giovedì 23 gennaio 2020

Autostrade, ‘Italia Viva presenta emendamento al Milleproroghe per lasciare le maxi-penali a carico dello Stato in caso di revoca’.

Autostrade, ‘Italia Viva presenta emendamento al Milleproroghe per lasciare le maxi-penali a carico dello Stato in caso di revoca’

Il partito di Matteo Renzi, apprende l'Ansa, getta la maschera su Autostrade con una proposta di modifica al decreto Milleproroghe: vuole sopprimere l'articolo 35 che riscrivere le regole sulle concessioni autostradali indicando il percorso da seguire in caso di revoca (nella transizione la gestione passa ad Anas) e riduce le eventuali penali a carico dello Stato.
Italia Viva vuole tentare in extremis di salvare le maxi-penali che lo Stato dovrebbe versare ai gestori autostradali in caso di revoca della concessione. Il partito di Matteo Renzi getta la maschera su Autostrade con un emendamento al decreto Milleproroghe che, apprende l’Ansa, è stato depositato nelle commissioni di Montecitorio nel pomeriggio. Il testo indica la soppressione dell’articolo 35 del provvedimento, in fase di discussione alla Camera: la norma prevede nuove regole sulle concessioni autostradali indicando il percorso da seguire in caso di revoca (nella transizione la gestione passa ad Anas) e riduce le eventuali penali a carico dello Stato.
Più nello specifico: il Milleproroghe, così come approvato in Consiglio dei ministri e firmato dal presidente della Repubblica, prevede che Autostrade non possa risolvere il contratto sfruttando un cambio del quadro normativo, come quello avvenuto con il decreto, e in caso di revoca della concessione per suo inadempimento potrà ricevere dallo Stato solo somme pari al valore delle opere fatte. Non più altri indennizzi per il mancato guadagno negli anni rimanenti della concessione in scadenza nel 2038. Introiti che, stando alle stime di Mediobanca, potrebbero avere un valore complessivo che si aggira attorno ai 23 miliardi di euro.
Secondo una recente elaborazione di dati, sempre da parte di Mediobanca, pubblicata dal Il Sole 24ore tra 2009 e 2018 Autostrade ha dimezzato gli investimenti e aumentato i dividendi: ai soci sono andati 6 miliardi, mentre appena 4 sono stati destinati alla manutenzione. Dai 485 milioni del 2009 le cedole sono salite a oltre 740 milioni nel 2017, quando sono anche stati distribuiti 1,1 miliardi di riserve. Per il 2018, l’anno del crollo del ponte Morandi, è invece stato staccato un assegno di 518 milioni: comunque più di quanto speso per riparare e tenere in sicurezza le infrastrutture affidate.
Nel frattempo a manutenzione e sicurezza sono stati dedicati circa 4 miliardi: in media 400 milioni l’anno. Cifra, questa, che risulta perfettamente in linea con il minimo previsto dalla convenzione con lo Stato, che però ricorda Il Sole, richiede anche che il concessionario mantenga la funzionalità delle infrastrutture “attraverso la manutenzione e la riparazione tempestiva”. Stando ai crolli e ai problemi di sicurezza emersi nell’ultimo anno e mezzo, appare evidente che non tutto il necessario è stato fatto. Peraltro se si allarga lo sguardo al periodo 2000-2017 la spesa media annua cala ulteriormente, a circa 270 milioni.
Adesso, in attesa dei risultati definitivi dell’iter per la “caducazione”, come la chiama il premier Giuseppe Conte, il governo aveva approvato norme in grado di alleggerire il carico di spese per lo Stato in caso di revoca. In sostanza, grazie al Milleproroghe, l’esecutivo punta a rendere meno costoso e complicato revocare le concessioni poiché sono state superare alcune norme previste nel codice degli appalti del 2016 che davano grandi garanzie alle società che gestiscono la rete autostradale italiana. Misure che erano anche state censurate in passato dalla Corte dei Conti.
È l’articolo 35 del Milleproroghe – che ora Italia Viva vuole cancellare – a stabilire che Autostrade “per effetto della presente disposizione” non possa operare “alcuna soluzione di diritto” come la concessionaria aveva minacciato di fare, all’indomani della pubblicazione delle bozze del decreto, nel caso in cui il quadro normativo fosse stato modificato. In questo modo è stata neutralizzata la “minaccia” della società del gruppo Atlantia, controllato dalla famiglia Benetton e controllante di Autostrade.
Non solo: perché lo stesso articolo stabilisce che di fatto sono da “intendersi come nulle” anche “eventuali clausole convenzionali, sostanziali e procedurali, difformi, anche se approvate per legge”. Un modo per scavalcare due commi del codice degli appalti che davano la possibilità alle concessionarie di richiedere “penali” e “indennizzi a titolo di risarcimento” di revoca anche in caso di inadempimento da parte del gestore.

