Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 18 luglio 2012
Sandro Pertini.
Lui si che era il MIO PRESIDENTE!
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Quirinal party. - Marco Travaglio
Giustamente Eugenio Scalfari si è risentito per la sanguinosa calunnia del pm Antonio Ingroia, che dice di perdonargli le inesattezze giuridiche sul caso Napolitano-Mancino in quanto “non è laureato in giurisprudenza”. Ma come, ribatte Scalfari, “mi sono laureato in Giurisprudenza nel 1946 con il voto di 100 e lode”! Ora però quella laurea, risalente peraltro a prima della Costituzione, rischia di diventare un’aggravante. Perché, nella jungla di norme e normette citate da Scalfari a sostegno della sua bizzarra concezione della legge sulle intercettazioni e dell’immunità presidenziale, c’è una sentenza della Consulta che, a suo dire, taglia la testa al toro e sancisce una volta per tutte il “gravissimo illecito” commesso dagli inquirenti di Palermo intercettando, sul telefono di Mancino, due conversazioni con Napolitano: la sentenza n.135 del 24 aprile 2002. Siamo andati a leggerla e abbiamo scoperto un sacco di cosette interessanti.
Intanto, fra i membri di quella Corte, c’era Gustavo Zagrebelsky, editorialista di Repubblica, a cui il Fondatore avrebbe potuto chiedere un aiutino prima dell’incauta citazione e della conseguente figuraccia. Già, perchè la sentenza in questione riguarda il caso di una discoteca di Alba (Cuneo), in cui furono nascoste dagli inquirenti alcune microspie e telecamere per immortalare “i rapporti sessuali tra i clienti e le ballerine dell’esercizio”. Dopodiché “il gestore del locale fu sottoposto ad arresti domiciliari” per “favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione”. Ne nacque un’intricata controversia giuridica fra i vari magistrati interessati al caso a proposito di chi dovesse autorizzare le telecamere, visto che la saletta dove si svolgevano i convegni carnali era un “luogo di privata dimora”. Bastava l’autorizzazione del pm, come dice una corrente giurisprudenziale e com’era avvenuto in quel caso; oppure occorreva quella del gip, come ritengono altri giuristi; o ancora le “riprese visive ai fini di indagine in luoghi di privata dimora” vanno “escluse in radice dal principio di inviolabilità del domicilio”, come opinano altri? E, se basta l’ok del pm, non è incostituzionale la legge sulle intercettazioni che garantisce la privacy dei cittadini molto più per intrusioni meno invasive, come i controlli telefonici e ambientali, che per quelle più invasive come le videoriprese?
La Consulta, nella sentenza firmata dal presidente Cesare Ruperto e dal giudice Giovanni Maria Flick, concludeva che la questione di incostituzionalità sollevata dal gip di Alba era “non fondata e veniva rigettata”, a tutto scapito del povero proprietario della discoteca. Abbiamo cercato col lanternino, nelle sei pagine della sentenza, un sia pur minimo accenno alla prerogative del Capo dello Stato invocate da Scalfari, ma purtroppo invano. Anche perchè il contesto della disco, della lap dance e delle cene eleganti con allegri dopocena parrebbe più confacente a un’altra carica dello Stato, sia pur “ex”. E parrebbe escludere, anche qui “in radice”, una sia pur minima attinenza con gli stili di vita di Napolitano e di Mancino (peraltro intercettati al telefono nei rispettivi domicili e non videoripresi in discoteca). Infatti il procuratore Messineo, nella sua costernata replica, fa notare pudicamente che “non sembra pertinente la citazione della sentenza Corte Costituzionale del 24 aprile 2002 n. 135 che non riguarda affatto la materia delle intercettazioni a carico di soggetti tutelati da immunità”. E, per carità di patria, evita di specificare quale materia riguarda. Resta da capire che cosa sia saltato in mente al laureato Scalfari, dottore in Giurisprudenza dal lontano 1946, di infilare fra le fonti giuridiche della sua reprimenda ai pm di Palermo un caso di sesso fra discotecari e ballerine. Ma forse, ancora una volta, vale la domanda che da qualche giorno ripetiamo inascoltati: in quelle due telefonate c’è qualcosa che noi non sappiamo e non dobbiamo sapere?
