venerdì 17 luglio 2009

Perchè il "caso Capezzuto" non suscita attenzione


di Alberto Spampinato.

"Uomo morde cane", ci hanno insegnato, fa sempre notizia, si impone nei menabò e buca il video. Ma non è sempre vero. Non è vero, ad esempio (e sarebbe interessante scoprire perché) quando l'uomo è un cronista di camorra testardo e coraggioso, di quelli che non si fanno intimidire, e il cane morsicato è un camorrista condannato in tribunale per aver minacciato il cronista che metteva in luce le malefatte del suo clan. In questo caso la notizia fatica a trovare l'attenzione che merita. Va solo sulle pagine locali, e con titoli che non mettono in evidenza l'avvenimento insolito nel quale trionfa il soggetto che, nel copione classico, sarebbe destinato a soccombere. S'è visto sfogliando i giornali di venerdì 11 luglio. Eppure la notizia era proprio del genere uomo morde cane.
Il giorno prima, fatto senza precedenti, il Tribunale di Napoli, undicesima sezione penale, aveva condannato due camorristi a oltre due anni di reclusione ciascuno e a un risarcimento di migliaia di euro ritenendoli responsabili di avere minacciato ripetutamente il giornalista Arnaldo Capezzuto per convincerlo a non indicare nei suoi articoli sul giornale "Napolipiù", quando ancora si stampava, gli elementi emersi a carico di Salvatore Giuliano (poi riconosciuto colpevole anche in base a quegli elementi) per l'omicidio di Annalisa Durante, uccisa a sedici anni il 27 aprile 2004 in un vicolo di Forcella da un proiettile sparato da giovani camorristi che giocavano con le armi. Capezzuto fu minacciato la prima volta in un corridoio del Tribunale di Napoli, il 27 maggio 2005, durante il processo per quell'omicidio della "criatura" che ancora emoziona tutta Napoli e ha sconvolto il quartiere di Forcella. "Ma che c... scrivi? Lascia perdere - gli dissero con l'aria di dargli un consiglio - se continui così chissà che brutta fine che potresti fare! Sai com'è? Le disgrazie capitano all'improvviso, e poi non puoi fare più niente". Ma il minacciato non si fece intimidire. Denunciò le minacce e continuò imperterrito a scrivere. Allora gli mandarono altri "consigli" con una lettera minatoria anonima, o meglio firmata con una fila di teste mozzate, accusandolo di fare parte, insieme al padre della ragazza uccisa e al prete anticamorra don Luigi Merola, di un "terzetto di esperti della camurria" e promettendogli di fargli fare la fine di "Giancarlo Siano" (sic). Lettere analoghe furono recapitarte agli altri due del "terzetto", che reagirono allo stesso modo.
A me pare che gli ingredienti del caso "uomo morde cane" ci siano tutti. A Napoli, e non solo a Napoli, non è frequente, anzi diciamo che è piuttosto raro, che un cronista minacciato dalla criminalità organizzata invece di desistere per paura, com'è umano, com'è comprensibile ma non deontologicamente corretto, reagisca e che ottenga soddisfazione e giustizia. No, non è frequente, ma per nostra fortuna non è l'unico caso, è accaduto altre volte e quando accade merita, io credo, la massima considerazione. Inoltre, non so quante volte in Italia sia accaduto che in un caso simile l'Ordine dei Giornalisti si sia rimboccato le maniche con tanto impegno, si sia costituito parte civile e abbia trovato l'appoggio e l'impegno solidale dell'Ordine degli avvocati. Né mi pare frequente il caso di un tribunale che, dando ragione al minacciato, infliggendo pene severe, concedendo una previsionale di dieci più venticinquemila euro (che Capezzuto e il presidente dell'Ordine dei Giornalisti Ottavio Lucarelli hanno già destinato a opere sociali nel quartiere di Forcella) scriva il lieto fine a una così bella storia di impegno e di coraggio civile, di ribellione ad una delle imposizioni più odiose del sistema mafioso, quella che fa vincere la violenza impiegata per tappare la bocca a chi vuole testimoniare la verità.
Ebbene, come spiegare che, con tutto questo, la notizia della vittoria del coraggioso Capezzuto e della scelta civile dell'Ordine dei Giornalisti della Campania non abbia raggiunto l'attenzione che merita e non sia arrivata sulle pagine nazionali dei grandi giornali? Non si spiega senza dare la colpa ai giornalisti, perché sono loro che decidono impaginazione e importanza delle notizie, sono loro che hanno lasciato al coraggioso presidente dell'Ordine l'onere pressoché esclusivo di rappresentare la categoria in seno al processo. Perché? Perché non riescono a considerare Arnaldo Capezzuto fino in fondo uno di loro, allo stesso modo con cui faticano a considerare giornalisti con le carte in regola, bravi giornalisti Roberto Saviano, Pino Maniaci, Lirio Abbate, Rosaria Capacchione, Enzo Palmesano, per fare qualche nome, e tanti altri che per raccontare verità difficili, notizie scomode, , anche a costo di inimicarsi le persone coinvolte cercano notizie sul campo, spulciano con cura i documenti, svolgono indagini in proprio, consultano fonti non ufficiali, o semplicemente ricompongono in un quadro unitario i frammenti di informazioni disponibili o offrono analisi originali. Non è giornalismo, questo? Il caso Capezzuto, in questo senso, ripropone un problema di identità della professione giornalistica. E’ la querelle riproposta schematicamente dal film su Giancarlo Siani “Fortàpasc”, con la distinzione fra giornalisti-impiegati e giornalisti –giornalisti che ha fatto tanto discutere a Napoli. La controversia non si risolve con la forza dei numeri. Se i Capezzuto, Maniaci, Capacchione sono una minoranza non è detto che per questo non abbiano ragione proprio loro. Bisognerebbe discuterne, serenamente, e non chiudere il caso oscurandolo e neppure negando la solidarietà attiva a chi la merita e ne ha bisogno come di uno scudo protettivo.


