foto: Science Photo Library/Mark Garlick/Getty Images
Un gruppo di ricerca ha riprodotto in laboratorio un fenomeno che può essere assimilato a quello che avviene intorno a un buco nero. Per farlo ha utilizzato un particolare sistema con fibra ottica ed ha osservato un effetto che potrebbe essere proprio la radiazione di Hawking.
Stephen Hawking aveva ragione: i buchi neri potrebbero emettere una qualche radiazione. Ora arriva una nuova prova sperimentale della radiazione di Hawking, formulata nel 1974 dal noto fisico, icona mondiale della scienza, scomparso nel marzo 2018. Un gruppo di scienziati, guidati dall’Istituto Weizmann, in Israele, ha ricreato in laboratorio un fenomeno che può essere considerato analogo all’emissione di radiazione da un buco nero. La ricerca è stata pubblicata su Physical Review Letters.
Il buco nero è una regione dello spazio-tempo dalle caratteristiche estreme, che non possono essere spiegate con la fisica classica. La sua gravità è talmente elevata che comprime la materia fino a una densità praticamente infinita e nulla, neanche la luce, può sfuggirgli e allontanarsi: secondo le teorie classiche, in particolare la teoria della relatività formulata da Einstein, nessun tipo di radiazione può uscire da un buco nero.
Tuttavia, in tempi relativamente recenti, nel 1974, Stephen Hawking ha introdotto l’ipotesi che i buchi neri possano emettere una qualche radiazione, che prende il nome di radiazione di Hawking.
Hawking ha dimostrato, a livello teorico, che questa radiazione termica può fuoriuscire a causa di particolari effetti quantistici. L’emissione di una radiazione implica inoltre che ciascun buco nero stia evaporando, anche se molto lentamente. E questa radiazione sarebbe troppo debole per essere osservata, dato che è coperta da quella cosmica a microonde.
Ma non si possono riprodurre in laboratorio un buco nero e le sue emissioni. Per questo, da tempo gli scienziati studiano metodi alternativi per trovare fenomeni che possano essere assimilati a quello che avviene in un buco nero. Per esempio, si può utilizzare al posto della radiazione luminosa, quella sonora, in particolare le onde acustiche provenienti da un materiale, detto condensato di Bose-Einstein, che rappresenterebbe il buco nero: una prova che è già stata fornita in tempi recenti.
Un’altra ipotesi, poi, quella esplorata oggi, riguarda lo studio di onde luminose emesse da una fibra ottica. I ricercatori, coordinati da Ulf Leonhardt dell’Istituto Weizmann, hanno messo a punto un metodo basato sull’uso di fibre ottiche. Per capire come funziona il loro sistema, Leonhardt fornisce un paragone della vita reale. Si può pensare a un fiume che scorre sempre più velocemente fino a quando non confluisce in una cascata, che è appunto il buco nero. Subito prima di toccare la cascata, l’acqua del fiume raggiunge una velocità molto elevata, superiore a quella che consente a un pesce di nuotare e non essere risucchiato dalla cascata. Questo punto si chiama orizzonte degli eventi, che indica la superficie oltre la quale nulla può sfuggire al buco nero.
Per capire cosa succede in un buco nero bisogna trovare un analogo per ricreare in laboratorio l’orizzonte degli eventi, al di là del quale tutto viene risucchiato. Per farlo, scienziati hanno utilizzato una fibra ottica con micro-percorsi all’interno, che rappresenta il fiume. Nel piccolo tunnel della fibra vengono sparati due impulsi ultra-veloci di luce laser di colori diversi si inseguono fra loro. Il primo interferisce col secondo e questa interferenza, molto intensa, crea una sorta di orizzonte degli eventi – un po’ come quando il fiume sta per confluire nella cascata – che cambia le proprietà fisiche della fibra, in particolare generando una distorsione, un cambiamento del suo indice di rifrazione.
A questo punto, i ricercatori hanno utilizzato un terzo impulso luminoso: dalle osservazioni emerge che questa luce aggiuntiva genera una radiazione a frequenza negativa, ovvero una radiazione idealmente in uscita invece che in ingresso dal buco nero, emessa dal sistema che riproduce il buco nero.
Questa osservazione, spiegano gli autori, fornirebbe una prima prova della radiazione di Hawking, anche se l’obiettivo finale desiderato da tutti gli astrofisici sarebbe quello di ottenerla spontaneamente dal sistema che riproduce il buco nero invece che stimolarla con un ulteriore impulso luminoso.
https://www.wired.it/scienza/spazio/2019/01/22/buchi-neri-prova-radiazione-hawking/?fbclid=IwAR2KAWuO-bSjB9Nlmi8ZljmXZdImRb3RpWkLH9T0mxEG4RcGbbbyz-2e3ZU
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