Giustizia citofonica - di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 23 Gennaio:

L'immagine può contenere: 4 persone

Non commento la decisione di Luigi Di Maio di lasciare la guida del Movimento 5 Stelle perché l’avevo già commentata con un bilancio di pregi e difetti, meriti ed errori l’11 gennaio (“L’onore delle armi”), quando il Fatto diede la notizia in anteprima grazie a uno scoop di Luca De Carolis e tutti gli altri si sforzarono di smentirla. Non solo lo staff del M5S, a cui avevamo rovinato l’effetto sorpresa. Ma i soliti giornaloni (memorabile il titolo di Repubblica “Di Maio non lascia, ma raddoppia: insieme a lui una donna leader”: infatti arriva Vito Crimi). Semmai ci sarebbe da commentare questa informazione all’italiana, ormai così mal messa che, quando si imbatte in una notizia vera, non la riconosce e rimane sgomenta, smarrita, senza parole. Il che aumenta vieppiù la comicità delle cronache politiche, già peraltro irresistibili di per sé. Noi, lo dico sinceramente, non abbiamo più parole per descrivere quel che fanno i due Matteo. Ci vorrebbero Fruttero e Lucentini, come scrive Settis a pag. 13.

Il minore, Renzi, voleva abolire la prescrizione finché la legge Bonafede non l’ha abolita. A quel punto, ha deciso che rivuole la prescrizione. Il 18 febbraio 2015 il capogruppo in commissione Giustizia del suo Pd in Senato metteva a verbale testuali parole: “La posizione ufficiale del Pd è che la prescrizione deve cessare di decorrere dopo l’emanazione del decreto di rinvio a giudizio”. E il neoresponsabile giustizia di Iv, all’epoca Pd, Giuseppe Cucca firmava col collega Casson un emendamento semplice-semplice: “La prescrizione cessa comunque di operare dopo la sentenza di primo grado. Il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui la notizia di reato viene acquisita o perviene al pubblico ministero”. Ora che la legge Bonafede la blocca solo dopo il primo grado, Renzi strilla come una vergine violata. E vincerebbe l’Oscar della comicità, se non gli fosse insidiato dall’altro Matteo. L’idea di citofonare a un tizio per chiedergli se spaccia droga, oltre a fargli sospettare che cercasse roba buona e a istigarlo a sparargli in base alla riforma della legittima difesa, apre squarci inesplorati nella vita politica. Intanto perché, oltre a ritrovarcelo fra le palle appena accendiamo la tv o ci connettiamo ai social, rischiamo da un momento all’altro di vedercelo sotto casa appeso al campanello, in concorrenza coi testimoni di Geova e i rappresentanti Folletto: solo le finestre e l’oblò della lavatrice è ancora immune, forse per poco, poi spunterà pure lì, con la felpa da lavavetri o da Omino Bianco. E poi perchè ora saremo autorizzati a diffondere gli indirizzi di Salvini e altri cazzari verdi.

