdì 16 dicembre 2011

Pdl, Stefania Craxi passa al gruppo Misto “E’ finito e Berlusconi non se n’è accorto”.






Il Cavaliere si è detto amareggiato dalla decisione dell'ex sottosegretario agli esteri. Ad abbandonare definitivamente il partito anche Letizia Moratti, dopo appena due anni di iscrizione. L'ex sindaco di Milano sta dialogando con il Terzo Polo: ieri due incontri a Roma con Gianfranco Fini


Silvio addio. Dopo Letizia Moratti, che a novembre non ha rinnovato l’iscrizione al Pdl dopo appena due anni, anche Stefania Craxi lascia il partito. E se l’ex sindaco di Milano sta da tempo dialogando con i vertici del Terzo polo (mercoledì ha incontrato il presidente della Camera) la primogenita di Bettino Craxi nega di guardare al partito di Gianfranco Fini (“non è un riformista”) e si iscrive al gruppo Misto, nel giorno della fiducia al governo di Mario Monti.

“Lascio il Pdl. Un ciclo è finito, l’alleanza di centrodestra non esiste più e Berlusconi purtroppo non se ne è accorto”. Il suo addio segna la fine di un rapporto familiare oltre che politico. Ma la primogenita di Bettino Craxi è critica da mesi con il Cavaliere. “Berlusconi è al tramonto, esca di scena”, disse lo scorso aprile. “Deve smetterla di raccontare barzellette oscene”. Nelle ultime settimane ha bocciato la riorganizzazione interna del partito, a suo avviso inutile perché Berlusconi conserva “poteri straordinari, diventa Lord protettore del partito”. Dunque l’addio. “Ho aspettato venti giorni che qualche dirigente ponesse un interrogativo su questa decisione”. Ed ha atteso anche un incontro con l’ex premier: “Ho chiesto più volte un appuntamento, senza mai ottenerlo”. Eppure oggi Berlusconi si è detto “amareggiato” dalla decisione di Stefania Craxi. “Conosco la storia di Stefania e conoscevo bene suo padre”, ha confidato ad alcuni deputati in aula.

Il legame tra le due famiglie, di fatti, parte da lontano. Bettino Craxi e la moglie Anna furono i testimoni di nozze di Berlusconi e Veronica Lario. Dai banchi del governo, il leader del Psi, salvò per decreto le tv del Cavaliere che poi lo difese ai tempi di Tangentopoli. Poi i figli. Stefania è eletta alla Camera nel 2006 con Forza Italia, nominata sottosegretario agli Esteri nel governo del 2008, si schiera al fianco di Berlusconi contro gli “attacchi da parte della magistratura” ma assumendo spesso posizioni critiche. Il passaggio di mano della guida del partito ad Angelino Alfano aveva lasciato sperare, spiega oggi Stefania Craxi, un cambiamento di rotta. Mai realmente avvenuto. “Il Pdl non ha una linea politica, finché Berlusconi ne sarà proprietario Casini non scenderà a patti”, afferma oggi. “Con una atto di generosità – prosegue l’ex sottosegretaria – Berlusconi avrebbe dovuto permettere al Pdl di diventare un vero partito politico, ma questo non è avvenuto”. Secondo Craxi “il 14 dicembre di un anno fa Berlusconi avrebbe dovuto mediare con Fini, compattare la maggioranza e procedere con il programma di riforma e non rimanere arenati per un anno su scandali e questioni giudiziarie. Berlusconi dovrebbe andarsene ora dal partito”. Ma, garantisce Craxi, nessuna apertura al leader di Futuro e Libertà. L’intenzione è quella di creare una vasta area di riformisti” e “Fini non sarà compreso nei riformisti”.

Chi invece guarda con interesse a Futuro e Libertà è l’ex sindaco di Milano. Ieri Letizia Morattiha incontrato Fini a Roma come preludio a una collaborazione con la forza centrista. Il faccia a faccia nella Capitale ha scatenato in Consiglio comunale una ridda di voci e recriminazioni da parte degli ex alleati verso la candidata del centrodestra alle ultime elezioni amministrative. L’accusa è di tradimento.

Nel pomeriggio la Moratti ha infatti avuto una serie di incontri a Roma con i vertici di Fli e un doppio faccia a faccia con Fini, prima alla Camera e poi a pranzo nell’appartamento della terza carica dello Stato. Tutto sembra confermare il definitivo addio al Pdl. Un amore, quello per il partito del Cavaliere, che non è mai scoppiato o che comunque è andato in pezzi in tempi record. Sono infatti passati due anni e due giorni dalla consegna, dalle mani dell’allora premier Silvio Berlusconi, della tessera del Popolo della Libertà, tessera che poi non era stata rinnovata. Era il 13 dicembre 2009 (il giorno dell’aggressione a Berlusconi) e la Moratti, allora sindaco di Milano da tre anni, saliva sul palco allestito in piazza Duomo per entrare ufficialmente nel partito. Da allora le incomprensioni furono continue ed esplosero dopo la sconfitta alle elezioni per la riconferma a Palazzo Marino.

