mercoledì 9 maggio 2012

Blitz della Finanza al Monte dei Paschi: ipotesi aggiotaggio su Antonveneta.

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Perquisizioni disposte dalla Procura di Siena: controlli sia in uffici di istituti di credito collegati, sia nelle abitazioni di alcuni dirigenti della banca, nella fondazione e nel Comune e nella Provincia di Siena. Accertamenti anche su Mussari, ora presidente Abi.

Cinquanta militari della Guardia di Finanza si sono presentati questa mattina a Rocca Salimbeni, sede della Banca Monte dei Paschi di Siena, prima dell’apertura degli uffici. La polizia tributaria indaga su presunti reati di aggiotaggio e ostacolo agli organi di vigilanza, quindi per ipotesi di rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio. Le perquisizioni hanno interessato anche le sedi del Comune e della Provincia di Siena. Gli indagati sono almeno due, e sono esponenti di banca Mps. Da fonti investigative si apprende che le perquisizioni hanno interessato anche le abitazioni di Antonio Vigni, ex dg del Monte e dell’attuale direttore generale della fondazione Mps Claudio Pieri. L’ultimo accertamento riguarda l’abitazione e l’ufficio senese dell’ex presidente della banca Mps Giuseppe Mussari, ora presidente dell’Abi (associazione bancaria italiana), che sono stati perquisiti. Mussari – viene ribadito – non è indagato.
L’indagine su Banca Monte dei Paschie in particolare sulla acquisizione di Antonveneta sarebbe partita nell’autunno scorso.In particolare uomini del gruppo valutario della Guardia di Finanza di Roma vogliono capire come il Monte abbia acquisito l’Istituto veneto ad un prezzo di 9,3 miliardi di euro, poi salito a 10,3 dall’Istituto spagnolo Santander che solo due mesi prima aveva pagato la stessa Antonveneta 6,6 miliardi di euro. Stamani gli uomini della Gdf hanno perquisito anche l’abitazione senese dell’ex dg della Fondazione Marco Parlangeli e nell’abitazione del presidente Gabriello Mancini e di altri dirigenti sia della fondazione sia della Banca.
In particolare l’obiettivo è verificare il reperimento delle risorse utilizzate per l’acquisizione di Antonveneta, le comunicazioni fatte nel tempo agli organi di vigilanza e le operazioni sul titolo, per alterarne il valore di scambio. Gli inquirenti vagliano una serie di condotte poste in essere a partire dal 2007, in occasione dell’acquisizione di Banca Antonveneta dagli spagnoli del Banco Santander, protrattesi sino al 2012. In particolare ci sono dubbi su un aumento di capitale del 2008 per la parte del cosiddetto fresh da un miliardo di euro.
Per agevolare i lavori di indagine tutti i dipendenti sono stati spostati nell’ala del palazzo che ospita gli uffici finanziari. Intanto il titolo questa mattina apriva in calo, perdendo fino a oltre il 5 per cento e ora il titolo è stato sospeso.

Bologna, si è suicidato Maurizio Cevenini. Prodi: “Povero amico mio”. - di Emiliano Liuzzi




Si è lanciato dalla finestra della Regione. Mister preferenze, lo chiamavano. Era amatissimo dai bolognesi. Si ritirò lo scorso anno dalla corsa per diventare sindaco a causa di un malore. Ieri sera era atteso a una lotteria benefica, alle 21 lo hanno chiamato. Lui ha risposto: "Sì, sì, sto arrivando".

