mercoledì 8 agosto 2012

Trattativa, Procura Palermo dà parere negativo a stralcio posizione di Mancino.


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Secondo il pm Nino Di Matteo c'è “strettissimo collegamento probatorio” tra le vicende contestate all’ex ministro e quelle contestate agli altri indagati. Sulla istanza dei legali l’ultima parola spetta al gup che il 29 ottobre deciderà la questione durante la celebrazione dell’udienza preliminare.

La procura di Palermo ha espresso parere negativo sulla richiesta dei legali dell’ex ministro dell’Interno ed ex presidente del Senato Nicola Mancino di stralciare la sua posizione da quella degli altri indagati nel procedimento sulla trattativa Stato-mafia. Per i difensori di Mancino, indagato per falsa testimonianza, non ci sarebbe connessione sostanziale tra la sua posizione e quella degli altri 11, tra boss, politici ed esponenti dell’Arma, accusati di violenza o minaccia a Corpo politico dello Stato. 
Non la pensa così il pm Nino Di Matteo (su cui il pg della Cassazione ha avviato un’azione disciplinare) che motiva il suo no allo stralcio con lo “strettissimo collegamento probatorio” tra le vicende contestate all’ex ministro e quelle contestate agli altri indagati. Tanto che una separazione comporterebbe un’inutile duplicazione delle acquisizioni probatorie. Sulla istanza dei legali, però, l’ultima parola spetta al gup Piergiorgio Morosini che il 29 ottobre deciderà la questione durante la celebrazione dell’udienza preliminare. 

Grill...



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Alessandro Giari.




Il momento ATTTUALE, con la "revisione della spesa", stupidamente detta dai nostri politici spending review (magari non sapendo cosa vuol dire), CON I TAGLI AI SOLITI NOTI E LA SALVAGUARDIA DEI SOLITI PRIVILEGIATI mi fa venire in mente un bel libro di ATHOS BIGONGIALI, tratto da una STORIA VERA accaduta nel lontano 1957.

In quell'anno, alla fabbrica "MOTOFIDES" di MARINA DI PISA, si provvide ALL'E
PURAZIONE DEGLI ISCRITTI AL PARTITO COMUNISTA ITALIANO: furono LICENZIATI TUTTI e furono ASSUNTI "ALTRI" OPERAI che meglio rispondevano ai PRESUPPOSTI INDIVIDUATI dall'IMPERANTE REGIME SCUDOCROCIATO.

Al posto di tante persone ONESTE E OTTIMI LAVORATORI, mettondo sul lastrico le loro famiglie, SI ASSUNSERO ANCHE MOLTI EX FASCISTI rimasti DENTRO TALI e la "Fabbrica" fu "addomesticata"!

SEMBRA COSI' LONTANO quel tempo MA NON E' COSI': basta pensare a MARCHIONNE e le sua FEROCE TIRANNIA CONTRO GLI ISCRITTI ALLA FIOM, alla LEGGE DI IERI sulal revisione della spesa DOVE NON SI TOCCANO AFFATTO i "quartieri" del PRIVILEGIO CHE INCROSTA CENTENARIAMENTE le nostre ISTITUZIONI, prima MONARCHICHE, POI REPUBBLICANE.

SIGNORI MIEI E' IL MOMENTO DI "SCALDARE" LA PLATEA CON LA RIVOLTA O IL 1957 SARA' SOLO UNO "ZUCCHERINO" RISPETTO A QUELLO CHE CAPITERA' A MOLTI DI NOI!!!

Banda larga e fibra ottica, “l’alta velocità” che manca all’Italia. - Eleonora Bianchini

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Se il Tav Torino-Lione costa all'Italia tra i 15 e e i 20 miliardi di euro, secondo il Ministero dello Sviluppo ne servono altrettanti (15) per collegare il "100% dei cittadini a 30 Mbps". In Corea e Giappone viaggiano tutti a banda ultralarga, che nel Belpaese copre solo il 10% del territorio. Ma può valere fino al 3% del Pil.

