martedì 3 luglio 2012

Provata l’esistenza del bosone di Higgs? Il Cern presenta la “particella di Dio”. - Stefano Pisani


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Il bosone di Higgs sarebbe finalmente stato scoperto. L’annuncio dovrebbe essere dato ufficialmente mercoledì in un seminario che il Cern ha fissato a Ginevra e in cui saranno presentati i dati raccolti dai due esperimenti dell’acceleratore Lhc (Large Hadron Collider) che qualche mese sono a caccia della sfuggente ‘particella di Dio’, l’esperimento Atlas (A Toroidal LHC ApparatuS) e l’esperimento Cms (Compact Muon Solenoid). Si tratta di apparati che hanno osservato gli scontri protone-protone alle altissime energie che avvengono nell’Lhc, analizzando le particelle che si producevano. “Credo che siamo a un passo dall’annuncio della scoperta – commenta Marco Napolitano, Ordinario di Fisica nucleare e subnucleare dell’Università “Federico II” di Napoli – che d’altronde era stata già prefigurata alla fine dell’anno scorso”.
Alla fine del 2011, infatti, un’altra conferenza del Cern aveva annunciato di aver individuato un indizio del bosone di Higgs, ma “la precisione statistica non era abbastanza significativa. Attualmente, invece, si dovrebbe aver raggiunto un’accuratezza tale da determinare la scoperta vera e propria” commenta Napolitano. Indiscrezioni trapelate in questi giorni parlano infatti di una certezza che oscilla fra il 99 e il 99,9 per cento. ‘’E inoltre sarebbe stata anche scoperta la massa del bosone, che dovrebbe essere intorno ai 125 GeV/c^2, una massa non molto alta, ma nel range di quelle aspettate. E la massa era uno di quei dati ottenibili solo sperimentalmente’’ aggiunge Napolitano. Ma cosa significherebbe la conferma dell’esistenza del bosone di Higgs? “Esiste un costrutto teorico, chiamato Modello Standard delle interazioni fondamentali, in particolare elettrodeboli e forti, che è stato costruito a partire da certi principi. Questo Modello finora ha funzionato benissimo, ed è riuscito a spiegare, sia nel mondo visibile che nell’invisibile, una serie di osservazioni sperimentali ben note. All’interno del Modello c’è un settore particolare, il Settore di Higgs, ossia il meccanismo con il quale il modello descrive la generazione della massa delle particelle che entrano nel modello. Questo meccanismo, che è cruciale all’interno della teoria, impone necessariamente l’esistenza del bosone di Higgs. Esso prevede infatti che esista almeno una particella – finora non osservata – la cui esistenza è legata al meccanismo col quale tutte le particelle acquistano massa. Aver scoperto il bosone significa aver trovato il tassello mancante fondamentale che dà validità a tutto il costrutto teorico del Modello Standard” spiega Napolitano.
Dunque si tratterebbe di una scoperta che rafforzerebbe l’attuale Modello attraverso cui leggiamo l’Universo. Qualcosa quasi da premio Nobel. “Anche se, al limite, il Nobel potrebbero darlo giusto a Peter Higgs, che ha previsto teoricamente l’esistenza del bosone, dato che l’osservazione della particella, sperimentalmente, ha coinvolto così tanti ricercatori che sarebbe ben difficile individuarne uno che abbia meriti maggiori degli altri” conclude Napolitano. E intanto Peter Higgs, che oggi ha 83 anni, a 48 anni esatti dalla sua previsione teorica sarà in prima fila a Ginevra dopodomani per assistere alla conferenza indetta dal Cern. In molte università italiane e nella sede romana dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), l’ente che contribuisce per l’Italia alla ricerca del Cern, sono previsti collegamenti video con Ginevra aperti al pubblico alle 9 del mattino.
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lunedì 2 luglio 2012

Il corpo delle donne.

Washington Post: nepotismo e corruzione minacciano il futuro dell’Italia.


