sabato 1 settembre 2012

Senza commento.



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Lui può, noi non può...



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D'ALEMA (PD): ASSE CON SEL E UDC. DOPO LE ELEZIONI GOVERNEREMO INSIEME.



"Le alleanze si facciano dopo il voto", nessuna riedizione della grande coalizione che "sarebbe una prospettiva di ingessamento che indebolirebbe le istituzioni" e il Pd che "sarà il pilastro del nuovo governo" dirà subito che "vogliamo governare con Sel e Udc" ma "si torni a votare per i partiti". Massimo D'Alema oggi in una intervista al 'Messaggero' ribadisce la linea del polo della speranza. No alla grande coalizione con Berlusconi, "per noi una collaborazione con Berlusconi è esclusa e non è auspicabile. Il Paese deve essere governato". La politica deve evitare il rischio di "restare stretta nella morsa tra tecnocrazia e populismo dice D'alema che si scaglia contro la tecnocrazia europea. Le decisioni reali sono demandate a livello europeo - dice D'Alema - e lì vengono prese senza effettivo controllo democratico, con una deriva tecnocratica sempre più accentuata. La politica invece si svolge a livello nazionale ma quando la facoltà di prendere decisioni reali è inibita si scivola verso il populismo". 

http://www.controlacrisi.org/notizia/Politica/2012/8/8/25273-dalema-pd-asse-con-sel-e-udc-dopo-le-elezioni-governeremo/

A questo punto ci sarebbe da chiedersi che differenza c'è tra il partito di Berlusconi e quello di D'Alema.
Entrambi sono da sempre i capi carismatici dei due partiti che dovrebbero rappresentare la destra e la sinistra, entrambi sono adusi ad allearsi con chiunque - anche con chi non ha le stesse ideologie politiche - possa loro garantire stabilità al governo, entrambi non hanno a cuore il governo democratico del paese, ma il loro profitto ed interesse personale. 
Cui prodest dargli fiducia?

Uccide stambecco con licenza scaduta, denunciato presidente parco dello Stelvio.


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Il presidente della Provincia autonoma Luis Durnwalder lo aveva autorizzato ad abbattere uno stambecco, ma Ferruccio Tommasi aveva la licenza scaduta da anni. Ecco perché per lui è scattata la denuncia. La difesa: "Non sono stato io a sparare, ma un amico che però è morto durante una battuta".
Porto abusivo d’armi per una battuta di cacciaautorizzata. Non è la storia di un ordinario cittadino, ma del presidente del parco dello StelvioFerruccio Tomasi. La vicenda nasce quando il presidente della Provincia autonoma di Bolzano Luis Durnwalder, pubblica l’elenco dei cacciatori autorizzati a cacciare nella riserva provinciale di Brennero. Tra i nomi compare il “cavalier” Ferruccio Tomasi, persona autorizzata a «prelevare» unostambecco, poi effettivamente cacciato il 20 settembre del 2011. Gli abbattimenti selettivi sono stati sospesi da una pronuncia del Tar circa due settimane dopo.
Solo da un controllo dell’ispettorato forestale emerge però che il presidente del parco dello Stelvio,Ferruccio Tomasi, ha la licenza di caccia scaduta da diversi anni. Scatta quindi d’ufficio la denuncia per porto abusivo d’armi. «Sono stato un cacciatore lo ammetto – spiega il presidente Tomasi – ma in quell’occasione non sono stato io a sparare. Ho una maculopatia all’occhio e non sono più in grado di prendere la mira: non sparo da 10 anni. Volevo solo fare un favore a un amico, il professor Tosi. È stato lui — dice Tomasi — ad abbattere lo stambecco offerto da Durnwalder. Purtroppo non può confermarlo perché ha perso la vita durante una battuta di caccia nel dicembre dello scorso anno».
Il regolamento prevede che il cacciatore sia accompagnato da un forestale che, stando alle dinamiche, rischia di essere incriminato per falsa testimonianza oltre alla perdita del posto di lavoro. Inoltre le autorizzazioni sono nominali e non sono cedibili a terze persone. Ora il giudice dovrà stabilire se a sparare secondo quanto sostiene Ferruccio Tomasi è stato il defunto professor Tosi o se a sparare sia stato realmente il presidente del parco dello Stelvio. L’episodio avviene nel bel mezzo del braccio di ferro tra istituzioni centrali con l’appoggio degli ambientalisti e la provincia autonoma di Bolzano che spinge per provincializzare il parco dello Stelvio. 

