Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 7 luglio 2012
venerdì 6 luglio 2012
I mestieri.
Che bello vedere i "maestri del mestiere". "Il mestiere", questa ormai sconosciuta forma di arte che stiamo perdendo....peccato!
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Spending review, gli incarichi a peso d’oro dell’ex ministro Brunetta? Nessun taglio. - Alessandro Ferrucci e Ferruccio Sansa
In tempi di revisioni di spesa chissà se il supercommissario Bondi ha previsto anche una voce per tagliare gli incarichi decisi dall'ex titolare della Funzione Pubblica: amici, coautori di libri, collaboratori, segretarie, il commercialista fino ai vertici della sua fondazione politica.
Tempo di spending review. Chissà, però, se Enrico Bondi ha pensato di introdurre una nuova voce ai tagli: le nomine dell’ex ministro Renato Brunetta. Una sfilza di nomi che comprendono tra l’altro: amici e coautori di libri, collaboratori di fiducia, segretarie, il commercialista personale e tutti i vertici della sua fondazione politica. Tanti, sarà un caso, i veneziani. Un groviglio di personaggi planati in cda e collegi sindacali di società pubbliche per una spesa di milioni. La lista, pur incompleta, è molto lunga.
Dipartimento della Funzione Pubblica - Basta leggere il sito del Governo per rendersi conto della brillante carriera del professor Leonello Tronti durante il governo Berlusconi: per lui quattro nomine succulente nel solo 2010. Ma lui, chi è? Collaboratore stretto dell’ex ministro e con quest’ultimo, anche autore di pubblicazioni. Niente di illecito, ma comunque incarichi di prima fascia nel Dipartimento per almeno 150mila euro l’anno. Proseguiamo: Rodolfo Rodolfi (seconda fascia, 73mila euro) vanta un curriculum lungo quanto Guerra e Pace: vice-presidente dell’associazione Free di Brunetta, “consigliere politico” dell’allora ministro e curatore di prestigiosi volumi per la collana diretta dal duo Brunetta-Feltri (“Coop rosse”, “Veltroni Walter” e “Urne tradite”). Poi incarichi in enti pubblici, Asl, acquedotti. E ancora, e ancora. Un eclettico, insomma.
Sspa - Altre sorprese. Giovanni Tria, nominato direttore della prestigiosa Scuola Superiore per la Pubblica Amministrazione (129mila euro l’anno) vanta una collaborazione al Foglio di Giuliano Ferrara e due libri con Brunetta. Alla Sspa approdano anche Francesca Temperini e Anna Maria Massa. “Qualcuno”, come il senatore Pd Pietro Ichino, si è permesso di sollevare una questione: Temperini è stata segretaria del ministro Sandro Bondi, è un’esperta d’arte e avrebbe ottenuto consulenze tra l’altro “in materia di comunicazione istituzionale via web” (totale 60mila euro) per cui “non parrebbe avere competenza scientifica o didattica”. Brunetta in aula rispose che la dottoressa era un’esperta di beni culturali di grande preparazione e capacità. E zitti tutti.
Agenzia per l’innovazione - Torniamo ai libri: “Maledetto spread” è un’altra opera della lunga bibliografia di Brunetta. Tra i curatori, anche Renato Farina e, soprattutto, Davide Giacalone. Giornalista, molto stimato dall’ex ministro (anche lui è nella fondazione), tanto da volerlo piazzare ai vertici della Digit (la società pubblica che si occupa di informatizzazione). Una nomina bocciata dal Parlamento. Forse pesarono le numerose inchieste in cui fu coinvolto negli anni Novanta. Arrestato, fu poi assolto e prescritto.
Niente Digit, quindi, ma Giacalone plana alla presidenza dell’Agenzia per l’Innovazione (73mila euro l’anno) che oggi rischia di essere smantellata. Il direttore generale è Mario Dal Co, “collaboratore di Brunetta” secondo le interrogazioni di Linda Lanzillotta (Pd), con un incarico da 140mila euro l’anno. Nel Collegio sindacale dell’Agenzia si trovava anche Michele Zuin, già rappresentante veneziano dell’Unione Ciclisti e oggi capogruppo Pdl al Comune di Venezia: è indicato dalle cronache come “factotum della campagna elettorale (perdente, ndr) di Brunetta” per diventare sindaco della Serenissima. Una nomina del 2008. Nel 2010 gli succede il fratello Maurizio, mentre Michele Zuin si sposta a Formez (centro studi per la formazione della pubblica amministrazione). I compensi? “Sono una questione personale”, si limita a dire Michele Zuin.
