martedì 21 agosto 2012

Palermo, azzerata la squadra antimafia. E anche in procura arriva il turnover. - Giuseppe Pipitone


carabinieri


Nel capoluogo siciliano, in autunno, andrà in scena un vero e proprio giro di vite. Come per il maggiore Antonio Coppola, capo del nucleo investigativo, per il quale i pm della Dda hanno chiesto di bloccare il trasferimento. Negli stessi mesi in cui saranno sostituiti i vertici investigativi dell’Arma, anche negli uffici del palazzo di giustizia avverrà una massiccia rotazione.

I cacciatori di mafiosi più esperti sostituiti tutti nello stesso momento e rimpiazzati di punto in bianco da colleghi con minore esperienza sul campo. E nello stesso periodo anche la procura sarà animata da un corposo turn over che coinvolgerà diversi magistrati della direzione distrettuale antimafia: se non è l’anno zero delle indagini su Cosa Nostra, poco ci manca. Quel che è certo è che in autunno, a Palermo, andrà in scena un vero e proprio giro di vite sul fronte antimafia. Nomi importanti che rappresentano la memoria storica dell’Arma nella lotta alla mafia. Come quello del maggiore Antonio Coppola per esempio. Coppola è il comandante del nucleo investigativo dei carabinieri, autore delle principali indagini che hanno portato all’azzeramento dei vertici di Cosa Nostra, la piovra dalle mille teste, che tenta continuamente di riorganizzarsi: durante l’operazione Araba Fenice (coordinata proprio da Coppola), venne filmato il summit dei boss palermitani che avevano deciso di ricostituire la Cupola, prima di finire tutti in manette. Adesso il maggiore dovrà lasciare Palermo, smetterla di occuparsi di mafia per essere probabilmente trasferito al nucleo tutela patrimonio culturale di Roma. Una scelta che non è piaciuta a 35 magistrati dell’antimafia, che hanno scritto al procuratore capo Francesco Messineo per chiedergli di intercedere con i vertici dell’Arma e ritardare il trasferimento di Coppola.
“Non si possono azzerare i vertici degli organi investigativi dell’Arma tutti nello stesso momento: questa è un’iniziativa senza precedenti che credo non si sia mai verificata negli ultimi 30 anni” commenta Vittorio Teresi, procuratore aggiunto di Palermo. Oltre a Coppola, stanno infatti preparando le valigie anche altri uomini di punta nella caccia ai boss mafiosi. Come il colonnello Paolo Piccinelli, per esempio, che alla guida del Reparto Operativo ha smantellato la rete di fiancheggiatori del boss Gianni Nicchi. O come il generale Teo Luzi, coordinatore delle indagini sul misterioso omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà, l’ex deputato di An assassinato a colpi di bastone due anni e mezzo fa da un uomo in motocicletta rimasto ancora oggi senza volto. In autunno andranno via anche i colonnelli Giuseppe De Riggi e Pietro Salsano, che guidano i gruppi di militari a Palermo e Monreale. “Il dato allarmante – spiega Teresi – è che i vertici dell’Arma destineranno a quei delicati incarichi ufficiali con quasi nessuna esperienza in fatto di lotta alla mafia: non si può pensare che i nuovi investigatori facciano esperienza sulla pelle delle nostre indagini, sarà quindi naturale per noi magistrati coordinarci maggiormente con le altre forze di polizia giudiziaria che hanno già maturato ampie conoscenze su Cosa Nostra”.
E negli stessi mesi in cui saranno sostituiti i vertici investigativi dell’Arma, anche negli uffici del palazzo di giustizia palermitano avverrà una massiccia rotazione. Se per i militari, però, gli spostamenti vengono decisi dai vertici, il turn over dei magistrati prenderà il via soltanto dopo il volontario trasferimento richiesto dalle stesse toghe. “Ci sarà comunque da riorganizzarsi” rileva sempre Teresi. Da ottobre si libereranno sicuramente due posti da procuratore aggiunto: sono quelli di Ignazio De Francisci, che si trasferirà negli uffici dell’avvocatura generale dopo la votazione unanime del Csm, e di Antonio Ingroia, il coordinatore dell’inchiesta sulla Trattativa Stato – mafia che invece andrà a lavorare per l’Onu in Guatemala. Una terza poltrona da aggiunto potrebbe essere presto lasciata libera da Nino Gatto, che dopo mesi in malattia potrebbe andare in pensione. Palazzo dei Marescialli ha già bandito il concorso per i posti da aggiunto: in lizza per succedere a Ingroia e De Francisci c’è Nico Gozzo, già pm del processo contro Marcello Dell’Utri e attualmente procuratore aggiunto a Caltanissetta. Proveranno a tornare a Palermo anche il sostituto procuratore della Dna Maurizio De Lucia, il procuratore di Barcellona Pozzo di Gotto Salvo De Luca, il facente funzioni di Reggio Calabria Ottavio Sferlazza e il capo dei pm di Termini Imerese Alfredo Morvillo: una corsa apertissima in cui gli appoggi interni al Csm sono fondamentali.
Se n’è accorto Roberto Scarpinato che rischia di essere tagliato fuori dalla corsa alla procura generale di Palermo dal procedimento disciplinare richiesto dal consigliere del Csm Nicolò Zanon, dopo il suo intervento in via d’Amelio il 19 luglio scorso. Sfidante del procuratore generale nisseno è Francesco Messineo: l’attuale procuratore capo di Palermo era stato indicato per la poltrona di procuratore generale dalla commissione incarichi direttivi del Csm, che avrebbe dovuto votare il nuovo procuratore generale entro fine luglio. La riunione plenaria è stata però spostata a settembre e indiscrezioni lasciano immaginare come Messineo possa alla fine pagare il ciclone istituzionale che si è scatenato dopo che il capo dello Stato è ricorso alla consulta sollevando un conflitto d’attribuzione contro il suo ufficio.
Se il Csm dovesse riaprire i termini, in lizza potrebbe tornare il procuratore capo di Messina Guido Lo Forte, che non ha mai ritirato la domanda per la procura generale. E a breve potrebbe anche aprirsi la battaglia per la poltrona di procuratore capo: se Messineo dovesse pensare di cedere il passo, in corsa per l’ufficio che fu di Giancarlo Caselli ci sarebbero Sergio Lari e lo stesso Lo Forte.