Direttore di Ossigeno, osservatorio Fnsi-Ordine dei Giornalistisui cronisti minacciati e sulle notizie oscurate con la violenza.

http://www.articolo21.info/8740/notizia/perche-il-caso-capezzuto-non.html

giovedì 16 luglio 2009

lettera inviata a giampietrosestini@yahoo.it;


Mi riallaccio al discorso del vostro Franceschini apparso su:

http://www.asca.it/news-PD__FRANCESCHINI__VOGLIO_UN_PARTITO_APERTO__SOLIDO__RADICATO_E_LAICO-846515-BRK-.html

e del quale riporto un pezzo che ha suscitato il mio sdegno:

PD: FRANCESCHINI, VOGLIO UN PARTITO APERTO, SOLIDO, RADICATO E LAICO.

''vogliamo un partito aperto'' ha detto Franceschini spiegando di riferirsi ad un partito ''che spalanca i propri gruppi dirigenti a quelle persone, soprattutto a quei giovani e quelle donne, che non hanno appartenenze precedenti e che hanno scelto di cominciare il loro impegno politico con il Pd. Quelli che vorrebbero entrare e impegnarsi ma spesso non sanno nemmeno a che porta bussare e invece abbiamo un bisogno enorme della loro freschezza e delle loro energie''.

Abbiamo avuto modo di vedere come le spalancate le porte.......lo abbiamo visto eccome!

Avete voglia di rinnovarvi? Come? con le stesse "cariatidi" che vi portate all'interno da decenni?

Avete tradito la fiducia di tutti quelli che come me vi hanno appoggiato in passato, non avete mantenuto le promesse fatte, siete inaffidabili, dubito fortemente che possiate crescere, semmai il contrario.
Vi era stata data una buona, ottima possibilità, ma non l'avete saputa cogliere, siete finiti, potrete continuare a contare solo su chi al vostro partito è iscritto per interessi personali.

Avete dimostrato che il potere da alla testa, vi siete chiusi a riccio, non siete differenti da quelli che dite di ostacolare, ma che non ostacolate neanche a parole, anzi:

http://www.youtube.com/watch?v=uDU9bAfVFzE


Buona agonia.......

Una ex pidiessina.

Violante dichiara:GARANZIA PIENA per tv di Berlusconi nel 94

mercoledì 15 luglio 2009

Popolo, sei na monnezza!



Ecco cosa pensano di noi i nostri ben pagati politicanti.