Mister preferenze era diventato mister solitudine. Ma nessuno dei suoi compagni di partito, dei coleghi della Regione, lo aveva forse capito. Nessuno è riuscito ad aiutarlo, neppure la figlia che stravedeva per il padre e lo amava, così come lo amavano senza se e senza ma i bolognesi.
Così, nella stessa solitudine, il consigliere regionale dell’Emilia Romagna e comunale di Bologna, Maurizio Cevenini, 58 anni, ex candidato sindaco del Pd e recordman in Italia per celebrazioni dei matrimoni civili, è morto suicida davanti all’assemblea legislativa. Si è gettato da un terrazzo di Viale Aldo Moro, quello più vicino al suo ufficio. Non è ancora chiaro se sia accaduto ieri sera (ipotesi più accreditata) o stamani mattina, molto presto. Secondo la polizia Cevenini sarebbe rimasto chiuso nel suo ufficio. Ha maturato la decisione di farla finita e solo, come nel totale isolamento politico che viveva negli ultimi mesi, ha scritto un biglietto e l’ha fatta finita. “Una serie di biglietti”, ha detto il procuratore aggiunto Valter Giovannini. Alla famiglia, ma non solo.
La notizia è stata confermata in lacrime dal presidente del’assemblea, Matteo Richetti. Il corpo è stato trasportato all’interno del palazzo, dove per il momento l’accesso è consentito solamente alle forze dell’ordine. Il palazzo è stato raggiunto dal Prefetto Angelo Tranfaglia, dal Questore Vincenzo Stingone e dal Pm Marco Mescolini. Sono poi arrivati arrivati il coordinatore del Pdl di Bologna, Paolo Foschini.
 Amato dai bolognesi, il Cev, come veniva comunemente chiamato, era una persona particolarmente sensibile, un dirigente del partito – da sempre – molto apprezzato. Negli ultimi mesi era stato accusato da più parti per il doppio ruolo, quello in consiglio ragionale, e quello in consiglio comunale, al quale aveva risposto attraverso un blog sulle pagine del fattoquotidiano.it. Lo stesso Romano Prodi, che stimava Cevenini, gli aveva detto di non fare un passo indietro. Prodi ha saputo di quanto accaduto a Vienna, appena sceso dall’aereo. Chi era con l’ex presidente del consiglio dice di averlo visto piangere. “Povero amico mio”, sono state le uniche parole che Prodi è riuscito a pronunciare. Prodi è immediatamente rientrato a Bologna e si trova adesso nel suo ufficio.
Secondo quanto sappiamo Cevenini avrebbe lasciato un biglietto, ma le persone che in questo momento si trovano all’interno della Regione, quelle che lavoravano con lui, dicono di non averlo visto. Nessuno, a parte gli inquirenti, al momento sa cosa ci sia scritto.
Una passione sfrenata per il Bologna calcio, e quella per la politica, anche se negli ultimo anno era stato messo un po’ da parte. Dalla nuova giunta di Bologna che era stata eletta anche e soprattutto grazie ai voti di preferenza che Cevenini era capace di portare, era stato fatto da parte. Si aspettava di avere la presidenza del consiglio comunale, ma alla fine venne preferita un’altra persona.
Circondata da una serie di sussurri, invece, è sempre stata la vicenda del ritiro dalla corsa per diventare sindaco. Cevenini era il successore naturale di Delbono. Non c’erano dubbi. Godeva di popolarità, conosceva Bologna e i bolognesi. Aveva esperienza, sia di partito, dove è cresciuto, sia amministrativa. A due mesi dalle elezioni però Cevenini venne colpito da un leggero ictus. Dopo il ricovero a Villalba e qualche giorno per rimettersi in forma annunciò, insieme all’amatissima figlia Federica, che avrebbe lasciato: “I medici e i famigliari mi hanno proibito di mettermi a rischio stress”. Da quel giorno in poi, nei salotti di Bologna, cominciò a girare la storiella che fosse tutta una messa in scena: “Il partito ci aveva ripensato”, dicevano. “E hanno trovato un modo indolore per farlo uscire”. Il Pd sorrideva di fronte a questo chiacchiericcio, ma quando si entrava nel merito della questione in maniera seria, dicevano: “Forse non avrebbe avuto le spalle così larghe per fare il sindaco”.
In realtà Bologna e i bolognesi, come sindaco, è lui che avrebbero voluto. E lo ha dimostrato a spoglio avvenuto: in percentuale era il candidato più votato in Italia, più forte ancora di Berlusconi e degli altri big della politica. I suoi voti furono determinanti perché Merola la spuntasse al primo turno.
Ma le promesse che gli vennero fatte dall’apparato furono tutte disattese: doveva avere la presidenza del consiglio comunale, il Cev, ma Merola, anche per la paura di essere oscurato da una persona così popolare, alla fine gli preferì Simona Lembi. “Sono rimasto male”, disse Cevenini, “ho fatto per Merola una campagna elettorale sincera, non mi sono risparmiato, come forse per motivi di salute avrei dovuto. Non mi piace per nulla la moneta con la quale sono stato ripagato”.
Niente di tutto questo sembra riconducibile a un gesto del genere, è bene precisarlo. La vicenda era stata archiviata dall’alto, con la promessa del parlamento. In queste ore sappiamo che ha lasciato una lettera. E che ha scelto la finestra del suo ufficio per lanciarsi nel vuoto. Ma non si conoscono né i contenuti della lettera né i motivi reali che lo abbiamo spinto a compiere un gesto del genere. Sul caso è stato aperto un fascicolo, per dare maggiore chiarezza. Non è esclusa neppure l’ipotesi che non si sia ucciso questa mattina, ma ieri sera dove il Cev  era atteso al Parco Nord alla festa di fine stagione del Centro Bologna club, uno di quegli appuntamenti a cui di solito lui non mancava mai. Visto che non arrivava, è stato chiamato varie volte: alle 21 ha risposto al telefono dicendo “sì sì, sto arrivando”. Ma al Parco Nord non è mai arrivato. E le chiamate seguenti sono andate a vuoto.  