lunedì 20 agosto 2012

Il colosso di Appennino di Giambolgna alla periferia di Firenze...




Una divinità tellurica, dall'amore che tocca la terra.


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Meteora-Thessaly-Greece.



Queste sono immagini estasianti.
Un insieme simbiotico del rapporto tra natura e uomo.

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La dissociazione tra politica e democrazia rappresentativa. - Ilvo Diamanti



Una volta l'arena politica era occupata dai partiti e i politici erano, di conseguenza, gli eletti dai cittadini. Ora i parlamentari si sono mascherati da "gente comune". Senza esserlo verametne. Così sono divenuti sempre più impopolari.


LA DISSOCIAZIONE fra politica e democrazia rappresentativa. Si è ormai consumata. Anche se si continua a parlare "come se". Tutto fosse come prima. Quando l'arena "politica" era occupata dai partiti e i "politici", di conseguenza, erano gli eletti dai cittadini. Nelle liste promosse e proposte dai "partiti". Eppure non è così. Oggi in modo particolarmente esplicito ed evidente. Basta riflettere sulle vicende al centro del dibattito "politico" in questi giorni. Anzitutto, la polemica intorno alla presunta trattativa fra Stato e mafia, che vede coinvolto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, "intercettato" durante le indagini, da un lato. I magistrati di Palermo, titolari dell'inchiesta, dall'altro. Accanto ad essi, altri soggetti istituzionali importanti. La Corte Costituzionale, chiamata a esprimersi sulla legittimità dell'intercettazione e, soprattutto, del suo uso ai fini dell'inchiesta. Inoltre, il capo del governo, Mario Monti, il quale ha parlato di "abusi" nell'ambito delle intercettazioni. E, ancora, l'Anm, intervenuta a sostegno dell'azione della Procura di Palermo. Ma potrei elencare altri nomi, di altre figure, titolari di altre cariche istituzionali. Uno per tutti: Mario Draghi. Protagonista delle vicende relative all'economia e ai mercati. Le questioni che attraggono maggiormente l'attenzione pubblica. Il discorso non cambierebbe di significato. Per l'assenza, pressoché totale, di leader e soggetti di partito. "Eletti" in assemblee "elettive". Segno che oggi la politica, in Italia, è guidata e influenzata da soggetti non direttamente espressi dai canali della rappresentanza democratica. Della democrazia rappresentativa. 

