venerdì 7 agosto 2009

Il re e' nudo. - di Luigi De Magistris.



Quello che sembra emergere dal blog di Paolo Guzzanti è ‘patrimonio’ conosciuto nel mondo politico e dell’informazione, pur essendo stato archiviato in modo frettoloso nelle sedi istituzionali competenti. C’è da sperare che la magistratura, la quale si riconosce nella Costituzione, in particolare nell’articolo 3 (uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge) e 112 (obbligatorietà dell'azione penale), accerti gli aspetti penali della vicenda. Ci troviamo infatti di fronte a nuove tecniche di corruzione e mercimonio delle pubbliche funzioni che avrebbero come protagonista il presidente del Consiglio e alcuni membri del suo Governo. Comportamenti sanzionati dal codice penale: si veda l’articolo 319 che riguarda incarichi politici ed istituzionali in cambio di utilità varie.Una vicenda che potrebbe dunque avere un profilo giudiziario oltre che politico-morale. Se il primo lo lasciamo alla magistratura, il secondo invece ci riguarda tutti come cittadini di questo Paese. Oggi leggendo i giornali esteri c’è infatti da rabbrividire per l’italica immagine che si va diffondendo oltr’Alpe. Se i media inglesi, in pieno stile british, attaccano l’Italia con un misto di repulsione e sarcasmo, quelli francesi mettono da parte ogni tono ironico per lasciare spazio solo alla condanna. Una delegittimazione che ovviamente non riguarda esclusivamente il presidente del Consiglio e la sua corte, ma l’intera nazione.Perché gli italiani accettano di essere governati da un potere molto più simile all’impero romano in decadenza che ad una moderna democrazia?Questa è la domanda che circola oltre confine e che dovrebbe trovare risposta qui da noi. Il punto doloroso è che se il re è nudo, anche il suo popolo non è vestito troppo. La (in)cultura berlusconiana, con il potente mezzo della televisione commerciale, ha creato una rivoluzione antropologica nella società italiana, alterandone i geni. Il sovrano in fondo rispecchia la sua base. E la rispecchia perché ha contribuito a plasmarla: come nei regimi totalitari, con il sogno dell’homo novus, anche Berlusconi in questi anni ha imposto un modello antropologico. E lo ha imposto a tutti. Le ragazze e le donne possono guardare alla bellezza del corpo come apripista di ogni strada (governo e politica compresi), mentre agli uomini il modello offerto è lui stesso: l’imprenditore di successo senza scrupoli che conquista la guida del Paese e che è al di sopra della legge e dell’etica pubblica.Eppure in questa triste decadenza di un’intera nazione, continua ad esistere un anticorpo capace di neutralizzare la ‘malattia’ berlusconiana. E’ rappresentato dalla parte sana del Paese, quella società civile che affolla blog e social network per parlarsi, che fa resistenza pacifica leggendo e informandosi, che punta l’indice contro le mafie perché fedele ad un’idea di legalità e di giustizia, che sa provare il senso della solidarietà verso i migranti, che vede il potere come strumento e non come fine della politica , che crede nei partiti e nei movimenti come spazi di partecipazione. A questa società civile, che non esaurisce se stessa dentro la cabina elettorale, è affidato il sogno di una ricostruzione, prima ancora che politica sicuramente etica.Il re è nudo, ma il popolo no.

mercoledì 5 agosto 2009

L'agenda rossa e la sentenza di Pilato - di Anna Petrozzi.