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“Gli italiani bombardano l’Afghanistan”. Lo scoop di “E” prima della chiusura. - Thomas Mackinson
Nell'ultimo numero in edicola, il mensile di Emergency raccoglie la conferma del portavoce del nostro contingente: "Gli Amx vengono impiegati con sgancio di bombe". Quello che non era riuscito al ministro La Russa è stato ottenuto dal "tecnico" Di Paola. Senza dibattito parlamentare.
Coi cacciabombardieri a fare la pace, nessuno ci aveva creduto davvero. Ora arrivano una serie di conferme dirette dagli alti comandi impegnati a Herat che riaccendono le polemiche sui bombardamenti italiani in Afghanistan: si torna a parlare di violazione dell’articolo 11 della Costituzione (L’Italia ripudia la guerra…) e delle regole della democrazia parlamentare. Il governo viene chiamato da qualcuno a riferire in aula, ma la vicenda rischia di passare sotto silenzio. Era questione di tempo.
L’assalto è partito da lontano con l’ex ministro La Russa che per primo aveva incautamente proposto di armare i bombardieri italiani trovandosi davanti una levata di scudi. Cosa che è riuscita invece al ministro “tecnico” della Difesa Giampaolo Di Paola, che a gennaio ha deciso autonomamente di rimuovere completamente i “caveat”, cioè i limiti alle regole di ingaggio dei soldati in missione. E’ il via libera ai bombardamenti aerei del 51esimo stormo dell’Aeronautica militare fino ad allora erano stati impiegati come semplici ricognitori, senza neppure le bombe sotto le ali. Una scelta dall’enorme significato politico ed etico che avrebbe suggerito almeno un passaggio in aula, giusto per verificare che gli italiani l’Afghanistan lo vogliono bombardare davvero. Quella del ministro-ammiraglio fu invece una comunicazione alla commissione Difesa di Camera e Senato, nessun dibattito e nessun voto a ratificare l’uso delle bombe.
Peggio, un ordine del giorno del senatore Pd Marco Perduca impegnava il governo a rimettere al Parlamento la decisione ma è stato respinto svuotando di fatto le prerogative parlamentari. E ora quel vuoto solleva accuse all’indirizzo del governo. Sei mesi dopo, infatti, sono arrivate le prime ammissioni sui bombardamenti tricolore e le prime domande sugli effetti devastanti degli ordigni da 250 chili. L’ultimo a confermarne l’uso è stato il colonnello Francesco Tirino, portavoce del contingente italiano in Afghanistan. Al mensile di Emergency “E” (prossimo alla chiusura) Tirino ha confermato che nelle ultime settimane si sono intensificate le azioni di bombardamento dei quattro Amx dispiegati nella provincia di Farah per piegare la resistenza talebana nei distretti del Gulistan e di Bakwa entro l’autunno.
La domanda di Enrico Piovesana è senza scappatoie: “Colonnello, conferma l’offensiva militare con l’uso di Amx in missioni di bombardamento?”. “I nostri assetti, compresi gli Amx, sono utilizzati al cento per cento della loro capacità di difesa (…) Nell’ambito dell’operazione congiunta ShrimpNet gli Amx vengono impiegati con sgancio di bombe per le attività appena dette o per azioni preventive: ad esempio, le bombe a guida laser sganciate hanno distrutto un’antenna collocata in una zona impervia di montagna e usata dagli insorti per le loro comunicazioni radio”. Ma in zona non ci sono solo tralicci, ripetitori e parabole da colpire e fonti di stampa afghane riferiscono di decine di militari uccisi dal “fuoco amico”… “Non ho notizia di questo, non posso commentare”.
Prima della dichiarazione di Tirino l’impiego di bombe era rimasto un sospetto. Il Sole24Ore aveva avanzato il sospetto citando fonti anonime che poi il generale Luigi Chiapperini, comandante della missione italiana, non ha potuto smentire incalzato dai giornalisti italiani al seguito a Camp Arena, la base Nato di Herat sotto il comando tricolore. Bomba o non bomba che l’Italia fosse in guerra era chiaro da tempo. Lettera22 a colloquio con il generale Fabio Mini non si lascia scappare che il potenziale offensivo dispiegato in elicotteri “è ancora più distruttivo peché gli elicotteri Mangusta possono fare anche più male. Hanno fatto almeno 300 missioni. Proprio qualche settimana fa un collega mi ha parlato di un’operazione con 60 “insorti” uccisi. Non erano Amx ma elicotteri».