Una “crisi endemica di produttività”, figlia di una cultura “nepotista”, eccessivamente legata alla famiglia, in definitiva fortemente “limitante”. E’ ciò che caratterizza il sistema economico italiano nell’analisi espressa in questi giorni dal Washington Post, uno dei più prestigiosi quotidiani statunitensi. Un quadro estremamente negativo a partire dalla tesi di fondo: è la stessa cultura italiana minacciare il futuro economico del Paese.
C’è una parte di Italia, scrive l’editorialista Steven Pearlstein, “composta, soprattutto al Nord, di diverse migliaia di grandi e medie imprese che sono innovative, efficienti, competitive a livello internazionale”, e ce n’è un’altra “soprattutto al Sud, composta di imprese statali, piccole aziende familiari, giganti delle utilities e banche che operano in mercati protetti o non competitivi la cui produttività è in calo da decenni. Mettete tutto insieme e, facendo una media, otterrete un’economia a crescita zero incapace di sostenere una popolazione che invecchia o di generare buoni posti di lavoro e adeguata formazione per i giovani o di mantenere gli attuali standard di vita della classe media”.
L’aspetto peggiore è però un altro: ad oggi, rileva il Washington Post, il trend continua ad essere negativo. In altre parole, i settori improduttivi crescono, quelli più efficienti perdono terreno. “Dall’introduzione dell’euro – scrive il quotidiano della capitale Usa – la produttività italiana ponderata con l’inflazione è diminuita del 30% rispetto a quella della Germania. A partire dalla recessione del 2008, la produzione industriale è calata del 25%”.
Gli aspetti culturali, come si diceva, risulterebbero quindi decisivi. A cominciare dalla centralità concettuale della “famiglia”, un aspetto particolarmente limitante. Sono poche le imprese capaci di crescere ampiamente, e anche quelle che raggiungono grandi dimensioni “tendono a restare private, con i componenti della famiglia che finiscono per occupare tutte le posizioni chiave” e un fabbisogno di capitale tendenzialmente compensato “dai prestiti delle banche locali”. Insomma, non c’è da stupirsi se “la dimensione relativa del mercato azionario italiano sia una delle più ridotte nel mondo industrializzato e se tanto i venture capital quanto le società di private equity abbiano fatto poche incursioni nel mercato italiano”. Aggiungiamo la diffusa presenza del nepotismo e delle raccomandazioni, sistemi non certo confinati alle sole imprese familiari, e il gioco è fatto. In fondo è il destino di un Paese dove resta determinante “la mancanza di senso civico”, dove “è diffusa l’evasione fiscale” e la Mafia “mantiene la propria forza”. Un Paese, insomma, dove “nessuno si aspetta che l’altro sia onesto” e nel quale, di conseguenza, “resta difficile creare un ambiente economico in cui il business e la competizione possano crescere e prosperare”.
Certo, rileva in conclusione il Washington Post, “vi sono pur sempre migliaia di imprese di successo che rendono l’Italia il 2° produttore industriale europeo e che generano un export complessivo capace di compensare la bilancia nazionale dei pagamenti (…). Ma queste imprese sono troppo poche e il loro sviluppo è minacciato spesso dalla cultura economica prevalente e dalla necessità di sostenere quelle parti del Paese che, dal punto di vista economico, assomigliano di più alla Grecia e al Portogallo”. L’agenda delle riforme del governo, la vera missione di Monti, in altri termini, passa necessariamente dalla costruzione di un nuovo sostegno politico attorno alle aziende di successo. “In assenza di una rivoluzione politica e culturale – conclude il quotidiano – è difficile intravedere come questo meraviglioso e affascinante bastione della vecchia Europa possa emergere dalla crisi dell’euro con grandi speranze per il suo futuro”.

Integrazione a Palermo.




Bellissima foto. Un altro mestiere in via di estinzione.


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Arriva il Super Porcellum. - Paolo Flores d'Arcais




Tempi bui, quando i proverbi sono all’ordine del giorno. Quello di oggi suona: al peggio non c’è mai fine.

Il triumvirato della partitocrazia sta infatti approntando nelle basse cucine della riforma elettorale una sbobba peggiore dell’attuale “Porcata”. I delegati di Alfano, Bersani e Casini nella preparazione dell’immondo intruglio si chiamano Quagliariello, Violante e Adornato/Cesa (per l’Udc un’intelligenza sola non bastava, evidentemente). L’osceno della “Porcata”, come è noto anche ai sassi, consiste nel fatto che la libertà dei cittadini si riduce a un altro proverbio: o mangi questa minestra o salti dalla finestra. I parlamentari sono “bloccati”, nominati dalle nomenklature partitocratiche, se non ti vanno bene non ti resta che non votare.
Una riforma elettorale degna del nome, perciò, dovrebbe togliere il maltolto ai capibastone dei partiti e restituirlo ai cittadini elettori, rendendoli di nuovo sovrani almeno in quantità omeopatiche (con la “Porcata” contano zero). Ma la sbobba della quadriglia Q-V-A-C non ci pensa affatto. Anzi, hanno in mente di blindare come “cosa loro” l’attuale monopolio elettorale: metà dei seggi con la “Porcata” e l’altra metà con l’uninominale a turno unico (una “Porcata” al quadrato), il tutto condito da sbarramenti e altri marchingegni che impediscano il nascere di liste della società civile. 

Contano sulla disattenzione che accompagna anche presso l’opinione pubblica democratica la discussione sui sistemi elettorali, in apparenza così astratta e “tecnica”. E sull’afa estiva, quando la sbobba arriverà nelle aule parlamentari. Non bisogna cadere nella trappola. Bisogna costringere Bersani a finirla con lo slalom sulle primarie (di coalizione e “aperte”, ma solo per chi sottoscrive un programma già confezionato dai partiti, come dire: un ottimo Barolo, ma analcolico). E pretendere da Vendola e Di Pietro l’evangelico “sì sì, no no” anziché l’ennesimo ultimatum non-ultimatum. 