Una nuova pista nel rapporto Fininvest - Cosa Nostra? - 14/07/09

Le dichiarazioni di Ciancimino, i fogli mancanti del processo e i messaggi mafiosi a Berlusconi…

"Proprio in seguito a questa vendita Massimo Ciancimino era stato accusato di aver incassato e reinvestito la percentuale destinata a suo padre (all’epoca deceduto). Da qui le manette, i domiciliari e poi il processo in abbreviato, tuttora in corso a Palermo in sede di Appello. Ed è in seguito a questi sviluppi giudiziari che Massimo Ciancimino ha iniziato a parlare: prima alludendo alle responsabilità della famiglia Brancato corresponsabile nella Gas della “gestione Ciancimino”, poi denunciando pubblicamente la sparizione di alcune intercettazioni ambientali che sarebbero dovute essere da tempo depositate agli atti del suo procedimento. I magistrati hanno così aperto un nuovo filone investigativo che ha coinvolto anche l’erede del socio di Lapis, Monia Brancato, rimasta finora estranea ai fatti, secondo Massimo Ciancimino, a causa di uno “strabismo investigativo” che ha inevitabilmente finito per colpire una sola delle due compagini societarie riferibili all’azienda del Gas. Accuse chiaramente tutte da verificare (per questo è stata avviata un’indagine a Catania). Ciononostante le sue dichiarazioni lasciano spazio a dubbi e perplessità sulla conduzione delle prime indagini dopo il ritrovamento di un documento che era stato sequestrato dai carabinieri nel 2005, durante la perquisizione avvenuta nella sua casa prima del suo arresto. Probabilmente ritenuto irrilevante dai pm che detenevano l’incartamento originale del primo grado, il foglio strappato nella sua parte iniziale (così verbalizzavano i carabinieri) è stato ritrovato in questi giorni da Ingroia e Di Matteo in mezzo ad altri 18 faldoni che i magistrati hanno trasmesso ai giudici del processo Ciancimino. Una scoperta di notevole importanza perché, come ha dichiarato il Pg del processo Dell’Utri Antonino Gatto, che ne ha chiesto l’acquisizione insieme all’audizione di Massimo Ciancimino (la Corte si è riservata di decidere il prossimo 17 settembre), il documento potrebbe “dimostrare la continuità dei rapporti intercorsi tra lo stesso Dell’Utri e Cosa Nostra siciliana”. Il testo della missiva vergata a mano non è completo (Ciancimino dice che originariamente era intera), ciò che è possibile leggere è la parte finale di una richiesta minacciosa all’attuale Presidente del Consiglio: “… posizione politica intendo portare il mio contributo (che non sarà di poco) perché questo triste evento non ne abbia a verificarsi. Sono convinto che questo evento onorevole Berlusconi vorrà mettere a disposizione le sue reti televisive”. Una frase enigmatica che richiama il rapporto Fininvest - Cosa Nostra di cui si trova traccia nelle sentenze sulle stragi del biennio ’92-’93 e nella sentenza di condanna a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa a carico di Dell’Utri. La cosa più interessante è che la lettera, che era indirizzata proprio a Dell’Utri, è stata data a Massimo Ciancimino nella casa di Pino Lipari a San Vito Lo Capo alla presenza di Provenzano. Una volta nelle sue mani l’erede più piccolo di don Vito l’avrebbe portata a suo padre, all’epoca detenuto, il quale avrebbe poi espresso il proprio parere per farla avere a una terza persona non meglio precisata. In quanto al triste evento Massimo Ciancimino ha ricordato con precisione che si sarebbe trattato dell’omicidio del figlio di Berlusconi. Un fatto che, come emergerebbe dai verbali d’interrogatorio del 30 giugno e del 1 luglio, lo aveva molto impressionato. I due documenti in ogni caso presentano diverse discrasie. Il testimone inizialmente non intendeva rispondere. Poi alle stringenti domande dei pubblici ministeri che lo hanno interrogato dopo il ritrovamento della lettera, ha risposto visibilmente provato: “Sono cose più grandi di me”. Anche perché le comunicazioni che la mafia avrebbe inoltrato a Berlusconi non si esauriscono qui. La richiesta di una televisione in cambio di un appoggio elettorale sarebbe solo l’ultima di tre lettere scritte tra il 1991 e il 1994. Il secondo messaggio Ciancimino junior ha riferito di averlo ricevuto in una busta chiusa da un giovane che nei primi anni Novanta faceva l’autista di Provenzano. In questo caso Vito Ciancimino avrebbe svolto il ruolo di consulente del capo mafia, mentre in un’altra occasione avrebbe fatto da mediatore consegnando copia della missiva a un tale di nome “Franco”. "

