venerdì 26 novembre 2010

Un privilegio a vita che si matura in tre anni lo Stato paga oltre 3mila vitalizi


Sono oltre tremila i parlamentari che godono di un vitalizio, esclusi gli oltre mille vitalizi di reversibilità versati ai familiari degli eletti scomparsi. Con assegni che vanno da un minimo di 2427 euro per le reservibili a 9.947 euro lordi mensili. Complessivamente gravano sulle casse dello Stato per circa 130 milioni annui. Ovviamente i numeri aumentano a ogni nuova legislatura, perché per maturare un vitalizio bastano 30 mesi sugli scranni parlamentari. Cioè 2 anni, 6 mesi e un giorno. Fino agli anni novanta era sufficiente un solo giorno di permanenza in carica.

Inoltre, sempre dal 1997, l’età pensionabile è stata portata a 65 anni, ma si abbassa a 60 per chi è in carica da più di cinque anni. Ovviamente chi prima di essere eletto ha già aperto una posizione previdenziale, si vede aggiunta quella parlamentare. Fece scalpore il caso di Toni Negri, che ebbe un duplice vantaggio: nel 1983, leader di Potere operaio detenuto per associazione sovversiva e insurrezione armata contro i poteri dello Stato, venne inserito da Marco Pannella nelle liste dei Radicali per garantirgli di tornare in libertà; eletto in Parlamento Negri dopo poche settimane si diede alla latitanza in Francia senza farsi vedere a Montecitorio dopo le prime sedute, maturando comunque un vitalizio di oltre 3mila euro mensili che percepisce tutt’ora.

Diritto che ha anche Valter Veltroni. L’ex sindaco di Roma è un deputato in pensione da quando ha 51 anni. Consigliere comunale dal 1976 e deputato dal 1987, Veltroni ha maturato preso i 23 anni di contributi necessari per maturare un vitalizio mensile di 9 mila euro lordi che ogni mese riceve dalla Camera. Ma ha sempre dichiarato di versarli in beneficenza alle popolazioni africane.

Di casi simili ce ne sono parecchi tra gli oltre tremila che ricevono il vitalizio. Complessivamente sono 2.238. 1.377 ex deputati e 861 ex senatori. A questi vanno aggiunte le 1.064 reversibilità, per un totale di 3.302. Escluse, come detto, le reversibilità pagate ai familiari di parlamentari scomparsi, stando agli ultimi dati resi noti da Palazzo Madama e Montecitorio. Non stupisce dunque che in pochi siano disposti a farne a meno. Del resto c’è la crisi.



La casta non rinuncia al vitalizio. - di Dino Amenduni


I 498 parlamentari che hanno detto no.


Il 23 ottobre 2010 il deputato dell’Italia dei Valori Antonio Borghesi ha chiesto di prevedere la soppressione immediata di ogni forma di assegno vitalizio per i deputati in carica e per quelli cessati dal mandato parlamentare e, contestualmente, ha chiesto ai deputati di comunicare all’amministrazione della Camera l’ente o l’istituto di previdenza al quale devono essere trasferiti i contributi da loro versati per l’erogazione dell’assegno vitalizio.

Questo è il resoconto della votazione, disponibile sul sito OpenPolis.

Per la cronaca, in ventidue hanno votato a favore (tutti dell’Italia dei Valori), in 498 si sono dichiarati contrari (appartenenti a tutte le altre forze politiche presenti in Parlamento). Cinque parlamentari si sono astenuti, 50 erano assenti, 53 in missione.

Questo è il voto dei deputati, uno per uno.


giovedì 25 novembre 2010

Pluralismo tv, sfiduciamo Berlusconi in Parlamento.




“Votino quello che gli pare, tanto da qui non me ne andrò”, più o meno con queste parole l’attuale direttore generale della Rai e la sua piccola compagnia di giro di ferventi berlusconiani ha liquidato il clamoroso voto con il quale la stragrande maggioranza dei giornalisti lo ha sfiduciato; per non parlare delle decine di miglia di cittadine e di cittadini che hanno voluto partecipare all’iniziativa promossa da Valigia Blu, da articolo 21 e da Reporter senza rete.

Le stesse parole le ha usate, anticipatamente, nei confronti delle mozioni sul pluralismo informativo, presentate da diversi gruppi e che saranno votate questa settimana.
Una sorta di “Me ne frego anticipato”, una ricercata esibizione di toni muscolari per segnalare al presidente del consiglio il comune disprezzo per le istituzioni e per la democrazia parlamentare.
Eppure quei modi e quei toni nascondono la paura per un pronunciamento che, comunque vada, non sarà indolore per l’attuale gestione del servizio pubblico.