di Anna Petrozzi - 4 agosto 2009Quattro paginette a conferma di un copione che appariva già scritto. Con poche spiegazioni, di carattere strettamente tecnico, lo scorso 17 febbraio, la Corte di Cassazione presieduta dal dottor Giovanni de Roberto ha respinto il ricorso presentato dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta contro la sentenza di non luogo a procedere nei confronti di Giovanni Arcangioli. L’ufficiale dei carabinieri era stato accusato di furto pluriaggravato nell’ambito delle indagini sull’agenda rossa di Paolo Borsellino, sparita misteriosamente appena pochi istanti dopo la deflagrazione di Via D’Amelio.Per anni, nonostante la denuncia dei familiari, non si era riusciti ad individuare come e dove potesse essere stata sottratta quella preziosa agenda nella quale il giudice Borsellino annotava in gran riservatezza le sue intuizioni investigative, i suoi pensieri e forse anche quanto avrebbe voluto riferire all’autorità giudiziaria che investigava sulla morte di Falcone come lui stesso ebbe modo di rivelare pubblicamente durante il suo ultimo discorso pubblico alla biblioteca comunale di Palermo. Ma non fece in tempo. Il magistrato era a conoscenza di delicati segreti, forse aveva capito chi e perché avrebbe ricavato vantaggio dalla morte del suo fraterno amico e dalla sua che sapeva imminente. Forse perché aveva parlato con la persona sbagliata che l’aveva tradito, forse perché i suoi nemici erano troppi e dappertutto. Sta di fatto che qualcuno sapeva dell’agenda, sapeva quale rischio potesse comportarne il ritrovamento e si premurò di prevenire il danno.Per questo era fondamentale aprire un dibattimento che accertasse con precisione cosa accadde esattamente in quel maledetto pomeriggio del 19 luglio 1992. Occorreva che Arcangioli, ripreso con molta chiarezza dalle telecamere mentre si allontana con in mano la valigetta del giudice, chiarisse dove stava andando, dicesse quando aveva preso la borsa e venisse messo a confronto pubblico con gli altri testimoni che hanno invece smentito le sue dichiarazioni.La Suprema Corte ha voluto accogliere con pienezza le già sufficientemente assurde ricostruzioni avanzate del Gip che si spingono a mettere in dubbio l’esistenza dell’agenda rossa perché nessuno dei testimoni, arrivati dopo che Arcangioli era entrato in possesso della borsa del giudice, dice di averla vista. Così facendo ha ignorato ancora una volta le testimonianze dirette dei familiari del giudice, la moglie e due dei tre figli, che si sono dichiarati certi che il congiunto l’avesse portata con se.Insomma piuttosto che muoversi per cercare di scoprire la verità su un documento fondamentale per comprendere almeno una parte dei moventi che possono aver condotto all’omicidio brutale di cinque fedeli e coraggiosi servitori dello Stato e dell’uomo simbolo di integrità e credibilità delle Istituzioni si ha la netta sensazione che si vogliano confondere le carte in tavola. Di recente il pentito Angelo Fontana, visionando alcune immagini filmate, ha dichiarato di aver riconosciuto tra le lamiere accartocciate uomini dei servizi che erano abitualmente in contatto con Cosa Nostra. La sue parole così come quelle di Spatuzza hanno aperto nuovi scenari sulla strage di via D’Amelio. Forse ce lo dirà lui cosa ci faceva Arcangioli con la borsa del giudice, magari sa anche chi da quella valigetta ha sottratto l’agenda rossa.


4 agosto 2009


LA QUESTIONE MERIDIONALE

Quella meridionale resta una questione irrisolta sin dal 1861, anno dell’unità d’Italia. Per prima ci provò la monarchia sabauda ad estendere il suo potere istituzionale nel meridione semifeudale. Poi venne la volta di Benito Mussolini e del fascismo, impegnati senza successo a debellare la mafia siciliana attraverso la violenza di Stato perpetrata dal prefetto Mori. Un potere mafioso talmente radicato nell’isola siciliana (ma anche nelle altre regioni) da poter scendere a patti, nella persona di don Calogero Vizzini, persino con gli americani prima e dopo lo sbarco del 10 luglio 1943. Gli anni del dopoguerra hanno sì portato alla riforma agraria voluta da Amintore Fanfani nel 1950 e ad un certo grado di sviluppo, ma la secolare questione di chi debba comandare ancora al Sud resta ancora una ferita aperta dell’Italia repubblicana. Passando alla cronaca dei nostri giorni, hanno destato forte impressione una incredibile serie di coincidenze verificatesi negli ultimi tempi. Da qualche mese il Movimento per le Autonomie di Raffaele Lombardo, presidente della Regione Sicilia, è in fermento, alla ricerca continua ed esasperata delle prebende promesse dal Cavalier Berlusconi durante la travolgente campagna elettorale del 2008. Le minacce di Lombardo si sono limitate prima alla semplice uscita dalla maggioranza di centro-destra e poi, roba di questi giorni, si sono allargate sino alla dichiarata volontà di fondare un vero e proprio partito del Sud che si contrapponga al coagulo di interessi rappresentato dall’asse Tremonti-Bossi-Berlusconi. Voci di corridoio parlano anche di scontri interni tra i feudatari siciliani del PDL, con il partito Miccichè-Dell’Utri-Prestigiacomo in rotta di collisione con gli ultralealisti Schifani-Alfano. Un fuoco di fila lanciato dai dissidenti allo scopo di ottenere l’allargamento dei fili della borsa dei finanziamenti destinati al meridione (gli ormai famosi fondi FAS). Giorni di rapporti difficili e di cene risolutorie nella residenza romana del monarca di Palazzo Grazioli, hanno portato alla classica conferenza stampa prevacanziera in cui tutti gli attori della commedia si sono presentati col sorriso in volto e le saccocce piene: 4 miliardi di euro subito per la Sicilia, questo il risultato della mediazione berlusconiana; di copertura finanziaria e sblocco della disponibilità del denaro se ne riparlerà a settembre. Intanto, l’aria che si respira è quella di una tregua armata. Armata perché a 50 magistrati siciliani è stata rafforzata la scorta perché a Caltanissetta si è riaperta l’indagine sulle stragi del ’92-’93. Una coincidenza troppo clamorosa per risultare casuale. A quasi 20 anni da quei tragici fatti si ritorna a parlare di ciò che tutti sapevano: apparati deviati dello Stato, servizi segreti corrotti, la trattativa tra mafia e Istituzioni, il papello di Totò Riina, il tentativo del Generale Mori (quello che arrestò Riina ma non Provenzano) di mettere in contatto il referente mafioso Vito Ciancimino e Luciano Violante, al tempo presidente della Commissione Antimafia. È stato proprio Violante a vuotare il sacco di fronte ai magistrati alcuni giorni fa, parlando delle insistenti richieste di Mori per una “trattativa politica” tra mafia e Stato. Incredibile se non ci trovassimo in Italia.