Punti di Pil perduti, risparmi e posti di lavoro mancati. La fibra ottica o banda ultralarga (che viaggia a 100 megabit per secondo – Mbps, velocità superiore rispetto alla banda larga, definita tra i 2 e i 20 Mbps) non significa soltanto connessione a Internet ma prospettive di ricavi e di occupazione, specie in tempi di crisi. La sua diffusione, secondo la Commissaria europea per l’Agenda digitale Neelie Kroes, potrebbe valere un aumento dall’1 all’1,5% del Pil. Ancora più significative le stime elaborate dall’osservatorio “I costi del non fare” di Andrea Gilardoni della Bocconi di Milano, secondo cui la fibra ottica vale ogni anno fino al 2030 il 3% del Pil. Eppure per l’Italia rischia di essere un’occasione persa. Analfabetismo digitale e scarsa conoscenza delle potenzialità di Internet, da parte di aziende e utenti privati, generano il circolo vizioso per cui la banda ultralarga in Italia non decolla. Il costo è assimilabile a quello di una ‘grande opera’. Se il Tav Torino-Lione costa all’Italia tra i 15 e e i 20 miliardi di euro ne servono altrettanti (15) secondo l’Agenda digitale del Ministero dello Sviluppo per collegare il 100% dei cittadini a 30 Mbps e il 50% a 100 Mbps, come prevede l’Agenda digitale Europea. A investire sul piano della ultrabroadband il governo italiano (che ha ricevuto fondi europei per 440 milioni di euro) e i Fondi italiani per le infrastrutture F2i Tlc-Metroweb (partecipato da Cassa Depositi e Prestiti) che ha annunciato un piano da 4,5 miliardi di euro nei prossimi anni per coprire le 30 città maggiori. E poi gli operatori privati: 10 miliardi di euro (di cui 4 già investiti) per le reti di nuova generazione mobile e 500 milioni di Telecom per la banda larga. Il totale potrebbe coprire il costo dei 20 miliardi. Purtroppo però gli operatori, ad eccezione dello Stato, lavorano tra loro in sovrapposizione in zone in cui c’è già mercato, quindi implementano il servizio solo dove sono certi del ritorno degli investimenti.
Ragione per cui il presidente di Telecom Franco Bernabè ha specificato che non ci sarà alcuna accelerazione per la fibra ottica dato che “le indicazioni dell’Unione europea sono soltanto programmatiche”. L’ex monopolista prosegue nel suo piano di portare Internet ultraveloce in 99 città entro il 2014, che nel 2018 diventeranno 250, ma la velocità nelle case degli utenti potrebbe non superare i 50 Mbps. A Telecom si aggiunge il piano di F2i-Metroweb che intende portare la fibra a 100Mbps effettivi in 30 città. La prospettiva più realistica, quindi, è che tra alcuni anni appena il 20% della popolazione viaggerà ultraveloce, mentre solo un terzo delle famiglie italiane arriverà a 50 Mbit. A meno che la domanda di mercato non spinga gli operatori ad accelerare e a impiegare risorse per lo sviluppo della rete ultraveloce.
Eppure negli anni Sessanta, quando venne costruita l’Autostrada del Sole, non c’erano certezze sul ritorno economico. La prima azienda a caldeggiare la sua realizzazione è stata la Fiat, certa che l’infrastruttura avrebbe creato la domanda e aumentato la vendita delle auto. Una proiezione che si è rivelata corretta: gli italiani, viste anche le crescenti possibilità economiche, volevano viaggiare e spostarsi più rapidamente. Una logica valida anche per la fibra ottica: se fosse implementata su scala nazionale, gli utenti sarebbero invogliati a utilizzarla perché offrirebbe servizi migliori incrementando la qualità e la velocità di trasmissione dei dati.
