venerdì 13 gennaio 2012

Voli di stato per affari di famiglia: indagato Calderoli, il censore del cotechino di Monti.




L’ex ministro leghista Roberto Calderoli è indagato dal pm romano Emanuele Di Salvo per truffa nei confronti di funzionari della presidenza del Consiglio dei ministri per potere utilizzare un volo di Stato a cui non aveva diritto. Il fatto è avvenuto il 19 gennaio 2011, quando Calderoli ha preso l’aereo di Stato per andare e tornare in giornata a Cuneo, dove è atterrato all’aeroporto di Levaldigi. Il procedimento penale è già incardinato dal 20 luglio scorso al tribunale dei ministri, che ha svolto indagini in proprio, ricevuto una memoria difensiva di Calderoli e accolto le tesi dell’accusa che ipotizza la truffa, attribuendo al ministro un danno da 10.271,56 euro e chiedendo al Senato l’autorizzazione a procedere in giudizio.
L’ex ministro leghista ammette di essere corso a Levaldigi per un’emergenza familiare e non istituzionale: una visita in ospedale al figlio di 10 anni della compagna Gianna Gancia, presidente della provincia di Cuneo. Calderoli si è giustificato però spiegando di avere solo deviato il volo, che sarebbe stato previsto per due impegni istituzionali di quel giorno, che avrebbero preceduto e seguito la visita in ospedale. Per sua sfortuna Calderoli quel giorno è stato pizzicato da un avversario politico: Fabrizio Biolè, il grillino eletto in consiglio regionale del Piemonte. E’ stato lui a presentare un esposto alla procura di Saluzzo, che poi ha girato per competenza a Roma gli incartamenti.
Il tribunale dei ministri ha preso molto sul serio la vicenda, facendo fare indagini a due sovrintendenti di polizia e sentendone un terzo come testimone. Ed è riuscito a ricostruire tutti i fatti, smentendo anche la ricostruzione di Calderoli. La relazione della polizia nega l’esistenza dei due appuntamenti istituzionali rivendicati da Calderoli. E minuziosamente mette in fila i fatti. Primo: l’incidente al figlio della Gancia mentre era in auto con la tata, è accaduto alle 8 del mattino dell’11 gennaio 2011. Ritagli della stampa locale ne riportano al gravità (il bambino si è fratturato i due femori, la tibia e il perone), la corsa al capezzale della madre e l’intenzione di Calderoli di correre a Cuneo, fermato però da una telefonata della compagna che lo rassicurava chiedendogli di restare a Roma, dove gli impegni politici erano più importanti.
Il 13 il bambino avrebbe dovuto essere operato per ridurre le fratture, ma poi l’operazione è stata rimandata al 18 gennaio ed è perfettamente riuscita dopo 5 ore di intervento. Quello stesso 18 gennaio il capo di gabinetto di Calderoli ha chiesto alla presidenza del Consiglio dei ministri l’utilizzo del volo di Stato per il giorno 19 dal mattino alla sera motivando la domanda con “comprovate e inderogabili esigenze di trasferimento connesse all’esercizio di funzioni istituzionali”. E’ la frase che condannerebbe Calderoli. Secondo il rapporto di polizia infatti appena atterrato l’ex ministro è andato a casa della Gancia. Con lei poi è andato in un’altra abitazione dove si è trattenuto per un’ora. Il poliziotto riferisce: “sul citofono non sono presenti denominazioni di pubblici uffici”. Da lì i due sono andati in ospedale dal bambino e poi Calderoli è ripartito subito per Roma. Non avendo diritto all’aereo il ministro non avrebbe compiuto né abuso di ufficio, né peculato per l’utilizzi a fini personali. Il reato di truffa è proprio nella frase usata per avere il permesso dalla presidenza del Consiglio, che secondo i giudici rappresenterebbe un “artifizio e un raggiro idoneo a indurre in errore”. Fine della storia con Calderoli indagato. E la beffa di una autorizzazione a procedere per truffa proprio all’indomani delle sue polemiche sul veglione di Capodanno di Mario Monti a palazzo Chigi. Costato probabilmente meno dei 10 mila euro del volo di Stato..

Impiegata falsa cieca istruiva pratiche all'Asl, arrestata.




