martedì 10 gennaio 2012

F35? NO, GRAZIE. PREFERISCO PIU’ SCONTRINI. - di Anna Maria Russo







Che bel modo di iniziare l’anno! Ci hanno ripetuto allo sfinimento che dobbiamo …accettare gli aumenti e le tasse con spirito di sacrificio per il bene della nazione e che, per emergere dal baratro sconfinato della crisi, occorrono le ormai fatidiche lacrime condite con un po’ di sangue e noi a piangere perché così usciamo più in fretta dall’oscurità.
Poi, però, si scopre che le nostre lacrime e il nostro sangue servono anche a concedere alla nazione qualche piccolo “eccentrico” lusso, quel futile e superfluo che NOI ci siamo preclusi a Natale regalando solo cose utili… Come definireste, se non inutile, l’acquisto di N. 131(perché proprio 131?) caccia bombardieri F35 Lockheed all’esiguo costo cadauno di 200milioni di euro per un totale di spesa di più di 26 miliardi (praticamente una finanziaria!!!)? Ho fatto la moltiplicazione con la calcolatrice per sicurezza visto che in tutti gli articoli che ho letto si conferma il costo unitario ma si parla di una spesa che non supera i 20miliardi: forse ci sono i saldi…. E noi piangiamo…
A cosa servono 131 caccia bombardieri F35 Lockheed? Come si usano? Qualcuno ci minaccia e ce lo nascondono? La Merkel vuole ridurre lo spread invadendoci o si è arrabbiato Sarkozy perché Fiorello lo ha preso in giro in tv? O è in programma una invasione aliena? Da chi dobbiamo difenderci? Chi dobbiamo attaccare?
Qualcuno mi spieghi per favore perché blocchiamo l’adeguamento delle pensioni, aumentiamo la benzina, la luce il gas, reintroduciamo l’ici per poi spendere26miliardi in giocattoli ipertecnologici?
Mi è venuta una idea… Si parla tanto di lotta all’evasione fiscale, ma attualmente la Guardia di Finanza può contare solo su 65mila unità: troppo poche per rendere ordinarie le operazioni tipo quella recente di Cortina dove in un solo giorno magicamente i negozi, a seguito della “visita” in città degli ispettori dell’Agenzia delle Entrate, hanno moltiplicato del 400% l’emissione di scontrini rispetto allo stesso giorno dell’anno precedente. Magia che potrebbe ripetersi più spesso se invece di 131 aerei ci concedessimo il lusso molto più proficuo di assumere e formare altri 65mila finanzieri. Che ne dite? Immaginate quanti scontrini e fatture si moltiplicherebbero per incanto e quante entrate per lo Stato che non dovrebbe più far affidamento sulle lacrime e il sangue dei soliti noti…
Avete ragione: non è un’idea fattibile. Stavolta l’ho sparata troppo grossa. Altro che visione, è utopia pura! Dopo Cortina,infatti, si sono scatenate polemiche violente, alcuni hanno parlato addirittura di Stato di Polizia (???) e persino la stessa Guardia di Finanza ha manifestato perplessità.
Io non capisco: si polemizza se si scovano gli evasori, si acquistano aerei da caccia, i parlamentari non cedono sulla riduzione, anche minima, delle loro indennità (giusto un atto simbolico) e ai poveri mortali si chiedono lacrime e sangue?

Il Paese del gioco d'azzardo dove a vincere sono solo le mafie. - di Norma Ferrara



Sale Bingo, scommesse clandestine, videopoker, slot machine. Il mondo del gioco d'azzardo è interesse della criminalità organizzata. Piu' di un interesse. Un vero e proprio affare. Spesso gestito in regime di monopolio. Con un giro d'affari sottostimato di dieci miliardi di euro all'anno. E che non conosce confini. Da Chivasso a Caltanisetta, attraversando la via Emilia e la Capitale, sono 41 i clan nel Belpaese che gestiscono la “grande roulette”». Così la rete di associazioni di Libera racconta in un passaggio del dossier “Azzardopoli” la costante e penetrante presenza delle mafie e del malaffare in quella che le cifre testimoniano essere la “terza impresa” del paese con un giro di affari di 86mld di euro: il gioco d'azzardo. 