LA COPERTURA DEL TERRITORIO – Eppure la fibra ottica in Italia è percepita come un lusso, più che come un investimento necessario per lo sviluppo. A oggi copre soltanto il 10% del territorio, mentre in Svizzera arriva al 90%. La Francia ambisce al 37% entro il 2015 e al 100% nel 2025. GiapponeCorea del Sud corrono al 100% sulla banda ultralarga. E l’Australia sta già adottando un piano di conversione a livello nazionale. In altri paesi europei, tra cui la Gran Bretagna, gli operatori privati hanno avviato ambiziosi piani di investimento, legati però ad aree remunerative. Scelte legate anche alla consapevolezza che un reale investimento nella ultrabroadband porterebbe risparmi per la pubblica amministrazione e le famiglie. Sul fronte italiano, Monti è volato nelle scorse settimane in Idaho per incontrare i guru della comunicazione e insieme a Passera, che all’assemblea di Confindustria ha definito “prioritaria” la banda larga, punta sull’urgenza dell’agenda digitale perché “l’innovazione consente di fare molte cose con minori risorse”. Tanto da avere proposto di tenere gli investimenti sulla banda larga fuori dal fiscal compact. Le speranze arrivano anche oltreoceano, visto che secondo il New York Times con Monti “gli italiani stanno vivendo un risveglio digitale a lungo atteso”. 
A CHE PUNTO SIAMO OGGI? – Il decreto Digitalia, che doveva definire obiettivi e stanziamenti per la banda larga, da giugno è stato rimandato a settembre. A parte il ritardo istituzionale, secondo i dati diffusi ad aprile dalla Commissaria europea per l’Agenda digitale, Neelie Kroes, nel nostro paese l’alfabetizzazione digitale è molto arretrata. Oltre il 41% degli italiani, infatti, non è mai entrato in rete, il doppio o il triplo rispetto a Francia (24%), Germania (17%) e Regno Unito (10%). Infratel, però, la società del ministero dello Sviluppo che si occupa di portare i cavi e la connessione in aree dove il mercato non interviene per mancanza di redditività, spiega che al 30 giugno 2012 la diffusione della rete a banda larga (non fibra ottica) in Italia ha raggiunto il 95,2% complessivo della popolazione di cui circa il 3% utilizza connessione via smartphone (3G). Rimane escluso ‘solo’ il 4,8%, senza copertura o servito da tecnologia di bassa capacità come adsl fino a 640 kbs, ovvero “banda stretta”. Secondo questo dato, unito a quello fornito da Infratel, il 36,2% della popolazione avrebbe la possibilità di connettersi, ma preferisce non farlo.
RICAVI MANCATI – Eppure l’analfabetismo digitale sommato alla banda che manca costa al nostro paese tra l’1,5 e il 3% del Pil che potrebbe essere recuperato, ad esempio, con l’adozione di servizi di videocomunicazione avanzati che creano “realtà aumentata” – ovvero una realtà virtuale e tridimensionale applicata dalla chirurgia robotica alla geolocalizzazione – e semplificano sia il processo produttivo sia quello di apprendimento, riducendo anche la necessità della presenza fisica. E poi il cloud computing, ovvero il trasferimento dei dati su dispositivi remoti che rende le prestazioni flessibili e veloci. Senza contare che entro il 2015 il settore Ict darà lavoro in Europa a oltre 700mila persone. Numeri promettenti che delineano un panorama di business e occupazione importante sul quale, però, l’Italia non ha ancora deciso di realizzare un efficace piano di sviluppo. Secondo Confindustria digitale nei prossimi 3 anni, ad esempio, “il contributo della Internet economy al Pil passerà in Italia dal 2,1 al 3,5 %” e nei paesi dell’Unione europea l’impatto sarà ancor maggiore, “con un aumento dal 3,5 al 5,7%”. Inoltre per il suo presidente Stefano Parisi, ”solo il 4% delle imprese italiane effettua vendite direttamente on-line”. Anche se, aggiunge, “le stime indicano che in questi tre anni di crisi le aziende italiane che hanno puntato sul web sono cresciute in termini di fatturato mediamente del 5,7% in più rispetto alle imprese che sono rimaste off-line”. Stime che possono incidere sensibilmente sui bilanci aziendali. Confindustria digitale infatti ha calcolato che “se tutte le imprese italiane aumentassero solo dell’1% il loro fatturato attraverso le vendite on-line verso l’estero, le nostre esportazioni totali aumenterebbero dell’8% pareggiando il saldo import-export di beni e servizi”. Ragione che li ha spinti a proporre “una detassazione parziale dei ricavi delle piccole imprese da e-commerce internazionale e una semplificazione delle procedure per gli acquisti online