Naturalmente, i magistrati (inquirenti, giudicanti e costituzionali) interpretano istituzioni e poteri "costitutivi" della democrazia. Che concorrono a "garantire" e sorvegliare. Il Presidente della Repubblica e il Capo del governo: hanno un ruolo di primo piano, nel sistema politico. E sono, ovviamente, espressi dagli organismi rappresentativi. Per primo: il Parlamento. I giornali e i giornalisti, gli intellettuali: sono gli attori protagonisti dell'Opinione Pubblica. Prerogativa e condizione essenziale della democrazia rappresentativa. A conferma, però, che i partiti, oggi, partecipano al "campo politico" in misura laterale e subalterna. Questa situazione è stata provocata, anzitutto, da comportamenti e situazioni di privilegio che la crisi economica ha reso ancor più inaccettabili, per i cittadini. Ma anche dall'importanza assunta, sulla scena politica, da altri ambiti e canali. Anzitutto i media e la televisione. I teleschermi hanno, infatti, sostituito le piazze, la comunicazione e l'immagine hanno rimpiazzato il rapporto diretto con il territorio e la società. I "politici", cioè gli uomini di partito, eletti nei parlamenti nazionali e anche locali, per conquistare il consenso, si sono mascherati da "gente comune". Senza esserlo veramente. Così sono divenuti sempre più impopolari. 

Per conquistare voti, per vincere le elezioni, i "politici" si sono presentati come "antipolitici". Cioè: contro i partiti e i politici eletti nei partiti. Anche se, per essere eletti, hanno formato e fondato nuovi (anti) partiti. Un'altra importante causa di delegittimazione della politica e dei politici è di tipo "tecnologico". Questa, infatti, è l'epoca della Rete e del Digitale. Che influenzano tutto. L'economia, la politica, la vita quotidiana. I mercati: sono sempre aperti, dovunque. Scossi da emozioni e sentimenti a ciclo continuo. Fiducia e Sfiducia si propagano in tempo reale. E, si sa, Fiducia e Sfiducia sono il fondamento dei Mercati. Ma anche della Politica. Visto che la Politica, oggi, si fonda sull'andamento dei Mercati. Ed essa stessa, a sua volta, è un "mercato". 

Le tecnologie della comunicazione: hanno trasformato anche e soprattutto le nostre abitudini quotidiane. Noi siamo in contatto con tutti, dovunque, in qualunque momento. Attraverso i computer, i telefoni cellulari, i tablet. E ora gli smartphone. Che sono computer, telefoni cellulari e tablet al tempo stesso. Tutti comunicano in tempo reale. Su Fb e Twitter. D'altronde, ciò che prima era custodito in immensi giacimenti cartacei oggi è digitalizzato. Conservato in archivi immateriali. Siamo nell'era dell'Opinione Pubblica sempre in Rete. In cui tutti possono parlare ed essere ascoltati. Intercettati. In cui ogni documento, anche il più segreto, può essere scrutato, captato e divulgato. In Rete. Dove le Democrazie temono l'eccesso di trasparenza e di libertà. Dove Assange e WikiLeaks diventano la peggiore minaccia per le Patrie della Democrazia e dei diritti, come gli Usa e l'Inghilterra. Dove una band di ragazze diventa un rischio inaccettabile per un potere centrale e centralizzato, come quello della Russia. Che, più della protesta in piazza, teme il "ridicolo" diffuso in Rete. E si ribella alla ribellione "pop". Pardon: punk. 

In Italia, la rivoluzione digitale, la Rete, insieme alla degenerazione della Democrazia del Pubblico  -  portata alle estreme conseguenze da quasi vent'anni di berlusconismo  -  hanno minimizzato il ruolo e l'importanza dei "politici di partito". E dei "partiti politici". Oscurati dai Tecnici, dai Magistrati, dai Professionisti della Comunicazione. Non a caso, i soggetti politici di maggior successo, oggi, sono un Professore senza Partito, come Mario Monti (accolto con entusiasmo all'inaugurazione del Meeting di Rimini) e un protagonista della Rete e della Comunicazione (con grandi competenze nello spettacolo), come Beppe Grillo. Inseguito, a fatica, da un Magistrato Politico, come Di Pietro.