Ma chi sono i veri mafiosi?

3 agosto 2009
di domenico camodeca

http://www.ccsnews.it/dettaglio.asp?id=9278&titolo=LA%20QUESTIONE%20MERIDIONALE

lunedì 3 agosto 2009

31-07-09 - Honduras, la disinformacija del Tg3 - di Angelo d'Orsi.

Cattivi Maestri.

Andiamo alla pausa agostana segnalando un caso di malainformazione: disinformazione mi pare parola ormai non solo obsoleta, ma troppo tenue. Anche malainformazione è termine debole, in realtà, se guardiamo le televisioni di regime, se ascoltiamo la radio, se sfogliamo una gran parte dei quotidiani. Se non siamo ancora giunti al MinCulPop, siamo bene incamminati. Non è un caso che le veline che oggi sono diventate signorine discinte, e leste a levar i residui veli, destinate a un ruolo di sottosegretariato ministeriale o a un seggio di parlamentare, magari europeo, furono inventate appunto da quel Ministero fascista che doveva imbonire, e “formare” gli italiani, accompagnandoli dalla culla alla bara. Veline erano all’epoca – pieni anni Trenta – i fogli di carta vergatina con cui i funzionari ministeriali davano istruzioni ai direttori di giornali per come “trattare” le notizie, beninteso quelle che si decideva di mettere in pagina, e quindi, ovviamente, quelle da oscurare, minimizzare o, in tempi di guerra (quasi tutti gli anni del fascismo furono anni di guerra), addirittura capovolgere. Oggi il “rovescismo” – termine che mi vanto di aver coniato in relazione al signor Pansa e ai suoi sodali – va per la maggiore, e passa tranquillamente dalla (pseudo)storiografia alla (pseudo)informazione. Mi soffermo su un solo caso, che è di particolare interesse perché concerne non la tv di Mediaset, ma quella della Rai. E concerne addirittura il tg “di sinistra”, il tanto spesso mitizzato TG3. E mi riferisco – anche sulla base del monitoraggio che mi comunica Alexander Höbel, ricercatore napoletano – soltanto alla “copertura” della crisi in Honduras, dove, come forse i miei lettori ben sanno, da giorni sono in corso terribili violenze contro i sostenitori del legittimo presidente Zelaya, detronizzato da un colpo di Stato, un classico golpe latinoamericano, realizzato da un tal Micheletti, che, essendo di origine italiana, sta assumendo, agli occhi dei nostri provincialissimi pennivendoli (anche della cosiddetta “carta stampata”), la fisionomia di uno Zorro vendicatore. E il tentativo (più che legittimo) di Zelaya di rientrare nel Paese, viene giudicato gesto “irresponsabile”, che inevitabilmente crea scompiglio e disordine, aprendo la strada alla violenza, beninteso quella dei golpisti (TG3 del 27 luglio). Evidentemente il TG “democratico” – non dissimilmente dagli altri – ha sposato la linea ambigua dell’Amministrazione Usa, in particolare del segretario di Stato, Hillary Clinton, la quale non pare avere intenzione di dare alla sua nazione il compito di ristabilire la legalità democratica nel Paese centroamericano. Per una potenza adusa a intervenire per sostenere o addirittura organizzare i golpe, è un passo avanti, non c’è dubbio. Ma che gli organi di informazione italiana debbano sostenere comunque le scelte (o le non scelte) di Washington è quanto meno deprimente. Se si è posta attenzione ai servizi giornalistici dei giorni scorsi, Micheletti veniva definito "il nuovo presidente", invece che il “fellone” o il “golpista” o il “traditore”, qual è. “Presidente”? E chi lo ha mai eletto? E, ancor più grave, le violenze nel Paese, che hanno procurato vittime (arrestati, torturati, uccisi) tra i sostenitori di Zelaya (qualche giorno fa un ragazzo è stato trovato morto con evidenti segni di tortura, dopo essere stato fermato arbitrariamente dalla polizia: ne ha dato notizia solo il quotidiano "il Manifesto"), vengono fatte risalire al presidente legittimo anzichè ai golpisti!