giovedì 3 gennaio 2013

Lapponia. - Armando Di Napoli



L’incanto steso ad asciugarsi
a fili d’arcobaleno
l’innocenza gioca a nascondino
intrufolandosi nell’animo
di montagne di neve
una volpe arancione
corre senza fiato
dietro ad una bianca lepre impaurita
spezzando il colore del cielo colbalto
case buffe sbuffano dai comignoli
fiumi di fumo imbottiti
dal delizioso profumo
di carpe e salmoni arrostite
smaniose renne scavando
nel bianco brucano erba secca
slitte tirate da huskies
colme di bambini con le gote vermiglio
scherzano felici le stelle dell’orsa maggiore
si possono spegnere con le dite
con complicita´ti illuminano il cammino

l’incubo in agguato
seguendo con lo sguardo
il volo di un corvo
che stanco s’appoggia
su un cartellone pubblicitario
che altezzoso indica
Mc Donald’s a 2 chilometri
e l’ingannevole scempio
vestito di vergognoso consumismo
continua imperioso
ad assassinare la speranza…
Lycksele 22 marzo 2006


Negli ambulatori del Parlamento 60 camici bianchi a 2 milioni di euro all’anno. - Thomas Mackinson


Aula Senato


Con una nuova delibera datata 18 dicembre, Palazzo Madama punta a rafforzare ulteriormente il presidio di cardiologi e infermieri interni: aperte le selezioni per altri cinque cardiologi e altrettanti tra anestesisti e rianimatori.

La via crucis del ri-candidato si fa più stretta e incerta che mai. Una corsa al cardiopalma, roba da rimanerci secchi. Sarà per questo che il presidente del Senato, Renato Schifani ha deciso di rafforzare il presidio di cardiologi e infermieri presso l’Ambulatorio di Palazzo Madama. Sotto l’albero di Natale, il 18 dicembre, è arrivata una delibera dell’ufficio di presidenza che apre ufficialmente le selezioni per cinque specialisti in cardiologia e cinque in anestesia e rianimazione. Non tirocinanti di primo pelo ma laureati con almeno 105/110 ed esperienza professionale minima di cinque anni per i medici e di quattro per gli infermieri.
Quello del Senato, del resto, è un ambulatorio di tutto rispetto: aperto tutto l’anno, 24 ore su 24, gratuito e a uso esclusivo degli inquilini del palazzo. E lì per legge da ben 27 anni: in origine, spiegano da Palazzo Madama, doveva garantire ai senatori non residenti a Roma l’assistenza sanitaria dei loro colleghi della Capitale, ma col tempo il mini-ambulatorio è diventato maxi. La platea dei pazienti si è infatti allargata a deputati, ex parlamentari, dipendenti del Senato e dei gruppi, mentre il personale conta oggi un medico e quattro infermieri in pianta stabile, più altri 26 camici bianchi retribuiti a prestazione per assicurare i turni h24. E così sono lievitati i anche i costi: nel 2011, ultimo dato disponibile, sono arrivati a 650mila euro. Non è difficile crederlo, visto che per quasi trent’anni il presidio è stato aperto anche quando il palazzo era semideserto e gli inquilini in vacanza, nei week end, perfino a Natale e ad agosto.
Solo qualche mese fa il Consiglio di Presidenza ha deciso di chiuderlo dalle 13 di sabato alle 8 del lunedì, durante i festivi infrasettimanali e nei giorni di ferie con un risparmio di circa 240mila euro. Ma niente panico. Quando l’ambulatorio è chiuso l’assistenza medica è assicurata da una società esterna (Medical Care) a un costo di 20 mila euro l’anno. A Palazzo Madama spiegano che non sono soldi buttati perché nel presidio medico si lavora a pieno regime: in un anno si effettuano 13mila prestazioni, più 700 soccorsi, in maggioranza di tipo cardiologico. Un dato sorprendente se rapportato al numero dei senatori e alla platea dei potenziali marcatori di visita. In un giorno di normale attività parlamentare al Senato, infatti, entrano più o meno 2.500 persone. Forse lavorare in Parlamento è più usurante di quanto si pensi e questo potrebbe spiegare anche quei 7,7 milioni di euro chiesti da senatori (e parenti) per prestazioni sanitarie integrative.
I deputati non sono da meno. I servizi sanitari d’emergenza alla Camera sono assicurati da un ambulatorio con personale medico-infermieristico rinforzato da un servizio distaccato dall’Asl di Roma e da una convenzione diretta con il Policlinico Gemelli. Un presidio che conta su una trentina di camici bianchi tra interni ed esterni che costa 1,4 milioni di euro l’anno. La convenzione per i presidi di palazzo Montecitorio e dei palazzi Marini, in corso dal 2007, conta quattro medici dirigenti e due unità di personale infermieristico che prestano servizio per 36 ore la settimana. Tutti ben retribuiti. Un medico alla Camera costa 60 euro lordi l’ora che diventano 90 dopo le 22, il sabato e nei giorni festivi.
A fine anno il camice bianco a Montecitorio porta a casa 90-100 mila euro. E sono in quattro. Gli infermieri, prendono 44 mila euro l’anno più maggiorazioni e sono in due. Ma vanno poi aggiunti i turnisti esterni e i 435mila euro per la convenzione con il Policlinico. Il conto finale è così salato da spiazzare gli stessi beneficiari del servizio (che in teoria dovrebbero godere di ottima salute, visti i 10 milioni di rimborsi sanitari dello scorso anno). Rita Bernardini (Pd), ad esempio, il 12 ottobre scorso ha chiesto al Collegio dei Questori di optare per uno dei due servizi. Il parere è stato accolto e protocollato ma non si sa se sortirà qualche effetto. L’emergenza sanitaria in Parlamento, a quanto pare, continua.