A Roma le parole dei colonnelli sono sale su una ferita aperta che pochi vogliono sentire. Prova ad alzare la voce il capogruppo Idv in Commissione Difesa Augusto Di Stanislao: “Ho depositato un’interpellanza urgente affinché il Governo ci spieghi che cosa stiamo facendo esattamente laggiù perché armare gli aerei e tirare bombe dovrebbe aiutare la transizione democratica”.
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Tonno Riomare sostenibile nei supermercati: realtà o illusione?
Ieri tra gli scaffali del supermercato ho trovato una confezione di scatolette Riomare con la dicitura “Tonno pescato a canna”. Finalmente! Il colosso italiano del tonno ha deciso di offrire un prodotto sostenibile anche sul mercato italiano, dopo quello tedesco e austriaco. E con tutte le informazioni che Greenpeace chiede da tempo sulla confezione!
Vuol dire che quando sono i consumatori a chiederlo l’industria può davvero cambiare. Più di 43 mila persone, infatti, hanno firmato la nostra petizione per chiedere al tonno “che si taglia con un grissino” di muoversi verso metodi di pesca sostenibili.
Oggi i consumatori italiani possono scegliere - insieme al tonno pescato con canna di AsdoMar - anche un prodotto Riomare che garantisca la salvaguardia delle popolazioni di tonno e tutto l’ecosistema marino. Quell’ecosistema che la pesca industriale eccessiva sta distruggendo fino a farlo diventare un deserto.
Ma Riomare è diventato davvero “responsabile” o è soltanto un’illusione, come quell’isolata confezione al supermercato? I prodotti sostenibili dell’azienda sono purtroppo una minima parte: Riomare non si è ancora impegnato a vendere solo tonno pescato in maniera sostenibile.
Greenpeace chiede all’azienda di garantire in tutti i suoi prodotti solo tonno pescato con canna e senza metodi distruttivi come i FAD, così come ha fatto per il 45% della sua produzione.
Riomare ha dimostrato che se vuole può cambiare, ecco perché noi consumatori dobbiamo continuare a chiederglielo. Firma anche tu la petizione.
http://www.greenpeace.org/italy/it/News1/blog/tonno-riomare-sostenibile-nei-supermercati-re/blog/41356/
Sicilia a rischio crac, ma da “Arraffaele” Lombardo piovono nomine last minute. - Giuseppe Pipitone
Il presidente, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, ha annunciato le dimissioni per il 31 luglio. Ma negli ultimi mesi ha dato il via libera a un centinaio di nuovi incarichi. Mentre sulla Regione grava l'ombra del default.
All’inizio del suo mandato gli oppositori gli avevano affibbiato l’appellativo di “Arraffaele”, per la presunta capacità di piazzare i suoi fedelissimi nei posti chiave dell’amministrazione siciliana. Adesso che il governo di Raffaele Lombardo volge al termine quell’irriverente soprannome è tornato prepotentemente a circolare negli ambienti della Regione Sicilia.
Il governatore imputato per concorso esterno a Cosa Nostra aveva annunciato nell’aprile scorso che si sarebbe dimesso il 31 luglio. Da quell’annuncio i vertici della Regione si sono messi in moto sfornando nuove nomine a cadenza quasi quotidiana. Tra assessori, dirigenti, capi di gabinetto, commissari e manager delle Asp i nuovi incarichi assegnati dal governatore dimissionario hanno superato quota cento in meno di tre mesi: decisamente troppi. Soprattutto per un governo a breve scadenza.
A fare scalpore soprattutto la nomina del commercialista agrigentino Eugenio Trafficante come presidente del collegio dei sindaci della Sicilia E-Servizi, la società informatica che fa capo alla Regione. Trafficante però non aveva potuto accettare l’incarico essendo detenuto da qualche giorno per stalking. Qualche polemica aveva creato anche la nomina dell’ex deputato Mpa Tony Rizzotto al vertice di Lavoro Sicilia, una delle tante società del sottogoverno regionale. Rizzotto è stato l’animatore del movimento Chiama la Città, lista civica che sosteneva Alessandro Aricò, il candidato sindaco di Palermo appoggiato da Lombardo. Neanche Rizzotto, però, aveva potuto accettare l’incarico perché era incompatibile con il suo lavoro di dirigente comunale. Al suo posto era stata quindi chiamata la sua compagna, Salvina Profita, candidata con la stessa lista civica di Rizzotto, che si era subito difesa sottolineando come tra lei e l’ex deputato Mpa ci fosse soltanto “un rapporto d’affetto”.