delle Pmi”. Ma i guadagni non riguardano soltanto il comparto industriale: ”Un uso intensivo di internet può portare risparmi di più di 2mila euro a famiglia”, dai servizi offerti dal web all’home banking che, secondo uno studio pubblicato a marzo della Bcg (Boston Consulting Group) in Francia, Germania e Regno Unito aumentano a 4500 euro per famiglia. Importante anche l’entità del risparmio sulla spesa pubblica, dove “il completo switch off digitale delle pratiche amministrative e dell’acquisto di beni e servizi da parte delle Pubbliche Amministrazioni porterebbe risparmi per 13 miliardi di euro di spesa corrente all’anno”.
GRANDI OPERE E FIBRA OTTICA - Risparmi e possibilità di investimento capillari che tuttavia non sono ancora percepiti come “priorità” per il paese. “La Tav è stata concordata con altri partner, ma quante risorse pubbliche hanno drenato i settori come quello automobilistico, dell’energia, del digitale terrestre? O quanto denaro hanno dovuto pagare i cittadini sulle bollette energetiche dell’ammodernamento dei contatori elettronici, del finanziamento delle rinnovabili, dell’acquisto del decoder digitale in una logica di switch-off forzoso?”, domanda Cristoforo Morandini di Between-Osservatorio Banda Larga che ricorda anche il “gioco di interessi” ben oltre le decisioni della politica nel convogliare una ingente quantità di risorse in un unico settore, “seppur strategico e vitale per lo sviluppo”. Parlando di cifre, “portare realmente la fibra ottica a tutti gli italiani, anche nel più sperduto paesino presenta dei costi proibitivi, costa intorno ai 20 miliardi di euro. Attraverso l’utilizzo di diverse soluzioni tecnologiche e ponendosi l’obiettivo di superamento dei 30 mbps si può effettivamente pensare di raggiungere la meta con meno di 10 miliardi”. Secondo l’Adoc, ad esempio, solo per il passaggio al digitale terrestre gli italiani hanno speso oltre 2,5 miliardi. A soprendere sono i vantaggi dell’implementazione della fibra ottica anche se per realizzarla a livello nazionale, data la difficoltà culturale e delle infrastrutture, si dovrebbe “pensare a un piano decennale”. Già nell’arco di due-tre anni, però, “si possono ottenere ottimi risultati”, a differenza del Tav visto che, secondo un documento dell’Agenzia Nazionale per l’Ambiente francesela “svolta importante” del progetto ci sarà “a partire dal 2030-2035″. L’ostacolo principale infatti non è la conformazione fisica del territorio, prosegue Morandini, ma le “economie di densità”. Ovvero la priorità a impiegare le risorse nelle zone più popolate, dove “è più rapido il ritorno degli investimenti” visto che “75%-80% dei lavori associati alla banda ultra larga sono di tipo civile, vale a dire scavi, ripristini, posa di cavidotti, allestimenti”. 
DIGITAL DIVIDE CULTURALE - Aldilà delle infrastrutture però “non tutti i politici hanno la sensibilità e le competenze per affrontare un tema così complesso”, puntualizza Alfonso Fuggetta, docente del Politecnico di Milano e collaboratore de lavoce.info. E anche nel settore industriale la sensibilità è “a macchia di leopardo, dove le aziende che operano a livello internazionale, sollecitano la necessità di banda, a differenza di chi magari opera esclusivamente in Italia e ha il cliente sotto casa. Ma ci sono zone industriali in aree poco densamente popolate in cui il digital divide è il primo problema”. A concorrere nella realizzazione della banda e del servizio sono lo Stato e gli operatori privati e la questione non si limita a “Monti o Passera, ma agli ultimi dieci anni persi”. La prima a dovere sollecitare la domanda di banda (e velocità) dovrebbe essere “la pubblica amministrazione, ancora troppo legata al cartaceo. E dove, in molti casi, il servizio digitale offerto ai cittadini sembra un lusso, non un investimento”. Eppure “dieci anni fa eravamo all’avanguardia in Europa anche per la diffusione della fibra”. Ora, invece, è tempo di tornare a correre.
infografica banda larga

