lunedì 18 giugno 2012

SISMA EMILIA - Smaltimento macerie, l’illegale diventa legale. Per decreto. - Angelo Venti


FINALE EMILIA - Terremoto che vai, usanze che trovi. L’Aquila e L’Emilia, una ricetta con gli stessi ingredienti: dichiarazione dello stato di emergenza, potere di ordinanza, di deroga, allentamento dei controlli. Finora, per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti e delle macerie, con il sisma in Emilia queste pratiche si sono già spinte oltre - molto oltre - in un tessuto produttivo di gran lunga più delicato di quello aquilano. Un numero impressionante di capannoni - come ad esempio quelli del polo biomedicale - crollati, abbattuti o demoliti con all’interno prodotti e materie prime di ogni tipo. Tutto da smaltire indistintamente con le macerie ed equiparato “ai rifiuti urbani“.
medolla-cap-1.jpg
Quella intrapresa in Emilia è una china pericolosa. Il 6 giugno scorso è stato varato il Decreto-legge n.74(GU n. 131 del 7-6-2012), da convertire in legge entro 60 giorni: gli emiliani farebbero bene ad alzare le antenne e prestare da subito molta attenzione a ciò che sta accadendo nel dopoterremoto.
Il decreto 74 prevede, all’art. 17, la “trasfigurazione” delle macerie da rifiuti speciali in rifiuti urbani. Ma cosa ancora peggiore è che il comma 7 prevede che il trasporto venga effettuato direttamente dalle aziende che gestiscono il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, o anche indirettamente a mezzo di imprese di trasporto anche “non iscritte all’albo” e senza la “tracciabilità dei rifiuti“. Ad essere eliminati, in sostanza, sono anche il FIR e il Registro di carico dei rifiuti.
Proviamo a chiarire meglio di cosa si tratta e quali effetti devastanti può produrre sul territorio.
Intanto, è da notare che il decreto 74 punta a cancellare la tracciabilità non tanto delle macerie giacenti sulle vie e gli spazi pubblici, ma soprattutto di quelle giacenti nei luoghi privati e dei rifiuti derivanti da demolizioni. Le macerie giacenti sulle pubbliche vie, infatti, anche senza l’emanazione di questo decreto erano già equiparate ai rifiuti urbani. Infatti l’art. 184, comma 2, lett. d, del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. (il Testo Unico Ambientale) definisce come rifiuti urbani “i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua“.
Diverso è invece il discorso per le macerie che si trovano all’inerno di aree private, tipo i capannoni crollati. Ancor più se parliamo di rifiuti da demolizione di edifici privati, o di capannoni privati. Infatti, tutti i rifiuti dall’attività di demolizione sono sempre considerati “rifiuti speciali“, come specificato nel Testo unico ambientale.
E’ evidente, quindi, che l’estensore del comma 1, nel prevedere la trasfigurazione delle macerie in “rifiuti urbani“, è proprio a quelli su aree private che rivolge la maggiore attenzione. Infatti, sempre l’art. 17, al comma 1 fa riferimento, oltre ai “materiali derivanti dal crollo parziale o totale degli edifici pubblici e privati causati dagli eventi sismici del 20 maggio 2012 e dei giorni seguenti“, cita pure “quelli derivanti dalle attività di demolizione e abbattimento degli edifici pericolanti“.