Le controversie sulle nomine di Lombardo sono continuate anche quando Amleto Trigilo è stato indicato come nuovo assessore ai Beni culturali a pochi giorni dalle annunciate dimissioni del governo. Trigilio è stato segnalato come uomo di Confindustria, ma il vicepresidente degli industriali Ivan Lo Bello ne ha preso immediatamente le distanze: “Sono pronto a querelare chi fa passare il messaggio di un coinvolgimento di Confindustria in queste manovre: Trigilio è un oscuro imprenditore associato a Confindustria, uno dei diecimila associati. Per quel che ne sappia, è uomo vicino al deputato Mario Bonomo, con il quale non abbiamo rapporti”. L’onorevole Bonomo è esponente del Movimento popolare Siciliano. il partito nato da una costola del Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo.
Le nomine del governatore etneo non si sono fermate qui però. Dopo la promozione del suo ex capo di gabinetto Patrizia Monterosso a segretario generale della Regione, il governatore si è concentrato sulla sanità. L’obiettivo sembrerebbe quello di rendere duraturi gli incarichi che potrebbero invece decadere dopo le dimissioni del governatore. È forse per questo che Carmelo Pullarà, ex candidato sindaco di Licata con il Movimento per l’Autonomia, è stato promosso da commissario a dirigente dell’Arnas Civico di Palermo. Una promozione non da poco, visto che l’incarico di dirigente dura per tre anni. Nuovi vertici anche per la Asp di Catania, Agrigento e Messina dove il presidente ha indicato nell’ordine Gaetano Sirna, Salvatore Messina e Manlio Magistri.
“Questo è l’ultimo atto di pirateria del governo Lombardo” ha commentato fuori di sé l’europarlamentare del Pdl Salvatore Iacolino. Le nomine dei nuovi manager, però, per diventare operative dovranno essere votate dalla commissione affari istituzionali dell’Assemblea Regionale Siciliana. La stessa commissione che non è ancora riuscita a far passare il decreto “blocca nomine”, l’inedita proposta di legge formulata con l’obiettivo di bloccare l’elargizione di incarichi di Lombardo a fine legislatura.
“Quella sulla nomine è una polemica strumentale e vergognosa, basata su falsità”, è stata la reazione decisa del presidente Lombardo. “Su questa storia è stato montato volutamente un gran fracasso ed è stato deliberatamente rappresentato un sistema che potesse far gridare allo scandalo, quando, invece, facciamo solo il nostro dovere”. Addosso al governatore ora è precipitatala tegola dei fondi Fesr (fondo europeo per lo sviluppo regionale ): circa 600 milioni di euro congelati dall’Unione Europea per “irregolarità nell’assegnazione degli appalti e carenze significative nel funzionamento dei sistemi di gestione e controllo”. Il governatore ha assicurato che sarà adottata “ogni misura che riterremo adeguata a superare la difficoltà”. Promessa che non è bastata a Giampiero D’Alia, plenipotenziario dell’Udc sull’isola, che ha chiesto un intervento del governo nazionale per “commissariare la Sicilia e avviare una politica di risanamento”.
Oltre che all’Unione Europea, il tema degli appalti regionali in Sicilia sta interessando in questi giorni anche la procura palermitana che ha aperto un’indagine sui cosiddetti Grandi Eventi. Al centro dell’inchiesta coordinata dai magistrati Leonardo Agueci, Gaetano Paci e Maurizio Agnello è finito Fausto Giacchetto, project manager che avrebbe messo le mani su decine di milioni di euro di finanziamento per le campagne di comunicazione. A oggi gli indagati sarebbero otto tra imprenditori che si sarebbero aggiudicati appalti in maniera illecita e funzionari della Regione.