Per la prima volta, da decenni a questa parte, si profila la possibilità che si formi, dentro il Parlamento, una maggioranza capace di battere Berlusconi dentro casa sua, nel cuore del conflitto di interessi.
Le opposizioni si sono ritrovate tutte, anche questa è una novità, attorno ad un testo, elaborato tra gli altri da Roberto Zaccaria, da Roberto Mastroianni, da Elda Brogi: da sempre collaboratori di articolo 21. La mozione non si limita a criticare l’attuale gestione della Rai, ma si propone di allineare l’Italia agli altri paesi europei in materia di conflitto di interessi, di legge anti trust,di autonomia della Rai dai governi e dai partiti.

Il testo presentato da Futuro e libertà chiede invece, tra le altre cose,la nomina di una autorità garante che vigili sulla corretta applicazione da parte del servizio pubblico delle disposizioni in materia di pluralismo politico. Nelle premesse e nel testo della mozione non sono certo sottaciute le polemiche con il direttore generale e con il Tg1.
Non ci vuole un particolare acume per comprendere che bisognerà produrre il massimo sforzo per arrivare alla approvazione di entrambe le mozioni, lasciando da parte protagonismi e desideri di visibilità politica e mediatica.

Da parte nostra, che pure siamo i primi firmatari della mozione delle opposizioni unite, non avremmo e non avremo esitazione alcuna a far convergere i consensi anche attorno alla proposta di futuro e libertà; sarebbe comunque un evento straordinario e lo sarebbe per due ragioni.
La prima riguarderebbe il futuro della Rai che, in presenza di una mozione approvata, potrebbe rapidamente essere liberata dai molestatori che la stanno insidiando e portando a morte industriale.
La seconda, di sapore squisitamente politico, perché con un simile voto, per la prima volta, si sancirebbe l’esistenza di una possibile maggioranza che, sulle questioni istituzionali, avrebbe manifestato il coraggio di ribellarsi agli ordini del piccolo Cesare.

Non sappiamo come andrà a finire, siamo tuttavia orgogliosi, come associazione, di aver contribuito, come ci ha sempre stimolato a fare il nostro presidente Federico Orlando, a determinare uno schieramento ampio, unitario, potenzialmente maggioritario.
Vedremo quale sarà il voto finale, chi resisterà, chi si sfilerà, chi si fingerà malato, comunque andrà sarà crollato quel muro che, sin qui, persino con maggioranze di centro sinistra, era sempre riuscito ad impedire che questi temi assumessero il rilievo strategico che pure avrebbero dovuto avere.

Per quanto ci riguarda non solo ci impegneremo perché la Camera dei deputati arrivi ad esprimere un voto di maggioranza, ma anche per chiedere che, subito dopo, sia finalmente messa all’ordine del giorno la discussione dei progetti di legge relativi al conflitto di interesse e alla riforma dei criteri di nomina delle autorità di garanzia e del consiglio di amministrazione della Rai, criteri che affidano ai partiti e solo ai partiti il diretto controllo di quelli che dovrebbero essere gli arbitri, con i risultati che tutti hanno la possibilità di verificare. Forse, su questa strada, non ci seguirà più Futuro e Libertà, ma guai a ripetere il gravissimo errore già commesso di archiviare il tema, di rinviarlo a tempi migliori. Quei tempi non arriveranno mai, se anche la prossima campagna elettorale dovesse svolgersi non solo con la stessa legge elettorale, ma anche con la stessa disparità nell’accesso ai media tra le diverse forze politiche e sociali.

Per queste ragioni non bisognerà fermarsi, e noi di articolo 21 non lo faremo, anzi chiederemo a tutte le forze politiche disponibili di formare un coordinamento, di unificare le proposte, di esercitare una azione congiunta sulle autorità di garanzia affinché, in caso di elezioni, svolgano davvero il ruolo di arbitri, intervenendo duramente durante la campagna elettorale e non dopo, a giochi fatti e a truffe consumate. Per questo vi chiediamo di firmare l’appello “Tutti con tutti”, che porteremo anche alla tante manifestazioni programmate nei prossimi giorni, a cominciare da quella del Cgil fissata a Roma per il prossimo 27 novembre.

Da qui alle elezioni, se e quando ci saranno, saremo ossessivi, anche e soprattutto con noi stessi, affinché questi temi, che poi sono l’essenza di una democrazia parlamentare e della nostra Carta costituzionale, restino centrali nella elaborazione e nell’azione delle opposizioni, affinché non si ripetano gli errori e gli orrori del passato che tanta parte sono stati e sono del disastro politico, culturale, sociale ed etico che ci circonda e ci ammorba.

Giuseppe Giulietti



Può esistere una filosofia materialista? - di Viviana Vivarelli


La Levi Montalcini, che è una scienziata materialista, ha detto una volta che il pensiero è un epifenomeno (cioè un prodotto secondario) del cervello, così come il sudore è un prodotto secondario della pelle. Ha senso questa affermazione?