Il una ampia ricerca curata dal giornalista Daniele Poto l'analisi della situazione nel Paese che – dichiara alla conferenza stampa alla Fnsi, Poto – è il primo Paese in Europa per numero di giocatori e il terzo nel mondo. L'analisi di Libera affronta il tema a partire da tutti gli aspetti che lo caratterizzano: la dipendenza dal gioco e del gioco d'azzardo in particolare, il controllo da parte della criminalità organizzata di stampo mafioso di questo settore ma anche il disagio sociale e l'impoverimento delle famiglie che spesso finisco per diventare vittime di questo business sempre più gestito dai clan. Secondo il rapporto gli italiani spendono circa 1260 euro procapite per tentare la fortuna, per raddoppiare i soldi e si stimano 800mila persone dipendenti da gioco d'azzardo e quasi due milioni di giocatori a rischio. Un dossier – quello di Libera – che si avvale dei dati istituzionali, quelli delle forze dell'ordine ma anche di molte ricerche già effettuate in questi anni da associazioni, gruppi di cittadini, psicologi e operatori del sociale. 

Gioco d'azzardo, corruzione della speranza. «Da più di 15 anni – dichiara il presidente di Libera e Gruppo Abele, Luigi Ciotti – abbiamo denunciato il rischio, oggi certezza, che il gioco d'azzardo, così come è stato per le sostanze stupefacenti, diventasse una dipendenza, un disagio sociale e un luogo di malaffare criminale. Oggi ci troviamo in ritardo, a dover prendere atto che nulla è stato fatto e invece c'è urgenza di fare e fare bene al più presto sotto l'aspetto legislativo ma anche delle politiche sociali». Il presidente di Libera sottolinea i tanti aspetti sociali in cui incide, profondamente, l'abuso del gioco d'azzardo così come oggi si è diffuso nella società, trasformandosi in un businessa appetibile da numerosi clan e sottolinea: «quella del gioco d'azzardo è una forma di corruzione della speranza, nei dati che emergono dal rapporto che Libera presenta oggi, emerge soprattutto un problema di natura etica, culturale, morale e politica. E' stato dimostrato in questi anni – continua Ciotti – che il danno sociale e individuale che questi giochi d'azzardo arrecano alla società sono di gran lunga maggiori dei guadagni che lo Stato riesce a trarre da essi». Dipendenza e indebitamento sono i due problemi sociali che maggiormente sono collegati all'abuso nell'uso di videopoker, slot – machin – gratta e vinci, sale bingo. E a questo “costo sociale” elevato e ancora oggi sottovalutato si passa all'inquinamento ormai conclamato di questo business da parte delle mafie, presenti in tutta la “filiera” che gestisce buona parte del gioco d'azzardo. 

Azzardo, nuova frontiera del business criminale. A parlarne durante la conferenza stampa di presentazione di “Azzardopoli” è il magistrato della Direzione nazionale antimafia, Diana De Martino. «Sono circa 41 i clan coinvolti in operazioni direttamente o indirettamente collegati a questo business in diverse città italiane a dimostrazione che il gioco d'azzardo è oggi la nuova frontiera per le mafie, il nuovo business che unisce bassi rischi e massimo rendimento». Sono dieci le direzioni distrettuali antimafia che nell'ultimo anno hanno effettuato indagini: Bologna, Caltanissetta, Catania, Firenze, Lecce, Napoli, Palermo, Potenza, Reggio Calabria e Roma. Nel 2010 sono state 6.295 le violazioni riscontrate dalla Guardia di finanza: oltre 8mila le persone denunciate, 3.746 i videogiochi irregolari sequestrati (alla media di 312 al mese) e 1.918 i punti di raccolta di scommesse non autorizzate o clandestine scoperti, il 165% in piu' rispetto all'anno precedente. «Sono tante, svariate e di vera fantasia criminale i modi e le tipologie con le quali le mafie si infiltrano in queste imprese che si occupano della “macchina del gioco”. Dalle infiltrazioni delle società di gestione di punti scommesse, alle Sale Bingo, che si prestano in modo "legale" per diventare invee "lavanderie" per riciclaggio di soldi sporchi, all'imposizione di noleggio di apparecchi di videogiochi, alla gestione di bische clandestine, sino al toto nero e clandestino». E poi ancora «..il grande mondo del calcio scommesse, un mercato che da solo vale oltre 2,5 miliardi di euro. La grande giostra intorno alle scommesse delle corse clandestine dei cavalli e del mondo dell'ippica. Sale giochi utilizzate per adescare le persone in difficoltà, bisognose di soldi, che diventano vittime dell'usura. Il racket delle slotmachine. E non ultimo quello dell'acquisto da parte dei clan dei biglietti vincenti di Lotto, Superenalotto, Gratta e vinci. I clan sono pronto infatti a comprare da normali giocatori i biglietti vincenti, pagando un sovrapprezzo che va dal cinque al dieci per cento: una una maniera "pulita" per riciclare il denaro sporco. Esibendo alle forze di polizia i tagliandi vincenti di giochi e lotterie possono infatti giustificare l´acquisto di beni e attività commerciali. Eludendo così i sequestri».