Direzione nazionale antimafia, ridate quel posto a Caselli. - Benny Calasanzio Borsellino


Dopo lo “spostamento” di ruolo di Pietro Grasso da procuratore nazionale antimafia a candidato del Partito Democratico alle prossime elezioni politiche (“il Pd è la mia casa”, e gente come Vladimiro Crisafulli il suo coinquilino), si è aperta la corsa alla successione del magistrato palermitano che era stato giudice a latere nel maxiprocesso a cosa nostra istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E si fanno già i primi nomi: dai più affascinanti ma che francamente hanno poche possibilità, come Ilda Boccassini e Roberto Scarpinato, a quelli più probabili, come Franco Roberti e Roberto Alfonso.
Durante la conferenza stampa in cui ha annunciato la sua candidaturaAntonio Ingroia ha provato a ristabilire una verità troppo spesso dimenticata: nel 2005, dopo la fine dell’incarico di Pier Luigi Vigna, il magistrato destinato a ricoprire la funzione di procuratore nazionale antimafia, a parere di molti, era Giancarlo Caselli. Il decreto legge del 20 novembre 1991, convertito il 20 gennaio successivo, all’art. 6 prevedeva infatti che “alla Direzione è preposto un magistrato avente qualifica non inferiore a quella di magistrato di Cassazione (Caselli lo era dal 1991, Nda), scelto tra coloro che hanno svolto anche non continuativamente, per un periodo non inferiore a dieci anni, funzioni di pubblico ministero o giudice istruttore, sulla base di specifiche attitudini, capacità organizzative ed esperienze nella trattazione di procedimenti relativi alla criminalità organizzata. L’anzianità nel ruolo può essere valutata solo ove risultino equivalenti i requisiti professionali”.
Dal 15 gennaio del 1993, giorno dell’arresto di Totò Riina, fino al 1999 Caselli era stato procuratore capo a Palermo dando il via ad un’irripetibile stagione interrotta proprio dall’arrivo di Pietro Grasso, considerato, anche da molti magistrati di quella procura, un “normalizzatore”.
Ma il provvidenziale governo Berlusconi, grazie all’emendamento firmato dall’ex An Luigi Bobbio presentato nell’ambito della controriforma dell’ordinamento giudiziario, cancellò per sempre la possibilità che il canuto magistrato piemontese sedesse su quella poltrona. L’emendamento indicava infatti come tetto massimo per l’assegnazione degli incarichi direttivi l’età di 66 anni ed escludeva coloro che non potevano garantire quattro anni di presenza prima dell’età pensionabile. Mancava solo che ci fosse scritto che erano esclusi dalla “gara” tutti quelli che avevano un cognome che iniziasse con “C” e finisse con “aselli”. Anche se sembra (ed effettivamente era) una legge contra personam, che doveva far pagare a Caselli le sue indagini sui rapporti mafia politica, in testa il processo Andreotti, Piero Grasso accettò l’incarico senza fare una piega. Mors tua vita mea.
Nessuna sorpresa, dunque, quando nel maggio scorso, a pochi giorni dal ventesimo anniversario della strage di Capaci, Grasso fece la memorabile e blasfema dichiarazione: “darei un premio speciale a Silvio Berlusconi e al suo governo per la lotta alla mafia”. E per forza (Italia): senza Silvio e gli altri sventurati il buon Grasso mai sarebbe riuscito a diventare procuratore nazionale, sovrastato per esperienza, coraggio e carisma dal buon Caselli.
Per queste ragioni, dopo lo scippo del 2005, sarebbe giusto e soprattutto necessario, vista la carriera e le capacità unanimemente riconosciute a Giancarlo Caselli, che quel posto venga oggi assegnato, o meglio, ridato a lui.