Così, come ha fatto ieri un consigliere 5Stelle nella sede della Lega, chiunque vorrà potrà citofonare e domandare se per caso abbiano notizie dei 49 milioni. Ma il sistema di giustizia citofonica inventato dal noto garantista padano può contribuire non poco a sveltire i tempi delle indagini e dei processi. Si va in un quartiere a caso di una città scelta, si chiede nei bar sport se ci sia in giro qualche delinquente, si segna il nome e l’indirizzo, poi si citofona: “Scusi, lei è un delinquente?”. “Lei è un pusher?”. “Lei fa il pappone?”. “Lei rapina le banche?”. 
A quel punto, i casi sono due. 
1) L’eventualità più probabile, vista la predisposizione del delinquente medio a confessare al citofono: il tizio risponde “Sì, sono un delinquente, ho appena rapinato una banca”. “Io invece scippo vecchiette un giorno sì e l’altro pure”. “Io, appena entro in un supermercato, frego di tutto”. Nel qual caso è inutile perder tempo in indagini o processi: si porta il reo confesso al cospetto di Salvini, che pronuncia una sentenza irrevocabile e immediatamente esecutiva, a seconda della nazionalità e del reato. Se il tizio è africano o asiatico (israeliani a parte) e/o dedito a reati comuni, lo ficca in galera e butta via la chiave. Se è di pura razza italiana e specializzato in reati finanziari, contro la Pubblica amministrazione o di istigazione al razzismo, lo candida nella Lega. 
2) L’eventualità più improbabile: il tizio nega di essere un delinquente, o perché non lo è, o perché lo è ma per misteriosi motivi non tiene a farlo sapere. Nel qual caso, decide Salvini, che non sbaglia mai e ha sempre ragione. Dunque condanna sicura; o, in subordine, candidatura in Parlamento, nei casi specifici di cui al punto 1.

La nuova giustizia citofonica porterà a un balsamico sveltimento dei tempi e a un benefico snellimento delle procedure, perché a quel punto si processeranno soltanto quelli che non sono in casa o non rispondono al citofono. Altro che blocco della prescrizione, altro che legge Bonafede: questo ci vuole per far funzionare la giustizia. Anche il caso Gregoretti, invece di far perder tempo al Senato e al Tribunale dei ministri, si risolverà così, senza costringere il Cazzaro a cambiare idea a ore alterne perché non ha ancora capito perché vogliono processarlo e su cosa devono decidere il Senato e il Tribunale (tant’è che, dopo aver detto che non vuol essere processato e aver fatto votare la Lega in giunta per essere processato, ora pare che stia meditando di farla votare in aula per non essere processato: tanto i suoi cazzari si butterebbero pure in Po, a gentile richiesta). Meglio semplificare. Salvini si citofonerà da solo, in diretta Facebook, e si domanderà: “Scusa, Matteo, tu per caso hai sequestrato 131 migranti su una nave della Guardia Costiera nel porto di Augusta?”. E, dopo rapido autointerrogatorio allo specchio o su Instagram, si risponderà: “Io? Ma se non ero neppure al Viminale! Stavo al Papeete, io!”. Poi si giudicherà da solo, in qualità di Pm, Gip, Gup, Tribunale, Corte d’appello e Corte di Cassazione. E dovrebbe proprio uscirne assolto, semprechè l’avvocato non sia la Bongiorno.


Ding dong... Ding dong.. - Massimo Erbetti

Risultato immagini per salvini al citofono"


"buongiorno, volevo sapere se lei spaccia..."
e dall'altra parte del citofono :
"e avoja, quanta ne vuoi? Aschish, Maria, libanese, cocaina... Che te serve?"
Altro campanello: ding dong... Ding dong...
"buongiorno, lei spaccia?"
"Si certo, mi dica? Cosa le occorre?"
Cioè...ma davvero lo ha fatto? Davvero su segnalazione di una signora, sto tizio è andato a suonare ai campanelli di presunti spacciatori? Facendo per giunta, nomi, cognomi, via e numero civico?... Ma cosa pensava gli rispondessero? " Si certo, salga che ci facciamo una canna insieme così se le piace ne compra un po?" Logicamente il tutto fatto avvisando giornalisti, portandosi al seguito una claque, perché l'intento è quello di mettere alla gogna qualcuno, fregandosene di tutto e di tutti...ma chissene frega...oggi nomi e cognomi di presunti spacciatori...qualche giorno fa un ragazzo di venti anni dislessico.. Ancora prima un'altra ragazza perché era una "sardina"...stupire, fare scandalo, scioccare, il tutto solo per apparire, per arrivare primo, per la bramosia di potere...ha un rispetto per gli altri pari a zero, ma vi siete mai domandati quale effetto dirompente ha questo atteggiamento nelle vite dei malcapitati di cui fa nomi e cognomi? Cosa accade a queste persone? Il ragazzo dislessico ad esempio sembra perda il lavoro, la ragazza è stata oggetto di migliaia di commenti sessisti sulla sua pagina Facebook e se qualcuno reagisse male? E se qualcuno per la vergogna, facesse qualche gesto inconsulto? A parte il fatto che c'è una evidente violazione della privacy, ma sai cosa gliene può fregare al tizio della privacy di questi poveri disgraziati...la sua mania di grandezza, il suo delirio di onnipotenza prevaricano tutto e tutti e più sarà in difficoltà e più alzerà il tiro, più i sondaggi andranno male e più le sue gesta saranno provocatorie...deve aver avuto un'infanzia molto difficile...aiutiamolo...si ma a casa sua.