Non si illudano Bersani & C. Gli elettori democratici sono ormai una massa incontenibile di “dissidenti” e “disobbedienti”. Le pastette di vertice sono puerili, scambiano la realtà col gioco di Monopoli. I cittadini che hanno a cuore “giustizia e libertà” vogliono liste civiche e primarie vere, nelle quali decidere sia il programma che il candidato (altrimenti è solo l’elezione del “più bello del reame”, un concorso tra “velini” partitocratici).

Deluderli porterà solo a clamorose riedizioni della fallimentare “gioiosa macchina da guerra”. L’establishment, che si presenterà con abiti politici nuovi di zecca, già brinda.



http://temi.repubblica.it/micromega-online/arriva-il-super-porcellum/

Gli apprendisti stregoni del presidenzialismo. - Lorenza Carlassare

Lorenza Carlassare Journalists, Authors And Personalities Call For Silvio Berlusconi Resignation


«Il rischio di un ennesimo stallo sulle riforme costituzionali ed elettorali, dopo l'eventuale fallimento del tentativo sperimentato in questi mesi, non sarebbe senza effetti per il Paese. Le forze politiche presenti in Parlamento si giocano su questo terreno larga parte della loro credibilità». E' questo il grave ammonimento dei senatori del Pd Ceccanti e Chiti, che hanno depositato un disegno di legge costituzionale per consentire l'indizione di un referendum costituzionale di indirizzo sulla forma di governo. Sconcerta l'attivismo di questi senatori e la loro pervicacia nell'intento di stravolgere la Costituzione in un senso o nell'altro.

Ed è sconcertante la disinvolta equiparazione fra riforme costituzionali, poco utili e non richieste, e riforma della legge elettorale da tutti invocata e assolutamente necessaria. Mischiando l'indispensabile con l'inutile-dannoso si confondono utilmente le idee. L'uso della parola «riforme», ormai quasi magica, buona per entrambe, consente di coprire una mistificante omologazione.

Il referendum d'indirizzo sarebbe del resto l'unica via d'uscita per chi voglia procedere a tutti i costi alla modifica della Costituzione. Come sarebbe possibile, altrimenti, far approvare una riforma come quella oggi al senato, basata su due testi fra loro incompatibili? Il primo, uscito dalla Commissione a fine maggio, che esalta i poteri del primo ministro riducendo i poteri presidenziali; il secondo, frutto di un'ispirazione berlusconiana, che prevede esattamente il contrario: un presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo, dotato di poteri politici forti sul modello della V Repubblica francese. Per rendersi conto della loro inconciliabilità basta pensare che un potere importante e delicato come lo scioglimento anticipato delle camere viene attribuito a un diverso titolare: nel testo concordato in Commissione spetta al Primo Ministro, nel testo aggiunto compete al solo presidente della Repubblica senza alcuna partecipazione governativa. Si tratta infatti di un decreto presidenziale esente da controfirma.

Con il referendum di indirizzo proposto dai senatori Pd - che richiede l'approvazione di un'apposita legge costituzionale non essendo previsto dalla Costituzione italiana - si sottoporrebbero agli elettori due quesiti e tre opzioni: Quesito 1: «Ritenete voi che si debba modificare la forma di governo parlamentare della nostra Costituzione?»; Quesito 2: «Se alla domanda precedente ha prevalso il Sì, ritenete voi che si debba preferire la forma di governo del primo ministro (soluzione 1) o la forma di governo semi-presidenziale (soluzione 2)?».

Come dicevo, ciò che interessa è cambiare, cambiare comunque, per consentire a chi governa massima libertà di azione e debolissimi controlli politici: fra le due opzioni, tanto differenti, c'è infatti un intento comune, il medesimo che ha traversato la lunga storia delle incessanti proposte di riforma: i
ndebolire il parlamento, organo rappresentativo del popolo e quindi il popolo stesso; rafforzare i poteri di un unica persona, presidente della Repubblica o primo ministro che sia.
Non vale richiamare l'esperienza di altri paesi nei quali, al di là dei meccanismi istituzionali, gli anticorpi antiautoritari funzionano: in Francia, De Gaulle, con tutto il suo potere, si è spontaneamente dimesso dopo la risposta negativa del popolo francese a un referendum da lui proposto!


http://temi.repubblica.it/micromega-online/gli-apprendisti-stregoni-del-presidenzialismo/

Il posto fisso.



E' il posto fisso in Parlamento che dà alla testa. Deve esserci un virus potentissimo che contagia tutti quelli che ne varcano la soglia.

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