I clan coinvolti. Tante le operazioni attraverso le quali Libera racconta questo business che assume tratti criminali e coinvolge clan del calibro dei Casalesi, dei Bidognetti, dei Mallardo, dei Santapaola e dei Condello, dei Mancuso, dei Lo Piccolo. Dati illustrati, con precisione dal giornalista Daniele Poto che con Libera ha curato il rapporto includendo anche il lavoro di ricerca fatto dall'associazione Giovanni XXIII del novembre del 2011 - si legge nel rapporto - «ha realizzato una ricerca sulle abitudini al gioco d'azzardo stimando circa un 1 milione e 720 mila giocatori a rischio e ben 708.225 giocatori adulti patologici, ai quali occorre sommare l’11% dei giocatori patologici minorenni e quelli a rischio. Il che significa che vi sono circa 800 mila dipendenti da gioco d’azzardo all'interno di un'area di quasi due milioni digiocatori a rischio. I giocatori patologici dichiarano di giocare oltre tre volte alla settimana, per più di tre ore alla settimana e di spendere ogni mese dai 600 euro in su, con i due terzi di costoro che addirittura spendono oltre 1.200 euro al mese». Tutti dati che hanno un impatto sulla vita di tutti i giorni, sulle persone. Come sottolinea lo psicologo, Mauro Croce, oggi il gioco d'azzardo è diventato un fenomeno di massa che niente ha a che vedere con quel rito “culturale e di tradizione” che era un tempo. E ancora oggi non viene riconosciuta come una patologia da curare ed è ancora largamente negato il diritto a curarsi gratuitamente come per altre dipendenze. 

Una legge sul gioco d'azzardo. Numeri, storie e cifre di un fenomeno complesso, quelle contenute nel dossier di Libera (scarica qui il dossier “Azzardopoli) che affrontano il problema e denunciano i casi più eclatanti in cui le mafie hanno preso la gestione delle slot machine, di biglietti gratta e vinci del “mercato nero” e di altre attività che si rivelano, alla luce di queste cifre, un affare sicuro e redditizio. «Questa è la situazione oggi – conclude Luigi Ciotti – ma questa analisi deve servire soprattutto per agire, per mettere sul tavolo proposte, che abbiamo elaborato con le tante realtà che lavorano su questo tema da anni – e che adesso vanno applicate al più presto». Una proposta articolata in dieci punti, fra gli altri la necessità di una legge quadro che si occupi di inasprire le pene (al momento irrisorie) e prevenire il diffondersi di questa dipendenza dal gioco, una maggiore attenzione a politiche che siano in grado di intervenire prevenendo il fenomeno e i suoi effetti sociali e una più efficace comunicazione e informazione fondamentale per comprendere il fenomeno. (leggi qui le proposte di Libera)



http://www.articolo21.org/4551/notizia/il-paese-del-gioco-dazzardo-dove-a-vincere-sono.html

Roma, un altro processo per i “furbetti”. A giudizio Caltagirone, Ricucci e Fazio.