https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10216379694670598&set=a.2888902147289&type=3&theater

Amenità.





martedì 21 gennaio 2020

RENZI E I MORTI DEL MORANDI. - Viviana Vivarelli.

Risultato immagini per ponte morandi"

Dal rapporto annuale di «Time to care» di Oxfam, risulta che negli ultimi anni la ricchezza dei più ricchi del mondo è enormemente aumentata a scapito dei più poveri la cui miseria è enormemente aumentata. Poco più di 2.000 miliardari hanno una ricchezza superiore al patrimonio di 4,6 miliardi di persone, mentre alla metà più povera della popolazione resta meno dell’1%. Questo non si deve solo alla loro abilità negli affari, ma anche, purtroppo, a politiche scellerate che fanno dei Governi non i tutori dei cittadini ma i complici dei più ricchi.
Nel nostro Paese la disuguaglianza è la più accentuata d'Europa grazie alla politica corrotta e criminale di vari Governi che indifferentemente, da dx a sx, hanno penalizzato i più poveri e sono stati complici dei più ricchi. Ma il vertice di questa deriva iniqua è stato il Governo di Renzi, decisamente ultra liberista e amico di banche, grandi magnati e multinazionali e volto a ridurre i diritti sociali, del lavoro e della democrazia.
Il risultato di questa complicità dei politici più corrotti con i più ricchi del Paese è che 3 miliardari italiani (Ferrero, Del Vecchio e Pessina) possiedono quanto 6 milioni di italiani poveri. Al 14° posto di questa scala di Paperoni c'è la famiglia Benetton.
Nel 1950 fu costituita dall'IRI la Società Autostrade all'interno del piano di ricostruzione post bellica. Nel 1956 fu firmata la prima Convenzione tra ANAS e la Società Autostrade, che prevedeva che la Società Autostrade co-finanziasse con ANAS la costruzione e gestione dell'Autostrada del Sole Milano - Napoli, inaugurata nel 1964.
Nel 1999 l’Iri (Prodi) decise di privatizzare una serie di società tra cui autostrade.
I Benetton la acquistarono a debito con l'aiuto di Prodi, Draghi e D’Alema. Per i Benetton fu un affare d'oro e con un'abile operazione finanziaria l'acquisizione fu per loro a costo zero. Oltre a ciò fu concesso loro di aumentare a piacere i pedaggi ogni anno.
Ricordiamo che in Germania, Austria, Svezia e Regno Unito le autostrade sono dello Stato e sono gratuite, salvo i mezzi pesanti che sono rilevati dal satellite e pagano una quota annuale molto bassa (fino a 87 €. In Svizzera si paga un abbonamento annuo di circa € euro). In Spagna l'80% è gratuito. Ma l'Italia, grazie ai Benetton e al Pd, è tra i Paesi europei con i pedaggi più cari.
Oltre a ciò, mentre in tutti i Paesi che hanno privatizzato le autostrade è stata forte l'opera di controllo dello Stato, in Italia i vari Governi si sono totalmente disinteressati di garantire servizi efficienti e sicuri per il cittadino.
Per i Benetton la privatizzazione fu un vero colpo di fortuna, ma aumentarono altre-sì il patrimonio riducendo via via la manutenzione delle autostrade e aumentando i pedaggi fino alle esosità attuali che non rendono certo più facile la vita degli italiani né rendono più competitiva la nostra economia.
Così i Benetton, che erano partiti con una piccola macchina da maglieria 70 anni fa, sono arrivati al 14°posto tra i più ricchi d'Italia. Hanno più di 64.000 dipendenti, con un fatturato che nel 2017 ha avuto un utile netto di 234 milioni per un patrimonio netto consolidato di 16,7 miliardi. La loro società Atlantia che controlla Autostrade ha avuto un fatturato nel 2018 pari a 11 miliardi per un utile netto di 818 milioni.
Il 14 agosto 2018 il Ponte Morandi crolla facendo 39 morti ma i Benetton non fermano la festa di ferragosto che avevano organizzato coi loro amici a Cortina.
