lunedì 27 gennaio 2020

Verona come la “Terra dei Fuochi”, rifiuti sepolti sotto le coltivazioni di frutta e ortaggi: il servizio del TGR Veneto.



Rifiuti sepolti sotto le coltivazioni di frutta e ortaggi. Succede nelle campagne del Veronese dove, nei territori di quattro Comuni, migliaia di metri quadrati di terreno sono finiti sotto sequestro. L’amministrazione provinciale ha invitato i cittadini a denunciare ogni eventuale caso di smaltimento illecito. A rischio ci sono le falde acquifere. Nel servizio del TgR Veneto dedicato a questo nuovo caso di “terra dei fuochi“, l’intervista ad Andrea Girardi, sindaco di Minerbe (VR) ed a Damiano Cappellari, vicecomandante della polizia provinciale di Verona.

https://www.onb.it/2020/01/23/verona-come-la-terra-dei-fuochi-rifiuti-sotterrati-sotto-le-coltivazioni-di-frutta-e-ortaggi-il-servizio-del-tgr-veneto/?fbclid=IwAR09mOR7GaK3njglzYprX8P0FJZPA7M51qB0oauQaLutz7KUQBc821MJ-eY

Conte: “Battuti Salvini e l’assalto al governo. Ora avanti per 3 anni”. - Luca De Carolis



Il premier: “Vince chi amministra bene come il governatore. E come i giallorosa, se faremo riforme serie senza sabotaggi”.

Niente baratro, niente “barbari” alla porta a urlare al governo di sloggiare, di arrendersi all’alluvione sovranista. Nella notte dall’Emilia Romagna piovono solo i numeri della vittoria del governatore dem Stefano Bonaccini e Matteo Salvini ha un volto che è un sudario di delusione. Così il presidente del Consiglio Giuseppe Conte può sbattere in faccia la sconfitta al suo primo nemico: “Esce sconfitto chi, come Salvini, ha pensato di strumentalizzare il voto regionale pur di pregiudicare il percorso del governo nazionale”. Il premier rivendica il suo ruolo, il suo lavoro, ed è un altro affondo contro il leghista: “Il risultato conferma che la via maestra per avere la fiducia dei cittadini sono le buone pratiche di governo e non gli slogan e le declamazioni sui social”. A brevissimo, Conte sfornerà anche un post contro il Salvini che se ne è andato a fare campagna parlando ai citofoni, “un fatto indegno”. Ma nell’attesa rilancia “il confronto con le forze di governo sull’agenda”, cioè il cronoprogramma. E insiste: “La strada è lavorare per i prossimi tre anni sulle riforme, senza sabotaggi”
Però il Pd in Emilia Romagna sta sopra il 30 per cento, come nelle Europee, e già dicono che i dem si preparino a chiedere un “riequilibrio” ai Cinque Stelle, cioè un rimpasto. Perché invece il M5S veleggia poco sopra il 5 per cento: meglio del 2-3 per cento raccontato da certi sondaggi, ma comunque un disastro. Lo sa benissimo Conte, pronto a lavorare come al solito di mediazione, e come lui tanti 5Stelle di governo. Pronti a difendersi rivendicando il voto disgiunto del Movimento in favore di Bonaccini, di cui si possono solo intuire le dimensioni, con il candidato del M5S Simone Benini che affonda dalle parti del 4 per cento. Più giù della sua lista, quindi un po’ di grillini hanno votato sicuramente per il governatore dem uscente.
Ma per i 5Stelle resta un tonfo annunciato. “Fare questa lista era una scelta priva di senso” picchia in nottata il veterano bolognese Max Bugani. Mentre tace Luigi Di Maio, ministro degli Esteri e capo politico dimessosi mercoledì scorso. Lui non vuole andare oltre l’alleanza di governo, e prima di lasciare il timone ha chiuso ad accordi in altre regioni (le Marche). Ma la vittoria di Bonaccini riapre i giochi, ridà fiato ai 5Stelle pro intesa, innanzitutto in Campania e Liguria. E comunque prima delle trattative ci sono tante partite dentro e a margine del governo. C’è la giornata di domani, un martedì disseminato di trappole, perché alla Camera si vota sulla proposta di legge del forzista Costa che vuole uccidere la riforma della prescrizione del Guardasigilli del M5S, Alfonso Bonafede.
E in Parlamento ci sarà anche lui, Bonafede, a raccontare le sue linee guida sulla giustizia a Montecitorio e in Senato. Seguirà un voto sulle relative risoluzioni, e mette già ansia. Ma la stessa votazione sulla pdl Costa resta una nube nera sopra l’esecutivo. E in entrambi i casi il pericolo arriva da Matteo Renzi e dalla sua Italia Viva, che non ha mai rinunciato alla minaccia di partenza, quella di votare la proposta di Fi. Per questo, la prima speranza di Conte e di diversi ministri grillini è che la vittoria di Bonaccini spenga la voglia di baruffa del fu rottamatore.
Nell’incertezza per evitare guai, soprattutto sugli emendamenti con voto segreto, la maggioranza potrebbe rispedire la pdl Costa in commissione. Ma le votazioni sulla relazione di Bonafede restano. D’altronde sempre martedì nelle commissioni si cominceranno a votare gli emendamenti al decreto milleproroghe. E sempre i renziani erano pronti a fare muro contro la revisione delle norme sulle concessioni autostradali. Ergo, è presto per rilassarsi. Ma sorridere un po’, si può: almeno di Salvini.


