mercoledì 14 marzo 2012

Cari ex colleghi senatori, basta con la questua. - Franca Rame

Il blog di Franca Rame su Il Fatto Quotidiano

Cari ex senatori, in quanto ex senatrice (dimissionaria prima della fine dell’unica legislatura da me sostenuta), ho ricevuto unacircolare inviatami dalla vostra Associazione che mi ha lasciato basita. In detta circolare sono contenute inesattezze (per usare un eufemismo) davvero imbarazzanti.

Voi parlate di una “insidiosa” (perché insidiosa? direi giusta) campagna mediatica sui “costi impropri della politica” a proposito delle vostre condizioni di parlamentari cessati dal mandato e dei “presunti privilegi” che, per quanto vi riguarda, sarebbero “inesistenti”. Avete un gran senso dell’umorismo a definire i vostri privilegi “presunti” e “inesistenti”! Agli occhi di tutti gli italiani, anche di quelli stupidi, i vostri privilegi sono reali, non presunti: esistono eccome! A botte di vitalizi da 3.000, 5.000, 7.000 euro mensili (rispettivamente dopo una, due o tre legislature) che, trattandosi appunto di vitalizi, sono a vita!

Ma state ragionando con la testa o con un’altra parte del corpo lontana dal cervello? Il vostro programma prevede incontri di approfondimento sulla legge elettorale, sul Mezzogiorno, ma anche “sul debito pubblico” e “sulla corruzione”. È encomiabile che vi preoccupiate del debito pubblico che avete contribuito alla grande a far diventare smisurato (siamo vicini ai 2 mila miliardi di euro). Scopro poi che avete pure una sede in Parlamento: pagate l’affitto?

La vostra lettera

Si chiude con una questua da accattoni: cioè con la richiesta ai “soci” (socia a me? Ma soci sarete voi!) di un contributo di 15 euro mensili. Seguono le firme degli ex onorevoli o senatori Antonello Falomi (4 legislature, se non erro 9.000 euro al mese di vitalizio); Gerardo Bianco (7 legislature, è invecchiato lì, non oso immaginare il vitalizio al mese); Maurizio Eufemi (2 legislature, credo 5.000 euro); e Renzo Patria (una sola legislatura, appena 3.000 euro, poveretto).

Che cos’è, uno scherzo?

Leggi la lettera dell’Associazione ex parlamentari della Repubblica

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A PAPA'...A MA'..USCITE PURE....MA MASSIMO ALLE 20 A CASA....!!!


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Le mani della mafia sul porto di Palermo I boss gestivano i container, blitz della Dia. - di Salvo Palazzolo



Su 157 soci della Newport ben 40 hanno precedenti per mafia. Scatta la sospensione degli amministratori per le due società che attualmente curano i servizi all'interno all'area portuale. Sequestrati beni per due milioni di euro.


Nonostante arresti e processi, i boss di Cosa nostra avrebbero continuato a gestire indisturbati i servizi all'interno del porto di Palermo. Le indagini del centro operativo Dia di Palermo e della Procura hanno fatto scattare l'amministrazione giudiziaria per due società, sono la "Portitalia" e la "Tcp", che all'interno dell'area portuale del capoluogo siciliano gestiscono la distribuzione delle merci, i trasporti e la logistica. Il provvedimento di sospensione degli amministratori, per sei mesi, riguarda anche la Newport, che fino al 2011 gestiva gli stessi servizi. La decisione è della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, presiduta da Silvana Saguto.

Nella Newport, 40 dei 157 soci avevano precedenti per mafia. Le altre due società, che hanno ereditato le attività, sarebbero state create ad hoc, dopo i primi accertamenti della Dia e della Prefettura, "solo per fare un'operazione di restyling", così scrivono i giudici di Palermo.
 
Con lo stesso provvedimento vengono sequestrati beni per due milioni di euro a quattro soggetti ritenuti vicini a Cosa nostra, che figuravano fra i soci della Newport. Il sequestro dei beni riguarda Buccafusca Girolamo, Maurizio Gioè, Antonino Spadaro (classe '56) e il suo omonimo classe '48.


Direttamente da Facebook...


I leghisti sono come i soldi, meglio se li investi....


https://www.facebook.com/notes/goood-morning-vietnaaam/i-leghisti-sono-come-i-soldi/354758667897249 

Incidente stradale in Svizzera Muoiono 22 bambini belgi.



Bus contro un muro in galleria: 28 le vittime, che stavano tornando da una gita scolastica.

Un pullman con a bordo due classi scolastiche di bimbi al ritorno da una gita sulla neve si è schiantato in una galleria in Svizzera. S'è accartocciato contro il muro di un tunnel nel cantone di Wallis, al confine con l'Italia. Sono morte 28 persone, fra le quali 22 bambini. Lo ha riferito la polizia svizzera.

Il pullman trasportava due classi di bambini giunti dalle Fiandre, dalle città di Lommel e di Heverlee. I bambini, di 12 anni di età, avevano appena terminato una settimana bianca in Val d'Anniviers ed erano  partiti par far rientro nelle loro case in Belgio. I due autisti sono morti sul colpo nell'incidente. Hanno perso la vita anche un professore e un'accompagnatrice. Gli oltre 20 feriti sono ricoverati in quattro diversi ospedali vallesani. Due sono stati trasportati all'ospedale universitario di Losanna (CHUV) e uno all'Inselspital di Berna. In una conferenza stampa il comandante della polizia vallesana ha dichiarato che si tratta di «una tragedia senza precedenti».