Persecuzione. - Antonio Padellaro



È bene dirlo con la massima chiarezza che le notizie sull’azione disciplinare avviata dal Pg della Cassazione contro i vertici della Procura di Palermo ci parlano ormai di una vera e propria strategia persecutoria scatenata da alcuni organi dello Stato contro altri organi dello Stato preposti alla ricerca della verità nella lotta ai poteri criminali. Che poi questa strategia finisca per scardinare e delegittimare gli uffici giudiziari siciliani è pura constatazione che nasce dall’osservazione dei fatti.
Prima la campagna forsennata condotta (con l’ausilio di giornaloni e giornalacci compiacenti) contro il pm Antonio Ingroia, colpevole di avere sfidato chi tenta dall’alto di imbavagliare l’indagine sulla trattativa fra pezzi delle istituzioni e mafia a rivendicare la “ragion di Stato” e festosamente accompagnato in Guatemala dopo essere stato lasciato solo “in una stanza buia”.
Poi la pratica aperta presso il Csm per il trasferimento d’ufficio di Roberto Scarpinato, Pg a Caltanissetta, reo di aver ricordato, pochi giorni fa, nel ventennale della strage di via D’Amelio, l’impegno di Paolo Borsellino per ripristinare la credibilità dello Stato minata da quanti, pur ricoprendo cariche pubbliche, conducevano (e magari ancora conducono) vite improntate a quello che egli definì “il puzzo del compromesso morale che si contrappone al fresco profumo della libertà”.
Tocca ora al pur prudentissimo capo della Procura palermitana Francesco Messineo e al sostituto Nino Di Matteo assaggiare la frusta del sinedrio degli scribi e dei farisei, posti a guardia di una inesistente sacralità del Quirinale e del suo inquilino. Sembra infatti che a Di Matteo venga rimproverata l’intervista a Repubblica in cui parlava delle intercettazioni indirette di Giorgio Napolitano a colloquio con Nicola Mancino (notizia peraltro già rivelata da Panorama); Messineo invece dovrebbe discolparsi per una sorta di omessa vigilanza sul suo pm.
Un clima cupo, insomma, a cui hanno già dato una vigorosa risposta i 320 magistrati firmatari dell’appello in favore di Scarpinato. E a cui sicuramente, con la Procura di Palermo sotto attacco trasversale, si uniranno altre voci. A cominciare dalla nostra.

martedì 7 agosto 2012

Spiegel: Berlusconi tra i "dieci politici più pericolosi d'Europa"