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domenica 26 gennaio 2020

Bonafede e malafede. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 26 Gennaio

L'immagine può contenere: 2 persone, persone che sorridono, testo

Anzitutto una rettifica importante col capo cosparso di cenere. Ieri ho scritto che chi non vuol regalare a Salvini anche l’Emilia Romagna e la Calabria, e prossimamente tutta l’Italia, può usare il voto disgiunto: votare la lista che preferisce e poi barrare il nome del candidato governatore che ha più chance di battere quello di centrodestra. Cioè Bonaccini in Emilia Romagna e Callipo in Calabria. Lo confermo per l’Emilia Romagna, ma non per la Calabria, la cui legge elettorale non consente il voto disgiunto: lì chi lo pratica annulla la scheda. In Calabria, chi vuol votare Callipo deve scegliere una lista a lui collegata e non, per esempio, quelle dei 5Stelle.

Ora, corretto il mio errore, vorrei occuparmi di quello commesso dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede l’altra sera a Otto e mezzo. Una giornalista di Repubblica, ignara di vent’anni di battaglie del suo giornale per bloccare la prescrizione, contestava la legge che blocca la prescrizione: “Lei non pensa agli innocenti che finiscono in carcere?”.


Argomento demenziale, visto che la blocca-prescrizione non cambia di una virgola la sorte degli eventuali innocenti in carcere. I quali non possono essere i detenuti che espiano la pena, cioè i condannati in via definitiva, per definizione colpevoli. Ma i detenuti in custodia cautelare (arrestati prima della sentenza in base a “gravi indizi di colpevolezza” per evitare che fuggano o inquinino le prove o reiterino il reato): che però, per la nostra Costituzione, sono già “presunti innocenti”.


Quindi non c’è nulla di scandaloso se un “presunto innocente” è in carcere: è la legge che lo prevede. Solo la sentenza definitiva dirà se era colpevole o innocente. Nel frattempo anche chi è stato colto in flagrante, o ha confessato, o è stato fotografato o filmato o intercettato mentre commetteva il reato, resta “presunto innocente”. Ma, se viene arrestato, la durata della custodia cautelare non dipende dal sistema di prescrizione, bensì dai termini fissati dalla legge per ogni fase e grado del processo. Se il processo dura troppo, l’imputato uscirà anche in futuro per decorrenza dei termini (che la legge Bonafede non sfiora neppure).