PAVIA - Un'impiegata dell'Asl di Pavia, falsa cieca, e' stata arrestata con l'accusa di corruzione e truffa dai carabinieri.
La donna e' indiziata, quale addetta all'ufficio invalidi civili, di aver istruito 135 false pratiche di rimborso per indennità di accompagnamento o per malattie inesistenti, emettendone i relativi ordini di pagamento, e facendosi poi corrispondere parte del denaro dai beneficiari della truffa, e di aver favorito in modo analogo i suoi familiari.
La donna arrestata, Guiduccia Massolini, di 51 anni, e' un'impiegata che lavora all'Asl di Pavia da oltre una decina d'anni, e risiede in provincia di Pavia.
L'arrestata, tra le altre cose, si sarebbe attribuita un rimborso di 5.000 euro inserendosi nei pagamenti Inps dichiarandosi cieca assoluta, avrebbe fatto risultare anche la propria madre non vedente, in modo che percepisse una consistente maggiorazione della pensione e, infine, avrebbe fatto avere al figlio un rimborso per indennita' di accompagnamento per familiari deceduti. Tutte le patologie erano
false.
Il danno all'inps, che ha materialmente proceduto alla liquidazione delle somme non dovute, e' pari a 1.300.000 euro.
Gli accertamenti proseguono e verranno sentite altre 400 persone circa, tra possibili sospettati di aver approfittato delle sue pratiche truffaldine e pubblici ufficiali che potrebbero averla agevolata.

giovedì 12 gennaio 2012

Il nuovo logo.



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Grottesca rivincita del Palazzo. - di Marco Damilano










Il salvataggio di Cosentino. Lo stop al referendum contro il Porcellum. Nello stesso giorno, la vecchia politica si è presa due grandi soddisfazioni. Ma è soltanto l'allegria dei naufraghi. Aspiranti suicidi, a loro insaputa.

Alle 12 e 44 minuti arriva il doppio no della Corte costituzionale ai referendum elettorali. E nell'aula di Montecitorio si vede qualche capopartito che arriccia il baffo di soddisfazione. Un'ora e mezzo dopo, alle ore 14 e 10, arriva anche il no a voto segreto all'arresto di Nicola Cosentino. E questa volta non c'è una contenua soddisfazione: il corpaccione del Pdl esplode in un boato da stadio. Vittoria. Doppia vittoria, per il sistema dei partiti. 


Vittoria di che? Ok, distinguiamo. La Consulta non è il braccio armato della politica. Ma da settimane il tam tam spingeva verso la bocciatura di due quesiti su cui erano state raccolte un milione e duecentomila firme, raccolte in un mese (c'era il Generale Agosto alle spalle) con l'ostilità di tutti i partiti (ricordate Bersani? Abbiamo fatto i banchetti, ripeteva, come se fosse un ingegnere dell'Ikea), sospinte solo dalla tenacia di Arturo Parisi, Antonio Di Pietro, Nichi Vendola e da un fiume di cittadini, ancora una volta inatteso. Cittadini che in ogni caso hanno posto un problema fin qui irrisolvibile per la politica: cambiare una legge elettorale che tutti a parole dicono di ritenere orrenda, vergognosa, schifosa (compresi molti di quelli che l'hanno votata) e che nei fatti tutti hanno interesse a mantenere. 


Il Parlamento che ha salvato Cosentino è figlio di quella legge. Il Porcellum che ha aumentato la distanza degli eletti dagli elettori, fino a renderla siderale. La Casta nasce da qui: non dall'affollarsi dei deputati ai banchi della buvette per scroccare il supplì a prezzo scontato, questo lasciamolo pensare ai qualunquisti, ma dalla loro assenza davanti ai cancelli delle fabbriche o alle assemblee dei precari, a contatto con la rabbia e le speranze dei loro rappresentati. I sondaggi degli ultimi giorni (Ilvo Diamanti su "Repubblica", Nando Pagnoncelli a "Ballarò") danno numeri che suonano come campane a morto per i partiti: meno del quattro per cento degli italiani dichiara di fidarsi di loro, il 45 per cento promette di non andare più a votare. A meno che non nasca qualcosa di nuovo. Qualcosa di simile al partito di Monti. 