E sempre sui burocrati regionali si è focalizzata l’attenzione della Corte dei Conti che sta indagando su alcuni dipendenti che avrebbero gonfiato a dismisura le ore di lavoro straordinario. I magistrati contabili hanno anche sequestrato 70mila euro dal conto corrente di Emanuele Currao, un funzionario del dipartimento alla formazione, che li avrebbe sottratti dai fondi regionali per pagare i fornitori.
Dopo la notizia dell’indagine sui grandi eventi, il governo regionale ha usato il pugno di ferro istituendo una commissione d’inchiesta e facendo sapere che “se qualcuno tra i funzionari della Regione dovesse avere sbagliato pagherà anche con il posto”. Alla fine dell’era Lombardo mancano 15 giorni. Dopo le dimissioni, il governatore ha annunciato che lascerà la politica dedicandosi all’agricoltura. “Potrei anche coltivare marjiuana” ha scherzato il presidente. Che prima delle canne, però, ha ancora il tempo per qualche nuova nomina last minute.
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martedì 17 luglio 2012
Assolto l'ex ministro Saverio Romano era imputato di concorso esterno.
La sentenza è stata emessa dal Gup di Palermo, Fernando Sestito, che ha processato il leader del Pid con il rito abbreviato. La Procura aveva chiesto una condanna a 8 anni.
L'ex ministro delle Politiche agricole e leader del Pid, Saverio Romano, è stato assolto dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. La sentenza è stata emessa dal Gup di Palermo Fernando Sestito, che ha processato Romano con il rito abbreviato. Il Gup ha applicato la formula del secondo comma dell'articolo 530 del codice di procedura penale, che prevede l'assoluzione quando la prova manca, è incerta o contraddittoria. La Procura aveva chiesto la condanna di Romano a 8 anni. Il verdetto dopo una camera di consiglio di meno di due ore.
"Finalmente è finita". Così Romano ha chiosato con i suoi legali, gli avvocati Raffaele Bonsignore e Franco Inzerillo, la sentenza. "Ho sempre confidato nella mia assoluzione - ha aggiunto - . Inutile nascondere la mia soddisfazione: sono stato assolto perché il fatto non sussiste. Ho sempre pensato che le sentenze si leggono e non si commentano. In me vi è però l'amarezza per i tempi lunghi della giustizia, che non sono compatibili con un Paese civile".
Numerosissimi i commenti, soprattutto dal Pdl. "All'ex collega vanno le mie felicitazioni" ha commentato l'ex ministro Mariastella Gelmini - La sua totale estraneità ai fatti è stata sancita oggi dopo mesi di strumentalizzazioni politiche e massmediatiche. Finisce un incubo che l'onorevole Romano ha saputo affrontare con grande dignità e coraggio". Analogo il commento di Maurizio Lupi, sempre del Pdl: "L'accanimento nei confronti della sua persona era del tutto ingiustificato". "Felicitazioni" da un altro ex ministro, Gianfranco Rotondi.
Esprime "soddisfazione" il segretario del Pdl Angelino Alfano. "La giustizia - dice - gli restituisce la meritata serenità. Resta l'ombra dell'accanimento mediatico e politico che ha subito per anni in modo ingiustificato e strumentale. Oggi più che mai ci si dovrebbe interrogare su come mai una persona, innocente fino al terzo grado di giudizio, rischia di essere condannata in via preventiva ancora prima del termine naturale del processo".
"Gli elementi c'erano, ma non sono stati ritenuti idonei per la condanna. Rispettiamo comunque ogni decisione". Così il procuratore Francesco Messineo ha commentato invece la sentenza. Messineo si sofferma, in particolare, sulla formula assolutoria utilizzata dal giudice, che richiama la vecchia insufficienza di prove. "La norma - dice il capo della Dda - stabilisce che il giudice pronuncia assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova. Questo significa che gli elementi c'erano, ma non sono stati ritenuti idonei a raggiungere la soglia del convincimento al di là di ogni ragionevole dubbio".
"Finalmente è finita". Così Romano ha chiosato con i suoi legali, gli avvocati Raffaele Bonsignore e Franco Inzerillo, la sentenza. "Ho sempre confidato nella mia assoluzione - ha aggiunto - . Inutile nascondere la mia soddisfazione: sono stato assolto perché il fatto non sussiste. Ho sempre pensato che le sentenze si leggono e non si commentano. In me vi è però l'amarezza per i tempi lunghi della giustizia, che non sono compatibili con un Paese civile".