Personalmente, mi preoccupa l'eclissi della democrazia rappresentativa e dei soggetti che, tradizionalmente, la interpretano. Tuttavia, ritengo la democrazia diretta, che corre in Rete, utile a correggere e arricchire la democrazia rappresentativa. Non a sostituirla. Così, ci attendono tempi insidiosi. Perché non vedo futuro per la democrazia rappresentativa "senza" partiti. Ma neppure "con questi" partiti. Rischiamo altrimenti di assuefarci a una politica che si svolge fuori, oltre e sempre più spesso contro. I partiti.

“Le telefonate di Mancino a Napolitano non rientrano nelle tutele della Carta”. - Giovanna Trinchella


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Il senatore dell'Italia dei Valori Luigi Li Gotti sostiene che in un verdetto del 2004 la Consulta ha già stabilito che il capo dello Stato è uguale agli altri cittadini: "La pretesa di Napolitano di volere sottoporre a un regime speciale le sue telefonate, quelle ricevute, è fuori dai principi costituzionali affermati della Consulta, è al di fuori di atti tipici, individuati dalla sentenza".

“La Corte Costituzionale ha giá detto che tutti i cittadini sono uguali, anche il capo dello Stato. Buona lettura anche al nostro Presidente”. E’ il senatore dell’Idv Luigi Li Gotti sul suo sito a citare un verdetto della Consulta, datato 26 maggio 2004, che ha stabilito che il perimetro entro il quale il presidente della Repubblica è immune si apre e si chiude nell’ambito dell’esercizio delle funzioni costituzionali, come sancito dall’articolo 90 della Costituzione. In questo caso i giudici decisero su un conflitto sollevato da Francesco Cossiga dopo una condanna a risarcire in sede civile per diffamazione i parlamentari Flamigni e Onorato dando torto al “Picconatore” e stabilendo che è il giudice ordinario a definire quali siano le funzioni costituzionali.
“Ricevere una telefonata da Mancino non è stato un esercizio delle funzioni” dice il senatore al fattoquotidiano.it, e alla domanda se questo verdetto si attagli al caso Napolitano-Procura di Palermo Li Gotti non ha dubbi: ”Sì, il principio è questo: è l’applicazione dell’articolo 90. La sentenza della Consulta ha individuato quali sono gli atti funzionali per i quali si applica l’articolo 90 nell’esercizio delle funzioni e gli atti invece non funzionali del presidente della Repubblica per i quali è un normale cittadino e quindi il principio si estende anche alle telefonate. La pretesa di Napolitano di volere sottoporre a un regime speciale le sue telefonate, quelle ricevute, è fuori dai principi costituzionali affermati della Consulta, è al di fuori di atti tipici, che individua la sentenza. E poi non esiste nessuna altra norma costituzionale che possa privilegiare il ruolo del capo dello Stato. Tanto è vero che Cossiga a seguito di quella sentenza della Consulta pagò 40 mila euro a due parlamentari”. Di quella corte, che stabiliì questo principio, era presidente Gustavo Zagreblesky, che proprio venerdì in un intervento sul quotidiano la Repubblica ha invitato Napolitano a ritirare il conflitto
Le telefonate tra il Quirinale e l’ex presidente del Senato, indagato a Palermo per falsa testimonianza, sono secondo Li Gotti fuori dal quel perimetro di insindacabilità: “La Corte Costituzionale in quella sentenza interviene delimitando il campo di qual è la materia delle funzioni, affermando peraltro un altro principio per cui l’unico che può stabilire se si tratti di attività nell’esercizio delle funzioni o meno è il giudice ordinario. E’ questo il principio e infatti qualora il giudice dovesse sbagliare ci sono i rimedi come l’appello, il ricorso in Cassazione ma non il conflitto di attribuzione”.
Sul destino del conflitto tra il Colle e i magistrati che indagano sulla trattativa mafia-Stato Li Gotti ha la sua previsione: “La mia prognosi è che se la corte afferma il medesimo principio dovrebbe concludere che non esiste un conflitto di attribuzione, né potrebbe dire la corte che il legislatore può fare una norma allargando la platea dell’articolo 90 perché sarebbe un aggiunta e le aggiunte non si fanno in materia costituzionale”. Sulla lacuna normativa che molti intravedono nella materia l’avvocato-senatore esprime un dubbio e argomenta la sua convinzione: “Lacuna? C’è forse una lacuna nell’ordinamento; però voglio dire per quale motivo le esternazioni di Cossiga possono essere sindacate, anche da capo dello Stato come da comune cittadino, e sulle telefonate che riceve il capo dello Stato il magistrato dovrebbe arrendersi e distruggerle? Ecco dov’è l’equilibrio tra i principi affermati pochi anni fa dalla corte Costituzionale? Corte anche composta da Onida (il costituzionalista Valerio Onida, ndr) che oggi fa tutto quanto l’uomo schierato a difesa della giustezza del conflitto di attribuzione. Onida ha preso posizione, ora dice che è corretta la strada del conflitto. Invece la corte Costituzionale (di cui Onida era componente, ndr) ha stabilito che il giudice ordinario può stabilire quali sono le attività funzionali e quali no e quindi sarà il giudice ordinario che potrà stabilire se le telefonate rientano nelle attività funzionali oppure no”. 
Li Gotti conclude la sua riflessione  su Luciano Violante, senatore ex presidente della Camera che ha parlato di populismo giuridico: “Per rispondere alle critiche a Scalfari, Violante ricorre oggi ad una formula antichissima: estrae dal cilindro il ‘populismo giuridico’ con cui liquida al rango di bassa rozzezza i profili giuridici di rango costituzionale evocati nelle critiche a Scalfari-Monti-Napolitano. Gli ho ricordato sul mio blog che l’avvocato che vinse quella causa innanzi alla Consulta era il responsabile del Dipartimento giustizia del Partito comunista … oltre essere avvocato di Violante”. Una critica più velata di quella rivolta al  fondatore del quotidiano “la Repubblica” che ieri nel suo editoriale aveva “agganciato” la sua riflessione alle ragioni del Quirinale: “Il Presidente Napolitano ripercorre ora la stessa strada e tenta di farsi riconoscere come cittadino diverso dagli altri. I suoi sostenitori, con Eugenio Scalfari in testa, non leggono le sentenze. Essi non hanno tempo, perché invece devono scrivere per informare i lettori. In verità essi vogliono trasmettere ai lettori la loro ignoranza, sperando che gli venga riconosciuto lo status di “guru” ufficiale”.