Formez - Secondo Amalfitano dal 1975 al 2009 è stato ininterrottamente nel Comune di Ravello (come consigliere comunale e sindaco con un passato nel centrosinistra. “Particolare” scomparso nel curriculum ufficiale) per diventare nel giugno 2008 “consigliere per le autonomie locali e l’innovazione di Brunetta. Dal 31 luglio 2009 presidente di FormezItalia”. Incarico da 219mila euro l’anno. Amalfitano da Ravello sbarca a Roma e intanto l’amico Brunetta, rimasto a spasso, nel dicembre scorso diventa presidente della Fondazione Ravello. Poltrona ambitissima. Sempre a Formez: Claudio Lenoci è approdato nel collegio sindacale dopo un passato come sottosegretario dei governi Andreotti e Amato. Un socialista dell’epoca , come peraltro Brunetta. Secondo ilCorriere, Lenoci patteggiò una pena all’epoca di Tangentopoli nello scandalo della cooperazione. Continuiamo con nomi noti e meno noti, come Federica Bonfirraro, segretaria di Brunetta anche lei a Formez (26mila euro).
Aran - All’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni è arrivato Enrico Mingardi (93mila euro l’anno), ex assessore della giunta veneziana di Massimo Cacciari passato poi a sostenere Brunetta nella corsa a sindaco.
Digit - Nel comitato direttivo dell’ente per la digitalizzazione delle p.a. troviamo oltre al presidente, lo studioso Francesco Beltrame (200mila euro l’anno), l’avvocato Giuliano Sala (140mila euro), ma soprattutto Giuliano Urbani (140mila euro l’anno), uno dei fondatori di Forza Italia, nonché per due volte ministro con Berlusconi. Che avrebbe già diritto a una pensione parlamentare di 6.590 euro. Il direttore generale di Digit è l’ingegnere Giorgio De Rita (158mila euro), secondogenito di Giuseppe De Rita del Censis. Un altro amico di Brunetta? “Conosco il ministro da vent’anni, era consigliere del Cnel quando mio padre presidente”. Tra i revisori dei conti della Digit fino a pochi mesi fa il commercialista Canio Zampaglione. Scusi dottore, ma lei non era anche il commercialista personale di Brunetta? “Sì – risponde al Fatto – ma sono stato scelto per la mia esperienza quarantennale”. Ma era anche il presidente della Free Foundation di Brunetta? “Sì”. E sua figlia Oriana, direttore tra l’altro anche della Free Foundation, durante l’era Brunetta non è diventata uno dei capi del personale della Digit? “Ha avuto un piccolo incarico, ma è un compito di seconda linea. Tutto regolare”.
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Si ripropongono tutti, sono indigesti, difficili da smaltire gli ex ministri berlusconiani. E difficili da cancellare sono anche le loro manie di presenzialismo con gli incarichi affidati, illo tempore, ai propri sostenitori.
Le violenze ai fermati presso la caserma di Bolzaneto. Gernova, 22 luglio 2001
Le persone fermate ed arrestate durante i giorni della manifestazione furono in gran parte condotte nella caserma di Genova Bolzaneto, che era stata approntata come centro per l'identificazione dei fermati, venendo poi trasferite in diverse carceri italiane; secondo il rapporto dell'ispettore Montanaro, frutto di un'indagine effettuata pochi giorni dopo il vertice, nei giorni della manifestazione, transitarono per la caserma 240 persone, di cui 184 in stato di arresto, 5 in stato di fermo e 14 denunciate in stato di libertà, ma secondo altre testimonianze di agenti gli arresti e le semplici identificazioni furono molte di più, ossia quasi 500[107].