Silvio Berlusconi

C'è anche l'ex presidente del consiglio italiano, Silvio Berlusconi, nella lista stilata dallo Spiegel on line dei "dieci politici più pericolosi d'Europa", i "profittatori della crisi, che con il populismo da quattro soldi cercano di conquistarsi vantaggi in politica interna".
Il sito del settimanale di Amburgo mette il leader del Pdl - unico politico italiano - in compagnia di nomi del calibro della francese Marine Le Pen, a capo del Fronte Nazionale, dell'olandese Geert Wilders del Partito per la libertà anti-immigrati e anti-islamico, e del greco 'anti-troika' Alexis Tsipras di Syriza.
Per Spiegel Berlusconi si sta preparando "con slogan populistici contro l'euro a diventare per la quinta volta premier" per il Pdl. Il settimanale ricorda le dichiarazioni di Berlusconi sul ritorno alla lira e sulla possibilità che l'Italia stampi più euro.
Una menzione anche per le campagne "sfacciate" de Il Giornale di famiglia, con il titolo sul 'Quarto Reich' e la foto di Merkel col braccio destro alzato. Ben rappresentata anche la Germania, con il segretario generale della Csu, Alexander Dobrindt, e con il compagno di partito e ministro delle Finanze bavarese Markus Soeder, quello della "lezione" da dare alla Grecia.
 "Soeder e i suoi amici populisti degli altri Paesi Ue fanno tutto facile, e giorno per giorno inaspriscono sempre di più la crisi", considera Der Spiegel prima di affondare l'attacco: "Danno fuoco alla casa comune Europa, soffiano sul risentimento contro i presunti pigri sudeuropei o i tedeschi bramosi di potere. Il loro obiettivo: semplicemente massimizzare i voti a proprio vantaggio, a spese dell'Europa".

Coni, la Casta alle Olimpiadi. - Gianfrancesco Turano



Gli azzurri sono a caccia di medaglie ma i big del governo sportivo sono già al lavoro per il dopo Petrucci. Fra lobby, sprechi e molti milioni da gestire. Ecco il dietro le quinte di Londra 2012.

Ormai sono universi paralleli. Gli atleti olimpici si battono contro i migliori del mondo sotto gli occhi di miliardi di spettatori. Un solo errore e anni di preparazione massacrante finiscono in nulla. E poi ci sono loro, i mandarini dello sport nazionale presenti ai Giochi di Londra in folta delegazione. Non hanno l'incubo della gara e neppure dell'antidoping. Se la medaglia arriva, si offrono sorridenti alle telecamere. Se non arriva, poco male. Non è da quello che dipende la loro prossima rielezione, ma da una competizione politica dove sono imbattibili tanto da accumulare mandati su mandati, a volte cumulati con seggi in parlamento (Sabatino Aracu del pattinaggio, Paolo Barelli del nuoto).

Tra l'autunno del 2012 e l'inizio del 2013 tutto cambierà, in apparenza. Gli organi di governo dello sport italiano, prima le federazioni e poi il Coni, andranno al voto per essere rinnovati. I nuovi eletti, che saranno per lo più i vecchi rieletti, dovranno gestire i 409 milioni di euro girati allo sport dallo Stato (448 milioni del 2011 con 18 milioni di perdita). Ai soldi pubblici vanno aggiunte alcune decine di milioni di euro di ricavi vari dagli sponsor o dai cittadini che pagano l'ingresso alle piscine, alle piste e alle palestre.

Non male di questi tempi. Soprattutto perché i controlli sono facilmente aggirabili. E' raro che uno dei signori dello sport venga trovato positivo allo sperpero. Ma basta ficcare il naso in una delle 45 federazioni sportive nazionali (Fsn) affiliate per trovare una ricca casistica di sprechi.

Assunzioni a go-goIl vecchio Coni dei due Giulii (Onesti e Andreotti), pur avendo molti aspetti da carrozzone della Prima Repubblica, era un ente statale che svolgeva il doppio ruolo di sostegno allo sport di alto livello e di finanziamento all'attività di base. Poi nel 2002 il ministero dell'Economia Giulio Tremonti (Berlusconi III) decreta la nascita di una spa, Coni Servizi, controllata al cento per cento dal Coni, dunque dallo Stato, finanziata dal Coni (134 milioni nel 2011 e 143 nel 2012), sottoposta alla vigilanza della Corte dei conti, ma dotata della libertà di azione delle società di diritto privato. E' la moda del tempo. Si pensa di sveltire l'azione dei mastodonti pubblici aumentando i ricavi e abbattendo i costi. Soprattutto quelli del personale. 