Chi è Formigoni?

Formigoni: “Io innocente, i verbali falsificati dai giornalisti del Fatto”. Martina Castigliani.

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Il presidente della Regione Lombardia attacca il giornale: "Manipolato tutto, la gente crede in me e io in loro. Così continuo a lavorare fino alla fine del mio mandato. Il mio incontro con Monti? Mi sono complimentato con lui per la presa di posizione sulle intercettazioni telefoniche".

“La gente crede in me e io credo in loro e continuiamo a lavorare”, sono le prime parole che Roberto Formigoni dice, mentre passeggia pacificamente davanti al palco poco prima che Mario Monti intervenga per il discorso di apertura del meeting di Rimini di Comunione e Liberazione. È l’ospite meno atteso, il presidente della Regione Lombardiaindagato per corruzione messo in discussione dalla base e dai militanti. La sua presenza è stata confermata solo tre settimane fa e se negli anni passati era una delle attrazioni del meeting, quest’anno ce lo si aspettava solo mercoledì per un incontro lontano dai riflettori. Poi l’arrivo nel primo giorno del lancio come se niente fosse, e il posto in prima fila nell’auditorium centrale dove il primo ministro Mario Monti ha parlato di politica, crescita, giovani e futuro.
Mentre il presidente del consiglio passeggiava per la fiera, Formigoni ne ha approfittato per andarsi a sedere in sala. Questo è bastato far scattare un applauso dalla platea. E il presidente dice: “Me lo aspettavo”. Nemmeno un po’ di imbarazzo da parte del presidente lombardo, che se ha qualche titubanza non la lascia trasparire e dichiara l’assoluta fiducia nei suoi sostenitori. “La gente – dice con fermezza Formigoni, – non è fessa, non si è lasciata abbindolare dalle menzogne raccontate innanzitutto da alcuni giornali e televisioni e poi seguiti pedissequamente da tutti i giornali e da tutte le televisioni. Il Fatto Quotidiano è stato il primo che ha raccontato menzogne falsificando i verbali, come io ho dimostrato, ma la gente non crede più a queste bugie, crede quello che vede e che sperimenta. Sanno chi è Formigoni e continuano ad apprezzarlo e sostenerlo”. Il presidente lombardo si riferisce agli articoli del Fatto Quotidiano sull’inchiesta giudiziaria che lo ha visto come protagonista, e conclude con un gioco di parole dicendo “i fatti sono più forti del Fatto”. Tra i verbali “Il mio ruolo non è ridimensionato né al meeting né in regione Lombardia – continua Formigoni, – e resto fino al 2013. In 17 anni da Presidente della Lombardia mi hanno mandato 14 avvisi di garanzia, questo è il quattordicesimo. I precedenti 13 sono tutti finiti nel nulla nel senso che non sono mai stato condannato, e sono stato mandato 11 volte a processo con 11 assoluzioni, quindi ho vinto 11 a zero. Questo è il quattordicesimo avviso e anche questo farà la fine degli altri, andrà a finire nel cestino della carta, per usare un’espressione elegante”.
 A incuriosire pubblico e cronisti è l’incontro che il presidente lombardo ha avuto in privato proprio con Mario Monti, in un salottino della fiera pochi minuti prima dell’inizio del discorso inaugurale. E alla domanda de Il Fatto Quotidiano.it, se il primo ministro gli abbia dato qualche suggerimento in merito alla politica chiedendogli di dimettersi, Formigoni risponde: “No assolutamente no, anche Monti come tutta l’altra gente non crede ad una virgola di quello che i giornalisti hanno scritto mille volte. Nel nostro incontro, mi sono semplicemente congratulato con lui per la splendida intervista che ha fatto a Tempi: per aver sollevato con coraggio il tema delle intercettazioni, per aver detto che bisogna fare una riforma della giustizia, che l’evasione fiscale è uno dei mali dell’Italia da scacciare e abbiamo scambiato alcune battute sul momento politico attuale che è certamente delicato”.