Lavitola: "Compravo senatori per Berlusconi". - Guido Ruotolo



Foto di gruppo a Panama Giugno 2010 (da destra): Berlusconi, il presidente 
panamense Martinelli e Lavitola


L’ex editore dell’Avanti ai pm: “Un milione per De Gregorio”.

No, sorrido perché De Gregorio, poverino, è, come penso che voi sappiate altrettanto bene, uno che ha fatto talmente tanti di quei “casini” dal punto di vista economico che io credo che quel milione (di euro, ndr) che ha avuto da Berlusconi se l’è fumato come fosse un mozzicone di sigaretta, perché De Gregorio aveva una capacità di spesa che era superiore a quella di Tarantini...».
È il 25 aprile e Valter Lavitola, ex editore dell’Avanti, faccendiere spericolato iscritto alla P2, viene sentito dai pm napoletani che lo vanno a trovare nel carcere di Poggioreale, per il suo primo interrogatorio investigativo. Lavitola ha appena rivelato che Berlusconi ha pagato un milione per comprarsi il senatore Sergio De Gregorio, eletto il 7 giugno del 2006 presidente della Commissione Difesa di palazzo Madama dal centrodestra, lui che era stato eletto con l’Idv di Antonio Di Pietro.
E parlando del suo «amico fraterno» De Gregorio, Lavitola racconta di essere stato il promotore di «Operazione Libertà», la compravendita di senatori dello schieramento avversario, che poi ha condotto insieme al senatore Romano Comincioli. Non ha difficoltà a riconoscere i suoi «meriti», come l’essere riuscito a convincere il senatore calabrese Pietro Fuda (eletto nello schieramento di centrosinistra): «Questo fu uno dei miei meriti, sempre insieme al senatore buonanima Comincioli (deceduto nel 2011, ndr). Io svolgevo una funzione di, tra virgolette, consigliere del senatore Comincioli...».
L’ex editore dell’Avanti parla della «Operazione Libertà»: «Tenga presente - si rivolge al pm - gli altri soldi li avrebbero dovuti dare a Dini, a Mastella e a Pallaro». Si apre un piccolo siparietto tra i pm e Lavitola, sulle spinte ideali che portano senatori di uno schieramento a passare all’altro. Risponde l’indagato: «Ma perché Dini e Mastella erano ideologicamente orientati a sinistra? Dini e Mastella erano di centrodestra sempre, Dini è stato con Berlusconi prima, Mastella pure».
Prova a rispondere, a convincere della sua buona fede, Lavitola. Tutti i suoi guai, in realtà, nascono da un desiderio mai represso di avere un ruolo politico. Sfortunato, Lavitola, perché aveva contro Gianni Letta e Niccolò Ghedini, nonostante i buoni auspici di Silvio Berlusconi. E, dunque, alla fine, non è stato mai candidato dal Pdl, così avrebbe voluto.
Si giustifica sui finanziamenti all’Avanti, parla del suo rapporto di consulente di Finmeccanica a Panama, e di aver incontrato l’allora numero uno della holding pubblica, Pier Francesco Guarguaglini.
E ammette di aver presentato il generale della Finanza, Emilio Spaziante all’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per caldeggiare la sua carriera: «In quel momento, si stava discutendo la legge per la nomina del Comandante generale interna al Corpo della Guardia di Finanza, allora, in quella fase siccome chi si occupava di tutta questa storia era il famoso Marco Milanese, dissi al Presidente Berlusconi che se ne doveva occupare lui e gli chiesi di incontrare il generale».
I pm gli chiedono di precisare il suo ruolo di procacciatore di affari e commesse a Panama. Lui ribadisce di essere stato un consulente di Finmeccanica: «Abbiamo stipulato quei contratti noti, quello dei sei elicotteri, quello dei radar e quello del telerilevamento, della mappatura del territorio di Panama. Sostanzialmente il mio ruolo si sarebbe esaurito avendo io un contratto di un anno.. facemmo un contratto e mi versarono una prima tranche di centosessantamila euro...».
Che sia rimasto socialista, un craxiano di ferro (lui ha raccontato anche di aver portato i soldi di Berlusconi ad Hamammet, a Bettino Craxi), Valter Lavitola non lo nasconde. I pm gli chiedono come mai i suoi interessi di lavoro sono tutti all’estero: «Io in Italia, dottor Woodcook, io non so se gliel’ho già detto, ma non vorrei divagare, ma dopo le vicende di tangentopoli, che mi hanno visto solo spettatore, io in Italia mi sono messo nei “casini” senza fare altre attività, io in Italia non voglio fare assolutamente niente!... E, e, e adesso ancora meno, visto che mi sono tolto l’Avanti, grazie a Dio».