Liberamente tratto da:
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=9344

Palermo: tesoro nascosto, arrestati 2 palermitani e un bancario svizzero

Due palermitani ed un bancario svizzero sono finiti agli arresti domiciliari con l’accusa di trasferimento fraudolento di valori ed intestazione fittizia di beni su ordine del gip di Palermo, Roberto Conti nell’ambito di un’indagine condotta dalla Dia e coordinata dal procuratore aggiunto Roberto Scarpinato e dai pm Antonio Ingoia, Nico Gozzo e Fernando Asaro. A finire agli arresti sono stati il bancario svizzero Nicola Bravetti, 54 anni e i costruttori palermitani Francesco ed Ignazio Zummo, padre e figlio di 75 e 49 anni. I due imprenditori erano già stati condannati in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. Il bancario è invece accusato di aver dato una mano ai due palermitani. I tre sono finiti ai domiciliari per trasferimento fraudolento di valori ed intestazione fittizi di beni. Il cognome degli Zummo è legato al sacco edilizio di Palermo e al sindaco mafioso Vito Ciancimino. IN passato i due erano finiti nel mirino della magistratura ed erano stati sequestrati loro beni per circa 150 milioni di euro (provvedimento ancora in corso). Loro avevano aperto un conto bancario a Nassau. Secondo gli inquirenti farebbe parte di una manovra per salvare il patrimonio dalle grinfie delle misure di prevenzione. I soldi sono finiti sotto sequestro insieme ad uno yacht di 13 metri ormeggiato al porto di Villa Igiea, al Saint Raphael e ad una BMW 330.
Francesco Zummo, considerato uno degli artefici dell’operazione di occultamento del tesoro di Ciancimino e con suocero del costruttore Vincenzo Piazza, negli anni Novanta era stato coinvolto in inchieste sul riciclaggio del danaro di Cosa nostra. Adesso la nuova indagine è partita dalla procura di Como dove Bravetti, appassionato di
auto di lusso, è indagato. E’ stata l’intercettazione di un colloquio tra il funzionario di banca, che è condirettore della Arner Bank con sede in Svizzera alle Bahamas e a Milano, a dare il via agli accertamenti e a condurre gli inquirenti al fondo denominato Pluto, intestato alla moglie di Francesco Zummo, Teresa Macaluso, indagata a piede libero nel procedimento insieme ad altre cinque persone. Secondo l’accusa l’imprenditore palermitano avrebbe usato nel corso delle conversazioni telefoniche il soprannome “Moro”. Brevetti, dal canto suo, avrebbe consigliato gli imprenditori di mettere i loro soldi al sicuro, proprio in un conto estero, precisamente alle Bahmas. I contatti tra Zummo e il bancario risalirebbero al 2003.
Il bancario, intanto, si è autosospeso da tutti gli incarichi ricoperti nella Arner Bank che, dal canto suo, pur credendo nell’innocenza di Bravetti, ha apprezzato la correttezza e la sensibilità dell’uomo nell’autosospendersi.
10 / 05 / 2008

http://www.ecodisicilia.com/palermo-tesoro-nascosto-arrestati-2-palermitani-e-un-bancario-svizzero.htm

Come diventare Matteo Salvini in 10 mosse.

di Andrea Scanzi.

