Quella meridionale resta una questione irrisolta sin dal 1861, anno dell’unità d’Italia. Per prima ci provò la monarchia sabauda ad estendere il suo potere istituzionale nel meridione semifeudale. Poi venne la volta di Benito Mussolini e del fascismo, impegnati senza successo a debellare la mafia siciliana attraverso la violenza di Stato perpetrata dal prefetto Mori. Un potere mafioso talmente radicato nell’isola siciliana (ma anche nelle altre regioni) da poter scendere a patti, nella persona di don Calogero Vizzini, persino con gli americani prima e dopo lo sbarco del 10 luglio 1943. Gli anni del dopoguerra hanno sì portato alla riforma agraria voluta da Amintore Fanfani nel 1950 e ad un certo grado di sviluppo, ma la secolare questione di chi debba comandare ancora al Sud resta ancora una ferita aperta dell’Italia repubblicana. Passando alla cronaca dei nostri giorni, hanno destato forte impressione una incredibile serie di coincidenze verificatesi negli ultimi tempi. Da qualche mese il Movimento per le Autonomie di Raffaele Lombardo, presidente della Regione Sicilia, è in fermento, alla ricerca continua ed esasperata delle prebende promesse dal Cavalier Berlusconi durante la travolgente campagna elettorale del 2008. Le minacce di Lombardo si sono limitate prima alla semplice uscita dalla maggioranza di centro-destra e poi, roba di questi giorni, si sono allargate sino alla dichiarata volontà di fondare un vero e proprio partito del Sud che si contrapponga al coagulo di interessi rappresentato dall’asse Tremonti-Bossi-Berlusconi. Voci di corridoio parlano anche di scontri interni tra i feudatari siciliani del PDL, con il partito Miccichè-Dell’Utri-Prestigiacomo in rotta di collisione con gli ultralealisti Schifani-Alfano. Un fuoco di fila lanciato dai dissidenti allo scopo di ottenere l’allargamento dei fili della borsa dei finanziamenti destinati al meridione (gli ormai famosi fondi FAS). Giorni di rapporti difficili e di cene risolutorie nella residenza romana del monarca di Palazzo Grazioli, hanno portato alla classica conferenza stampa prevacanziera in cui tutti gli attori della commedia si sono presentati col sorriso in volto e le saccocce piene: 4 miliardi di euro subito per la Sicilia, questo il risultato della mediazione berlusconiana; di copertura finanziaria e sblocco della disponibilità del denaro se ne riparlerà a settembre. Intanto, l’aria che si respira è quella di una tregua armata. Armata perché a 50 magistrati siciliani è stata rafforzata la scorta perché a Caltanissetta si è riaperta l’indagine sulle stragi del ’92-’93. Una coincidenza troppo clamorosa per risultare casuale. A quasi 20 anni da quei tragici fatti si ritorna a parlare di ciò che tutti sapevano: apparati deviati dello Stato, servizi segreti corrotti, la trattativa tra mafia e Istituzioni, il papello di Totò Riina, il tentativo del Generale Mori (quello che arrestò Riina ma non Provenzano) di mettere in contatto il referente mafioso Vito Ciancimino e Luciano Violante, al tempo presidente della Commissione Antimafia. È stato proprio Violante a vuotare il sacco di fronte ai magistrati alcuni giorni fa, parlando delle insistenti richieste di Mori per una “trattativa politica” tra mafia e Stato. Incredibile se non ci trovassimo in Italia.
Ma chi sono i veri mafiosi?
3 agosto 2009
di domenico camodeca
http://www.ccsnews.it/dettaglio.asp?id=9278&titolo=LA%20QUESTIONE%20MERIDIONALE
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