Le accuse riguardano il rastrellamento di azioni della Banca nazionale del Lavoro per contrastare l'offerta d'acquisto del Banco di Bilbao. Molti degli imputati sono già stati condannati a Milano per la fase della scalata vera e propria.



L'ex governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio
Ancora un rinvio a giudizio per lo scandalo dei “furbetti del quartierino”, emerso nel 2005. Quindici persone saranno processate a Roma per le operazioni relative al tentativo di scalata della Banca nazionale del lavoro da parte del cosiddetto ‘contropatto’, l’accordo occulto messo in atto da immobiliaristi e raider che, tra il 2004 e il 2005, rastrellarono azioni dell’istituto di credito per contrastare gli spagnoli del Banco di Bilbao a un passo dall’acquisto dell’istituto di credito grazie all’appoggio di Generali e di Diego della Valle.

Il gup Giovanni Ariolli ha rinviato a giudizio, tra gli altri, Francesco Gaetano Caltagirone (presidente del patto di sindacato denominato ‘contropatto’), Stefano RicucciVito BonsignoreDanilo CoppolaEmilio GnuttiGiovanni Consorte e Ivano Sacchetti (ex responsabili di Unipol), Gianpiero Fiorani e Gianfranco Boni (di Banca privata italiana), e l’ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio
Il processo prenderà il via il 23 aprile davanti ai giudici della quinta sezione penale del tribunale. Aggiotaggio e ostacolo alle funzioni di vigilanza sono i reati contestati, a vario titolo, dalla procura. Una sanzione di 298mila euro è stata inflitta alla Bpi, che ha patteggiato la pena. Il processo chiamerà in causa anche società e aziende riconducibili a Caltagirone, Coppola e Statuto.

Molti dei rinviati a giudizio sono stati a condannati nell’ottobre del 2011 a Milano per la stessa vicenda, e in parte per gli stessi articoli del codice penale. Tra loro, Consorte, Fazio, Caltagirone, Gnutti, Bonsignore, Ricucci, Coppola e Statuto. Ma a Milano sono stati giudicati i fatti relativi alla la fase della scalata vera e propria, iniziata il 23 maggio 2005, mentre il processo di Roma si occuperà del rastrellamento di azioni Bnl avvenuto prima di quella data.

Balasso testimonial Frecciarossa.

AUGIAS commenta la notizia che Monti si occuperà di rai.

lunedì 9 gennaio 2012

Spot anti-evasione fiscale Grecia.



Nato da un'idea del Ministero delle Finanze greco questo originale video si rivolge prima di tutto alla gente comune affinché si sviluppi una "coscienza fiscale" condivisa.



I MILIARDARI CHE SPECULANO SULL’AVVENIRE DEL PIANETA.