Monti non c'era nelle due partite di oggi. Ha sempre detto: la riforma elettorale è roba dei partiti, della politica. A maggior ragione era "cosa loro" il destino di Cosentino. E oggi i banchi del governo, mentre si votava sul coordinatore campano erano disabitati. Deserti. Nessun ministro, neppure un sottosegretario. Naturale, si dirà, neanche un membro del governo è parlamentare. Eppure quell'assenza, vista da Montecitorio, esprimeva una sensazione diversa. Non era un vuoto: era un pieno. Nelle stesse ore, infatti, l'asta dei Bot andava alla grande, la Borsa tornava a volare, il maledetto spread tornava a più miti consigli. E il governo procedeva con le liberalizzazioni. Il vero vuoto della politica era quello dei banchi stra-affollati di deputati. Quel Barani che offende da anni il garofano socialista portandolo al bavero e che oggi ha citato Brecht a sproposito (Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e non dissi nulla, poi gli ebrei, poi i comunisti e gli omosessuali, poi vennero a prendere me e non c'era rimasto nessuno a protestare...poteva ricordarselo quando hanno votato il reato di immigrazione clandestina), quel D'Anna che si immedesimava in Emile Zola, quei baci spudorati, quelle pacche di spalle, il leghista Paolini che si traveste da garantista e macchia il ricordo di Tortora... Monti ha cacciato dal governo il sottosegretario Malinconico in pochi minuti, per un episodio di (grave) malcostume, l'asse Berlusconi-Bossi più alleati di complemento ha votato per dire che la legge non è uguale per tutti, non lo è per un ex sottosegretario accusato di camorra. 


Quei banchi vuoti del governo dovrebbero inquietare chi avrebbe la responsabilità di riformare la politica e non riesce a spostare un francobollo. Oggi la soddisfazione dell'intera classe politica per la bocciatura dei referendum e di una buona parte per il salvataggio di Cosentino svela lo spirito con cui è stato dato il via libera all'operazione Monti. Lasciare al Professore il lavoro sporco e non toccare nulla di quello che andrebbe cambiato nel sistema politico. E poi tornare in sella nel 2013. Non si rendono conto che di questo passo non resterà più nulla. Chi crede nella politica non ama i governi tecnici, tifa perché i politici trovino la strada per autoriformarsi, difende l'istituzione Parlamento da ogni attacco. Ma non si può continuare a lungo a difendere una classe politica che da un lato blinda l'impunità dei suoi boss e dall'altro risponde alla voglia di partecipazione dei cittadini con il sistema elettorale ungherese (che sfiga, oltretutto, amici del Pd, proprio ora che quel modello ha prodotto un governo simil-fascista: come se Berlinguer nel 1973 avesse lanciato il modello cileno). 


Quelle urla di esultanza dopo il voto su Cosentino, quei sorrisetti di sufficienza dopo la pronuncia della Corte, da veri professionisti della politica (ora ci pensiamo noi.. certo, come no, si è visto di quali disastri siete stati capaci)...Ungaretti l'avrebbe chiamata allegria di naufragi. Aspiranti suicidi, a loro insaputa.



http://espresso.repubblica.it/dettaglio/grottesca-rivincita-del-palazzo/2171896/24

Manovre per portare al governo Amato. Trattativa Stato-mafia sentito De Mita. - di Giuseppe Pipitone



Giuseppe Pipitone


L’interrogativo su cui stanno lavorando al momento i magistrati è capire il reale motivo della mancata riconferma del democristiano Vincenzo Scotti al vertice del ministero dell’Interno.


E’ durato un’ora e mezza l’interrogatorio di Ciriaco De Mita davanti ai magistrati palermitani che indagano sulla cosiddetta trattativa tra lo Stato e Cosa Nostra nel periodo 1992 – 1993. Negli uffici della sede operativa della Dia a Roma l’ex presidente del Consiglio è stato infatti ascoltato stamattina come teste dal procuratore aggiunto della Dda di Palermo Antonio Ingroia e dal sostituto Paolo Guido. Un’audizione, quella di De Mita, dai contorni squisitamente politici.