martedì 1 gennaio 2013

Casa triciclo della Cina e giardino.





http://www.architizer.com/en_us/blog/dyn/70029/tricycle-house-and-garden/#.UOM0ZOScNTJ

Quella chiavetta lanciata nel cortile. Conoscere gli hacker per difendersi. - Claudio Campanella


Quella chiavetta lanciata nel cortile. Conoscere gli hacker per difendersi

Hack The Lab Xperience, questo il titolo di un workshop di due giorni nella sede storica dell’azienda Stonesoft, ad Helsinki in Finlandia. Dati, tecniche, esperienze e una storiella molto istruttiva.

HELSINKI - Il reale pericolo di un attacco informatico su larga scala non si percepisce appieno. C'è poco da fare. Come già accaduto in passato nella storia dell’uomo, potrebbe essere necessario un evento catastrofico reale e tangibile (milioni di persone senza elettricità o azzermento globale delle carte di credito, tanto per fare due esempi) perché i governi si rendano conto dell’effettiva gravità della situazione. E' questo il concetto con cui di Ari Vänttinen (VP Marketing diStonesoft, azienda finlandese all’avanguardia nelle tecniche e nei prodotti per la difesa dei network aziendali da tali attacchi), ha aperto il suo intervento al Hack The Lab Xperience tenutosi nei giorni scorsi a Helsinki. Parole da brivido, le sue.

Vänttinen ha spiegato come gli attacchi informatici siano, purtroppo, quasi invisibili ai normali software di difesa, in quanto scopo principe degli hacker è proprio quello di rimanere silenti e indisturbati all’interno di un network per poi colpire all’improvviso e dileguarsi senza lasciare traccia. Ecco perché molto spesso le grandi aziende che rilasciano dichiarazioni dell’avvenuto attacco infromatico non hanno quasi mai idea di cosa sia successo nei loro sistemi. Sono solo in gradi di dire che c’è stata un’intrusione. 

Di sicuro l'attenzione nei confronti del cyber-crime ha avuto un'impennata: basti pensare che nel 2011 il "guadagno" illegale dei crimini informatici ha molto probabilmente superato quello del traffico internazionale di stupefacenti. Di contro che dal punto di vista strategico l’attenzione ai sistemi di difesa comincia a entrare a pieno titolo nelle voci di un bilancio aziendale: spendere per firewall o antivirus non è più sotto la voce costi ma sotto quella investimenti. Perché prevenire è meglio che curare.

E' una fresca giornata di dicembre, a Helsinki sono le 8 e il termometro segna -18°. Un veloce passaggio in taxi per arrivare alla sede centrale su un’soletta dell’arcipelago antistante la capitale finlandese. Qui ci accoglie Otto Airama, Senior Network Security Specialist dell'azienda. Con lui, seduti ai nostri banchi come fossimo a scuola, apprenderemo, i rudimenti degli attacchi alle reti. Del resto Stonesoft è una dell’aziende europee all’avanguardia nelle tecniche e nei prodotti per la difesa dei network aziendali, con una sedi anche a Milano (il responsabile è Emilio Turani) e ad Atlanta (Stati Uniti). 

Dopo pochi minuti già ci accorgiamo di quanto sia semplice per un occhio ben allenato scoprire le falle di un sito o di un portale non ben protetto. Subito un esempio: ad Otto bastano pochi semplici passaggi per ottenere l’intera lista dei dati - nomi, cognomi, indirizzi, telefoni e numeri di carte di credito - di un portale per acquistare musica. Ma c'è di più: per ottenere queste informazioni, il nostro "prof" non ha fatto altro che utilizzare script e software assolutamente legali e scaricabili gratuitamente da internet, software a disposizione di chiunque per eseguire proprio test di vulnerabilità sui propri network. Ovviamente queste tecniche funzionano solo ladovve i gestori del sito abbiano sbadatamente lasciato porte aperte. Ma a dirla tutta - sorride Otto - non esistono network completamente sicuri. 