Certo, senza prescrizione in appello, chi prima poteva farla franca dopo la prima condanna, ora potrà tornare dentro fino a sentenza definitiva e, se condannato, restarci per espiare la pena. Ma è tutto fuorché innocente. Per la custodia occorrono “gravi indizi di colpevolezza”. E i giudici dichiarano prescritto il reato solo se ritengono che l’imputato non sia innocente: altrimenti, per legge, devono assolverlo, non avendo un bel nulla da prescrivere.


La prescrizione durante il processo è riservata ai colpevoli. Infatti chi si ritiene innocente può rinunciarvi per farsi assolvere oltre i termini e, se viene dichiarata dal giudice, può impugnarla per chiedere l’assoluzione. Quindi l’argomento “innocenti in carcere” non c’entra nulla con la blocca-prescrizione, che non manda in carcere nessun innocente. Serve solo a buttarla in caciara, come quando si parlava degli scandali di B. e i suoi servi strillavano: “E le foibe? E Cuba? E Stalin? E Pol Pot?”.


Stupefatto da un’obiezione così strampalata, Bonafede risponde: “Cosa c’entrano gli innocenti che finiscono in carcere? Gli innocenti non finiscono in carcere…”. Senza aggiungere ciò che la sua frase sottintende: “…con la blocca-prescrizione”. Quando poi la giornalista gli ricorda i detenuti risarciti, scioglie subito il quiproquo: “Ah ok, quella è un’altra questione e infatti sono il ministro che più di tutti ha inviato gli ispettori per verificare i casi di ingiusta detenzione”.


Se il dibattito fosse fra persone competenti e in buona fede, l’equivoco si chiuderebbe lì. Invece si scatena la solita canea politico-mediatica sulla presunta “gaffe” del ministro ignorante, manettaro e giustizialista, mentre le lobby avvocatesche chiedono la sua testa e i giuristi per caso lo sbeffeggiano sui giornaloni tirando in ballo Enzo Tortora, cioè fingendo di non capire o non capendo proprio.


A questo punto è forse il caso di chiarire una volta per tutte il concetto di innocente/colpevole. Che non equivale affatto a condannato/assolto. L’innocente è chi non ha commesso il reato, il colpevole colui che l’ha commesso. Ma, se uno è innocente o colpevole, lo sa soltanto lui, che però non può giudicarsi da solo. Così, da che mondo è mondo, si delegano dei giudici a valutare eventuali testimonianze e prove, regolate da limiti precisi.


La loro sentenza (assoluzione, o condanna, o prescrizione) è una pura convenzione: salvo rarissimi casi, non potrà mai fotografare l’intera “verità storica”, ma solo analizzare gli elementi utilizzabili raccolti, cioè la “verità giudiziaria”. In questa convenzione, da tutti accettata per evitare che le vittime si facciano giustizia da sole, è previsto che un probabilissimo colpevole venga assolto perché le prove non bastano al giudice per condannarlo. E, in Italia, che un sicuro colpevole non sia condannato perché è passato troppo tempo.


Per la Costituzione, anche chi sa di essere colpevole e di averla fatta franca per mancanza di prove (che è stato bravo a nascondere) o per prescrizione (che è stato bravo a far scattare, facendosi scoprire dopo anni o facendo durare il processo all’infinito), è “innocente”. Il che non vuol dire che abbia subito una “ingiusta detenzione”, o che il suo processo sia un “errore giudiziario”, o che chi l’ha visto delinquere abbia sbagliato persona. Il mondo e soprattutto l’Italia sono pieni di innocenti per legge ma colpevoli nei fatti, e nessuno lo sa meglio di loro. Gli errori giudiziari più diffusi non sono gli arresti e le condanne di innocenti (sempre possibili, nella fallibile giustizia umana): sono le scarcerazioni e le assoluzioni dei colpevoli.