La testimonianza dell’ex segretario della Dc infatti è stata quasi tutta focalizzata sulle manovre politiche che ruotarono intorno alla nascita del governo guidato da Giuliano Amato nel giugno 1992. In particolare l’interrogativo su cui stanno lavorando al momento i magistrati è capire il reale motivo della mancata riconferma del democristiano Vincenzo Scotti al vertice del ministero dell’Interno, ruolo che aveva ricoperto nel precedente esecutivo guidato da Giulio Andreotti. L’operato di Scotti al vertice del Viminale fino a quel momento era stato parecchio attivo in uno scenario dai contorni inquietanti che sarebbe poi deflagrato nelle stragi di Capaci e di via d’Amelio. Il politico napoletano già nel marzo del 1992 era intervenuto davanti la Commissione Affari Costituzionali del Senato sottolineando come non avesse intenzione di “gestire il ministero dell’Interno con una condizione di silenzio e di misteri e senza mettere su carta le cose che si fanno.”

La sostituzione di Scotti al vertice del Viminale quindi presta il fianco a molteplici letture, soprattutto perché avvenuta in un momento in cui Cosa Nostra stava mostrando tutta la ferocia del metodo stragista. Situazione che era stata per certi versi anticipata nel marzo del ’92 (proprio durante la gestione Scotti) in una nota riservata dell’allora capo della Polizia Vincenzo Parisi in cui si leggeva come, secondo una fonte confidenziale fossero “state rivolte minacce di morte contro il signor presidente del Consiglio e ministri Vizzini e Mannino…per marzo – luglio campagna terroristica contro esponenti Dc, Psi et Pds … Strategia comprendente anche episodi stragisti”. Allarmi – quelli lanciati da Parisi e dallo stesso Scotti davanti la commissione parlamentare – definiti dall’allora presidente del consiglio Giulio Andreotti come “una patacca”.

Dopo la defenestrazione di Scotti nel nuovo governo Amato il ruolo di Ministro dell’Interno venne ricoperto da Nicola Mancino, uomo della sinistra dc, corrente capitanata all’epoca proprio da De Mita, che proprio per questo è stato ascoltato stamani.

L’ex segretario della Dc, per stessa ammissione dei magistrati, avrebbe risposto a tutte le domande. Secondo il racconto di De Mita però il turn over al vertice del Viminale sarebbe probabilmente da imputare soltanto a questioni interne alle correnti politiche della Dc.

A chiamare in causa De Mita è stato lo stesso Scotti che nel dicembre scorso è stato sentito dai magistrati a Palermo. L’ex Ministro dell’Interno ha raccontato come la notte precedente al varo del nuovo governo Amato, De Mita lo chiamò chiedendogli di accettare il dicastero degli Esteri, come una sorta di contro partita. Proposta che sul momento Scotti rifiutò. Salvo accertarla quando, la mattina successiva, apprese di essere stato ugualmente nominato al vertice della Farnesina. “Cambiai idea – ha detto Scotti – solo dopo prendendo atto delle insistenze del presidente Amato in relazione ad urgenti impegni internazionali”. Un mese dopo si dimise.

Nonostante le dichiarazioni odierne di De Mita però i dubbi sulla sostituzione di Scotti con Mancino restano. Ancora oggi Scotti ammette di non aver mai compreso i reali motivi della sua sostituzione come Ministro dell’Interno. “Chiesi spiegazioni ai miei colleghi di partito – ha raccontato il politico ai magistrati – sulle ragioni del mio avvicendamento, anche con un’accorata lettera all’allora segretario Dc Forlani. Non ho mai avuto convincenti spiegazioni , ma solo una missiva di risposta e una lettera dell’allora Presidente della Repubblica Scalfaro nel settembre – ottobre 1992. In questa missiva Scalfaro mi scriveva che “se ci fossimo parlati, forse le cose sarebbero andate diversamente”.

L’ex presidente Oscar Luigi Scalfaro è stato già sentito nei mesi scorsi dai magistrati nell’ambito della stessa indagine sulla Trattativa. Nei prossimi giorni poi toccherà all’ex segretario democristiano Arnaldo Forlani essere interrogato dagli inquirenti. Il 20 gennaio invece Scotti deporrà come teste davanti la quarta sezione penale di Palermo che sta processando il generale dei carabinieri Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu per il mancato arresto di Bernardo Provenzano a Mezzojuso nel 1995
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La Gelmini si congratula con Cosentino per il no all'arresto.



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