Dopo la tragedia si succedono le inchieste sullo stato di grave degrado di ponti e viadotti con pericolo di rovina. Il nostro patrimonio strutturale è vecchio e obsoleto e un ventennio di abbandono lo ha reso pericoloso e fa temere altre disgrazie. Oggi assistiamo ovunque a crolli e cedimenti. 20 ponti sono a rischio e 18 viadotti sono stati dichiarati pericolosi.
Documenti attestano che la pericolosità del Ponte Morandi era nota sia a Renzi che a Del Rio, i quali non fecero nulla. Già nel 2015 i tecnici dissero con un dossier di 546 pagine che il ponte Morandi era a rischio per un importante cedimento dei giunti e andava chiuso e ristrutturato. I ministri alle infrastrutture nel 2015 erano Lupi, Renzi e Del Rio e, se ci sono stati 49 morti, ciò si deve anche alla loro inettitudine.
A fronte di questa sciagura, i Benetton hanno contrapposto non segni di ravvedimento ma la richiesta esosa di risarcimenti per 23 miliardi per mancati guadagni nel caso che la conduzione delle autostrade passi ad Anas.
Il Governo Conte II ha emanato il decreto Milleproroghe che contiene norme sulla gestione delle autostrade e riduce le eventuali penali a carico dello Stato in caso di revoca della concessione, per cui Benetton non potrebbe usufruire di alcuna somma per mancati guadagni ma riceverebbe dallo Stato solo un rimborso per i lavori fatti (sempre che qualcuno non opponga la non retroattività della legge).
Ma ecco che ad opporsi è proprio Matteo Renzi, che vuole che l'emendamento in questione sia eliminato per favorire ancora una volta i Benetton. Fino all'ultimo Renzi dimostra di fregarsene dei morti.
Eppure ci sono prove evidenti dell'avarizia e dell'avidità dei Benetton: tra il 2009 e il 2018 Autostrade ha dimezzato gli investimenti e aumentato i dividendi così che ai soci andassero 6 miliardi, mentre solo 4 sono stati destinati alla manutenzione, in media 400 milioni l’anno.
Stando ai crolli e ai problemi di sicurezza emersi nell’ultimo anno e mezzo, appare evidente che i gestori non hanno fatto quanto era necessario, fregandosene della sicurezza della gente, ma hanno pensato solo ad aumentare i loro guadagni. E, nel periodo 2000-2017 la spesa media annua cala ulteriormente a 270 milioni.
Malgrado queste evidenze criminali, Renzi ancora li difende.
Alla revoca ai Benetton contrappone l'insinuazione che essa farebbe scappare gli investitori esteri (!). Ma i viadotti che crollano no? Dice anche che una revoca farebbe aumentare la disoccupazione come se Anas non dovesse poi fare quella manutenzione che Autostrade invece non ha fatto!
Il programma di Renzi, totalmente aderente al turboliberismo della Troika prevedeva la graduale privatizzazione di tutti i servizi pubblici con azzeramento dello stato sociale. Ma il crollo del Ponte Morandi e la gestione scellerata dei Benetton hanno provato una volta di più che lo Stato italiano è stato totalmente incapace di controllare quanto aveva privatizzato.
E' stato anche per colpa di questa incuria che Autostrade ha accumulato enormi profitti, e i Governi che dovevano controllarla, in particolare quello di Renzi, non hanno fatto nulla per evitare la degradazione e la sciagura. Se Austrade di Atlantia si è comportata in modo criminale, la stessa responsabilità penale dovrebbe colpire chi doveva controllare per tutelare i cittadini e non lo ha fatto.
Malgrado quanto è successo, nessuno dei Benetton è sotto inchiesta. Renzi prende ancora il 4,5, l'inetto Del Rio è capogruppo Pd alla Camera. Tutto come se niente fosse.
Non solo nessuno ha il minimo rimorso per la tragedia ma hanno anche la faccia di voler difendere chi ci ha marciato.
Che ora Renzi si opponga alla revoca ai Benetton aggiunge crimine a crimine.
Qualunque problema si profili, Renzi sta sempre dalla parte del capitale e contro il cittadino. Qualunque cosa Renzi ha fatto, è stato un disastro quando non anche un crimine. Eppure qualcuno riesce ancora a dargli il 4,5% di preferenze.
Gli sciacalli non muoiono mai.