Carlos Slim



Possiedono compagnie petrolifere, gasdotti, miniere, acciaierie e anche i media. Influenzano governi e istituzioni per impedire qualsiasi regolamentazione che sia troppo stringente. 
E sono tra le persone più ricche al mondo. Un rapporto di un centro di ricerca degli Stati Uniti li considera, a causa del loro potere e dell’inquinamento generato dalle loro attività, la più grande minaccia che pesa sull’ambiente e sul clima. Chi sono questi multimiliardari che costruiscono la loro fortuna ipotecando l’avvenire del pianeta?
Sono cinquanta. Cinquanta miliardari su cui viene puntato il dito per la loro responsabilità nella degradazione del clima. Traggono le loro ricchezze da attività molto inquinanti e non esitano a spendere milioni per influenzare i governi e la pubblica opinione. Le loro ricchezze cumulate assommano a 613 miliardi di euro. 
In 50 hanno un peso finanziario superiore ai i Fondi europei di stabilità che sono stati creati per difendere l’eurozona – 17 paesi – contro la speculazione. Questo per dire la forza che possiedono. È questa aberrante concentrazione di potere che viene denunciata da rapporto del Forum Internazionale della Globalizzazione (IFG), un istituto indipendente insediato a San Francisco che raggruppa economisti e ricercatori tra cui l’indiana Vandana Shiva o il canadese Tony Clarke, noti per le loro battaglie contro gli abusi delle multinazionali.
Il loro voluminoso rapporto, Outing The Oligarchy [1], ha l’obiettivo “di attirare l’attenzione del pubblico sugli individui ultraricchi che traggono sempre più profitto – e che sono più responsabili – dell’aggravamento della crisi climatica“. Per l’inquinamento da loro provocato e dalle pressioni che esercitano per difendere i combustibili fossili, questo gruppo di miliardari costituisce, secondo l’IFG, “la più importante minaccia che pesa sul nostro clima“. L’istituto ha deciso di fare i nomi di coloro che formano questa minaccia. Siccome è il 99% a subire le conseguenze del loro arricchimento smisurato – per riprendere la formula del movimento Occupy Wall Street – deve sapere chi stiamo parlando. Una sorta di “outing” forzato.
L’uomo che valeva 63,3 miliardi
Questi cinquanta miliardari sono statunitensi, russi, indiani o messicani. Ma anche brasiliani, cinesi, di Hong Kong o israeliani. Alcuni sono molto conosciuti in Europa: Lakshmi Mittal, Presidente del gigante della metallurgia ArcelorMittal, Rupert Murdoch, il magnate dei media anglosassoni, Silvio Berlusconi, l’ex Primo ministro italiano con 6 miliardi di dollari, Roman Abramovich, proprietario del club calcistico del Chelsea. Altri sono anonimi per chi non è un lettore assiduo della classifica delle grandi ricchezze pubblicate dalla rivista Forbes. Da anonimi riescono a non farsi notare. Possiedono compagnie petrolifere, miniere, media, un esercito di guardie del corpo.
Prendete il Messicano Carlos Slim, l’uomo più ricco del mondo (63,3 miliardi di dollari) che ha approfittato pienamente della privatizzazione della compagnia pubblica Telmex. Detiene 222 imprese in tutto il mondo – nelle telecomunicazioni, nel settore bancario, nell’industria mineraria, nell’energia, nella ristorazione o nel campo sanitario – che impiegano 250.000 persone e generano un fatturato annuo di 386 miliardi di dollari. Tanto che è “quasi impossibile trascorrere una giornata in Messico senza contribuire ad arricchire Carlos Slim, sia che una persona stia telefonando, mangiando in uno dei suoi ristoranti o depositando del denaro in banca“. È come se ogni Messicano gli versasse 1,5 dollari al giorno.
“Una gran parte dalla ricchezza di Carlos Slim deriva dalle sue holding industriali devastanti in campo ambientale“, denuncia il rapporto. Trasferimento forzato delle popolazioni per costruire le dighe, contaminazione di suoli con l’arsenico, distruzione di villaggi, pessime condizioni lavorative. Sembra che le industrie di Carlos Slim non indietreggino davanti a niente. “Le sue collaborazioni, come le sue attività in campo sanitario col governo spagnolo e l’influente Bill Gates, gli permettono di costruirsi e di curare un’immagine positiva dietro la quale può dissimulare l’evidenza dei danni ambienti e umani dei suoi progetti minerari o petroliferi“, denunciano i ricercatori dell’IFG.
Le nuove oligarchie emergenti