In numerosi casi i fermati accusarono il personale delle forze dell'ordine di violenze fisiche e psicologiche, e di mancato rispetto dei diritti legali degli imputati quali l'impossibilità di essere assistiti da un legale o di informare qualcuno del proprio stato di detenzione; gli arrestati raccontarono di essere stati costretti a stare ore in piedi, con le mani alzate, senza avere la possibilità di andare in bagno, cambiare posizione o ricevere cure mediche, essi riferirono inoltre di un clima di euforia tra le forze dell'ordine per la possibilità di infierire sui manifestanti, e riportarono anche invocazioni a dittatori e ad ideologie dittatoriali di matrice fascista, nazista e razzista, nonché minacce a sfondo sessuale nei confronti di alcune manifestanti.
L'allora ministro della Giustizia Roberto Castelli, che aveva visitato la caserma nelle stesse ore, dichiarò di non essersi accorto di nulla e lo stesso confermò il magistrato antimafia Alfonso Sabella, che durante il vertice ricopriva il ruolo di ispettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ed era responsabile delle carceri provvisorie di Bolzaneto e San Giuliano, ma Sabella fu comunque tra i primi, già la settimana dopo il G8, ad ammettere la possibilità che ci fossero state violenze da parte delle forze dell'ordine contro i manifestanti arrestati, pur escludendo appunto che queste fossero state commesse da parte di quelle che erano a Bolzaneto sotto la sua responsabilità[108]).
I giudici nei giorni successivi scarcerarono tutti i manifestanti per l'insussistenza delle accuse che ne avevano provocato l'arresto.
I pubblici ministeri al processo contro le forze dell'ordine riguardo ai fatti della caserma Bolzaneto riferirono di persone costrette a stare in piedi per ore e ore, fare la posizione del cigno e della ballerina, abbaiare per poi essere insultati con minacce di tipo politico e sessuale, colpiti con schiaffi e colpi alla nuca ed anche lo strappo di piercing, anche dalle parti intime. Molte le ragazze obbligate a spogliarsi, a fare piroette con commenti brutali da parte di agenti presenti anche in infermeria. Il P.M. Miniati parla dell'infermeria come un luogo di ulteriore vessazione[109]. Secondo la requisitoria dei pubblici ministeri i medici erano consapevoli di quanto stava accadendo, erano in grado di valutare la gravità dei fatti ed hanno omesso di intervenire pur potendolo fare, hanno permesso che quel trattamento inumano e degradante continuasse in infermeria aggiungendo che soltanto un criterio prudenziale impedisce di parlare di tortura, certo, alla tortura si è andato molto vicini[110].
Il 5 marzo 2010 i giudici d'appello di Genova, ribaltando la decisione di primo grado, emisero 44 condanne per i fatti di Bolzaneto e, nonostante l'intervenuta prescrizione, i condannati dovranno risarcire le vittime[111][112].
Amnesty International ha sottolineato l'importanza della sentenza, la quale riconobbe che a Bolzaneto vi furono «gravi violazioni dei diritti umani», aggiungendo che la prescrizione sarebbe stata impedita se l'Italia avesse introdotto nel suo sistema penale il reato di tortura, come vi è obbligata dalla firma della Convenzione ONU contro la Tortura del 1984.
L'assalto alla scuola Diaz. Genova, 22 luglio 2001.
La scuola Diaz e l'adiacente scuola Pascoli 44°23′46.75″N 8°57′10.31″E, nel quartiere di Albaro, in origine erano state concesse dal comune di Genova al Genoa Social Forum come sede del loro media center e, in seguito alla pioggia insistente che aveva costretto a evacuare alcuni campeggi, anche come dormitorio. Secondo le testimonianze dei manifestanti la zona era divenuta un punto di ritrovo di molti manifestanti, soprattutto tra chi non conosceva la città, venendo frequentata durante le tre giornate anche da coloro che non erano autorizzati a dormire nell'edificio e, sempre secondo quanto riferito dai manifestanti e dal personale delle associazioni che avevano sede nella Pascoli, non vi erano particolari situazioni di tensione nei due edifici.