“Certo, se Zelaya fosse il Dalai Lama le cose sarebbero ben diversamente…”, commenta con amaro sarcasmo Höbel. Come dargi torto? Ma quello che in generale inquieta è l’indifferenza con cui grazie alla disinformacija di regime l’opinione pubblica guarda ai fatti honduregni. Del resto, si tratta di una piccola nazione; e Micheletti è uno dei “nostri”. In fondo in fondo, l’Italia si fa onore anche laggiù. O no?Per quanti non lo credano, e per quanti abbiano bisogno di far sentire la loro voce di dissenso, rispetto a un sistema informativo nel complesso assolutamente scandaloso, riporto qui di seguito il testo di un Appello. In calce si troverà l’email per aderire. E, ora, buona vacanza, se riuscite, cari lettori. Se riuscite a farne, con i pochi soldi che si hanno a disposizione, e il caroprezzi di alberghi, ristoranti, strutture turistiche, treni, autostrade. carburanti. Se riuscite a farne, con un Paese allo sbando, che è diventato lo zimbello del mondo, e sempre più lo sarà, con un “capo” di tal fatta. Se riuscite a farne, con una informazione che è ormai largamente allineata e coperta, e non ci lascia avvicinare alla verità dei fatti. Se riuscite a farne, con un mondo, come il caso Honduras dimostra, che si rivela ogni giorno, ogni santo giorno, un mondo iniquo, dove i “buoni” cadono e i “cattivi” vincono. Ma la speranza, che ci può lasciar respirare, è che i vincitori dell’oggi non sempre sono destinati a durare. Anzi. E chi di spada ferisce… con quel che segue. Buon agosto, cari lettori e care lettrici. Anche a coloro che dissentono dalle opinioni che qui espongo. In fondo suscitare reazioni, pur critiche, è motivo di soddisfazione. Il “cattivo maestro” ha il compito per l’appunto di eccitare lo spirito critico. AppelloDIAMO VISIBILITÀ ALL'HONDURAS PER EVITARE CARNEFICINE!La situazione in Honduras sta precipitando. Gli squadroni della morte sono in azione. “Siamo in una situazione peggiore di quella vissuta negli anni ‘80, quando i militari, che fanno parte del Governo golpista, fecero sparire un grande numero di honduregni”, ha detto Hugo Maldonado, presidente del Comitato dei diritti umani a san Pedro Sula, denunciando che, attorno alla sua casa e a quella di altri dirigenti, girano pericolosi individui armati. Stessa denuncia da parte di P.T., una cooperante europea che teme nel rivelare il suo nome, e che era presente alla grande manifestazione in attesa del Presidente legittimo Manuel Zelaya. L'aereo con Mel Zelaya e con il presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, non ha potuto atterrare perché i golpisti hanno messo camion militari sulla pista e per la minaccia di essere abbattuto. Dopo aver sorvolato l'aeroporto, ha dovuto dirigersi fuori dal Paese.P.T., che è in clandestinità e cambia casa ogni due giorni per motivi di sicurezza, ha visto ammazzare sotto i suoi occhi il diciannovenne che manifestava con altri in un corteo allegro e pacifico. Ieri sera, attraverso la rete giungevano richieste di aiuto internazionale, come quella di Juan Ramon, che era all'aeroporto e invocava l'invio delle Forze Onu. Anche Rigoberta Menchù, Nobel per la pace, è seriamente preoccupata soprattutto per chi si occupa di diritti umani che sta raccogliendo testimonianze sulle illegalità, le minacce, le intimidazioni e le vessazioni perpetrate dai golpisti. Questi volontari “sono i più indifesi, perché non hanno un luogo dove proteggersi, neppure in Chiesa”, ha dichiarato. È più che mai necessaria un’attenzione politica e mediatica internazionale per evitare che l'Honduras diventi quel Cile o quell’Argentina che oggi ricordiamo con orrore. Tutte le forze progressiste dell’America Latina hanno denunciano il colpo di stato come un atto della destra reazionaria, che mira alla soppressione della libertà del popolo honduregno di potersi esprimere nelle urne elettorali per l´approvazione di una nuova Costituzione e di continuare con l´esperienza democratica iniziata con l´elezione del Presidente Zelaya. Di fronte al vergognoso comportamento delle televisioni pubbliche che in questi giorni hanno tessuto le lodi del neodittatore Micheletti, invitiamo radio, tivù, giornali e siti internet a dare la massima visibilità a quanto accade in Honduras a causa del comportamento criminale dell'esercito golpista. Invitiamo tutte le personalità e le forze democratiche ad aderire e diffondere il presente appello.