Recriminazioni che sono tornate a galla ieri, tra gli scranni del Pdl in Consiglio comunale, dopo la notizia dell’incontro con Fini. L’ex sindaco non è stata infatti solo accusata di tradimento, ma di aver causato la sconfitta del centrodestra nella città simbolo del berlusconismo. “Ci spiace che la Moratti non abbia preso questa decisione prima della campagna elettorale. Avremmo scelto – attacca il vice-coordinatore cittadino Marco Osnato – una persona più rappresentativa del nostro elettorato”. Anche Riccardo De Corato, suo vice per cinque anni, si dice dispiaciuto, ma poi ribatte: “Sarebbe bastato che avesse avuto le idee più chiare prima, così ci saremmo salvati anche noi”.

Moratti “dovrebbe chiarire la sua scelta con quel 42% dei milanesi che l’hanno votata come candidata di una coalizione – prosegue l’ex vicesindaco – che ora abbandona e tradisce”. Il capogruppo Pdl Carlo Masseroli ironizza invece sulla sua presenza in aula (14 sedute su 38, ovvero il 37%) come capogruppo e unica eletta della sua lista civica. “Non sentiremo la sua mancanza in aula – afferma ironico – dove non si è rimboccata le maniche nelle battaglie dell’opposizione”. Più caustici invece il leghista Matteo Salvini e il presidente del Consiglio comunale Basilio Rizzo (Fds). Il primo giudica il possibile passaggio dell’ex sindaco al Terzo Polo come “una fine veramente misera” da “gente con lo stomaco felpato” che “non fa di certo palpitare il cuore dei milanesi, nè tantomeno quello della Lega”. Il secondo invece scherza parodiando uno spot di successo: “Vedere Letizia Moratti consigliere del gruppo Manfredi Palmeri (ex Pdl poi passato nel Terzo Polo e suo avversario alle scorse comunali, ndr) non ha prezzo”.

Istat: Italia piu' vecchia e piu' disoccupata.







E il numero dei nuovi nati italiani e' il piu' basso dal '95.


Milano - Nel 2010 si contano ben 596 mila disoccupati in più rispetto al 2007. E' quanto emerge dal confronto dei dati Istat presenti nell'Annuario statistico italiano 2011. In tre anni, l'aumento delle persone in cerca di un posto di lavoro è stato del 39,6%


E' un fenomeno che riguarda tutte le classi d'età ed è particolarmente significativa anche nella fascia centrale (+8,1%, pari a 63 mila in più tra i 35 e i 54 anni rispetto a un anno prima). Eppure ben quattro disoccupati su dieci risultano essere Under trenta. I giovani disoccupati sotto i 30 anni sono 834 mila, ovvero il 39,7% del totale.


Ma l'Istat attraverso l'annuario statistico evidenzia anche altri dati preoccupanti. Italia sempre più paese "anziano", con le nascite che continuano a calare, con 6 cittadini su 100 che sono ultraottantenni, e con una fuga dal matrimonio (meno 13 mila) anche se si preferisce ancora la cerimonia tradizionale in chiesa. 


La natalità in Italia diminuisce e l'aumento della popolazione è dovuto soltanto agli arrivi di stranieri. Nel 2010, con 561.944 nuovi bebé tocca il livello minimo dal 2006 (quando furono 560.010). I nuovi nati italiani nel 2010 sono stati 483.862 mentre gli stranieri sono stati 78.082. Il numero dei nuovi nati italiani è il più basso dal '95, inizio delle serie storiche. (R.R.)


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Proiettili al governo: ritirate manovra o non dormirete tranquilli.


Dieci missive firmate Movimento armato proletario inviate anche a Berlusconi e a diversi direttori di giornali.


TMNews

Lamezia Terme, 16 dic. (TMNews) - "Vi faremo maledire queste misure col sangue". È questa una delle frasi contenute nelle dieci missive indirizzate a politici e giornalisti, tra i quali anche il premier Monti e l'ex premier Berlusconi, intercettate ieri a Lamezia Terme nel centro di smistamento delle poste calabresi e che al loro interno oltre al volantino di minacce contenevano anche un proiettile.

"Non dovrete più dormire sonni tranquilli. Il piombo non manca, adesso arriva anche il tritolo dagli amici arabi. Ve la faremo pagare a tutti, vi colpiremo e sarà una guerra all'ultimo sangue", si legge ancora.