Intorno alle ore 21.00 di sabato, circa due ore prima della perquisizione e mezz'ora prima della supposta aggressione alle forze dell'ordine, alcuni cittadini segnalarono la presenza in zona (via Trento, piazza Merani e via Cesare Battisti 44°23′49.31″N 8°57′10.64″E) di alcuni manifestanti intenti a posizionare dei cassonetti dell'immondizia in mezzo alla strada ed intenti a liberarsi di caschi e alcuni bastoni. Una volante della polizia mandata a verificare rilevò la presenza di un centinaio di persone davanti alla scuola Diaz, senza però essere in grado di verificare se fossero i soggetti segnalati dalle telefonate o se stessero realmente spostando i cassonetti in mezzo alla strada[83].
Successivamente la segnalazione di un attacco a una pattuglia di poliziotti portò alla decisione da parte delle forze dell'ordine di effettuare una perquisizione presso la scuola Diaz e, ufficialmente per errore, alla vicina scuola Pascoli dove stavano dormendo 93 persone tra ragazzi e giornalisti in gran parte stranieri, la maggior parte dei quali accreditati; il verbale della polizia parlò di una "perquisizione" poiché si sospettava la presenza di simpatizzanti del Black block ma, a distanza di anni, resta tuttora senza motivazione ufficiale l'uso della tenuta antisommossa per effettuare una perquisizione.
Tutti gli occupanti furono arrestati e la maggior parte selvaggiamente picchiata, sebbene non avessero opposto alcuna resistenza; i giornalisti accorsi alla scuola Diaz videro decine di persone portate fuori in barella, uno dei quali rimase in coma per due giorni, ma la portavoce della Questura dichiarò in conferenza stampa che 63 di essi avevano pregresse ferite e contusioni e mostrò il materiale sequestrato ma senza dare risposte agli interrogativi della stampa. Le immagini delle riprese mostrarono muri, pavimenti e termosifoni macchiati di sangue, a nessuno degli arrestati venne comunicato di essere in arresto e dell'eventuale reato contestato, tanto che molti di loro scoprirono solo in ospedale, a volte attraverso i giornali, di essere stati arrestati per associazione a delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata e porto d'armi.
Dei 63 feriti tre ebbero la prognosi riservata: la ventottenne studentessa tedesca di archeologia Melanie Jonasch, la quale subì un trauma cranico cerebrale con frattura della rocca petrosa sinistra, ematomi cranici vari, contusioni multiple al dorso, spalla ed arto superiore destro, frattura della mastoide sinistra, ematomi alla schiena ed alle natiche; il tedesco Karl Wolfgang Baro, trauma cranico con emorragia venosa, ed il giornalista inglese Mark Covell, mano sinistra e 8 costole fratturate, perforazione del polmone, trauma emitorace, spalla ed omero, oltre alla perdita di 16 denti, ed il cui pestaggio, avvenuto a metà strada tra le due scuole, venne ripreso in un video[84][85][86][87][88][89].
La versione ufficiale del reparto mobile di Genova fu che l'assalto sarebbe stato motivato da una sassaiola proveniente dalla scuola verso una pattuglia delle forze dell'ordine che transitava in strada alle ore 21.30 circa, anche se in alcune relazioni l'orario fu indicato nelle 22.30; il vicequestore Massimiliano Di Bernardini, in servizio alla Mobile di Roma ed in quei giorni aggregato a Genova, riferì in un primo tempo di essere transitato "a passo d'uomo", a causa di alcune vetture presenti nella strada molto stretta, davanti alla scuola con quattro vetture e che il cortile della scuola ed i marciapiedi "erano occupati da un nutrito gruppo, circa 200 persone, molti dei quali indossavano capi di abbigliamento di color nero, simile a quello tipicamente usato dai gruppi definitiBlack bloc" e che questi avevano fatto bersaglio i mezzi con "un folto lancio di oggetti e pietre contro il contingente, cercando di assalire le autovetture", ma che queste riuscirono ad allontanarsi, nonostante la folla li inseguisse, "azionando anche i segnali di emergenza"[90].