Per adesioni: appellohonduras@libero.it

http://temi.repubblica.it/micromega-online/31-07-09-honduras-la-disinformacija-del-tg3/

Giovanni Fava - Per non dimenticare.

24 anni fa usciva l'articolo –che segue– dello scrittore e giornalista catanese Giuseppe Fava, pubblicato sul primo numero della rivista I Siciliani (gennaio 1983). Rivista fondata dallo stesso Fava dopo collaborazioni ed esperienze in diverse testate regionali e periodici nazionali, tra cui la direzione della Gazzetta del Sud, da cui fu licenziato per le sue inchieste e prese di posizione, come l’opposizione all’installazione dei missili Cruise a Comiso. «Non dimentichi che il nostro quotidiano si muove nell’ambito del Patto Atlantico», fu l’ammonimento degli editori di allora.
Il 5 gennaio 1984 il giornalista viene assassinato a Catania, dopo che potentati locali economici e politici avevano ripetutamente provato a comprarsi lui e la testata. Nel 1994 il pluricomicida Maurizio Avola, nipote del boss mafioso catanese Nitto Santapaola, confessa di aver partecipato al delitto ordinato da suo zio. Lo scritto va indubbiamente collocato nel contesto storico di quegli anni, segnato tra le altre cose da un sistema bancario in grandissima parte statale e da un mondo politico in cui Michele Sindona (morto in carcere il 20 marzo 1986) e Carlo Alberto Dalla Chiesa (ucciso a Palermo il 3 settembre 1982. Personaggio su cui, per chiarezza rispetto al quadro tracciato da Fava, avremmo più di un rilievo da fare) sono argomenti di attualità e le uccisioni di mafia –tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta– la normalità.
Il tempo trascorso non toglie però valore a certe osservazioni, da cui ripartire per la comprensione del fenomeno mafia e dunque dei rapporti sociali –in particolare dell’articolazione delle classi (semi)dominanti– in Sicilia e nel Sud Italia.


L'articolo è sul link:
http://www.rivistaindipendenza.org/Teoria%20nazionalitaria/I%20quattro%20cavalieri%20dell'apocalisse%20mafiosa.htm

domenica 2 agosto 2009

"Le Primarie", la nuova fiction all'italiana in onda ad ottobre.