Tutte le dieci missive sono siglate Movimento armato proletario. "E' una lotta giusta, è coerente contro i poteri forti a difesa della povera gente. La finanziaria è pronta - prosegue ancora la nota al vaglio ora della magistratura - come è pronto anche il loro funerale. Ci vedremo a Roma e non siamo contro le forze dell'ordine però se c'è qualcuno che vuole fare l'eroe pensi prima alla sua famiglia".

Nella missiva, il Movimento armato proletario muove accuse contro la manovra appena approvata dal governo Monti: "Le misure prese per colpire sempre i più deboli non devono essere approvate, se non con modifiche radicali a difendere quel poco che le fasce deboli hanno. Ma vi rendete conto che colpite gli operai con le loro famiglie che sono già sul lastrico?".

Tutta la documentazione è stata sequestrata dalla polizia postale di Lamezia Terme e dalla Digos della questura di Catanzaro, diretta dal vice questore aggiunto Marinella Giordano, e adesso è al vaglio della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, che ha ricevuto gli incartamenti dalla procura ordinaria di Lamezia Terme, intervenuta in un primo momento. Lo stesso procuratore Lombardo ha garantito l'impegno ad un'attenta valutazione del contenuto delle missive cercando di arrivare quanto meno al sito di provenienza.

Intanto dalla indagini è emerso che il centro di stoccaggio delle poste di Lamezia Terme smista la corrispondenza in arrivo e in partenza solo della Calabria. Tra i destinatari dei plichi anche il ministro del Welfare Elsa Fornero i leader del Pd Pierluigi Bersani e dell'Udc Pier Ferdinando Casini. Lettere minatorie sono state indirizzate anche al direttore di "Libero" Maurizio Belpietro, quello della "Padania", il direttore del "Corriere della Sera", Ferruccio De Bortoli, il direttore di "Repubblica" Ezio Mauro, e del "Tempo", Mario Sechi.

Si stringe il cerchio su Messina Denaro, undici arresti nella roccaforte del boss.






Palermo - (Adnkronos) - Vasta operazione dai Carabinieri del Ros a Campobello di Mazara. In carcere anche il sindaco Ciro Caravà, accusato di associazione mafiosa. Secondo gli investigatori avrebbe pagato decine di biglietti aerei ai familiari dei boss detenuti al Nord e distribuito appalti alle ditte dei clan.


Palermo, 16 dic. - (Adnkronos/Ign) - Si stringe il cerchio attorno al boss mafioso Matteo Messina Denaro, nuovo capo indiscusso di Cosa nostra latitante dal 1993. Alle prime luci dell'alba una vasta operazione antimafia nel trapanese, condotta dai Carabinieri del Ros, ha infatti poprtato all'esecuzione di undici ordinanze di custodia cautelare.
In carcere anche il sindaco di Campobello di Mazara (Trapani), Ciro Caravà, accusato di associazione mafiosa. Secondo gli inquirenti, la famiglia mafiosa di Campobello di Mazara avrebbe tenuto uno "stretto collegamento" con il boss latitante e "attraverso un pervasivo controllo del territorio" sarebbe riuscita a "infiltrare progressivamente le attività imprenditoriali ed economiche dell'area".
Per non destare sospetti il sindaco aveva deciso di fare costituire il Comune parte civile nei processi a carico di Messina Denaro e nelle occasioni ufficiali si scagliava contro Cosa nostra. "In realtà - ha spiegato il procuratore aggiunto Maria Teresa Principato - dava il suo sostegno economico alle famiglie mafiose del territorio vicine a Matteo Messina Denaro". Sono infatti numerose le intercettazioni a tirare in ballo il primo cittadino. In una conversazione la moglie di un boss spiega al marito che proprio grazie a Ciro Caravà avrebbe ottenuto in regalo i biglietti aerei per raggiungere il congiunto nel carcere del Nord Italia. Non solo. Gli inquirenti sono convinti, inoltre, che il sindaco Caravà avrebbe distribuito ai mafiosi anche lavori e appalti del Comune. Come emerge dall'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Maria Pino, già nel 2006 Caravà era stato denunciato per estorsione e voto di scambio. Ma l'inchiesta finì con un'archiviazione. Nel 2008 il Viminale inviò gli ispettori al Comune per verificare eventuali infiltrazioni mafiose. Caravà è stato rieletto primo cittadini nel giugno scorso.
Le altre 10 persone inserite nell’ordinanza di custodia cautelare del gip di Palermo sono accusate a vario titolo di associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni. L'operazione "potrebbe contribuire a destabilizzare il meccanismo che continua a proteggere il boss, spesso difficile da penetrare", ha detto il Procuratore capo di Palermo Francesco Messineo a margine della conferenza stampa per gli arresti di oggi. "E' un'operazione importante - dice ancora - perché alcuni soggetti coinvolti sono riferibili proprio a Messina Denaro. Spero che concorra a chiarire il meccanismo di complicità che segue il latitante". Denaro, ha infatti detto Messineo all'Adnkronos "puo' contare su una rete di fiancheggiatori che svolgono il 'compito' gratis, senza chiedere nulla in cambio, una sorta di adesione ideologica alla figura del latitante. C'è quasi un impegno collettivo di protezione nei suoi confronti".
Dall'inchiesta, coordinata dal Procuratore aggiunto di Palermo Maria Teresa Principato, dai pm Marzia Sabella e Pierangelo Padova, è emersa che una vera e propria 'mitizzazione' del boss. "Dalle numerose intercettazioni, telefoniche e ambientali, non solo nell'ambito dell'inchiesta di oggi ma anche in altre indagini -spiega il capitano Pierluigi Giglio, comandante del nucleo operativo dei carabinieri di Trapani - ci siamo resi conto che ci sono tantissimi cittadini di Castelvetrano (Trapani, ndr) che hanno una sorta di adorazione per Messina Denaro. E non parlo soltanto di uomini vicini a Cosa nostra ma di persone della media borghesia e di studenti che nulla hanno a che vedere con Cosa nostra. Insomma, c'è una sorta di mito nei confronti del boss".
Nel corso dell'operazione, sono finiti in manette anche il boss di Campobello, Leonardo Bonafede inteso 'u zu Nardino', ed altri componenti del clan: Filippo Greco, noto imprenditore di Campobello ritenuto il consigliere economico della cosca, Cataldo La Rosa e Simone Mangiaracina. L'ordinanza è stata eseguita anche nei confronti di Calogero Randazzo, Gaspare Lipari e Vito Signorello.