I reni e il fegato di Marian Rosca, camionista romeno di 36 anni, morto a Genova il 18 agosto per le ferite riportate nel crollo del Ponte Morandi, hanno ridato la vita a tre persone.
Ripartiamo da qui.


https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=826426777822477&id=100013654877344

Silvio Pelvico. - Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano

Coerente come un budino sfatto, tetragono come un sacco vuoto, lineare come un arabesco, Salvini ha deciso – bontà sua – di farsi processare per il presunto sequestro della nave Gregoretti, dopo aver chiesto per due mesi di non essere processato. L’opposto del caso della Diciotti, l’altra nave della Marina Militare italiana bloccata per giorni in un porto italiano: prima voleva essere processato, poi non più. Ora, pretendere un po’ di fermezza da un politico è il minimo. Ma pretenderla da un cazzaro è inutile. Anche perché ha allevato, sui social e in piazza, una genia di cazzari che parlano di tutto con la sua stessa enciclopedica incompetenza. E lo applaudono a prescindere, qualunque cosa dica. “Non processatemi!”: clap clap. “Processatemi!”: clap clap. “Mangio”: clap clap. “Digiuno”: clap clap. Anche le tragedie, appena passano dalla sua bocca, diventano farse. Ma la gente stenta ad accorgersene, perché i media continuano a prenderlo sul serio. E lo farebbero anche se indossasse la divisa da clown, con la pallina rossa sul naso.
Ieri, per dire, s’è paragonato a due arrestati famosi: Giovanni Guareschi e Silvio Pellico (ma voleva dire Pelvico, visto il girovita che si ritrova). E ha annunciato che scriverà Le mie prigioni 2.0. Poi, al verbo “scrivere” applicato a sè medesimo, gli è scappato da ridere: “Farò un nuovo format televisivo”. Come Corona. Naturalmente il rischio che venga arrestato è pari a zero. La custodia cautelare, per un parlamentare, richiede l’autorizzazione del Parlamento (che la negherebbe unanime, per non regalargli altri martirii). E comunque i giudici non l’hanno mai chiesta. Per arrestare uno prima del processo, occorrono, oltre ai gravi indizi di colpevolezza, le esigenze cautelari. Cioè almeno uno dei tre pericoli canonici: fuga all’estero (purtroppo altamente improbabile), inquinamento delle prove (e qui non c’è nulla da inquinare: i fatti, cioè il blocco della Gregoretti nel porto di Augusta, sono avvenuti alla luce del sole, in mondovisione) e reiterazione del reato (impossibile perché l’imputato non è più ministro dell’Interno). Quindi la galera potrebbe toccargli solo in caso di condanna definitiva, per giunta a una pena superiore ai 4 anni: due eventualità leggermente più remote del ritorno di Renzi a Palazzo Chigi, anche se la presenza dell’avvocata Bongiorno come difensore di Salvini potrebbe essergli fatale. E comunque, casomai, se ne parlerebbe tra 8-10 anni, quando nessuno si ricorderà più di quel cazzaro che, per misteriosi motivi, nel 2020 superava il 30% dei consensi. Ma a quel punto ci toccherà proteggerlo dalla furia degli ex leghisti armati di cappi, roncole e monetine.
https://infosannio.wordpress.com/2020/01/21/silvio-pelvico/

La santificazione di Craxi e Pansa è un insulto alla Costituzione repubblicana. - Paolo Flores d’Arcais




La santificazione concomitante e parallela di Bettino Craxi e Giampaolo Pansa segna la vittoria completa di Tangentopoli su Mani Pulite e della Costituzione materiale partitocratico-affaristica sulla Costituzione Repubblicana nata dalla Resistenza antifascista.

In realtà la guerra dell’establishment contro la rivoluzione della legalità tentata da Mani Pulite iniziò quasi subito, quando le tv di Berlusconi, che per un momento avevano svolto un ruolo giornalistico con imparziali cronache di onesta informazione sulle vicende giudiziarie che andavano coinvolgendo l’intero gotha politico e imprenditoriale, diventarono le cannoniere mediatiche della neonata “Forza Italia”, con cui il medesimo Berlusconi si impadroniva di parlamento e governo. Non già l’imprenditore al posto dei politici, come pure si vociferò nel servo encomio, ma il fuorilegge dell’etere locupletato a imprenditore monopolistico da quello stesso Craxi, via “legge Mammì”.