Le forze dell'ordine tuttavia non furono in grado di fornire indicazioni precise sui mezzi coinvolti, né su chi li guidava e le testimonianze sulla presenza di centinaia di simpatizzanti dei black bloc non venne confermata da altre fonti; successivamente Di Bernardini ammise di non aver assistito direttamente al lancio di oggetti e di avere "visto volare una bottiglia di birra sopra una delle quattro auto della polizia e una persona che si aggrappava allo specchio retrovisore", ma di aver riportato quanto riferitogli da altri[91]. Successivamente tre agenti sostennero che un grosso sasso aveva sfondato un vetro blindato del loro furgone, un singolo mezzo, rispetto ai quattro dichiarati in un primo tempo, e che il mezzo venne poi portato in un'officina della polizia per le riparazioni; tale episodio tuttavia non risultò dai verbali dei superiori, stilati dopo l'irruzione, che invece riportano di una fitta sassaiola, né fu possibile identificare il mezzo che sarebbe stato coinvolto.
Testimonianze successive di altri agenti, rese durante le indagini, sostennero al contrario, il lancio di un bullone, evento a cui i superiori non avrebbero assistito, e di una bottiglia di birra, lanciata in direzione di quattro auto della polizia, a una delle quali si era aggrappato un manifestante. Alcuni giornalisti ed operatori presenti all'esterno della Pascoli racconteranno invece di aver visto solo una volante della polizia in coda insieme ad altre auto dietro unautobus che sostava in mezzo alla strada per far salire i manifestanti diretti alla stazione ferroviaria, la quale, giunta all'altezza delle due scuole, accelerò di colpo "sgommando", ed in quel momento venne lanciata una bottiglia che si infranse a terra a diversi metri di distanza dall'auto ormai lontana; versione confermata in parte da altri testimoni all'interno dell'edificio, i quali affermarono di aver sentito il rumore di una forte accelerata, seguito pochi istanti dopo da alcune urla e dal tonfo di un vetro infranto. Tali versioni, contrastanti in date ed in tempi diversi, hanno posto fortemente in dubbio l'effettivo verificarsi del fatto addotto a motivo dell'irruzione.
L'ora di arrivo delle forze dell'ordine di fronte all'edificio, diversa a seconda delle ricostruzioni effettuate da alcune delle difese degli appartenenti alle stesse rispetto ad altre testimonianze, è stata dibattuta durante i primi due gradi del processo; la Corte di Appello di Genova, concordando con le conclusioni del Tribunale di primo grado, ricostruì nelle motivazioni della sentenza di secondo grado, tramite il confronto dei filmati che mostrarono l'uso di cellulari con i tabulati delle telefonate e gli orari di arrivo degli agenti[92]:
« Sulla base di tale elaborato il Tribunale ha ritenuto che l'arrivo delle forze di Polizia in Piazza Merani sia avvenuto alle ore 23.57.00 (orario desumibile anche dalla trasmissione in diretta di radio GAP, perché è in quel momento che il programma in corso viene bruscamente interrotto per dare notizia dell'arrivo della Polizia in assetto antisommossa), che l'ingresso dei reparti di Polizia operanti all'interno del cortile della scuola sia avvenuto alle 23.59.17 (visibile lo sfondamento del cancello del cortile mediante il mezzo del Reparto Mobile di Roma nel rep. 175), e che l'apertura del portone centrale in legno sia avvenuta alle ore 00.00.15 (visibile dai rep. filmati n. 175 e n. 239), meno di un minuto dopo l'ingresso nel cortile. » | |
(Motivazioni della sentenza di secondo grado relativa ai fatti della scuola Diaz) |
All'operazione di polizia hanno preso parte un numero tutt'oggi imprecisato di agenti: la Corte di Appello di Genova, pur richiamando questo fatto nelle motivazioni della sentenza di secondo grado, basandosi sulle informazioni fornite durante il processo da Vincenzo Canterini, li stima in circa "346 Poliziotti, oltre a 149 Carabinieri incaricati della cinturazione degli edifici"[92].