Occorre prestare molta attenzione alla sintassi usata dal legislatore, quando scrive: “…quelli derivanti dalle attività di demolizione e abbattimento degli edifici pericolanti, disposti dai Comuni interessati dagli eventi sismici…“. Se il “disposti dai Comuni interessati …” lo si intende riferito sia alle attività di demolizione che alle attività di abbattimento, allora vorrà dire che, comunque, il particolare regime disposto per questi rifiuti (che da speciali vengono trasfigurati in urbani) è subordinato ad un provvedimento amministrativo (che dispone la demolizione o l’abbattimento) senza il quale la detta trasfigurazione non sarà possibile. Se, invece lo si intenda riferito alle sole attività di abbattimento - il che sarebbe più logico, perché la demolizione, di solito, è un’attività edilizia che avviene su input del privato, mentre l’abbattimento, è la stessa identica attività, ma disposta da un’autorità pubblica - allora ne consegue che tutte le attività di demolizione disposte dai privati non sarebbero soggette ad un filtro amministrativo di autorizzazione/disposizione, per cui, la deregulation sarebbe totale.
Come già si è avuto modo di vedere nel precedente sisma di L’Aquila, la trasfigurazione da “rifiuti speciali” a “rifiuti urbani” sottende la volontà di eliminare limiti, vincoli e soprattutto la tracciabilità e i controlli sui flussi dei rifiuti.
Nel caso del sisma in Emilia, questa volontà si è spinta anche oltre. Infatti, leggendo il comma 7 dell’art. 17, ci si accorge che, come a L’Aquila, viene espressamente abolita la tracciabilità, poiché è prevista la deroga alla norma che impone i FIR (art. 193 del D.Lgs. 152/2006) e al registro di carico e scarico (art. 190 del D.Lgs. 152/2006). Ma viene introdotta una ulteriore innovazione peggiorativa: viene addirittura prevista la deroga all’obbligo di iscrizione all’albo gestori ambientali (art. 212 D.Lgs. 152/2006). In particolare è previsto che il trasporto delle macerie (giacenti in pubbliche vie ed in aree private) - e dei rifiuti da demolizione e abbattimento di edifici (pubblici e privati) - possa avvenire ad opera di soggetti che svolgono (già) il servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani. E possono farlo direttamente, ma anche indirettamente. Cioè “attraverso imprese di trasporto da essi incaricati previa comunicazione della targa del trasportatore ai gestori degli impianti individuati al punto 4 e pubblicazione all’albo pretorio dell’elenco delle targhe dei trasportatori individuati.
Per finire, il penultimo periodo del comma 7, contiene una norma che espressamente prevede che “Le predette attività di trasporto, sono effettuate senza lo svolgimento di analisi preventive“. Quindi i rifiuti da demolizione - soprattutto se provenienti dalla demolizione o abbattimento di un capannone industriale (a meno che non contengano amianto) - non sono soggetti ad analisi chimiche. Significa che tali rifiuti, anche se dovessero contenere sostanze particolarmente inquinanti e/o pericolose, vengono caricati e trasportati come se fossero innocue pietre triturate.