E tuttavia, quella revanche di Tangentopoli contro Mani Pulite, di cui Berlusconi, con Fini e la Lega utili e ricompensati furbi, fu cavaliere e crociato, trovava ostacoli e resistenze, antagonisti e refrattari. Pane per i suoi denti, insomma. Non nella politica, o comunque sempre meno, poiché la speranza dell’Ulivo di Prodi svanì con la nomina del suo Flick a ministro della Giustizia, la cui prima chanson de geste fu mandare ispettori contro il pool di Borrelli. La speranza da allora sopravvisse come illusione.

Ma visse nella società civile che si manifestò e organizzò in modo autonomo, dal popolo dei fax nel maggio 1993 ai Girotondi nel 2002, continuando con “Il popolo viola”, “Se non ora quando” e le manifestazioni contro le leggi bavaglio, avendo sullo sfondo la colonna sonora e visiva delle trasmissioni di Barbato, Biagi, Santoro d’antan (quello di recenti esternazioni è ormai establishment colato), e anche la parte migliore della carta stampata, con “la Repubblica” spesso punta di diamante del giornalismo-giornalismo, e intellettuali che non temevano di mettere a repentaglio notorietà e privilegi prendendo posizione in quelle lotte, e spesso promuovendole, Bobbio, Galante Garrone, Sylos Labini, Pizzorusso, Giolitti, Visalberghi, Laterza, (nel 1994 per l’ineleggibilità di Berlusconi) Camilleri, Tabucchi, Margherita Hack, Dario Fo, Franca Rame...

Oggi di tanta passione civile, che nel “Resistere, resistere, resistere!” di Francesco Saverio Borrelli all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2002 trovò la sua più alta e quasi unica manifestazione istituzionale, non resta quasi più nulla. E la figlia di Bettino annuncia addirittura che il presidente della Repubblica troverà il modo di mettere il suo sigillo alla santificazione del criminale morto latitante venti anni fa. Perché di questo, secondo l’ordinamento costituzionale, si tratta. Bettino Craxi è stato condannato con sentenze definitive. Sulla base di leggi da lui stesso volute o mantenute, visto che era membro eminentissimo del potere legislativo (oltre che esecutivo). Ma pretendeva che lui e i suoi pari o colleghi, i politici insomma, fossero legibus soluti, potessero violare le leggi che essi stessi facevano e alla cui obbedienza erano invece tenuti i cittadini comuni.

E infatti, nel famoso discorso in parlamento del 3 luglio 1992, Craxi non negò affatto, anzi affermò tonitruante, che nel finanziamento dei partiti esistesse “uno stato di cose che suscita la più viva indignazione, legittimando un vero e proprio allarme sociale e ponendo l’urgenza di una rete di contrasto che riesca ad operare con rapidità e con efficacia. I casi sono della più diversa natura, spesso confinano con il racket malavitoso, e talvolta si presentano con caratteri particolarmente odiosi di immoralità e asocialità”.

La sua difesa fu solo che “tutti sanno”.
Tutti sanno “che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale”. Questi “tutti” non sono naturalmente i cittadini, ma i politici, per cui il discorso di Craxi non approda alla sua logica conseguenza, secondo legge e democrazia: se nessuna “possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo” allora “gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale”, e perciò tutti a casa e una nuova classe dirigente. Bensì, contro logica e democrazia: se tutti criminali nessun criminale, e insomma tutti impuniti, legibus soluti, appunto: tarallucci e vino.

Craxi, condannato, poteva da malato venire a farsi curare in Italia. Anche da detenuto non gli sarebbero certo state negate le cure migliori. Ma Craxi pretendeva di essere al di sopra di quella condanna, di essere al di sopra di ciò che come Potere legislativo aveva statuito, perché risibile era stato il tentativo di negare nel processo che gli addebiti fattuali contestatigli non fossero provati. Craxi fu condannato per una mole di prove, testimonianze, riscontri. Per aver commesso quelli che egli stesso, come potere legislativo, aveva qualificato come crimini.