Perché questi cinquanta e non Bill Gates (secondo patrimonio al mondo) o Bernard Arnault (il più ricco francese, quarto mondiale)? I miliardari che corrispondono a tre criteri hanno attirato l’attenzione degli analisti: la ricchezza complessiva (misurata dalla rivista Forbes), i danni ecologici e le emissioni di carbonio generati dalle loro attività economiche [2] e il loro sostegno, palese o nascosto, ai politici che favoriscono le attività con forti emissioni di CO2, come l’industria petrolifera. Risultato: i miliardari dei paesi emergenti sono quelli più rappresentati. Si contano solamente due europei, Russia a parte – Silvio Berlusconi e il cipriota (ex-norvegese) John Fredriksen, un armatore che ha costruito la sua fortuna grazie alla sua flotta di petroliere – tra cui ci sono 13 russi, 9 indiani, 3 messicani e 2 brasiliani.
I grandi ricchi europei sarebbero più virtuosi dei loro omologhi dei paesi emergenti? Non necessariamente. La deindustrializzazione e la finanziarizzazione delle economie del Nord le hanno resi meno inquinanti. E i nuovi megaricchi dei vecchi poteri industriali costruiscono oggi la loro fortuna sulla speculazione finanziaria o le nuove tecnologie dell’informazione (Internet). Ciò non rende il loro accumulo di ricchezza meno osceno, solo un po’ meno devastatore. Gli autori del rapporto non esonerano quindi le vecchie dinastie industriali europee dalle loro responsabilità in materia ambientale. Ma, a parte alcuni magnati petroliferi statunitensi, non fanno più parte di questa nuova “oligarchia dei combustibili fossili” che tenta di dettare legge nel campo della produzione energetica, dell’estrazione mineraria e dell’inquinamento. Alcuni miliardari della vecchia scuola, come Warren Buffet, adottano anche delle posizioni piuttosto progressiste se comparate al cinismo ambientale che regna in seno alla loro casta.
Da Goldman Sachs ad ArcelorMittal
Il prototipo di questi nuovi miliardari senza scrupoli: Lakshmi Mittal. Malgrado una fortuna stimata in 19,2 miliardi di dollari, il padrone di Arcelor continua a svuotare di operai gli altiforni francesi ed europei. Non per la preoccupazione di inquinare meno, ma per ” razionalizzare” i costi e approfittare dei paesi dove la regolamentazione pubblica è debole o inesistente. La sua rete di influenza è tentacolare, e arriva fuori dal campo siderurgico: a Wall Street, dove siede nel consiglio di amministrazione di Goldman Sachs, una delle banche più potenti del mondo; in Europa (consiglio di amministrazione di EADS), passando dall’Africa meridionale, il Kazakistan o l’Ucraina.
Come si esercitano concretamente le influenze e la lobby di questi cinquanta mega-inquinatori? Dagli Stati Uniti alla conferenza sul clima di Durban, i fratelli Koch sono diventati degli esperti in materia. Con una fortuna stimata in 50 miliardi di dollari, David e Charles Koch sono alla testa di un vasto conglomerato di imprese che operano principalmente nel settore petrolchimico. I loro dollari si accumulano per milioni grazie alle loro partecipazioni negli impianti che trasportano il petrolio, il gas, i prodotti petroliferi raffinati o anche i concimi chimici. La maggior parte delle attività di Koch Industries, la cui sede è in Kansas, sono ignorate del grande pubblico, eccetto alcuni prodotti come i cotoni DemakUP® o ancora la carta igienica Lotus®. Charles e David Koch hanno alle spalle una lunga storia di impegno politico conservatore e libertariano. Suo padre, Fred Koch, fu uno dei membri fondatori del John Birch Society che sospettava il presidente Eisenhower di essere un agente comunista. Nel 1980 i due fratelli hanno finanziato la campagna del candidato Ed Clark che si presentava alla destra di Reagan. Il loro programma suggeriva l’abolizione dell’FBI, della Sicurezza Sociale o del controllo sulle armi.
I milioni per gli scettici del clima
Considerata come uno dei “primi dieci inquinatori dell’atmosfera negli Stati Uniti” dall’università del Massachusetts, Koch Industries è stata denunciata sotto l’amministrazione Clinton per più di 300 sversamenti in mare in sei Stati federati, prima di accordarsi per una multa di 30 milioni di dollari nel gennaio del 2000. I fratelli Koch riservano un sostegno incondizionato alla cerchia degli scettici del clima che negano il cambiamento climatico. Tra il 2005 e il 2008 hanno speso più denaro della compagnia petrolifera statunitense Exxon Mobil – 18,4 milioni di euro – per finanziare alcune organizzazioni che, secondo Greenpeace, “diffondono notizie errate e false a proposito della scienza del clima e delle politiche in materia energetica“.