Numerosissimi i commenti, soprattutto dal Pdl. "All'ex collega vanno le mie felicitazioni" ha commentato l'ex ministro Mariastella Gelmini - La sua totale estraneità ai fatti è stata sancita oggi dopo mesi di strumentalizzazioni politiche e massmediatiche. Finisce un incubo che l'onorevole Romano ha saputo affrontare con grande dignità e coraggio". Analogo il commento di Maurizio Lupi, sempre del Pdl: "L'accanimento nei confronti della sua persona era del tutto ingiustificato". "Felicitazioni" da un altro ex ministro, Gianfranco Rotondi.
Esprime "soddisfazione" il segretario del Pdl Angelino Alfano. "La giustizia - dice - gli restituisce la meritata serenità. Resta l'ombra dell'accanimento mediatico e politico che ha subito per anni in modo ingiustificato e strumentale. Oggi più che mai ci si dovrebbe interrogare su come mai una persona, innocente fino al terzo grado di giudizio, rischia di essere condannata in via preventiva ancora prima del termine naturale del processo".
"Gli elementi c'erano, ma non sono stati ritenuti idonei per la condanna. Rispettiamo comunque ogni decisione". Così il procuratore Francesco Messineo ha commentato invece la sentenza. Messineo si sofferma, in particolare, sulla formula assolutoria utilizzata dal giudice, che richiama la vecchia insufficienza di prove. "La norma - dice il capo della Dda - stabilisce che il giudice pronuncia assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova. Questo significa che gli elementi c'erano, ma non sono stati ritenuti idonei a raggiungere la soglia del convincimento al di là di ogni ragionevole dubbio".
Meglio non commentare....anche se non nascondo una profonda delusione. Mi sento impotente, questa è l'unica sensazione che provo leggendo l'esito della sentenza.
Sicilia, più dipendenti del governo inglese. - Sergio Rizzo
La presidenza della Regione ne conta 1.385.
Downing Street si ferma a 1.337.
ROMA - Esiste in Italia un ufficio pubblico dove c'è un dirigente ogni sei impiegati. Si trova a palazzo dei Normanni, Palermo: è la presidenza della Regione siciliana. Ma il governatore Raffaele Lombardo sappia che non è l'unico in Europa a guidare un esercito pieno zeppo di generali. Il premier britannico David Cameron è nelle sue stesse condizioni: anche a Downing Street ogni dirigente ha in media sei sottoposti. Il fatto è che pure i numeri sono più o meno gli stessi. Cameron ha 198 dirigenti, Lombardo 192. Quanto ai dipendenti il Cabinet Office, equivalente della nostra presidenza del Consiglio, ne ha 1.337: quarantotto meno dei 1.385 che la presidenza della Regione siciliana contava alla fine del 2011.
Ciò basta per immaginare quali stupefacenti risultati potrebbe dare da queste parti una seria spending review . Afferma la relazione della Corte dei conti sul rendiconto del bilancio 2011 che la Regione siciliana ha ufficialmente 17.995 dipendenti. Su questo numero si è a lungo polemizzato, anche a proposito di paragoni che pure in Sicilia non vengono ritenuti congrui come quello con la Lombardia, Regione che ha il doppio degli abitanti ma un quinto del personale. Ma è una cifra che non dice ancora tutto. Intanto perché nel 2011, anno in cui riesplodeva la crisi economica più drammatica da un secolo a questa parte, ben 4.857 di questi dipendenti, in precedenza reclutati con contratto a termine, sono stati assunti in pianta stabile, a tempo indeterminato. Il che, argomentano i giudici contabili, non mancherà di avere ripercussioni future sui conti regionali. E poi perché a quei 17.995 se ne devono aggiungere altri 717 comandati e distaccati presso altre strutture che comunque fanno capo alla Regione. Oltre a 2.293 a tempo determinato il cui stipendio è pagato in qualche modo dall'ente. Totale: 21.005. Un totale, però, anch'esso incompleto. Dove mettiamo, infatti i 7.291 dipendenti delle 34 società controllate o collegate alla Regione siciliana? Se contiamo anche quelli arriviamo a 28.796. E facciamo grazia di forestali e lavoratori socialmente utili (24.880) in forza a molti Comuni, in parte a carico della casse regionali. Personale le cui retribuzioni sono state al centro di un durissimo scontro fra Lombardo e il commissario di governo che aveva impugnato l'ultima legge finanziaria nella quale era previsto il ricorso a un mutuo, anche per far fronte a quel problema, di 558 milioni. Una somma che avrebbe ingigantito ancora di più il debito della Regione, già cresciuto nel 2011 di altri 818 milioni arrivando al valore record di 5,3 miliardi.