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Il Conte2 rischia: la mina di Renzi arriverà martedì. - Luca De Carolis e Fabrizio d’Esposito

Il Conte2 rischia: la mina di Renzi arriverà martedì

A Palazzo Madama il “verdetto” sulla prescrizione e le linee guida di Bonafede: clima “pesante”.
La tentazione è lì, pronta a esplodere martedì quando Camera e Senato dovranno approvare le linee guida sulla giustizia del Guardasigilli Alfonso Bonafede. Ed è a Palazzo Madama che il manipolo di renziani italo-viventi proverà a far ballare la maggioranza, proprio nel giorno in cui alla Camera si voterà sulla pdl del forzista Costa sulla prescrizione. Ma come voteranno i renziani in Senato? In pratica, è la domanda e quindi il segnale che conferma l’agitazione del leader di Iv in questi giorni, con gli spin che arrivano numerosi alle redazioni sulle manovre per far sloggiare Giuseppe Conte da Palazzo Chigi. Anche nel caso di vittoria del centrosinistra in Emilia-Romagna, sia chiaro. L’allarme è arrivato soprattutto ai piani alti del governo dove ci si limita a dire che “c’è uno strano clima”.
Ed è per questo che a poche ora dal decisivo voto regionale di oggi c’è una crescente ansia nel Palazzo. Al punto che resuscita l’antica formula dell’unità nazionale. Ieri due esponenti molto diversi tra di loro, Maurizio Lupi da destra e l’ex grillino Lorenzo Fioramonti da sinistra, hanno rilasciato due interviste per invocare un nuovo governo qualora il Conte II dovesse cadere. Insomma lo spettro che s’aggira è quello delle elezioni anticipate, e che fa paura anche a Silvio Berlusconi, in teoria uno dei capi del centrodestra che domani dovrebbe andare a citofonare Mattarella per chiedere le urne in caso di sconfitta emiliana del Pd.
Ma davvero il quadro politico è così in fibrillazione? Sì e no allo stesso tempo. È vero che Renzi minaccia e provoca i giallorossi sul tema della giustizia e in particolare sulla prescrizione (la prossima settimana ci sarà pure l’ennesimo vertice di maggioranza in merito), con Dario Franceschini che sarebbe pronto a incunearsi come aspirante premier in un’eventuale crisi di governo. Epperò è impossibile prevedere cosa succederà se Matteo Salvini dovesse conquistare la più importante roccaforte rossa dal Dopoguerra in poi, l’Emilia-Romagna. Si possono tracciare scenari a iosa ma bisogna attenersi anche alle dichiarazioni rassicuranti del premier e del segretario dem sulla prosecuzione di questo esecutivo a prescindere dal risultato.
Senza dimenticare che il pessimismo di queste ultimissime ore appare irrazionale per un semplice motivo: nessun sondaggista può calcolare quanto sarà l’affluenza, la vera incognita elettorale. Al Nazareno confidano che un numero alto di elettori soprattutto a Bologna, Reggio Emilia e Modena (e in alcuni casi c’è stata la fila per ritirare il certificato elettorale a differenza di cinque anni fa quando l’astensionismo superò il 60 per cento) possa trainare al successo Bonaccini. Vedremo.
Nel frattempo, il post-voto emiliano-romagnolo (e calabrese, ma qui la vittoria del centrodestra appare scontata) partorirà la data chiave del referendum sul taglio dei parlamentari. Forse il consiglio dei ministri la fisserà già la prossima settimana. Si parla di una delle quattro domeniche tra l’ultima decade di marzo e la prima di aprile. Un modo ulteriore per blindare la legislatura. Con le urne referendarie fissate e in caso di crisi, Mattarella dovrebbe assumersi la responsabilità di sospendere il referendum e consentire il voto politico. Il quale potrebbe anche slittare in autunno, invece, per fare il referendum in primavera.
Scenari, appunto. Che devono tenere conto, poi, del fatto non secondario che nessuno, tranne Matteo Salvini, vuole andare al voto. Certo, Renzi potrebbe essere tentato dal voto anticipato per congelare il Parlamento attuale (945 componenti al posto di 600) e il Rosatellum, ma il suo sembra più un bluff che altro. Non c’è nulla da fare, bisogna aspettare le urne. In un’atmosfera di grande paura giallorossa.