Per dimostrarcelo invita il vero hacker della situazione - un giovane dipendente della Stonesoft che sembra uscito da un libro di Gibson o Sterling con i suoi sandali ai piedi e il laptop ricoperto di adesivi pirateschi - a raccontare un episodio significativo di come spesso le aziende credono di essere davvero sicure nei confronti degli attacchi informatici. Si parla di un'azienda che si vantava della sua inattaccabilità poiché nessuna delle sue reti interne e nessuno dei suoi computer era connesso ad internet e quindi, secondo loro, invulnerabile per gli hacker. Ma questi decidono di adottare una tecnica evergreen che fa leva sull’atavica curiosità del genere umano. Non potendo entrare via rete, i pirati informatici caricano il loro virus su una chiavetta usb e poi con una fionda la lanciano dalla strada oltre il muro di cinta dell’azienda fino al parcheggio interno e si mettono in attesa. Non è necessario attendere molto, per altro: un dipendente mentre va in ufficio nota questa chiavetta usb abbandonata in terra e non resiste alla tentazione di connetterla al pc sulla scrivania. Un gesto, questo, che dura un attimo. Un attimo in cui la tanto decantata sicurezza va a farsi benedire: il virus entrato da quel pc comincia a diffonderesi a tutti i gli altri computer del palazzo collegati dalla rete interna. L'incubo è appena cominciato.

In nome di Dio, andatevene!

Cromwell_in_Parlamento.jpg

Se ne devono andare tutti, dove non ha importanza. In un'isola delle Barbados, nell'appartamento monegasco del cognato, in un ospizio, nella tipografia romana del suocero, in Vaticano a pregare per lo Ior, in Europa al posto di Van Rompuy, a insegnare alla Bocconi a studenti inconsapevoli, in un tribunale a esercitare la loro professione, in uno dei loro studi legali a incassare milioni di euro. 
Se ne devono andare. 
Non li regge più nessuno. 
Loro non capiscono. 
Si credono intoccabili perché garanti di interessi economici delle lobby del cemento, delle cooperative, dei concessionari, della Bce, delle banche internazionali, di Stati esteri. 
Vivono in un mondo a parte, fatto di studi televisivi, di giornalisti proni, di incontri istituzionali a discettare del nulla al quadrato con la rituale foto di gruppo, circondati da commessi, servi, maggiordomi, amanti. 
Onorevoli disonorati. 
Facce di bronzo, facce di merda, facce da impuniti, facce da dimenticare se si vuole riacquistare un minimo di serenità. 
Facce di responsabili dello sfacelo economico e sociale che si fanno il lifting, i sorrisi tirati ormai in un ghigno, l'incedere da uomini di potere che si credono statisti in scatola. 
Si ripresentano ancora, riverginati, innocenti, candidi come se non fossero colpevoli del più piccolo errore. Loro che hanno disfatto l'economia, l'informazione, la giustizia, la scuola, il tessuto produttivo, lo stesso Stato. 
Mantenuti nelle loro posizioni privilegiate per decenni, pagate dalle tasse degli italiani a suon di vitalizi mai rinnegati, di leggi ad personam, ad partitum, per gli amici, per i concessionari, per le mafie. Parassiti, pidocchi, mignatte, zecche. 
Virus che si spacciano per miracolosi medicinali mentre infettano il corpo della Nazione, certi della copertura vigliacca dei media e confidando nella memoria breve degli italiani. Se ne devono andare. In Parlamento non li vuole neppure l'italiano più mite, il più tollerante, il più distaccato dalla politica. 
L'Italia è in overdose dei Bindi, Finocchiaro, Cicchitto, Berlusconi, Monti, Bersani, Fini, Alfano, Casini, Maroni e delle centinaia di compari si ostinano a imporre la loro presenza. Non capiscono che sono come Ceaucescu al balcone, Mussolini nel camion verso la Svizzera vestito da soldato tedesco, Hitler nel bunker di Berlino mentre da ordini a divisioni che non esistono più. E' questione di tempo, ma la loro avventura politica è terminata. La campanella del 2013 è suonata, la ricreazione a spese di generazioni di italiani è finita. 