Martini, monsignor Colombo: “Morte strumentalizzata per squallidi fini”. - Giovanna Trinchella


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Il sacerdote, bioeticista e docente universitario, a Radio Vaticana spiega che il rifiuto del cardinale all'accanimento terapeutico "è stato paragonato ad altri episodi, in particolare quelli che hanno riguardato Eluana Englaro e Piergiorgio Welby. Ma si tratta di un paragone del tutto arbitrario e per nulla fondato, né medicalmente, né moralmente”.
Radio Vaticana non ci sta. La voce della Santa Sede non ha apprezzato il laico coro di elogi, da Mina Welby a Beppino Englaro e i tanti commenti anche su Twitter, per la scelta del cardinal Carlo Maria Martini di non essere sottoposto ad accanimento terapeutico e intervista monsignor Roberto Colombo che parla di una “strumentalizzazione per fini squallidi” della morte del cardinale. ”Un paragone del tutto arbitrario e per nulla fondato, né medicalmente né moralmente” quello tra il cardinale Carlo Maria Martini e i casi di Eluana Englaro e Piergiorgio Welby ragiona il sacerdote docente alla Facoltà di Medicina dell’Ospedale Gemelli di Roma. Il genetista e bioeticista commenta così il grande rilievo dato da stampa e tv sul rifiuto del cardinale, a metà agosto, di essere alimentato tramite sondino dopo che l’ultima crisi l’aveva reso non più in grado di deglutire cibi, né solidi né liquidi. Una scelta determinata dall’avvicinarsi ormai imminente della morte di cui Martini, 85 anni, malato del morbo di Parkinson da sedici anni, era pienamente cosciente.
“Ci pare che la morte di una grande figura, come il cardinale Martini, sia stata strumentalizzata per fini diversi che possiamo immaginare, ma che vogliamo giudicare come davvero squallidi. Il cardinale Martini soffriva da oltre dieci anni di una malattia neurodegenerativa, il morbo di Parkinson, che vede la comparsa periodica di crisi che, con il tempo, tendono ad aggravarsi – spiega -. Da quanto ha dichiarato il suo medico personale, il professor Gianni Pezzoli, si è verificata un’ultima crisi particolarmente grave a metà agosto, e il cardinale non è stato più in grado di deglutire cibi, né solidi né liquidi. Si è allora prospettata l’eventualità di una alimentazione per via enterale, attraverso un sondino. Il cardinale ha scelto di non farsi praticare questo trattamento considerato l’avvicinarsi ormai imminente del termine della sua vita. Questo – prosegue – è stato paragonato ad altri episodi, in particolare quelli che hanno riguardato Eluana Englaro e Piergiorgio Welby. Ma si tratta di un paragone del tutto arbitrario e per nulla fondato, né medicalmente, né moralmente”.
Illustrando le differenze tra i vari casi, secondo mons. Colombo dice “dobbiamo dire, innanzi tutto, che l’accanimento terapeutico si configura come un intervento medico non più adeguato alla reale situazione del malato, perché ormai sproporzionato ai risultati che si potrebbero sperare, oppure perché appare troppo gravoso per le sue condizioni. Invece, nel caso della giovane Eluana, essa versava in una situazione clinica che era del tutto differente; non era in agonia, né stava per entrarvi, e per il suo stato clinico, la nutrizione enterale era perfettamente appropriata. Anche nel caso di Piergiorgio Welby, su richiesta dello stesso paziente, il respiratore gli venne staccato ben 45 anni dopo l’inizio della patologia; anche in questo caso, Welby, non si trovava in prossimità della morte. Si è dunque trattato di un’eutanasia volontaria”. Secondo la Dottrina della Chiesa, ricorda ancora Colombo, “la rinuncia all’accanimento terapeutico non vuol dire procurarsi la morte o procurare la morte ad una persona. Si accetta semplicemente di non poterla impedire. Spetta al paziente, se ne è cosciente, in dialogo con il proprio medico e con le persone che lo assistono, decidere quando e come sospendere determinati trattamenti o non iniziarne altri all’approssimarsi del termine della propria esistenza terrena”. “Da quanto sappiamo – conclude il bioeticista - il cardinale Martini ha voluto sempre essere informato, in modo pieno e completo, sulla propria condizione di salute per poter prendere delle decisioni che fossero coerenti con la sua visione profonda ed evangelica della vita, e anche di fronte all’ultimo istante di essa, alla sua morte”. 