Sardegna: condannato per peculato nel 2017, medico e consigliere regionale mantiene le cariche pubbliche anche se la legge lo vieta. - Pablo Sole

Sardegna: condannato per peculato nel 2017, medico e consigliere regionale mantiene le cariche pubbliche anche se la legge lo vieta

Raimondo Ibba, dei Socialisti Uniti, aveva utilizzato illecitamente 135mila euro prelevati dai fondi destinati ai gruppi politici. Ma, dopo tre anni, conserva ancora tre incarichi.
Da consigliere regionale dei Socialisti Uniti, nel febbraio del 2017 è stato condannato per peculato per aver utilizzato illecitamente 135mila euro prelevati dai fondi destinati ai gruppi politici. Pochi mesi dopo, stavolta in qualità di presidente dell’Ordine dei medici di Cagliari, la stessa Regione lo ha nominato presidente della commissione d’esame per l’accesso alla formazione specifica in Medicina dietro un gettone onnicomprensivo di 10mila euro. Quell’incarico però, Raimondo Ibba non avrebbe potuto ricoprirlo, visto che le norme precludono ai condannati per reati contro la pubblica amministrazione – a cominciare dal peculato – ogni incarico pubblico. E questo fin dal primo grado di giudizio, come specifica il decreto legislativo 39 del 2013, al comma 6 dell’articolo 3. Ecco perché fin dal 29 settembre 2017 l’assessorato regionale alla Sanità non avrebbe potuto assegnare, come invece ha fatto, la presidenza della commissione d’esame al neo-condannato Ibba. E invece negli ultimi tre anni il professionista ha guidato almeno sette commissioni e ancora oggi riveste ulteriori incarichi che, per legge, non potrebbe ricoprire.
Il fil rouge è stato reciso solo pochi giorni fa, quando gli uffici regionali dell’assessorato alla Sanità hanno per la prima volta richiesto a Ibba la ‘Dichiarazione di insussistenza cause di inconferibilità’. Un documento che nella pubblica amministrazione non è certo una novità, visto che per ottenere ogni incarico pubblico, dal 2013, andrebbe presentato. “E invece fino a pochi giorni fa, anche dopo la condanna, non mi hanno mai chiesto niente”, commenta oggi Ibba.
L’eminenza bianca dei camici cagliaritani risulta Raimondo solo all’anagrafe. Per tutti è Mondino, nato nel 1950 a Quartu Sant’Elena e di “religione cattolica”, specifica nel curriculum zeppo di specializzazioni e incarichi. Fa parte, giusto per fare un esempio, del comitato centrale della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri. Nell’isola è il dominus indiscusso dei camici bianchi fin dal 1980, quando fresco di laurea viene eletto per la prima volta alla guida dell’organo di autogoverno dei medici di Cagliari. Un posto che occupa ancora oggi, senza soluzione di continuità: confermato dai colleghi per quarant’anni di fila. Un record che non hanno insidiato neppure le ultime elezioni dell’Ordine, nel novembre 2017: premiato dalle urne nonostante la condanna per peculato arrivata nove mesi prima.