"Voi siete un gruppo fazioso, nemici del buon governo, banda di miserabili mercenari, scambiereste il vostro Paese come Esaù per un piatto di lenticchie; come Giuda tradireste il vostro Dio per pochi spiccioli. Avete conservato almeno una virtù? C'è almeno un vizio che non avete preso? Chi fra voi non baratterebbe la vostra coscienza in cambio di soldi? E' rimasto qualcuno a cui almeno interessa il bene della Repubblica? Siete diventati intollerabilmente odiosi per l'intera Nazione; il popolo vi aveva scelto per riparare le ingiustizie ed ora siete voi l'ingiustizia! Ora basta! Portate via la vostra chincaglieria luccicante e chiudete le porte a chiave. In nome di Dio, andatevene! (*)"

(*) Dal discorso di Oliver Cromwell al Parlamento inglese nel 1653


http://www.beppegrillo.it/2013/01/in_nome_di_dio_andatevene.html

Regione, se i grillini scoprono una “dirigenza parallela”.


La scoperta che negli uffici della Regione, o comunque riconducibili alla Regione siciliana, ci sono dei dirigenti ‘esterni’ titolari di contratti di diritto privato, ovvero una sorta di “quarta fascia” dirigenziale – scoperta che dobbiamo al gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle all’Ars – ci dimostra tre cose. Primo: che, in Sicilia, negli uffici della Regione, alla dirigenza ufficiale è affiancata una “dirigenza parallela”. Secondo: che esistono precari di serie “A” precari di serie “B”. terzo: che l’Autonomia siciliana – e questo lo sapevamo già – è, oggi, uno squallido ‘stipendificio’. Il primo aspetto – la “dirigenza parallela” – è il più grave. Già è ridicolo che una Regione abbia una “terza fascia 
dirigenziale”. E’ ridicolo che ci siano mille e 800 dirigenti, la metà, bene o male, che operano tra Unità operative, Aree e Servizi e altri 900 che non si sa che cosa facciano. Ma è semplicemente incredibile che, accanto a questa dirigenza, ve ne sia una “parallela”, reclutata, in minima parte, con una selezione (che, in ogni caso, non è un concorso pubblico a tutti gli effetti) e, in massima parte, con la chiamata diretta da parte della politica.
Quanti sono questi dirigenti a contratto, con contratto di diritto privato? In quali uffici operano? Quanto soldi percepiscono? E’ vero che i loro contratti variano da 50 mila a 140 mila euro all’anno? Possibile che i cittadini siciliani debbano essere tenuti all’oscuro di tutto questo? Perché sul sito della Regione siciliana queste informazioni non sono rese disponibili a tutti? Il presidente della Regione, Rosario Crocetta, è informato di questi ‘buchi’?
Il dubbio è che questo personale – del quale, ripetiamo, non si conosce nemmeno il numero – sia presente in tanti uffici della Regione e di enti comunque riconducibili alla stessa Regione siciliana. Sapevamo che nelle società regionali ci sono ‘dirigenti’. Ma non immaginavamo che altri dirigenti operassero negli uffici di una Regione che ha già mille e 800 dirigenti!
Con questo articolo vogliamo porre alcune domande. E’ possibile conoscere quanti sono questi dirigenti a contratto e a quanto ammontano le loro retribuzioni? Oppure questo deve rimanere un segreto? E si può, trattandosi di fondi pubblici, tenere segreti questi dati?
La nostra sensazione è che questi dirigenti a contratto possano essere presenti negli uffici della Regione. A vari livelli. Dalla Presidenza della Regione agli altri dipartimenti della Regione.
Per caso, tra i precari che operano all’assessorato regionale al Territorio e Ambiente, ci sono dirigenti precari a contratto? Per caso, nella Protezione civile regionale ci sono altri dirigenti ‘esterni’ a contratto? Per caso, questi dirigenti a contratto si riscontrano presso l’ex Agenzia dei rifiuti? E presso i Consorzi di Bonifica?
Di certo ne abbiamo un bel po’ nella sanità siciliana, a giudicare da una nota dell’Ansa del 14 dicembre, che riprende una denuncia dei Cobas della Regione. Leggiamola assieme.
“Dagli ospedali e dai pronto soccorso alle poltrone dell’assessorato alla Salute della Regione siciliana. Personale alle dipendenze delle Aziende sanitarie siciliane, ma distaccato da qualche anno negli uffici di piazza Ziino, a Palermo, grazie a una legge varata dall’ex governo di Totò Cuffaro. E con un costo per le casse della Regione di circa 3,5 milioni di euro all’anno.
A sollevare il caso sono i sindacati autonomi dei regionali, Cobas/Codir e Sadirs che hanno scritto una lettera al governatore Rosario Crocetta, chiedendogli ‘un intervento urgente’. Si tratta di 17 dirigenti, tra cui parenti di politici, e sette tra funzionari e istruttori. Ai dirigenti, inoltre, verrebbero riconosciuti salario accessorio e premio di rendimento.