Uomini che non devono chiedere mai. - Marco Travaglio


travaglio-marco-web3
Da quando abbiamo pubblicato un lungo colloquio con Grillo, riceviamo lezioni di giornalismo dai migliori servi del regime, tutta gente che non ha mai fatto una domanda in vita sua o, se gliene scappava una, correva a chiedere il permesso a Berlusconi o a Bisignani. Alcuni ci spiegano che le domande erano sbagliate, senza peraltro suggerirci quelle giuste; altri addirittura confondono l’intervista a Grillo con l’iscrizione del Fatto al movimento 5 Stelle.
Come dire che, se un giornale intervista B. (non vediamo l’ora di farlo), diventa l’house organ di B. Premesso che siamo orgogliosi di quel colloquio e dell’invidia che ha suscitato in chi vorrebbe ma non può, è ovvio che la cattiveria di un’intervista è direttamente proporzionale alla negatività del personaggio intervistato. Se e quando Grillo sarà coinvolto in qualche scandalo o vicenda tangentizia o mafiosa, ne daremo e gliene chiederemo conto con più cattiveria di quella che riserveremmo ai politici di professione. Al momento, purtroppo per i servi, non risultano né scandali né vicende tangentizie o mafiose a carico di Grillo. Il bello è che la grande e la piccola stampa che dà lezioni a noi si segnala in questi giorni per l’olimpica distrazione su una notiziola da niente: le telefonate di Mancino, appena interrogato a Palermo sulla trattativa Stato-mafia, al consigliere giuridico di Napolitano e il prodigarsi del consigliere e di Napolitano presso il Pg della Cassazione per soddisfare le lagnanze di Mancino, subito dopo indagato per falsa testimonianza. La notizia l’han data due giorni fa Repubblica e il Corriere (entrambi a pagina 22: dev’essere quella riservata agli scandali di Stato). Così, quando abbiamo chiamato il consigliere Loris D’Ambrosio per chiedere lumi, lo immaginavamo assediato dalle telefonate di tutti i giornali, i tg e le agenzie. Invece il D’Ambrosio si è molto stupito per le nostre domande, visto che eravamo gli unici a porgliele. Ieri infatti siamo usciti in beata solitudine con la sua incredibile intervista, in cui non solo ammetteva le ripetute lagnanze dell’ormai indagato Mancino, ma si trincerava dietro l’“immunità presidenziale” su ciò che disse e fece in seguito Napolitano. Nessun giornale, men che meno quelli che avevano dato la notizia, ha pensato di disturbare il Quirinale per saperne di più. La parola “Quirinale”, o “Colle”, viene infatti pronunciata, anzi sussurrata a mezza voce nelle migliori redazioni con sacro timore, anzi tremore riverenziale: un po’ come il nome della divinità che, in alcune religioni, è impronunciabile perché ineffabile. In più il Quirinale, il Colle, è anche infallibile: ogni monito è un dogma, ogni sospiro un soffio di Spirito Santo. Se Ipse dixit, o fecit, avrà avuto le sue buone ragioni e non sta ai giornalisti sindacare. Poi arrivano quei rompiscatole del Fatto, D’Ambrosio risponde e ieri il Quirinale, il Colle è costretto a sputare il rospo: Napolitano trasmise le lagnanze di Mancino, ex ministro, ex onorevole, ex presidente del Senato, ex vicepresidente del Csm, da due anni privato cittadino, al Pg della Cassazione, titolare dell’azione disciplinare contro i magistrati, per raccomandare – senz’averne alcun titolo, né Napolitano, né il Pg – un fantomatico “coordinamento” fra le indagini di Palermo sulla trattativa e quelle di Caltanissetta su via D’Amelio (fatti diversi, su cui nessuna delle due procure ha mai sollevato conflitti di competenza). Dunque d’ora in poi ogni privato cittadino interrogato in procura che voglia lamentarsi del suo pm potrà comporre l’apposito numero verde del servizio “Sos Colle”, una sorta di ufficio reclami per sedicenti vittime della giustizia. Gli risponderà il consigliere D’Ambrosio in persona, che investirà del caso il Presidente, che attiverà ipso facto il Pg della Cassazione perché metta in riga il pm incriminato. Pare che potranno chiamare anche i giornalisti che danno lezioni al Fatto, sempreché sappiano cos’è una domanda.

Gasparri scrive ai vigili: “Toglietemi le multe, non ho tempo per certe cose”. - Paolo Zanca

gasparri_interno nuova


Con carta intestata del Senato scrive all'ufficio contravvenzioni del Comune di Roma: “L'autovettura oggetto della contravvenzione era temporaneamente sprovvista dell'autorizzazione al transito, che non mi è stato possibile rinnovare tempestivamente a causa di continui e ripetuti impegni in diverse parti d'Italia".