E premiato anche dall’assessorato regionale alla Sanità, che dopo il primo incarico post-condanna – settembre 2017, come detto – fino a oggi ha assegnato la presidenza della commissione d’esame dei concorsi a Mondino Ibba almeno altre sei volte. Senza contare gli incarichi degli anni precedenti, quando il più delle volte il vice in commissione d’esame era il collega Luigi Arru, medico e assessore regionale alla Sanità nella giunta di centrosinistra di Francesco Pigliaru, dal 2014 al 2019. Retribuzione per ogni presidenza di commissione, come emerge da alcuni documenti riservati in possesso de ilfattoquotidiano.it: circa 10mila euro. Che si sommano ai 3.813 euro netti mensili che Ibba percepisce dal consiglio regionale – ‘parte lesa’ nel processo sui fondi ai gruppi – come vitalizio per i dieci anni trascorsi nel parlamento isolano, dal 1999 al 2009, graniticamente tra i banchi socialisti. A far da contraltare al profluvio di denaro partito dalla Regione verso il conto corrente di Ibba, i 135mila euro contestati dal pm Marco Cocco al processo sui fondi ai gruppi che il politico col Garofano all’occhiello ha restituito al consiglio regionale pochi mesi prima della condanna in primo grado.
Per il resto, tra presidenze di commissioni d’esame, ulteriori incarichi e vitalizio, il flusso di denaro è stato a senso unico: dalla Regione a Ibba. Almeno fino a pochi giorni fa, quando l’assessorato ha per la prima volta subordinato la nomina alla presentazione della dichiarazione di assenza di cause d’inconferibilità. “A quel punto ho consultato i miei avvocati. Hanno sollevato forti dubbi sulla legittimità giuridica della norma ma nonostante questo – dice Ibba – non avevo e non ho alcuna intenzione di entrare in conflitto con la Regione e con la pubblica amministrazione in genere. Quindi ho fatto un passo indietro e al mio posto ho designato il vicepresidente dell’Ordine”.
Rimangono in piedi altri tre incarichi: oltre alla presidenza dell’Ordine, che giuridicamente è un ente di diritto pubblico, su proposta dell’Associazione mutilati e invalidi il 18 marzo 2019 Ibba è stato nominato componente della commissione medica per il riconoscimento della invalidità civile, handicap e disabilità dell’Ats, l’azienda sanitaria unica della Sardegna. Pochi giorni dopo, il 26 marzo 2019, è arrivata la condanna in appello per peculato. Ciò nonostante, dopo due mesi, l’ennesimo incarico arriva ancora dall’assessorato alla Sanità, che il 13 maggio 2019 inserisce Ibba nel Comitato tecnico scientifico per la formazione specifica in medicina generale. Che deve essere composto, dice la legge, dal presidente dell’Ordine dei medici del capoluogo di regione o da un suo delegato. Stesso discorso vale per la presidenza delle commissioni d’esame. Si tratta di direttive che sembrerebbero scontrarsi con il principio della netta separazione tra ambito politico e amministrativo, tanto che pochi giorni fa gli uffici regionali si sono rivolti all’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione, per un parere sull’applicabilità della norma. Ciò non toglie che la condanna in primo grado del 2017 abbia modificato per tabulas le carte in tavola e sbarrato in automatico ogni incarico a favore di Mondino Ibba. Già tre anni fa.
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Di solito, chi entra a far parte della politica non lo fa per il bene comune, ma per un proprio tornaconto.
In pochi, una percentuale bassissima, lo fa per il bene comune e, solitamente, viene fatto fuori da chi non la pensa allo stesso modo e fa di tutto per salvaguardare e mantenere il proprio stato. 
Cetta.