Definire Craxi un criminale acclarato, morto latitante, è semplice descrizione fattuale, se si prende sul serio l’edificio costituzionale che ci rende con-cittadini. Se questa definizione è considerata calunniosa, ingiuriosa, o nel migliore dei casi “obsoleta” e da superare perché divisiva e ingenerosa, è solo perché Mani Pulite (e i pool antimafia) e le macchie di leopardo di magistratura che ancora ne onorano l’esempio, è stato e resta il vero nemico assoluto e l’unica bestia nera dell’establishment (di cui Salvini, che detesta i magistrati-magistrati, è infatti lo Scherano).

Chi oggi vuole santificare Craxi, o semplicemente si rassegna a una riabilitazione, nega la validità dell’ordinamento costituzionale che ha portato alla sua condanna, vuole più che mai due giustizie, una per i cittadini comuni e una per i potenti o “eccellenti”. Vuole che la Costituzione materiale, che ha imperversato sempre più a iniziare dal giorno dopo la promulgazione della Costituzione, faccia aggio fino a cancellarla sulla Costituzione repubblicana approvata il 22 dicembre 1947 da una delle migliori Assemblee rappresentative che le democrazie dell’intero pianeta abbiano mai conosciuto nella loro intera storia.

Quella Costituzione, che dovrebbe ancora essere la nostra, manifesta quasi ad ogni articolo (tranne il famigerato numero 7) il DNA della Resistenza antifascista e dei suoi valori unitari. La Resistenza antifascista è perciò la fonte storica di legittimità della nostra democrazia, la Grundnorm in senso kelseniano, senza la quale viene meno l’intero edificio giuridico del nostro vivere insieme, dello Stato, della Patria.

Contro questa legittimazione storica e morale Pansa ha versato il suo inchiostro da quando ha visto frustrate le sue ambizioni di direzione nel gruppo Repubblica/Espresso (lo adombra con elegante veleno Eugenio Scalfari, con inoppugnabili rimembranze dirette, ricordando Pansa il giorno dopo la morte, ma era vox populi, vox dei). Questo ingaglioffirsi di Pansa ad aedo degli odiatori della Resistenza è stato analizzato e stigmatizzato lucidamente sul sito di MicroMega da Tomaso Montanari, guadagnandosi ovvie sbrodolate d’insulto dal mainstream mediatico, anche con onore di prima pagina, di questi tempi oscuri di revisionismo storico e impalpabilità morale. MicroMega del resto aveva già dettagliatamente ricostruito il carattere falsificatorio e propagandistico dei libri di Pansa contro la Resistenza pubblicando nel gennaio del 2010 un ampio saggio di Angelo d’Orsi. Ne aveva del resto già scritto Sergio Luzzatto sul “Corriere della sera” quattro anni prima [“Perché queste tonnellate di carta copiativa trovano ogni volta un ampio pubblico di lettori, o quanto meno un ampio mercato di acquirenti? … il profilo merceologico del cliente di Pansa coincida con quello del cliente dei volumi di storia di Bruno Vespa (un giornalista che pure, in confronto a Pansa, torreggia come un gigante della storiografia). È un cliente che non sa distinguere fra chi ha credito scientifico e chi non ce l’ha, e per il quale il gesto di comprare un libro prolunga il gesto di fare zapping sul telecomando”], ne aveva puntualmente scritto Giorgio Bocca cui si deve uno dei libri più belli sulla Resistenza, e che prima di scriverne l’aveva fatta, e la lista potrebbe essere per fortuna assai lunga.

Una fortuna che riguarda il passato. Oggi di onestà intellettuale e rigore storico rimangono sempre più solo lacerti. E della passione civile che da Mani Pulite fino ai Girotondi e oltre ha preso sul serio la Costituzione repubblicana restano solo casematte di resistenza. Sarebbe bello pensare che le Sardine annuncino un risveglio di democrazia, capace di mettere di nuovo in mora santificazioni di Craxi, Pansa e consimili degenerazioni etico-politiche, e magari addirittura riaprire una stagione di lotte per giustizia-e-libertà. Staremo a vedere, nel senso che per parte nostra faremo il possibile.

http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-santificazione-di-craxi-e-pansa-e-un-insulto-alla-costituzione-repubblicana/