Questa settimana sono successe poche cose. Un gruppo di vip si è riunito a L’Aquila per ricordare i tempi andati, Repubblica ci ha fatto sapere che nell’Era Berlusconi le orge si chiamano “torte”, e - soprattutto - ho imparato a memoria il testo di Cicale, colto evergreen di Heather Parisi (”per cui la quale… Cicale cicale cicale“: alta scuola).
A parte questo, tutti noi vorremmo essere Matteo Salvini. Proprio per questo, venendo incontro alle vostre grigie esigenze trotzkiste, ho redatto un vademecum che vi permetterà di emulare in sole dieci mosse le gesta del vostro idolo.
Matteo Salvini ha fatto parlare di sé, nei giorni scorsi, per un
affettuoso riferimento ai napoletani. La sua esibizione mi è piaciuta molto, anche se nello specifico preferisco il Maestro Gentilini che arringa l’idolatrante plebe dicendo di voler “eliminare i bambini” rom.
Salvini ha 36 anni e ne dimostra 74. E’ un bruttino convinto di essere bellino (ahi). Un leghista che a inizio carriera faceva parte della corrente “comunisti leghisti”, un po’ come se uno tifasse Milan (lui, appunto) e si iscrivesse al Milan Club degli “interisti rossoneri”.
Eletto alla Camera dei Deputati nel 2008. Da questa carica si è dimesso lo scorso 7 luglio, a ridosso della polemica sulle serenate napoletane, non per decenza istituzionale ma per motivazioni meramente burocratiche (incompatibilità con la carica di deputato europeo: sì, adesso Salvini è andato a far danni in Europa. Lambrate non bastava più).
Da piccoli volevamo essere tutti come Big Jim (o Memo Remigi: io, almeno, volevo essere Memo Remigi; mi sembrava rassicurante, quieto, una persona a modo). Da grandi vogliamo essere tutti Matteo Salvini. Io posso dirvi come.
Seguitemi.
C’mon.
1 - Coté (Part One). Analizziamo nuovamente il video, col cuore colmo di misericordia e afflato abbacinante.

http://www.youtube.com/watch?v=zkdPakjzbU8
Il filmato è stato messo su Youtube da un blogger laureando in Scienze dell’Educazione, Gabriele Casagrande, che qui dà la sua (poco canonica) versione dei fatti. Casagrande stava lavorando per la tesina di laurea sulla Lega e faceva interviste. Risposta tipo di un militante: “Io non ho niente da dire, dico solo viva la Lega e fuori tutti i negri!“. Vamos.
2 - Coté (Part Two). Dicevamo: il video. Matteo Salvini entra in uno stand di Pontida. Ha in mano un boccale di birra e il suo sguardo dimostra che non è la prima. Indossa una tenera t-shirt: “Più rum meno rom”. Qualcuno gli dovrebbe ricordare che il Rum non lo fanno esattamente a Pontida (al massimo da quelle parti c’è il Moscato di Scanzo), ma proseguiamo. Salvini è vestito come uno sfollato daltonico e si guarda in giro con l’acume di un dromedario colpito a morte. La plebe, vedendolo entrare, d’ardimento s’accende e al contempo (?) grida: “Eeeh Matteo capogruppo, eeeh Matteo capogruppo!”. Dal video si evince così che Matteo Salvini è il Mick Jagger della Lega, o molto più semplicemente il Povia di Pontida.
3 - Coté (Part Three). Attenti, siamo all’acme del reperto video. Ora: se tu sei un uomo, e pure un po’ ubriaco, cosa fai se sei circondato da amici egualmente ebbri? Non giriamoci intorno, non facciamo gli snob di MicroMega. In contesti di questo tipo, da suburra machista, il leader del gruppo tira fuori prima o poi l’argomento-catalizzatore: il sesso. Non per nulla, come cantava Gaber, “un figone resta sempre un’attrazione/che va bene per sinistra e destra”. Funziona così, nei secoli dei secoli. L’uomo si vanta di improbabili conquiste, l’alcol incentiva la trivialità e le risate grasse faranno gruppo. A Pontida, no. Non funziona così. Il concetto di divertimento, di comunanza, di giubilo, è diverso. Salvini si guarda in giro, tracimante fermentazione alcolica , e - quasi rispondendo ad antichi rituali - intona un coro da stadio. Eccoci: il massimo della “compagnia”, per un leghista, è cantare un coro da stadio. Possibilmente razzista. Wow, che sballo. Non mi divertivo così dai tempi della Tombola a Capodanno.