Coni Servizi viene dotata di 2.615 dipendenti ex Coni o Fsn. Circa metà sono impiegati negli uffici centrali e periferici. L'altra metà rimane presso le federazioni. Tra il 2003 e il 2007 poco più di 1.400 di questi dipendenti viene mandato in pensione oppure trasferito verso altre società della pubblica amministrazione. Già questo è un gioco delle tre carte perché la riduzione di personale non comporta diminuzione di spesa per le casse pubbliche. In compenso, parte il festival delle assunzioni. Secondo i calcoli di Giovanni Paladini, deputato dell'Idv, dal 2003 al 2011 ci sono 1.076 nuove entrate. Solo dal 2008 al 2011, le Fsn prendono 854 persone a chiamata diretta, senza bandi né concorsi. Possono farlo. Le federazioni sportive sono associazioni private, pur ricevendo milioni di euro all'anno di finanziamenti del Coni.

Secondo i deputati Fli Benedetto Della Vedova e Aldo Di Biagio, «si è giunti a un totale di 2.279 unità che erano e restano a carico pubblico a cui vanno sommati i 1.400 dipendenti dismessi con contributi del Coni ente».
Chi ha accettato di trasferirsi dal Coni alle Fsn ha ricevuto inoltre incentivi economici e promozioni, oltre alla garanzia di potere rientrare dopo cinque anni. Un gruppo di 141 di lavoratori Coni servizi ha rifiutato il trasferimento per timore di essere meno tutelato ed è stato messo in mobilità a fine giugno. Il sindacato Ugl, che ha presentato un ricorso in tribunale e un esposto alla Corte dei Conti contro il provvedimento, ha calcolato che il sovraccarico reale annuo delle nuove assunzioni sia pari a 46 milioni di euro. Nel gruppo dei trasferiti spiccano i 130 finiti in Federcalcio; 59 di loro sono stati ulteriormente distaccati alla Lega calcio, che è un'associazione privata composta dai proprietari di club, evidentemente bisognosi di un sostegno in termini di manodopera mentre si dedicano a costose operazioni di mercato.


La chiamata diretta ha spesso premiato il merito del cognome o dell'amicizia. Marco Befera, figlio di Attilio, lavora ai servizi legali mentre Flavio Pagnozzi, figlio del segretario generale del Coni, è in forze a Equitalia, controllata dall'Agenzia delle entrate guidata da Befera. Stefano Calvigiani, ex di Radio Vaticana e protégé di Gianni Letta, è stato preso alla preparazione olimpica. Danilo Di Tommaso, ex moviolista al Processo di Biscardi detto "la voce di Moggi" per il suo stretto rapporto con Big Luciano, è alla guida dell'ufficio stampa dal 2007. Un gruppo di pensionati con buonuscita è rientrato in servizio a stretto giro. E' il caso del potente Giuseppe Rinalduzzi, che ha mantenuto ufficio e segretaria all'Olimpico di Roma, di Gianfranco Carabelli e Giuliano Grandi (Fidal servizi).

Le controllate incontrollateA gennaio 2012, il Coni ha stabilito che ci sono 79 esuberi complessivi nelle Fsn con alcune federazioni sotto organico e altre nettamente al di sopra. E' il caso degli sport equestri che hanno 73 dipendenti, quanto basket e pallavolo, e sono in esubero di 27. Queste cifre non tengono conto delle società di capitali che le Fsn, a loro volta, hanno creato. La Federtennis (Fit) ha ben tre controllate (Fit servizi, Sportcast e Mario Belardinelli) con 78 dipendenti. La sola Sportcast, il canale tematico del tennis, ha ricevuto 17 milioni di euro pubblici dal 2008 al 2010. La Coninet, creata nel 2004 per fornire servizi Web, ha solo sei dipendenti ma con un costo aziendale di 490 mila euro, incluso un "premio incentivante" da 33 mila euro versato con i ricavi in calo da 2,5 a 2,3 milioni di euro e un utile di 6.792 euro.
In crescita anche i costi del personale di Fidal servizi, nata nel 2008 e guidata dal vicepresidente della Fidal, il cagliaritano Adriano Rossi. I dipendenti sono passati da 35 a 53 e la spesa è cresciuta da 610 mila a 830 mila euro dal 2009 al 2010. Nel biennio sono stati inoltre spesi 200 mila euro per la fondamentale "ideazione e progettazione del marchio Fidal servizi". 