I soli dipendenti «ufficiali» assorbono 760,1 milioni, e si tratta di un costo superiore del 45,7% rispetto al 2001. Se però calcoliamo anche gli oneri sociali, allora si arriva a un miliardo 80 milioni. Cioè poco meno della metà del costo del personale delle quindici Regioni a statuto ordinario. Le quali hanno, tutte insieme, un numero di dirigenti pari a quello della sola Sicilia. Sono 1.836. Ce n'è uno ogni 9 impiegati, con vette di 5 o 6 in alcune strutture, come appunto la presidenza della Regione. L'anno scorso sono entrati in posizioni di responsabilità anche diversi soggetti esterni, circostanza che ha indotto la Corte dei conti a queste considerazioni: «È poco plausibile, a fronte di oltre 1.800 dirigenti di ruolo, ritenere che non siano già disponibili idonee professionalità all'interno dell'amministrazione. La mancata valorizzazione delle risorse interne è in definitiva la causa dei costi sostenuti per retribuire i dirigenti esterni per i cui emolumenti è previsto un tetto massimo di 250 mila euro, di gran lunga superiore alla retribuzione massima dei dirigenti generali interni». Per non parlare dei sette «uffici speciali» istituiti, secondo i magistrati, con «motivazioni alquanto generiche» e spesso «duplicazioni di funzioni già attribuite» ad altre strutture. Nel rapporto si cita a titolo di esempio l'ufficio speciale Energy manager , che ha funzioni del tutto analoghe a quelle del Dipartimento regionale per l'energia.
Ma se al costo del personale «ufficiale» sommiamo anche quello dei dipendenti delle società partecipate (226 milioni) e dei dipendenti pensionati, che in Sicilia sono a carico della Regione (641 milioni), allora veleggiamo di slancio verso i due miliardi. Dal 2004 al 2011 la spesa previdenziale è cresciuta del 31%, anche a causa di alcuni privilegi assolutamente sorprendenti sopravvissuti fino allo scorso mese di gennaio e che avranno effetti a lungo, negli anni a venire. È appena il caso di ricordare che per i dipendenti della Regione la riforma Dini, quella che ha introdotto il metodo di calcolo basato non più sulla retribuzione ma sui contributi effettivamente versati, è entrata in vigore con otto anni di ritardo: il primo gennaio 2004, anziché il primo gennaio 1996 come per tutti i comuni mortali. Per giunta, fino all'inizio di quest'anno potevano andare in pensione con soli 25 anni di servizio tanto quelli colpiti da disabilità, quanto coloro che avevano un genitore disabile. Nel 2011 si sono pensionati anticipatamente perché figli di disabili 464 dipendenti regionali, contro 297 nel 2010, 230 nel 2009, 196 nel 2008, 165 nel 2007, 125 nel 2006, 138 nel 2005 e 121 nel 2004. Da quando, proprio nel 2004, è stata perfezionata questa disposizione, hanno avuto la baby pensione, con un crescendo rossiniano, in 1.736. Celebre il caso di Pier Carmelo Russo, pensionato a 47 anni per assistere il padre disabile, nominato però subito dopo assessore della giunta Lombardo. Alle polemiche, lui ha replicato: «Quando sono andato in pensione il mio stipendio era prossimo a diecimila euro ed ero segretario generale della Regione, il massimo livello della carriera burocratica. Ho preferito il mio amatissimo padre e sono orgogliosissimo di averlo fatto. Da quando faccio l'assessore non ho mai percepito un centesimo. Tutta la mia indennità (300.000 euro lordi annui) l'ho devoluta in beneficenza. Mi considero una persona oltremodo fortunata e desidero sdebitarmi con la Divina Provvidenza».
Ai posteri l'ardua sentenza. Sempre che la Regione possa in futuro pagare anche le loro, di pensioni. Già oggi il tasso di copertura dei contributi non arriva che al 28,7%.
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