Io sottoscritto Sen. Maurizio Gasparri, Presidente del Gruppo Parlamentare ‘Il Popolo della Libertà’ presso il Senato della Repubblica…”. La lettera comincia così, piena zeppa di maiuscole. Ma non ha niente a che vedere con il ramo del Parlamento che ha sede a Palazzo Madama o con il partito che alloggia in via dell’Umiltà. Riguarda una Mercedes classe A, che viaggia per le strade della Capitale ed è intestata ad Amina Fiorillo. La moglie del senatore Maurizio Gasparri. La lettera è datata 22 marzo 2012 e indirizzata all’ufficio Contravvenzioni del Comune di Roma.Gasparri e famiglia abitano nel centro storico e hanno preso alcune multe perché si sono dimenticati di rinnovare il pass per la zona a traffico limitato. Hanno chiesto l’archiviazione dei verbali e fatto valere il loro diritto di residenti autorizzati. Ma il senatore ha preferito non procedere come un cittadino qualsiasi. Ha scritto ai vigili su carta intestata del Senato, ha illustrato lo scranno su cui sedeva e ha tenuto a precisare che “l’autovettura oggetto della contravvenzione era temporaneamente sprovvista dell’autorizzazione al transito, che non mi è stato possibile rinnovare tempestivamente a causa di continui e ripetuti impegni in diverse parti d’Italia correlati al mio mandato istituzionale”. Talmente avvezzo alla tiritera da metterla in mezzo anche quando non ce ne sarebbe bisogno.
Lui, Però, al telefono non capisce il punto. Spiega e rispiega com’è andata la vicenda: “Sono residente in centro storico, la macchina è di mia moglie, io a volte la uso a volte no: il permesso era scaduto, mi sono arrivate le multe, adesso aspetto di capire quanto e come bisogna pagare…”. Nessuno gli contesta la dimenticanza, ma lui insiste: “I residenti hanno un permesso che viene rinnovato con scadenze anomale, tipo ogni tre anni, quindi non è come l’assicurazione, o il bollo… quando scade non c’è neanche un avviso al titolare. Mia moglie non l’ha rinnovato, può capitare, e quindi, in attesa di pagare…”. Il senatore ha fatto ricorso, come avrebbe fatto chiunque. Su questo siamo d’accordo: “Non c’entra niente il fatto di essere parlamentare, non ho il permesso in qualità di parlamentare, ho il permesso come residente. Non è che non ne avevo il diritto, è che non l’avevo rinnovato”. Il punto è chiarissimo, ma perché usare la carta intestata del Senato? “Non è questo il problema, quello che mi chiederanno di pagare pagherò , quella lettera non è tesa a procacciarsi un ingiusto vantaggio: se uno voleva fare una cosa non regolare non è che si metteva a fare una lettera, giusto no?”. Sarebbe bastato presentarsi come Maurizio Gasparri, residente in via tal dei tali… “Io sono quello che sono, mica mi devo vergognare di quello che sono né devo chiedere un privilegio per la mia posizione. Sono un senatore, uso la carta intestata, che devo fa’? Non credo che per questo faranno valutazioni di alcuna natura, guardi… la procedura è assolutamente corretta, la risposta potrà essere negativa, ci atterremo a quello che sarà”. In attesa di vedere come andrà a finire, non resta che affidarsi al presagio del senatore: “Non credo che mi daranno una risposta perché sono Gasparri”.
Ti potrebbero interessare anche

domenica 17 giugno 2012

CIRCONDATI DA BANCHE. - MAU BAR.




Tutti voi avrete riscontrato un curioso fenomeno che già da alcuni anni si va sempre più accentuando. 

Almeno così, personalmente, l’ho riscontrato a Roma, ma credo che il fenomeno sia generalizzato. Se non ho preso un abbaglio, accade questo: si moltiplicano, quasi con tendenza esponenziale, le nascite di nuove banche, intendo come locali, nelle strade e piazze cittadine. Laddove fino a ieri vi era un grande negozio, una piscina, un cinema, un ristorante, ecc., ecco ora, all’improvviso, spuntare un locale adibito a banca.

Belle banche, nuove nuove, di lusso, accessoriate, totalmente blindate e con tutti i dispositivi elettronici, di ultra protezione. Non mancano ovviamente le loro belle cassette esterne per prelevare con carte di credito. In alcune strade, di nuove se ne contano anche due o tre e se giri l’angolo ne trovi altre.

Il bello è che spesso sono quasi sempre vuote di clienti.

Non sono esperto di questioni finanziarie, e quindi mi chiedo, come si può spiegare questo fenomeno? Anche se, internamente, questi nuovi locali hanno un pesonale ridotto all’osso, il solo utilizzo di questi locali dovrà pur rappresentare certi costi.

A meno che le mie osservazioni siano errate, in quanto magari questi aumenti di sportelli bancari sono bilanciati da altre dismissioni, non credo che il fenomeno sia spiegabile solo con la tradizionale attività delle banche, quella cioè di drenare denaro dai risparmiatori, arraffandolo su piazza in cambio di ridicoli interessi e salati costi annui e poi reinvestendolo a tassi da usura.