sabato 25 gennaio 2020

Turarsi il naso. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 25 Gennaio



In una situazione normale, non ci sarebbe nulla di allarmante se l’Emilia Romagna, da sempre governata dal centrosinistra, spalancasse le finestre per cambiare un po’ l’aria e passasse al centrodestra. Accadde a Bologna nel 1999, quando un candidato normale del centrodestra, Guazzaloca, batté il centrosinistra e lo costrinse a cambiare: cinque anni dopo vinse Cofferati. Ora purtroppo la situazione non è normale. Per i motivi che, non bastando le sceneggiate di Salvini, il vicesindaco leghista di Ferrara, Nicola Lodi, si è incaricato di riassumere in un video: “Vi avverto, vi farò molto male, noi faremo di tutto, vi faremo un culo così. Segnatevelo, vi faremo un mazzo così, per fermarci dovete spararci”. Con simili squadristi, i discorsi su destra, sinistra e terze vie sono un lusso che le persone normali non possono permettersi. Tantopiù che il simpatico “trattamento Lodi” sarebbe riservato non solo all’Emilia Romagna, ma pure al resto d’Italia, avendo Salvini trasformato le Regionali in un’ordalia sul governo nazionale (che non c’entra nulla).

Inutile ripercorrere qui gli errori commessi da 5Stelle e centrosinistra l’un contro l’altro armati. Di Maio aveva lanciato le candidature civiche giallo-rosa. Poi però si è subito arreso dopo l’Umbria, senza pensare che con più tempo e candidati più noti – tipo Callipo in Calabria – le chance di vittoria sarebbero aumentate. I guastatori renzian-calendiani e le beghe locali hanno fatto il resto. Con la ciliegina sulla torta di Casaleggio jr. che ha messo ai voti su Rousseau una scelta che il padre avrebbe fatto da solo: ritirare il simbolo in attesa di tempi migliori. Ma ora la frittata è fatta e gli elettori non intruppati nella Lega e nel Pd che vogliono mandare nei consigli regionali i propri rappresentanti e, al contempo, evitare alle due regioni e poi all’Italia di cadere nelle grinfie degli squadristi, hanno una sola opzione: il voto disgiunto. Sulla scheda l’elettore può barrare due caselle: una lista e un aspirante presidente. Non ci vuole Nostradamus per sapere che in Emilia Romagna il governatore sarà Bonaccini o Borgonzoni e in Calabria Callipo o Santelli. Invece, per i consiglieri regionali, contano i voti di lista. Chi vota 5Stelle (o FdI) e non vuole regalare i pieni poteri a Salvini con quel che resta di B., può scegliere la propria lista e, come governatore, Bonaccini o Callipo. Per il secondo – persona perbene e nuova alla politica – non occorre neppure turarsi il naso. Per il primo sì: molte ragioni avrebbero consigliato un candidato di discontinuità. Ma, a proposito di nasi, tra una puzzetta e una cloaca c’è una bella differenza. Chi non vota Bonaccini e Callipo vota Salvini.


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Matteo Salvini e la Lega sconfitti dall'Espresso. Il giudice: «Sui 49 milioni tutte notizie vere». - Paolo Biondani

Risultato immagini per 49 milioni"

Il leader del Carroccio sbugiardato dal tribunale: respinte tutte le querele per diffamazione. La sentenza assolve i cronisti ed elogia il «giornalismo d’inchiesta»: sulla maxi-truffa dei rimborsi elettorali, pubblicati solo «fatti documentati».

Matteo Salvini è stato sconfitto dall'Espresso e sbugiardato dai giudici sullo scandalo dei 49 milioni confiscati alla Lega ma in gran parte spariti. Tutti i magistrati competenti hanno infatti dichiarato completamente infondate le querele per diffamazione proposte (e pubblicizzate) dal leader leghista, quando era ancora ministro dell'Interno, dal suo vice, Giancarlo Giorgetti, già sottosegretario alla presidenza del consiglio, e dal tesoriere del partito, l'onorevole Giulio Centemero. La sentenza dei giudici spiega che il lavoro dei giornalisti dell'Espresso rappresenta «indiscutibilmente» un esempio di «giornalismo d'inchiesta», che secondo la Cassazione va considerato «l'espressione più alta e nobile dell'attività d'informazione».

Le motivazioni del verdetto, depositate oggi, precisano che «con il giornalismo d'inchiesta l'acquisizione delle notizie avviene autonomamente, direttamente e attivamente da parte dei professionisti e non mediata da fonti esterne mediante la ricezione passiva di informazioni». I giornalisti dell'Espresso vanno quindi assolti con formula piena perché hanno pubblicato solo informazioni «verificate» e «documentate», di «indubbio interesse pubblico» ed esposte «con correttezza», con tutti i crismi del diritto-dovere di cronaca.

https://drive.google.com/file/d/1ChNAphdC_-41lKVDazrDyLVOfPlb9rs8/view

Per i vertici della Lega, la sconfitta giudiziaria è totale. Salvini, Giorgetti e Centemero avevano presentato una serie collegata di querele contro cinque articoli sullo scandalo dei 49 milioni, pubblicati dall'Espresso tra giugno e luglio 2018, firmati da Giovanni Tizian, Stefano Vergine, Paolo Biondani, Gloria Riva e Leo Sisti, chiamando in causa anche il direttore Marco Damilano. Il procedimento penale, per competenza territoriale, è stato esaminato dai giudici del tribunale di Velletri.