«Il dramma sconvolgerà tutto il Belgio», ha dichiarato l'ambasciatore belga in Svizzera Jan Luykx. . Diversi genitori dei bimbi raggiungeranno il Vallese nelle prossime ore, dove saranno accolti da un'unità psicologica di crisi. Il premier belga Elio Di Rupo si recherà oggi in Svizzera sul luogo dell'incidente stradale. Lo ha annunciato lo stesso premier. «Il primo ministro ha preso conoscenza con costernazione dell'orribile incidente avvenuto in Svizzera - ha detto Di Rupo in un comunicato -. è un giorno tragico per tutto il Belgio». Anche la presidente della Svizzera, signora Eveline Widmer-Schlumpf , è attesa nel Vallese, sul luogo del tragico incidente di questa notte. I parenti delle vittime decolleranno dal Belgio a bordo di due aerei militare attorno alle 13, diretti a Ginevra.

Il mitico Vauro.



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=347445981960273&set=a.308430602528478.70646.139696202735253&type=1&theater

Mamma e figlio sfrattati di casa vanno a vivere nel bosco. - di Myriam Russo



Senza lavoro non riuscivano più a pagare l'affitto, l'Aler li ha buttati fuori. Si sono arrangiati con una capanna in una radura della Cassinetta: "Non ci è rimasto nulla".

Usmate Velate, 11 marzo 2012 - Da due settimane sono stati sfrattati e vivono dove capita. Da cinque giorni la loro casa è il bosco. Paola Villella e Samuele Galbusera, rispettivamente madre e figlio, vivono con la loro affettuosissima cagnolina Laila in una radura al limitare del bosco della Cassinetta. Una capanna rabberciata alla bell'e meglio è la loro dimora, giusto per segnare i limiti fisici di una «abitazione»: quattro pali di legno attaccati alle robinie, dai quali cadono a mo' di pareti due stracci, un tappeto scolorito e dei teloni di plastica. Il letto, se così lo si può chiamare, costituito da un paio di trapunte sporche, delle lenzuola e un cuscino gettati per terra, è l'unico arredamento della «casetta» improvvisata, insieme a due sedie e ad una vecchia carriola arrugginita che serve da cucina per contenere le braci necessarie a scaldare l'acqua per la pasta o per la polenta con la legna raccolta attorno.
Si lavano come possono, grazie ai bidoni di acqua che porta loro un amico d'infanzia . «Ho fatto un po' di tutto per sbarcare il lunario - racconta Samuele, 34 anni a maggio -: benzinaio, imbianchino, operaio metalmeccanico, giardiniere. Ho anche lavorato in una scuderia, ma si è sempre trattato di lavoretti che non portavano molti soldi in casa. E così, non sono riuscito a pagare l'affitto di 250 euro al mese delle case Aler, tanto che alla fine ho accumulato un debito di 13mila euro. Per questo ci hanno sbattuto fuori».
La madre, 61 anni mal portati, rivela nel suo volto una vita di fatiche: «Mi hanno buttato via tutto, quando ci hanno sfrattato: come sono uscita di casa così sono rimasta, con gli stessi vestiti - spiega Paola, una volta operaia in un'azienda di passeggini -. Per due settimane abbiamo dormito e mangiato sul ballatoio di casa con l'aiuto dei vicini, ma quando hanno capito che la cosa non si risolveva abbiamo dovuto andarcere. Non sapevamo dove sbattere la testa. Siamo solo io e mio figlio: tutti ci hanno abbandonato. I parenti hanno le loro difficoltà e non possono pensare a noi. Io e mio marito siamo separati da quando Samuele aveva tre anni e ora non so più nulla di lui. Non sopportavo le botte che mi dava quando era ubriaco. Sono stata costretta a lavorare tutto il giorno e quindi non potevo badare a Samuele. Mi aiutava mia madre, ma poi mio padre è morto e mia madre, diventata troppo anziana, non ha più potuto aiutarci e mio figlio è stato messo nel collegio Mamma Rita a Monza. Ma anche il lavoro se n'è andato: prima ha chiuso la Peripra e poi sono riuscita a trovare lavoro in un ristorante di Arcore come lavapiatti. Però, quando è morto il titolare, i figli mi hanno licenziata. Ci stiamo arrangiando come possiamo, di giorno riusciamo a resistere ma la notte fa molto freddo».
Samuele guarda sconsolato verso le dispense improvvisate che contengono gli ultimi resti della donazione della Caritas parrocchiale: due sacchetti in plastica, dai quali spuntano un pacco di polenta e qualche scatoletta. «Non abbiamo più nulla da mangiare - dice -: se non fosse per la Caritas! Spero che ci portino qualcosa più tardi». Samuele e Paola vivono ad Usmate Velate da trentasei anni. Tra mille traversie erano riusciti ad ottenere l'assegnazione di un appartamento in via della Brina a Velate. Ma negli anni, soprattutto negli ultimi quattro, non sono riusciti più a far fronte agli impegni. «Guadagno troppo poco e in modo troppo saltuario - continua l'uomo -. O pago l'affitto o metto un piatto in tavola. Ho lottato per anni per farci aiutare: ho chiesto a tutti, sono stati gentili ma alla fine mi hanno risposto che non potevano. Cerco un lavoro, qualsiasi lavoro dignitoso che possa aiutarci ad avere e a mantenere una casa».