Benny per favore, candidati alla segreteria del PD, menoelle, serve una persona giovane e coraggiosa! Così commentava tale Boris_Loris sul mio blog qualche giorno fa. Lo riprendo ora per qualche considerazione finale, mentre mi appresto a tagliare e a spedire con raccomandata a/r la tessera del Pd alla direzione di Roma, ora che la sua funzione è terminata. E non perchè i partiti politici sono come taxi, come li considerava Enrico Mattei, ma perchè fare parte di questo Pd senza avere i mezzi e il potere per cambiarlo è da masochisti. Rifletto sull'avventura lanciata con la mia autocandidatura alla segreteria nazionale, e mi rendo conto un paio di cose per me sorprendenti. Sono sempre stato molto severo con me stesso e ho sempre avuto i piedi di piombo; non so nè lodarmi nè imbrodarmi, specialità di cui strabocca il Pd. Ma mi rendo conto che fino ad oggi ho rischiato di essere il candidato più credibile tra i tre-quattro che ci sono attualmente in lizza. Ho aperto un sito ricco di funzioni e informazioni completamente dedicato alla candidatura; ho scritto un programma con il quale, con tutto il rispetto, nessuno dei tre- quattro altri può lontanamente competere, e non perchè sono un genio, ma perchè l'ho scritto con voi, con dei tecnici, e senza scrivere frasi retoriche e che tutti vogliono sentirsi dire: in quello hanno eccelso altri. Mi sono sempre confrontato con i miei sostenitori e soprattutto con i miei detrattori, e mai, mai mi sono negato al confronto in ogni luogo e in ogni termine: non ho mai fatto il "figo" e questo ha pagato enormemente, anche rispetto a chi all'inizio mi aveva crocefritto. Chi fra i tre-quattro altri può dire lo stesso? Franceschini, a cui le domande fanno l'effetto dell'Aulin? Bersani, che se avesse i baffi tutti lo chiamerebbero Massimo? E' triste però pensare che un ragazzino abbia, fino ad oggi, messo in campo più credibilità e convizione e competenza di tre-quattro big osannati da militanti che hanno ormai dimenticato la loro storia e i loro ideali, ed è triste che a dirlo non sia il ragazzino, ma centinaia di persone che il ragazzino magari non lo conoscono nemmeno di persona. Curiosamente a rispondere alle mie domande di questi tempi è stato l'unico non in corsa, Weltroni: Ciao Benny, grazie per averrmi scritto. Ho pubblicato nelle note della pagina sostenitori l'intervista di oggi al Corriere della Sera, in cui chiarisco anche le interpretazioni delle frasi su Berlinguer e Craxi. Te la invio, spero che la leggerai e aspetto di sapere cosa ne pensi. A presto, Walter. Da Franceschino, silenzio. E ora, quando ormai è chiara a tutti la farsa che faranno al congresso e alle primarie, il gioco sporco delle tessere regalate e triplicate in alcune città, io restituisco una tessera che non mi appartiene e che mai per un attimo ho sentito mia, ma sempre come un peso, a volte come un imbarazzo. Niente taxi, ripeto. Ma solo perchè, ad eccezione di una decina di uomini e di qualche donna, il Pd ha meritato tutto, fino in fondo, il suo declino, per la caparbietà ad inciuciare, al tenere sempre a galla i peggiori, a sbarrare la strada ai nuovi/ingombranti. E la vicenda Serracchiani, mandata al volo in Europa per evitare una sua candidatura alle primarie che avrebbe distrutto chiunque dei tre-quattro, è la lapide su un partito che purtroppo, purtroppo per le sue potenzialità, ha il destino segnato. L'ultima vergogna, in ordine di tempo, vietare a ripetizione l'iscrizione di Beppe Grillo al partito. A che titolo, con quale legittimità si impedisce a tizio o a caio di iscriversi ad un partito che ha rubato un aggettivo, "democratico", senza i requisiti minimi per farlo? Ehi Sam, ascoltami, non suonarla più, prendi il disco e spaccalo in mille pezzi, e poi mandane uno ad ogni mini dirigente: sarà la loro reliquia.

http://www.bennycalasanzio.blogspot.com/

Il "consenso" di Bologna all'escort Bondi.





29 anni fa la bomba che scoppiò nella stazione di Bologna seminò una strage di cittadini inermi. Era il 1980, 7 mesi prima che fosse scoperta la Loggia P2 di Licio Gelli. Il corruttore all’epoca era un novello tesserato che apprendeva e pianificava il golpe dolce mentre assisteva alle stragi con la regia del suo venerabile assassino.
Stamane Sandro Bondi, ministro dei beni culturali del governo della MAFIA del corruttore piduista Silvio Berlusconi, era in quella piazza della stazione a raccontare pagliacciate. Ma i bolognesi non sono coglioni. Ricordano e sanno. Checché ne dica il corruttore. Vergogna.

http://www.danielemartinelli.it/2009/08/02/il-consenso-di-bologna-alla-escort-bondi/