Nel giugno scorso i magistrati della Procura, chiamati a rappresentare l'accusa, hanno invece chiesto l'archiviazione, giudicando infondate tutte le ipotesi di pretesa diffamazione, dopo aver esaminato i documenti presentati dai giornalisti, illustrati nelle memorie difensive degli avvocati dell'Espresso, Paolo Mazzà e Clara Gabrielli. Il leader della Lega e i suoi fedelissimi, a quel punto, hanno rilanciato le loro accuse con una formale opposizione all'archiviazione, chiedendo ai giudici del tribunale (ufficio gip), questa volta, di rovesciare il verdetto e incriminare i giornalisti. L'udienza decisiva si è tenuta il 7 gennaio scorso. E si è conclusa con una sentenza, depositata questa stamattina, di assoluzione piena dei giornalisti.

Nelle motivazioni, i magistrati riconoscono che tutti gli articoli dell'Espresso «sono il risultato dell'attività d'inchiesta portata avanti dai giornalisti, i quali, come attestato dalla copiosa documentazione depositata in allegato alla memoria difensiva, hanno ricercato le notizie, ripercorso gli eventi e tentato di ricostruire, nei limiti del possibile, la gestione delle finanze del partito politico Lega Nord. Argomento, quest'ultimo, che riveste un indubbio rilievo, stante l'interesse pubblico alla ricerca della verità conseguente agli scandali finanziari che hanno travolto il partito in questione».

«In particolare», spiega sempre la sentenza, «a seguito della sentenza del tribunale di Genova emessa il 24 luglio 2017, veniva disposto il sequestro di circa 49 milioni di euro nei confronti della Lega Nord; sequestro che, però, non veniva eseguito nella sua interezza perché, al momento dell'esecuzione della misura cautelare, i fondi del partito risultavano parzialmente inconsistenti».

I magistrati della procura e del tribunale di Velletri si riferiscono alla confisca, alla fine confermata anche dalla Cassazione, dei 49 milioni di euro incassati dalla Lega con la maxi-truffa dei rimborsi elettorali, che era costata una condanna in tribunale, poi cancellata dalla prescrizione, all'ex leader Umberto Bossi, fondatore del partito e tuttora senatore leghista. Quando è scattato il sequestro giudiziario, con la sentenza di primo grado, nella casse della Lega erano rimasti solo circa tre milioni. La Procura di Genova ha quindi aperto un'inchiesta, tuttora in corso, con l'accusa di riciclaggio dei restanti 46 milioni sottratti allo Stato. Prescrizione significa che il reato c'è, l'imputato lo ha commesso, ma non può essere punito solo per scadenza dei termini, che in Italia sono ridottissimi. Anche la Lega di Salvini tuttora si oppone alla riforma destinata a evitare la prescrizione almeno dopo le condanne di primo grado.

La sentenza di assoluzione dell'Espresso è importante per tutta la stampa italiana, perché riconferma i principi sanciti dalla Cassazione sul giornalismo d'inchiesta: i cronisti che fanno questo tipo di lavoro non possono essere obbligati a pubblicare solo notizie «certe e incontrovertibili», cioè ad aspettare che siano convalidate da definitive sentenze giudiziarie dopo tre gradi di giudizio, ma possono anche evidenziare interrogativi, fatti sospetti, dubbi, purché fondati e comprovati da documenti e testimonianze attendibili. Gli articoli al centro del caso giudiziario sono stati pubblicati dall'Espresso tra il 3 giugno e il 15 luglio 2018: da allora nessuno ha mai potuto smentire la verità storica di tutti i fatti scoperti con le nostre inchieste giornalistiche.