Sappiamo bene come, il sistema finanziario, cresce, rapina e prospera su varie attività “virtuali”, spesso virtuali o speculative: fondi di investimento, promozioni finanziarie, compra vendita di Azioni, ecc., e sappiamo anche come sono state forzate le persone, incentivando fino all’ossesso l’offerta di finanziamenti per l’uso della carta di credito, per acquisti pagabili con comodo, ecc., tutto un giro che seppure spesso rappresenta rischi di insolvibilità nei poveri disgraziati così espostisi, consente alle finanziarie di ipotecare, sequestrare quanto è possibile, e se non c’è nulla da sequestrare, non fa niente, tanto quei “rischi” sono stati rivenduti, spalmati, sotto riciclati all’infinito, trattandoli come “beni virtuali” (la famosa “bolla” esplosa negli Usa),

D’accordo su tutto questo, ma cosa spinge il settore bancario a creare dei nuovi sportelli bancari in ogni strada della metropoli? Tanto più che il crescere delle operazioni on line avrebbe dovuto, viceversa, restringere al minimo indispensabile gli sportelli al pubblico.

A tutti coloro che hanno osservato e studiato questo fenomeno, possibilmente amici che hanno lavorato nel settore bancario, chiedo una dettagliata spiegazione, spiegazione tecnica, intendo, perché le motivazioni politiche mi sono chiare.



http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=10447&mode=&order=0&thold=0

Caro Napolitano, che cos’è risibile. - Marco Lillo



Risibile. È questa la parola chiave del comunicato con cui la Presidenza della Repubblica, finalmente, ammette quello che non può più negare dopo le rivelazioni del Fatto di ieri: il Capo dello Stato è intervenuto, dopo la richiesta dell’ex senatore Nicola Mancino, sul Procuratore generale della Cassazione con una lettera nella quale chiedeva alla massima autorità dell’accusa in Italia di intervenire “prontamente” sulle inchieste che preoccupavano l’amico Mancino sulla trattativa Stato-mafia.   
Risibile però non è – come afferma il comunicato del Colle – il titolo della prima pagina di ieri del Fatto Quotidiano, su “I misteri del Quirinale”. Quel titolo racconta semplicemente un fatto, imbarazzante per il potere e quindi ignorato dalla stampa italiana, come al solito. Risibile è invece il comportamento dello staff del Presidente in questa vicenda delicata. Per il rispetto che si deve all’Istituzione, ci auguriamo che Giorgio Napolitano sconfessi nell’ordine: le affermazioni del suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio nell’intervista pubblicata ieri; il comunicato del suo portavoce; e la lettera del suo segretario generale.
È risibile quello che ci ha detto D’Ambrosio e cioè che sia una prassi per il consigliere giuridico del Capo dello Stato ascoltare i cittadini che si lamentano dei pm e intervenire sulle autorità giudiziarie dopo i loro sfoghi. Soprattutto quando sono ex presidenti del Senato, aggiungiamo noi. Quasi che il Quirinale fosse diventato uno sportello reclami per politici trombati o in pensione. Risibile, ma anche inquietante, è la lettera scritta su input di Napolitano, a suo dire, dal segretario generale Donato Marra al Pg della Cassazione. Non si è mai visto un Capo dello Stato che si abbassa a smistare al capo dell’accusa la lettera di un testimone reticente, com’è Mancino secondo i pm, chiedendogli di intervenire, per di più, “prontamente”.
E non si è mai visto nemmeno un Presidente costretto a tirare fuori dal suo cassetto una lettera simile solo perché un giornale ne ha rivelato l’esistenza. Anche questo sarebbe risibile se non fosse per un piccolo particolare: qualcuno, 20 anni fa, su questa storia della trattativa tra Stato e mafia, ci ha rimesso la pelle. E noi vorremmo capire perché. “Prontamente” e non risibilmente, signor Presidente.
Ti potrebbero interessare anche

Nulla di più vero.



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=3866110089901&set=a.1174886570995.27119.1192996957&type=1&theater

Moral dissuasion. - Marco Travaglio.