http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/453479/

martedì 8 maggio 2012

Lascia perdere....



Non è nelle tue previsioni, rinunciaci. Molla il maltolto e vatti a godere l'ospitalità di Putin...fino a quando reggerà..perchè tu porti sfiga a tutti: Craxi, Mubarak, Gheddafi, ne sono gli esempi evidenti; gli stessi Provenzano, Riina e Mangano, che hanno contribuito alla tua nascita e crescita, sono tutti o al 41 bis o sottoterra.

Maurizio Crozza del 8/05/12


Boom boom Napolitano.

napolitano5stelle.jpg


Sono rimasto a bocca aperta, spalancata, come un'otaria. Ho le mascelle che mi fanno ancora male. Là dove non hanno osato neppure i gasparri e i bersani ha volato (basso) Napolitano
Il Presidente della Repubblica, la massima carica dello Stato, a domanda sul MoVimento 5 Stelle ha risposto: "Grillo, non vedo nessun boom!". 


Un linguaggio "giovane" arricchito da memorabilia storiche, ha rammentato: "Ricordo quello degli anni '60, altri boom non ne vedo". E' vero! Il M5S è solo terzo ed è nato solo due anni e mezzo fa e non ha fatto boom. 


Forse ha fatto bim bum bam? O Sim sala bin? Napolitano è preoccupato per il futuro e ha approfondito "Ci sono motivi di riflessione per tutti, per le forze politiche e per i cittadini sui rapporti con la politica e sui problemi di governabilità". Traduzione: "I partiti (quelli che facevano boom) non se li fila più nessuno". Napolitano ha poi minimizzato il voto "Abbiamo avuto un test piuttosto circoscritto, anche perchè il numero degli eletti chiamati a votare non è stato grandissimo (nove milioni e mezzo di italiani, ndr)".
L'anno prossimo si terranno le elezioni politiche e, subito dopo, sarà nominato il successore di Napolitano, che potrà godersi il meritato riposo. 

Se il MoVimento 5 Stelle farà boom (come quello dei favolosi anni '60), il prossimo presidente non sarà un'emanazione dei partiti, come la Bonino, e neppure delle banche, come Rigor Montis. 
I giochi per il Quirinale sono in corso da tempo. Si sono già venduti la pelle degli italiani. 


"Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale" (articolo 87 della Costituzione). Rappresenta anche il MoVimento 5 Stelle e anche, dopo queste elezioni, i suoi circa 250 consiglieri comunali e regionali scelti dai cittadini. Il boom del M5S non si vede, ma si sente. Boom, boom, Napolitano!


http://www.beppegrillo.it/2012/05/boom_boom_napolitano.html

Un no ai partiti non alla politica. - Massimo Gramellini



Si può buttarla sul ridere e dire che Grillo non è una sorpresa: in fondo sono vent’anni che gli italiani votano un comico. Oppure strillare contro la vittoria dell’antipolitica, come fanno i notabili del Palazzo e i commentatori che ne respirano la stessa aria viziata. Ma conosco parecchi nuovi elettori di Grillo e nessuno di loro disprezza la politica. Disprezzano i partiti. E credono, a torto o a ragione, in una democrazia che possa farne a meno, saltando la mediazione fra amministrati e amministratori.

La storia ci dirà se si tratta di un gigantesco abbaglio o se dalla rivolta antipartitica nasceranno nuove forme di delega, nuovi sistemi per aggregare il consenso.

Ma intanto c’è questo urlo di dolore che attraversa l’Italia, alimentato dalle scelte suicide e arroganti compiute da un’intera classe dirigente.

Non si può certo dire che non fosse stata avvertita. I cittadini stremati dalla crisi hanno chiesto per mesi alla partitocrazia di autoriformarsi. Si sarebbero accontentati di qualche gesto emblematico. Un taglio al finanziamento pubblico, la riduzione dei parlamentari, l’abolizione delle Province. Soprattutto la limitazione dei mandati, unico serio antidoto alla nascita di una Casta inamovibile e lontana dalla realtà. Nel dopoguerra il grillismo meridionale dell’Uomo Qualunque venne dissolto dalla Dc di De Gasperi nel più semplice e intelligente dei modi: assorbendone alcune istanze. Purtroppo di De Gasperi in giro se ne vedono pochi. La limitazione dei mandati parlamentari è da anni il cavallo di battaglia dei grillini. Se il Pdl di Alfano l’avesse fatta propria, forse oggi esisterebbe ancora. Ma un partito che ai suoi vertici schiera reperti del Giurassico come Gasparri e Cicchitto poteva seriamente pensare di esistere ancora? Il Pd ha retto meglio, perché il suo elettorato ex comunista ha un senso forte delle istituzioni e dei corpi intermedi - partiti, sindacati - che le incarnano. Ma se il burocrate Bersani, come ha fatto ancora ieri, continuerà a considerare il grillismo un’allergia passeggera, lo tsunami dell’indignazione popolare sommergerà presto anche lui.

La riprova che il voto grillino è meno umorale di quanto si creda? Grillo non sfonda dove la politica tradizionale riesce a mostrare una faccia efficiente: a Verona con il giovane Tosi e a Palermo con il vecchio Orlando (percepito come un buon amministratore, magari non in assoluto, ma rispetto agli ultimi sindaci disastrosi). La migliore smentita alla tesi qualunquista di chi considera i grillini dei qualunquisti viene dai loro stessi «quadri». Che assomigliano assai poco a Grillo. Il primo sindaco del movimento, eletto in un paese del Vicentino, ha trentadue anni ed è un ingegnere informatico dell’Enel, non un arruffapopoli. E i candidati sindaci di Parma e Genova non provengono dai centri sociali, ma dal mondo dell’impresa e del volontariato. Più che antipolitici, postpolitici: non hanno ideologie, ma idee e in qualche caso persino ideali. Puntano sulla trasparenza amministrativa, sul web, sull’ambiente: i temi del futuro. A volte sembrano ingenui, a volte demagogici. Ma sono vivi.

Naturalmente i partiti possono infischiarsene e bollare la pratica Grillo come rivolta del popolo bue contro l’euro e le tasse. È una interpretazione di comodo che consentirà loro di rimanere immobili fino all’estinzione. Se invece decidessero di sopravvivere, dovrebbero riunirsi da domani in seduta plenaria per approvare entro l’estate una riforma seria della legge elettorale, del finanziamento pubblico e della democrazia interna, così da lasciar passare un po’ d’aria. Ma per dirla con Flaiano: poiché si trattava di una buona idea, nessuno la prese in considerazione.



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