Un ulteriore lancio di sassi e altri oggetti verso le forze dell'ordine, una volta che queste si erano radunate fuori dall'edificio, definito "fittissimo lancio" nel verbale di arresto dei manifestanti e addotto a ulteriore motivo dell'irruzione nella scuola al fine di assicurare alla giustizia i presunti manifestanti violenti) è stato escluso nel corso del processo dall'analisi dei filmati disponibili da parte del RIS.[93] L'agente che, dal verbale, risultava aver assistito al lancio di unmaglio spaccapietre dalle finestre della scuola, sentito al processo si è avvalso della facoltà di non rispondere, mentre un altro dei firmatari dello stesso verbale riferirà di aver visto in realtà solo "due pietre di piccole dimensioni" cadute "nel cortile della scuola".[94][95][96] La Corte d'appello, nella ricostruzione dei fatti contenuta nelle motivazioni della sentenza, ricostruisce così gli avvenimenti[92]:
« In ogni caso le emergenze probatorie raccolte escludono che si sia trattato di condotta particolarmente significativa e pericolosa, e che abbia avuto le caratteristiche con le quali è stata descritta negli atti sopra menzionati. Basta rilevare che gran parte della scena dallo sfondamento del cancello, al successivo ingresso nel cortile fino all’apertura del portone è stata ripresa nel filmato in atti, e che lo stesso, pure oggetto di attenta consulenza da parte dei RIS di Parma, non consente di apprezzare la caduta e tanto meno il lancio di oggetti (per cui se caduta vi è stata si deve essere trattato di oggetti di dimensioni insignificanti), come del resto confermato dal fatto che a terra nulla di tal genere è stato poi ritrovato, e che gran parte degli operatori staziona nel cortile senza assumere alcun atteggiamento di difesa o riparo da oggetti provenienti dall’alto (tra questi lo stesso Canterini che non indossa il casco, comportamento che per la sua esperienza di comandante non può essere dettato da leggerezza). Solo nella fase immediatamente precedente l’ingresso nella scuola, dopo l’apertura del primo portone, alcuni operatori portano lo scudo sulla testa, ma la condotta è ambigua, perché nello stesso frangente si vedono altri operatori nelle vicinanze che non assumono alcun atteggiamento protettivo; inoltre è stata fornita una spiegazione di tale condotta [...] ravvisata in una specifica tecnica operativa di approccio agli edifici, che contempla tale manovra in via cautelativa sempre, anche in assenza di effettivo pericolo. » | |
(Motivazioni della sentenza di secondo grado relativa ai fatti della scuola Diaz) |
L'arresto in massa senza mandato di cattura venne giustificato in base alla contestazione dell'unico reato della legislazione italiana, esclusa la flagranza, che lo prevede, ovvero il reato di detenzione di armi in ambiente chiuso; dopo la perquisizione le forze dell'ordine mostrarono ai giornalisti gli oggetti rinvenuti, tra cui sbarre metalliche, che si rivelarono provenire dal cantiere per la ristrutturazione della scuola, e 2 bombe molotov, che si scoprì essere state sequestrate il giorno stesso in tutt'altro luogo e portate all'interno dell'edificio dalle stesse forze dell'ordine per creare false prove; un video dell'emittente locale Primocanale, visionato a un anno dei fatti, mostrò infatti il sacchetto con le molotov in mano ai funzionari di polizia al di fuori della scuola e la scoperta di questo video porterà alla confessione di un agente, il quale ammise di aver ricevuto l'ordine di portarle davanti alla scuola[97][98].
Nella stessa operazione venne perquisita, per errore, stando alle testimonianze dei funzionari durante i processi, anche l'adiacente scuola Pascoli, che ospitava l'infermeria, il media center ed il servizio legale del Genoa Social Forum, che lamentò la sparizione di alcuni dischi fissi dei computer e di supporti di memoria contenenti materiale sui cortei e sugli scontri, oltre alle testimonianze di molti manifestanti circa i fatti dei giorni precedenti, sia su supporto informatico che cartaceo. Alcuni dei computer che erano stati dati in comodato al Genoa Social Forum dal Comune e dalla Provincia ed alcuni computer portatili dei giornalisti e dei legali presenti vennero distrutti durante la perquisizione; poche ore prima dell'assalto, in un comunicato stampa diffuso dal Genoa Legal Forum, si annunciò che il giorno successivo sarebbe stata sporta denuncia contro le forze dell'ordine per quanto avvenuto in quei giorni, avvalendosi di questo materiale; la Federazione nazionale della stampa si costituì parte civile al processo contro questa irruzione.