Roberto Formigoni seduto in prima fila nell’auditorium della Fiera di Rimini ha seguito tutto il discorso inaugurale del meeting con Emilia Guarnieri, Presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà e Mario Monti. Protagonista Don Giussani citato nel corso della giornata da tutti gli intervenenti e capace di suscitare un applauso spontaneo ogni volta da parte del pubblico, l’esempio morale a cui anche Formigoni fa riferimento: “Io sono uno dei tanti aderenti a Cl, non ho alcun ruolo di guida o di capo, li ho lasciati nel 1987 quando sono entrato in politica. La responsabilità politica è personale. Don Giussani ha educato degli adulti che si assumessero le proprie responsabilità. Alcuni si sono impegnati nel mondo del lavoro, nelle aziende, altri in missione e altri ancora in politica.Comunione Liberazione è un punto di riferimento ed è un aiuto ad impostare la vita”.

Clini: "blocco Ilva avrebbe effetti sociali drammatici"

Clini: blocco Ilva avrebbe effetti sociali drammatici

(AGI) - Rimini, 20 ago. - Difendere l'ambiente non vuol dire bloccare lo stabilimento dell'Ilva di Taranto anche perche' questo aprirebbe la strada a "fenomeni sociali che sarebbero drammatici". E' quanto ha affermato il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, intervenendo al Meeting di Comunione e Liberazione in corso a Rimini. Il ministro ha sottolineato che "difendere l'ambiente vuol dire difenderlo facendo e non bloccando. Difendere bloccando vuol dire bloccare lo sviluppo del Paese e aprire la strada a fenomeni sociali che sarebbero drammatici". Stamane, Clini aveva confermato che le procedure per la concessione della nuova autorizzazione integrata ambientale (Aia) allo stabilimento Ilva di Taranto si chiuderanno entro il 30 settembre. "Va avanti il programma di lavoro, il 30 settembre finiamo - ha assicurato Clini - e a meta' dello stesso mese andremo a Taranto per verificare lo stato dell'arte". Alla riunione odierna sull'Aia erano presenti, come precisato dallo stesso ministro, rappresentanti di "ministero dello Sviluppo economico, ministero della Salute, Regione Puglia, Istituto superiore di sanita', Ispra e Ilva". - Secondo Clini, "La strada indicata dal Tribunale del Riesame e' convergente con quella indicata dal Governo: lavoriamo nella stessa direzione, ora spetta all'Ilva investire". E riguardo alle presunte morti legate alle attivita' dell'acciaieria Ilva di Taranto, Clini ribadisce che il fenomeno si ferma "investendo nello sviluppo tecnologico e non lasciando il deserto". E lo stesso Clini ha fatto presente che in queste settimane lui personalmente e il governo stanno vivendo momenti di "angoscia". "Dobbiamo confrontarci - ha detto - con chi alza il cartello del numero dei morti. Lo sappiamo. Ma quella tragedia si ferma investendo nello sviluppo tecnologico e non lasciando il deserto". Per il responsabile Ambiente del Partito Democratico, Stella Bianchi "Le motivazioni della decisione del riesame sull'Ilva indicano la possibilità che la necessaria azione di risanamento e bonifica dell'impianto industriale di Taranto possano svolgersi senza pregiudicare il funzionamento dell'impianto". "Il blocco dell'impianto avrebbe ricadute di estrema gravita sull'occupazione e sull'attività dell'intera siderurgia italiana - prosegue l'esponente dei democratici - Siamo convinti che il diritto alla salute e all'integrità ambientale debbano essere coniugate con la tutela del lavoro e dell'attività produttiva. Va quindi perseguita ogni strada che consenta di procedere in modo rapido, certo e misurabile alla riduzione delle emissioni inquinanti e alla bonifica mantenendo per quanto possibile il funzionamento dell'impianto". Per il presidente del Senatori dell'Italia dei Valori, Felice Belisario, "I magistrati di Taranto sono stati ingiustamente attaccati dal Governo solo per aver fatto il proprio lavoro, ma fino ad oggi hanno dimostrato di essere gli unici ad avere a cuore la salute degli operai tarantini nel rispetto dei posti di lavoro. Mentre a Taranto sfilavano in passerella i ministri e le forze politiche della sgangherata maggioranza facevano a gara per incensare Il Governo e i padroni dell'Ilva,la magistratura tarantina ha retto lo scontro tenendo la schiena dritta".