In occasione della riunione di Durban, Greenpeace ha inserito i fratelli Koch tra i primi dodici dirigenti di imprese inquinanti che operano in sintonia per minare un accordo internazionale sul clima. Concedono enormi sovvenzioni alle associazioni industriali come l’American Petroleum Institute, un organismo che rappresenta le compagnie petrolifere americane. Anche se il loro ruolo nei negoziati del clima è importante, i fratelli Koch vogliono rimanere nell’ombra. Charles Koch ha dichiarato che bisognerebbe “passargli sul corpo” prima di vedere la sua società quotata in Borsa. Senza una quotazione, la società non ha l’obbligo di pubblicare le sovvenzioni accordate alle diverse organizzazioni. Una situazione ideale per praticare nell’ombra un lobbying intenso. L’azienda ha versato così più di un milione di dollari all’Heritage Foundation, un “pilastro della disinformazione sui problematici climatici e ambientali“, secondo Greenpeace.
I fratelli Koch avrebbero largamente partecipato all’amplificazione del “Climategate” nel novembre del 2009. Questo scandalo era stato scatenato dalla pirateria e dalla diffusione di una parte della corrispondenza dei climatologi dell’università britannica di East Anglia. I Koch hanno finanziato alcuni organismi, come il think tank della destra radicale Cato Institute – di cui sono cofondatori – per montare questa iniziativa, mettendo in dubbio l’esistenza del riscaldamento. Altro fatto essenziale: in risposta al documentario del vicepresidente Al Gore sul cambiamento climatico, i due miliardari hanno versato 360.000 dollari al Pacific Research Institute for Public Policy per il film An Inconvenient Truth… or Convenient Fiction, un libello assolutamente climatoscettico.
Il petrolio nel Tea Party
Koch Industries ha anche iniziato un anno fa una campagna referendaria che vuole impedire l’entrata in vigore della legge californiana per la lotta al il cambiamento climatico (la “AB32″). La loro posizione: lo sviluppo di energie proprie in California costerebbe molti fondi allo stato. Insieme ad altri gruppi petroliferi, i fratelli Koch ci hanno investito un milione di dollari. La loro proposta è stata alla fine rigettata e la legge impone oggi alla California una riduzione del 25% delle emissioni di gas ad effetto serra di qui al 2020 (per tornare al livello del 1990). Malgrado questa sconfitta, il comitato di azione politica di Koch Industries, KochPac, ha continuato a praticare intense pressioni a Washington per ostacolare ogni legge che limitasse le emissioni di gas serra. Secondo il rapporto di Greenpeace, il comitato ha speso più di 2,6 milioni di dollari nel 2009-2010 per condizionare il voto sulla legge Dodd-Frank che ha l’obbiettivo di una maggiore regolazione finanziaria.
I fratelli Koch finanziano anche il Tea Party dei conservatori e partecipano al gruppo Americans for Prosperity (AFP). Creato nel 2004, l’AFP è all’origine di numerose manifestazioni contro l’amministrazione Obama, in particolare contro il suo progetto di tassa sul carbonio. Siccome la Corte Suprema ha tolto nel gennaio 2010 i limiti al finanziamento delle campagne elettorali nazionali da parte delle imprese, i Koch sembrano pronti a investire ancora più denaro nel Tea Party in vista delle elezioni del 2012. Il loro lobbying è così tentacolare che sono soprannominati “Kochtopus”, un gioco di parole che unisce il loro cognome a quello della piovra (octopus in inglese).
Il 99% sacrificato dall’1%?
Per restringere il potere di queste nuove plutocrazie e di queste ricchezze smisurate, il rapporto dell’IFG raccomanda una serie di misure fiscali per assicurare una vera distribuzione della ricchezza: indicizzare gli alti stipendi a quelli più bassi, aumentare l’imposizione sugli alti redditi o tassare le transazioni finanziarie. Sono quindi necessarie nuove leggi per impedire queste enormi concentrazioni societarie e per evidenziare i danni ambientali che provocano.
C’è un’urgenza: “Un aumento di 4°C della temperatura mondiale […] è una condanna a morte per l’Africa, per i piccoli Stati insulari, per i poveri e le persone vulnerabili di tutto il pianeta, avverte Nnimmo Bassey, presidente degli Amici Internazionali della Terra a Durban: “Questa riunione ha amplificato l’apartheid climatico. L’1% più ricco del pianeta ha deciso che era accettabile sacrificare il 99%“. Ciò significa che gli Stati, i governi e i cittadini devono riprendere in mano la situazione. Nel frattempo, sono sempre più sotto pressione di quei “mercati finanziari” di cui questi cinquanta multimiliardari sono attori imprescindibili.