Palazzi d'oroIl 19 aprile scorso, il presidente del Coni Gianni Petrucci ha spedito una circolare ai presidenti delle Fsn per bloccare «l'acquisto in proprietà di sedi federali, a livello centrale e periferico». Il presidentissimo eletto nel 1999 e non rieleggibile prosegue: «Ritengo di dover sottolineare che operazioni di questo tipo, in prossimità della scadenza degli attuali mandati federali, appaiono poco opportune dal momento che impegnano per la loro natura pluriennale anche i futuri organi federali». Senza scriverlo, Petrucci si riferiva tra le altre alla Fip (pallacanestro) dove il presidente Dino Meneghin aveva pubblicato un invito per manifestare interesse a vendere immobili per una nuova sede della Fip in zona Roma nord con 2.200 metri quadri di uffici, mille di magazzino e 60 posti auto. Oltre a una lodevole cautela, si segnala tra i moventi della lettera di Petrucci la sua intenzione di candidarsi a presidente proprio della Fip alle prossime elezioni. 

Pentathlon alla pesareseIl pentathlon moderno, amato dal barone De Coubertin e solo per questo sopravvissuto finora ai tentativi di cancellazione dal programma olimpico, ha un seguito in calo ovunque nel mondo. In Italia ci sono meno di 20 atleti di livello internazionale. In proporzione, i 2,5 milioni di euro di budget della federazione (Fipm) sono una bella cifra a paragone dei 300 mila euro spesi dai tedeschi. I campioni degli anni Ottanta Daniele Masala e Carlo Massullo si allenavano al centro di preparazione olimpica (Cpo) di Montelibretti, a nord di Roma. Il Cpo è in stato di progressivo abbandono nonostante i 300 mila euro di manutenzione ordinaria annuale dichiarati sui bilanci. Nel 2009, si legge, "particolari eventi atmosferici hanno causato la caduta di alberi e lampioni". La spesa per il cataclisma è arrivata a 650 mila euro. Ma niente paura. La Fipm, presieduta dal 1997 dal pesarese Lucio Felicita costruirà un nuovo centro da 8 milioni di euro, a Pesaro. Il finanziamento dell'Istituto per il credito sportivo, nelle intenzioni, sarà ripagato con gli utili della Fipm. Utili inesistenti, a quanto è dato di vedere dai bilanci 2007, 2008 e 2009. Magari nel 2010 e nel 2011 c'è stato un boom di profitti. Si saprà con certezza quando la Fipm deciderà di pubblicare i documenti contabili. Ma l'oscurità dei rendiconti non è un problema che riguarda la sola Fipm.


Le federazioni che si sono conformate al diktat del Coni di mettere on line i bilanci sono una minoranza. Tra gli assenti ci sono molti sport popolari e ricchi come pallavolo e rugby. Per la palla ovale, Petrucci ha dovuto sollecitare più volte il presidente Giancarlo Dondi, un altro dei dinosauri dello sport italiano che non si ricandiderà dopo 16 anni. Mancano anche la boxe, i pesi, le arti marziali, l'hockey e molti altri mettono a disposizione consuntivi in poche agili paginette.

Anche in questo, c'è una misura di ipocrisia tipica dell'ambiente. Il Coni riceve i bilanci delle federazioni anno per anno. Se Petrucci teneva tanto alla trasparenza, poteva pubblicarli lui. Ha pur sempre 409 milioni di euro di buoni argomenti per convincere i recalcitranti.


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