http://www.agi.it/in-primo-piano/notizie/201208201818-ipp-rt10147-clini_blocco_ilva_avrebbe_effetti_sociali_drammatici

E qui spieghiamo il perchè del suo intervento:

Ilva, la telefonata: 'Clini uomo nostro' Il ministro dell'Ambiente si ribella.



Un sistema di potere ramificato in grado di arrivare a chiunque, almeno a parole, per sistemare le questioni dell’Ilva. Nuove riflessioni arrivano dall’informativa redatta dal Gruppo di Taranto della Guardia di Finanza nell’inchiesta per corruzione in atti giudiziari. In essa sono indagati Fabio Riva, per un certo periodo presidente del siderurgico, Girolamo Archinà, uomo della pubbliche relazioni del gruppo Riva, l’ex direttore dello stabilimento siderurgico Luigi Capogrosso e il consulente della Procura ed ex preside del Politecnico di Taranto Lorenzo Liberti. I pubblici ministeri hanno deciso di depositare una parte di quell’informativa allo scopo di dimostrare la capacità di inquinamento probatorio del gruppo Riva. Alcuni stralci di intercettazioni telefoniche e ambientali fanno clamore. "Clini è uomo nostro", dice Girolamo Archinà parlando, nel 2010, con un consulente del gruppo Riva, già funzionario del Cnr.  Clini è l'attuale ministro dell'Ambiente nel Governo Monti (nominato nel marzo del 2011) e in precedenza è stato a lungo direttore generale dello stesso ministero (dal 1991 al 2011).

Subito è arrivata la risposta di Clini che ha negato di conoscere il manager dell'Ilva Girolamo Archinà: 'La questione dell'autorizzazione integrata ambientale del luglio-agosto del 2011 - ha spiegato a Sky Tg24 - e' stata fatta dall'allora ministro dell'Ambiente Prestigiacomo io non ho avuto mai nulla a che fare. La mia responsabilita' come direttore generale non riguardava infatti le autorizzazioni integrate ambientali'.

Il presidente dei Verdi Angelo Bonelli però insorge: "Il ministro dell'Ambiente Corrado Clini deve fornire subito spiegazioni sull'intercettazioni in cui il manager dell'Ilva Archina' dice dell'allora direttore generale del ministero dell'Ambiente 'Clini e' un uomo nostro'".

"Su questo punto e' necessario fare la massima chiarezza - conclude Bonelli - perche' il ministro dell'Ambiente e' stato il ministro a cui il governo ha affidato il dossier Taranto".

http://m.libero.it/m/libero-affaritaliani/d/49/Ilva,%20la%20telefonata:%20'Clini%20uomo%20nostro'%20Il%20ministro%20dell'Ambiente%20si%20ribella/b41451d119c859546fb327d1d73aae15  .