Il governo vara il decreto svuota-carceri E il ministro Severino apre all'amnistia.


«Non contrasterò eventuali iniziative parlamentari in tal senso». Col pacchetto presto fuori circa 3300 detenuti.




ROMA - Domiciliari a 18 mesi dal fine pena e stop alle cosiddette "porte girevoli", il diffuso fenomeno che riguarda i detenuti (per esempio chi viene arrestato in flagranza di reato) che entrano in carcere per la sola immatricolazione. Sono queste le due più importanti novità contenute nel pacchetto del ministro della Giustizia Paola Severino, appena approvato dal Consiglio dei Ministri. E la Severino apre anche a una eventuale amnistia o indulto: «Se il Parlamento deciderà di adottarlo non contrasterò».

Decreto svuota-carceri. Il pacchetto contiene quindi provvedimenti per affrontare la cosiddetta emergenza carceri sovraffollate e misure per velocizzare la giustizia civile. Approvato anche un disegno di legge sulla depenalizzazione e le misure alternative alla detenzione. Il prolungamento a 18 mesi del periodo di «fine pena» da scontare ai domiciliari porterà, secondo i calcoli di via Arenula, alla liberazione graduale di circa 3mila 300 detenuti e a un risparmio fino a 380mila euro al giorno. 

Stop alle "porte girevoli". L'uscita dal circuito penitenziario di chi entra in carcere per la sola immatricolazione per poi essere scarcerato o inviato ai domiciliari (le "porte girevoli", appunto), riguarderebbe circa 21mila detenuti ogni anno. «Ci sono 21mila detenuti che entrano ed escono dal carcere nel giro di tre giorni - ha detto il ministro Severino al termine del Cdm - Abbiamo pensato a una soluzione limitata a reati che hanno una contenuta offensività e che destano un relativo allarme sociale. Nel giro di 48 ore questi detenuti andranno davanti al giudice e al pm, che potranno decidere se disporre i domiciliari, la libertà o la detenzione in carcere. Oggi il periodo è il doppio, in carcere si può trascorrere fino a 96 ore. E comunque col nuovo provvedimento non si dovrà transitare per il carcere per quel breve lasso di tempo». 

Domiciliari fino a 4 anni. Per i reati con una pena massima fino a 4 anni, ha aggiunto il ministro, sarà possibile a discrezione del giudice applicare la condanna alla «reclusione detentiva ai domiciliari». 

Severino: primo problema è sovraffolamento. «Il sovraffollamento delle carceri è il primo dei miei pensieri ed è per questo che ho scelto lo strumento del decreto legge. È tempo di mettere mano a una seria riforma del sistema penitenziario ma sarei una sognatrice se pensassi di poterlo fare con le forze che mi accompagnano e con i tempi brevi di questo governo». Il ministro Severino ha annunciato un aumento dello stanziamento per la Giustizia di circa 56 milioni di euro.



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