I dirigenti esterni, oltre a sottrarre postazioni destinate ad analoghe figure già presenti ampiamente nel ruolo unico della dirigenza regionale, contemporaneamente – scrivono i sindacati al governatore – sguarniscono importantissimi servizi ricoperti presso le Asp, anche di Pronto soccorso, causando sicuramente disfunzioni in danno dei cittadini.
Il personale esterno del comparto non dirigenziale, invece, distaccato pure dalle Asp, viene impiegato, incredibilmente, in servizi sottratti al comparto dei dipendenti regionali con l’aggravante che verrebbe concesso loro, sfuggendo ad ogni procedura di contrattazione sindacale, lo svolgimento di lavoro straordinario.
Cobas/Codir e Sadirs chiedono al governo di disporre il rientro di questo personale nelle sedi di provenienza e di “utilizzare le risorse umane, con analoghe e pari professionalità , presenti all’interno dall’amministrazione e oggi non utilizzate compiutamente.
Sostengono inoltre che “l’ulteriore aggravio di spesa sul capitolo del personale della Regione consistente in circa 3,5 milioni collide fra l’altro, con la spending review che mira, paradossalmente, a tagli agli organici del personale dirigenziale e del comparto.
Ai sindacati non risulta ancora che per l’assegnazione di queste postazioni, siano state attivate procedure a evidenza pubblica (o atti d’interpello a cui potesse concorre il personale interno) a garanzia dei principi di trasparenza, imparzialità , economicità e merito. E ritengono che questa mancanza di procedure pubbliche ovviamente, oltre ad avere dei profili di illegittimità, costituisce un sicuro danno all’immagine della pubblica amministrazione come dimostrano anche alcuni articoli di stampa sull’argomento e che hanno evidenziato come, tra questo personale distaccato, vi siano parenti di politici e personalità di spicco del mondo istituzionale”.
Insomma, presso gli uffici dell’assessorato regionale alla Salute – questo è già dimostrato – vi sarebbero parenti ed amici dei politici.
Ci chiediamo e chiediamo: lo stesso metodo viene seguito per i dirigenti a contratto di altre branche dell’amministrazione regionale e di enti comunqe riconducibili alla stessa Regione?
Questo ci introdurre al secondo tema: i ‘precari’ di serie “A”. I precari di serie “B” li conosciamo: sono quelli della Regione, degli enti riconducibili alla stessa Regione e degli Enti locali. Sono circa 28 e 30 mila. Tutti con retribuzioni basse.
Ma non immaginavamo che, accanto a questi precari, la politica siciliana truffaldina avesse creato anche una “Riversa di caccia” per precari di serie “A”. Cioè una “quarta fascia” dirigenziale costituita da soggetti che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono stati ‘promossi’ dirigenti per chiamata diretta della politica, con contratti di diritto privato che variano da 50 mila a 140 mila euro all’anno. Ed è semplicemente incredibile che di questa “quarta fascia” dirigenziale, introdotta senza legge, non si conosca nemmeno il numero!
Questo ci porta al terzo punto del nostro ragionamento: l’Autonomia ridotta a uno squallido ‘stipendificio’ da una politica che, per promuovere se stessa, utilizza le istituzioni autonomiste – e il denaro pubblico – per fini privati.
Noi torniamo a lanciare la nostra proposta: inutile prendere in giro la gente: la Regione non ha più i soldi per tenere in piedi tutto questo ‘Bordello’ del precariato.
Si istituisca – con i fondi nazionali e non regionali – un salario minimo garantito (o salario minimo di cittadinanza) non soltanto per quelli che, per raccomandazione, sono diventati precari della Regione o dei Comuni – di serie “A” o di serie “B”, semplici applicati o dirigenti a contratto – ma per tutti i disoccupati. Chi non ci sta se ne vada a casa.
La tesi che solo ‘alcuni’ disoccupati debbano avere il posto di precario in cambio del consenso ai politici falliti che hanno portato in fallimento la Regione e stanno facendo fallire l’Autonomia siciliana è aberrante. Ed è altrettanto aberrante è che lo Stato – e ci riferiamo all’Ufficio del commissario dello Stato per la Regione siciliana – abbia fatto passare questo principio. L’Autonomia siciliana serve per far crescere la Sicilia economicamente, socialmente e culturalmente. E non per avallare queste schifezze!