Sembler: "Romney ha i fondi per cambiare la partita". - Paolo Mastrolilli


File: Melvin Sembler 2007-side.jpg

Non ha dubbi, Mel Sembler: «I pochi sondaggi che danno ancora il presidente Obama avanti nelle elezioni di novembre cambieranno la prossima settimana, quando Mitt Romney verrà nominato come candidato del Partito repubblicano. A quel punto potremo usare tutti i soldi che abbiamo raccolto per dargli voce, e la partita cambierà nettamente a nostro favore».

L’ex ambasciatore americano in Italia sa di cosa parla: fa parte della Commissione finanze di Romney, ha raccolto almeno dieci milioni di dollari in Florida, ha contribuito ad organizzare la Convention di Tampa che è la sua città, e venerdì scorso ha ospitato il primo fundraiser di Paul Ryan nel club Treasure island di St. Petersburg.

Come fa ad essere così sicuro della svolta?
«Sono tre mesi di seguito che raccogliamo più soldi di Obama, perché stanno aumentando soprattutto le donazioni sotto i 250 dollari. Continueremo a batterlo fino alle elezioni, e quindi avremo un netto vantaggio finanziario. Il problema è che finora Romney non ha potuto spendere tutti i soldi che ha, perché non è ancora stato nominato ufficialmente come candidato alla Casa Bianca, e quindi è frenato da alcuni vincoli di legge nell’uso dei fondi. Il risultato è che Obama ha raccolto meno finanziamenti, ma ha speso quattro volte più di noi: questo è il motivo per cui è rimasto in piedi nei sondaggi. La settimana prossima, però, la dinamica delle elezioni cambierà. Romney verrà nominato, potrà spendere tutto quello che ha in spot televisivi e altre iniziative elettorali, e passerà in testa in ogni sondaggio».

I democratici dicono che questo è il problema principale della politica americana. Dopo la sentenza della Corte Suprema «Citizens United», che ha tolto ogni limite ai finanziamenti corporate, la Casa Bianca sembra in vendita.
«Già, però non dicevano la stessa cosa quattro anni fa, quando era Obama ad avere il vantaggio finanziario su McCain. La verità è che i soldi sono l’espressione delle opinioni delle persone. La gente vota col portafoglio, e se decidi di investire i tuoi dollari in una causa, vuol dire che ci credi davvero».

Questo però significa che i più ricchi hanno più voce, e un’altra critica che viene fatta a Romney riguarda il sospetto che abbia costruito la sua fortuna senza pagare le tasse.
«É falso, ha pagato tutto quello che doveva. La gente non capisce una differenza fondamentale: in America i redditi che derivano dagli investimenti sono tassati in maniera diversa rispetto agli altri. Romney non riceve uno stipendio. Le sue entrate sono tutte prodotte dai capital gains, e su di essi lui ha pagato ciò che doveva. Questa è la legge, in America».

Romney ha impostato la sua campagna elettorale sull’economia, ma l’ala conservatrice del partito lo costringe spesso a virare sui temi sociali, come è accaduto dopo le dichiarazioni di Todd Akin sull’aborto. Quale sarà il tema dominante della Convention e delle elezioni?
«Economia e lavoro. La politica di Obama non ha funzionato, la gente soffre, e vuole qualcuno che ci tiri fuori dai guai. Mitt, con la sua esperienza, può riuscirci. I democratici vorrebbero che noi parlassimo di aborto o altri temi sociali, ma non lo faremo. Ascolteremo le posizioni dei social conservative, ma non saranno al centro della Convention e della campagna elettorale».

Romney critica spesso l’Europa e dice che non l’aiuterebbe a superare i suoi problemi finanziari. Perché?
«Intende dire che questo è un momento di crisi, in cui ogni paese deve assumersi le proprie responsabilità. I greci non possono sperare che i tedeschi continuino a pagare i loro debiti all’infinito. Dunque bisogna che l’Europa si rimbocchi le maniche e usi le risorse che possiede per risolvere una crisi che minaccia l’economia globale».