Tutti gli arrestati della scuola Diaz e della scuola Pascoli vennero in seguito rilasciati, alcuni la sera stessa, altri nei giorni successivi, e con il tempo caddero tutte le accuse ai manifestanti; per quanto riguarda l'accoltellamento di un agente, fatto che venne contestato dalle perizie del RIS, secondo le quali i tagli sarebbero stati procurati appositamente, ma ritenuto invece veritiero dal consulente tecnico del tribunale. L'agente cambiò versione sull'avvenimento diverse volte ed in 7 anni di indagini non si trovò nessun altro agente che ammise di aver assistito direttamente alla scena[99]. L'agente nel processo di primo grado venne comunque assolto, ritenendo veritiera l'ultima delle sue versioni, mentre nel processo di secondo grado la ricostruzione venne ritenuta falsa[92]. Gli arrestati stranieri vennero espulsi dall'Italia dopo il rilascio[92].
Le devastazioni ed i responsabili. Genova, 22 luglio 2001 - Scuola Diaz
Terminate le manifestazioni domenica 22 luglio la città di Genova rilevò i danni: le devastazioni cagionate da elementi violenti, mai arrestati nonostante le numerose chiamate alle forze dell'ordine da parte di cittadini e persino da parte dell'allora presidente della Provincia di Genova, attuale sindaco della città Marta Vincenzi, e nel corso degli scontri tra manifestanti e forze dell'ordine, causarono notevoli danni a proprietà private e pubbliche ed a distanza di anni, la grandissima maggioranza dei responsabili, sia tra i manifestanti che tra le forze dell'ordine, non è ancora stata identificata, mentre quasi tutti i fermati dalle forze dell'ordine, con un totale di 329 arresti, nei giorni degli scontri sono poi risultati estranei ai fatti contestati, o non sono state individuate responsabilità specifiche a loro carico.
Alcuni sospettarono la responsabilità da parte di simpatizzanti del movimento internazionale Black block, il cui arrivo dell'ala più estremista in Italia era stato preannunciato nelle settimane precedenti alle manifestazioni dalle autorità tedesche a quelle italiane ma, nonostante tali avvisi, essi non furono fermati alle frontiere diversamente da altri manifestanti, e i simpatizzanti di tale movimento solitamente usi rivendicare come propria pratica di lotta azioni simili compiute in passato, questa volta negarono la loro responsabilità, e prove della loro partecipazione non sono state trovate, perlomeno per quello che riguarda una partecipazione organizzata.
Da testimonianze di manifestanti e giornalisti che seguivano i cortei autorizzati, risulterebbe che parte dei componenti del gruppo di "manifestanti violenti" che vestivano di nero e che si mossero liberamente per la città durante i cortei e le manifestazioni, non sembrava parlare italiano e suscitò polemiche anche la presenza dell'allora vice presidente del Consiglio Gianfranco Fini nella sala operativa della Questura genovese, presenza che, da diversi giornalisti dell'area di sinistra[100], venne messa in relazione ai molti abusi poi compiuti dalle forze dell'ordine.
Il 14 dicembre 2007 24 manifestanti son stati condannati in primo grado a complessivi 110 anni di carcere[101], le condanne riguardano gli scontri in via Tolemaide ed i cosiddetti fatti del "blocco nero"; tra i condannati 10 sono stati giudicati responsabili per devastazione e saccheggio, 13 per danneggiamento ed uno per lesioni, la resistenza a pubblico ufficiale è stata scriminata per tre imputati in quanto i giudici ritennero che la resistenza alle cariche della polizia durante il corteo delle tute bianche era legittima solo per tali tre imputati, al contrario dei danneggiamenti successivi.[102] In appello, nell'ottobre 2009, 15 dei manifestanti sono stati assolti, sia per l'intervento della prescrizione, sia perché la carica dei carabinieri in via Tolemaide è stata nuovamente valutata come illegittima e quindi la reazione a questa è stata considerata una forma di legittima difesa, sia con assoluzione piena per una manifestante già assolta in primo grado. Ai 10 condannati (accusati di devastazione e saccheggio) sono tuttavia state sensibilmente aumentate le pene rispetto a quelle erogate in primo grado, per un totale di 98 anni e 9 mesi di carcere.[103][104][105][106]
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