4 - Il testo (un’esegesi). Salvini, alzando il braccio destro (quello con la birra) con fare da anfitrione, dà il la al coro. La folla è in estasi. In particolare, alla sua sinistra c’è un militante che batte le mani come il ballerino bischero che negli 883 aveva il ruolo di ricordarci la stretta filiazione tra uomo e orango. Ladies and gentlemen, benvenuti al Salvini-Rave. “Senti che puzza/scappano anche i cani/ stanno arrivando i napoletani/ O colerosi, terremotati/ voi col sapone non vi siete mai lavati/ Napoli merda, Napoli colera… (qui Salvini ricomincia a bere, sempre con sguardo da dromedario abbattuto nella tundra)”. Glossa 1: i cani, se fiutano una “puzza”, tutto fanno fuorché scappare. Glossa 2: il riferimento al “terremoto”, considerando i facili appigli con l’attualità, pare un ulteriore florilegio di grazia. Glossa 3: questo coro era già vecchio, oltre che impronunciabile, al tempo di Badoglio. Sintesi definitiva: questo coro fa pena.
5 - Pinguedine. Salvini ha cominciato a furoreggiare in tivù da un annetto. Lo ricordo, satollo di spensierata intolleranza, far la parte del guastafeste a Tatami, irrinunciabile programma di Camila Raznovich (credo si scriva così). In forma, peso giusto, parlantina spigolosa: perfettamente tarato per dimostrare (quasi) la superiorità della razza padana su quella italiana. Un ariano de noantri. Lo rimembro con nostalgia, perché ultimamente non è più lui. Ha messo su più chili di Ronaldinho, appare trasandato. Più che dimostrare che i successori di Federico Barbarossa non avranno mai vita facile, sembra ormai lo spot dei trigliceridi sbagliati alla mensa di Borghezio.
6 - “Era una battuta”. E’ la tecnica con cui Salvini prova a disinnescare tutte le bischerate che dice (va detto che ultimamente non si sta dietro: non ce la fa). Nulla di nuovo, è solo la Tecnica Sultano-Ghedini in salsa padana. “Non l’ho mai detto”, “Era una battuta”, “Sono invenzioni”. E’ facile. I posti riservati ai milanesi nelle metro? Scherzavo. Lambrate comune a se stante? Facevo lo zuzzurellone. I cori napoletani? Una goliardata. Daje.7 - La Trinità di Salvini. “Nulla di politico”. Potrebbe essere l’epitaffio per un quasi quarantenne che in qualsiasi altro paese del Mondo farebbe (al massimo) l’esperto di pulegge o il venditore di pentole longobarde, ma è stata la sua rilassata reazione alle polemiche. “Nulla di politico, è solo uno sfottò, un coro da stadio che testimonia la sana rivalità tra tifosi milanisti e napoletani. Quando vado in trasferta, mi dicono ben di peggio”. Il bello è che Salvini mica scherzava. Era sincero. Mica sono razzisti, loro: siete voi che avete la rogna. E loro ve lo dicono. Non per cattiveria: per una errata sensazione di democrazia. Secondo la concezione salviniana, non c’è nulla di male nel cantare cori da stadio. E’ la Trinità di Salvini: il Parlamento come la curva; la rivalità calcistica come paradigma ideologico; e la Fossa dei Leoni come palestra culturale.
8 - Amico uligano (così uomo e così bambino). “Perché vi offendete?”. Così ha detto ai napoletani. Ha ragione: se vi dessero dei puzzoni, colerosi e terremotati, voi avreste pure l’indecenza di offendervi? Quanto siete pallosi (uffa). Io ne sarei felice e - anzi - offrirei giubilante un’altra birra al mio amico uligano, coi capelli un po’ corti, così uomo e così bambino (cit).9 - Fan di De André. “Io lo avrei fatto dimettere perché canta da schifo”. Lo ha detto Umberto “Lynch” Bossi, che - col suo contagioso senso dello Stato e delle istituzioni - ha prontamente fotografato il problema. Bravo il mio Lynch. E’ però e piuttosto un altro l’aspetto affascinante: Matteo Salvini è fan di Fabrizio De André. Lo ha detto lui, lo ripete ogni volta. Naturale: De André era il cantore della diversità, degli umili, dei disperati. Quando Salvini ascolta canzoni come Khorakhanè e Smisurata preghiera, ne trae insegnamento. Nel senso che capisce tutto quello che non dovrà fare. Salvini ascolta De André come Gramsci leggeva il Mein Kampf: per avere il polso del Nemico.
10 - “In Europa lavorerò anche per i napoletani”. Certo. E Dick Cheney era amico di Gandhi.
E ora scusate, vado su Facebook a chiedere l’amicizia a Renzo Bossi. Al quarto tentativo ha superato l’esame di maturità. Non ero così felice dai tempi delle Scimmie di Mare pubblicizzate nell’Intrepido. Come il quarto Re Magio, offrirò al Redentore Leghista polenta, xenofobia e birra in segno di stima.

http://scanzi-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/07/13/come-diventare-matteo-salvini-in-10-mosse/#more-10