Presto, appena gli avvocati dei 12 indagati li avranno fotocopiati, saranno pubblici gli atti dell’inchiesta appena chiusa dalla Procura di Palermo sulla trattativa Stato-mafia. Comprese le intercettazioni di alcuni protagonisti: quelli che, non essendo parlamentari, possono essere intercettati. A quanto si sa, nel maremagno delle bobine depositate, c’è una telefonata che Nicola Mancino, ministro dell’Interno nel 1992-’93 ai tempi della trattativa, poi presidente del Senato, poi vicepresidente del Csm, ora privato cittadino, fece il 6 dicembre 2011: appena uscì dalla Procura di Palermo dov’era stato sentito come testimone. Evidentemente Mancino si rendeva conto di non aver convinto i pm, che difatti di lì a poco lo indagarono per falsa testimonianza. Dunque chiamò allarmato Loris D’Ambrosio, magistrato, già membro del discusso Alto Commissariato Antimafia ai tempi di Sica, una vita al ministero della Giustizia come consulente di Martelli, vicecapogabinetto di Conso, capogabinetto di Flick, Diliberto e Fassino, poi al Quirinale come consulente di Ciampi e consigliere giuridico di Napolitano.
 
Cosa vuole il privato cittadino Mancino dall’uomo del Colle? Lagnarsi dei pm di Palermo, i quali pretendono addirittura che dica la verità su due vicende cruciali: il suo incontro con Borsellino il 1° luglio ’92, annotato dal giudice nell’agenda grigia, ma prima negato da Mancino, poi quasi escluso, infine quasi ammesso (“forse gli ho stretto la mano, ma non l’ho riconosciuto”); e sulla strana cacciata di Scotti, fautore della linea dura con i boss insieme a Martelli, dal Viminale per far posto a lui, Mancino, che non fece nulla contro i negoziati del Ros con la mafia (Martelli giura di averlo avvisato), né contro la revoca di 400 e più 41-bis firmata da Conso. Nella drammatica telefonata a D’Ambrosio, Mancino sembra chiedere aiuto per dirottare l’inchiesta palermitana verso procure da lui ritenute più morbide, Caltanissetta o Firenze. Poi lascia cadere una velata minaccia: si dipinge come “un uomo lasciato solo che va protetto”. Si sa come sono gli uomini che si sentono soli: rischiano di doversi cercare compagnia, tirando in ballo “altre persone” (e fa il nome di Scalfaro).
Abbiamo chiesto lumi a Mancino, invano. Invece D’Ambrosio ha risposto a Marco Lillo, ammettendo ciò che peraltro non poteva negare, visto che la telefonata è incisa su nastro, e aggiungendo alcuni particolari sconcertanti. Ma ha taciuto su due questioni decisive: cosa chiese Mancino al Colle? E cosa rispose e/o fece Napolitano? È vero che scrisse al Pg di Cassazione, titolare dell’azione disciplinare? D’Ambrosio dice di non poter rispondere perché vincolato a un inedito segreto presidenziale e perché gli atti del capo dello Stato sono “coperti da immunità”. C’è dunque qualche notizia penalmente rilevante? Di certo si sa soltanto che, dopo la telefonata, Mancino si sentì le spalle coperte e, dotato di quei superpoteri, chiamò il procuratore di Palermo Francesco Messineo, lagnandosi anche con lui dell’operato dei suoi pm. Sarà un caso, ma Messineo ha rifiutato di firmare la chiusura indagini, lasciando soli i suoi pm. Per non lasciare solo Mancino?

Ora una risposta del Quirinale s’impone
: non per esigenze giudiziarie, ma per la necessaria trasparenza di ogni atto del capo dello Stato. Nessun privato cittadino, a parte Mancino, può chiamare l’Sos Colle per lamentarsi di un’indagine e poi, forte dell’alto viatico, andare a piangere sulla spalla del capo della Procura che indaga. In ogni caso il triangolo telefonico Mancino-D’Ambrosio (Napolitano)-Messineo fa finalmente giustizia della pubblicistica oleografica che dipinge lo Stato da una parte e la mafia dall’altra. In questo momento, un pugno di pm solitari cercano la verità sul più turpe affare di Stato della seconda Repubblica: le trattative fra uomini delle istituzioni e uomini della mafia. Tutti gli italiani onesti sono dalla loro parte. Da che parte sta il Quirinale che dovrebbe rappresentarli?

Ti potrebbero interessare anche