L’Italia sta facendo la sua parte?
«É molto che manco, ma mi pare che qualcosa si stia muovendo, nonostante tutte le difficoltà che ci sono sempre da voi per trovare intese. Avete bisogno di grandi riforme strutturali. Per dirne solo una, non è possibile che le imprese con più di 15 dipendenti siano penalizzate: questo vi condanna a essere piccoli nell’economia globale. Spero che il governo trovi la forza per mettere mano a tutte queste riforme indispensabili».


Leggi anche a chi si è affidato  Mitt Romney per la sua campagna elettorale soffermandosi alla voce "Accuse di abusi":

IL GIORNALISMO DEI FALSI D’AUTORE. - Giovanni Valentini


Silvio Berlusconi

Sotto la direzione del fondatore, Lamberto Sechi, un tempo «Panorama» si fregiava dello slogan «I fatti separati dalle opinioni». Con minori pretese, oggi il settimanale della Mondadori berlusconiana potrebbe convertirlo in quello più dimesso «Le notizie confuse con le invenzioni». La pubblicazione delle presunte intercettazioni, senza virgolette e quindi non testuali, delle telefonate fra il presidente Giorgio Napolitano e l’ex ministro Nicola Mancino in ordine alla presunta trattativa fra lo Stato e la mafia, inaugura un genere tanto inedito quanto inattendibile. Quello delle rivelazioni impossibili. O peggio, delle rivelazioni incontrollate e incontrollabili. Le rivelazioni-patacca.
Nei rischi del nostro imprevedibile mestiere, può capitare a volte — per fretta o trascuratezza — di dare notizie inesatte, infondate, non veritiere. E in genere, quando un errore viene commesso in buona fede, si usa farne pubblica ammenda. Ma qui il caso è tutto affatto diverso: senza voler giudicare la deontologia professionale di nessuno, siamo di fronte a un modello di giornalismo dichiaratamente immaginifico, ipotetico, fantasioso. Un giornalismo al di fuori della realtà. Lo «scoop» fasullo del settimanale mondadoriano dischiude quindi nuovi orizzonti e scenari inesplorati alla nostra controversa professione.

D’ora in poi, lungo questa china, chiunque potrebbe sentirsi autorizzato a inventare qualsiasi cosa. Pensate, per esempio, a un colloquio riservato tra Silvio Berlusconi e la cancelliera Angela Merkel: impossibile, impensabile, irreale. Oppure a una telefonata indiscreta fra l’ex presidente del Consiglio e l’ex ministro Umberto Bossi, assistito magari dal figlio per la traduzione simultanea dal lumbàrd all’italiano. O ancora, a una conversazione intima fra il Cavaliere e la consigliera regionale Nicole Minetti: una barzelletta spinta, una storiella a luci rosse.
In tutto questo non può certamente essere trascurato il fatto che il giornale in questione appartiene al Gruppo editoriale del medesimo Berlusconi. E allora, come ha scritto ieri il direttore del nostro giornale, ecco che la verità viene sopraffatta dalla demagogia sotto l’influsso di quel «ribellismo populista» che punta a sovvertire il precario equilibrio di governo, minacciando gli assetti istituzionali. La denuncia del cosiddetto «ricatto» al presidente della Repubblica risulta perciò opportunistica e strumentale: anzi, rischia di tradursi essa stessa in un ricatto.
La torbida vicenda delle intercettazioni sulla trattativa Stato-mafia s’intreccia così con il messianico annuncio del ritorno in campo del Cavaliere; con l’irresponsabile richiesta di elezioni anticipate e infine con il maldestro tentativo di baratto sulla riforma elettorale da parte di ciò che resta del centrodestra. Una manovra politica chiaramente destabilizzante, avventurosa e avventurista, sulla pelle del Paese.

Sono falsi d’autore, dunque, quelli che il settimanale della Mondadori propina all’opinione pubblica, con tanto di firma autografa. Falsi sottoscritti e autenticati da un potere che non si rassegna alla propria sconfitta e al proprio irreversibile declino. Ma il nome e cognome dell’autore sono in calce agli ultimi orribili vent’anni della storia italiana.