Il primo punto, che può essere convalidato da uno scienziato atomico, è che la materia non esiste. Se la esamini con la fisica nucleare arrivi a particelle subatomiche prive di massa, peso, visibilità e materia. Nessuno ha mai visto un elettrone, si ipotizza che esista perché in una camera a bolle il suo passaggio viene registrato come un’onda. A livello nucleare la materia scompare, abbiamo solo un movimento .Per uno scienziato nucleare la materia è energia esattamente come il pensiero. Possiamo dire al massimo che esiste energia addensata e visibile e non addensata e invisibile. Ma questo è il pensiero induista che distingue energia grossolana da energia sottile.
E’ assurdo dire che non esiste un pensiero a sé stante ma esiste solo il cervello.
Il cervello è uno strumento come lo è il telefono, noi ‘usiamo’ il telefono, ma non ‘siamo ‘ il telefono? ‘Usiamo un’auto, ma non ‘siamo’ un’auto.
Allo stesso modo ‘usiamo’ il cervello, non ‘siamo’ il cervello.
Un infartuato muore sul tavolo operatorio, la sua mente ‘si stacca’ dal corpo e vede dall’alto se stesso, la stanza, i medici, può perfino passare nella stanza accanto, vede sopra gli armadi o sul tetto.
Io sono svenuta per la rottura di un menisco e la mia mente è saltata fuori dal corpo e ha visto la scena dall’alto, non sentivo più dolore, vedevo il mio corpo steso a terra con gli occhi chiusi, la gente che accorreva, qualcuno che cercava di farmi rinvenire. Poi sono tornata dentro.

Di queste esperienze di mente staccata dal corpo ne ho avute moltissime per 29 anni. Ora non più. Pertanto posso dire, ma l’asserzione vale solo nell’ambito della mia esperienza, che la mia mente sta ‘usando’ il mio corpo e sta ‘usando’ il mio cervello ma non è la stessa cosa di quelli. Io so che può esistere fuori del corpo, così come so che io posso esistere anche se scendo di macchina. Posso vedere, sentire, udire, percepire anche fuori dal mio corpo, certo le mie percezioni sono po’ diverse da quelle ordinarie, per es. posso vedere dentro le cose (endoscopia) o come in una cianografia nei minimi dettagli, o solo secondo crete frequenze cromatiche e posso spostarmi in tempo reale da un punto all’altra dello spazio o in strani spazi che non somigliano a questo.
Per tutto questo affermo che la Montalcini ha detto una boiata. Ma, ovviamente, ciò vale all’interno di una sicurezza che mi proviene da una esperienza allargata. Se uno non ha mai conosciuto una tale esperienza, ha diritto di affermare anche, se gli va, che tutto è ed è solo materia. Io ho il mio pieno diritti di contestarlo, ma non glielo posso dimostrare.

http://masadaweb.org/2010/11/25/masada-n%C2%B0-1226-26-11-2010-la-speranza-nel-buio/



Dragomiro Bondev. - di Marco Travaglio




Noi l’avevamo detto in tempi non sospetti: lo stiamo perdendo. Troppo gracili le spalle implumi di James Bondi per sopportare, da sole, il peso schiacciante del Cainano. Se a ciò aggiungiamo due o tre famiglie da sistemare, per citare solo le sue e non parlare di quelle del capo, che sono legione, dimenticando pure la Casa dei Gladiatori comunisti che decide proditoriamente di franargli in testa proprio adesso, il quadro è (quasi) completo.
Immaginiamo la scena. È una torrida giornata di fine agosto e lui, il Pallore Gonfiato, boccheggia esausto nel suo ufficetto interno alla villa di Arcore con vista sul mausoleo e sulle scuderie di Mangano senza cavalli. Suda copiosamente, al solo pensiero della fatica che ha fatto a sistemare l’ex marito e il figlio della fidanzata, Manuela Repetti da Novi Ligure, che lo segue come un’ombra in ogni dove e non si contenta mai. Per l’ex marito Fabrizio Indacos’è inventato una consulenza al ministero da 25 mila euro l’anno, nel misterioso ma affascinante ramo “Teatro e moda” (come dire “Trigonometria e turaccioli” o “Filosofia e branzini”). Per il pargolo acquisito, laureando in Architettura, ha racimolato un posto al Centro sperimentale di cinematografia con distacco alla Direzione generale cinema. Restava il restauro del teatrino di Novi Ligure, difficile da finanziare visti i tagli feroci ai bilanci: ma alla fine 2 milioncini saltano fuori anche per quello.

Il ministro della Cultura a sua insaputa si congratula con se stesso e sta quasi per emettere il primo respiro dopo mesi di apnea, quand’ecco materializzarsi una nuova emergenza:Dragomira Bonev detta Michelle, una virago bulgara alta un metro e ottanta. L’amico Silvio, noto talent scout (ha scoperto persino Ruby Rubacuori), le ha promesso il Leone d’oro al Festival di Venezia e lei, produttrice dell’imperdibile film Goodbye Mama in simbiosi con Raicinema (e con chi se no?), ci ha creduto. Del resto nel 2003 lui le promise il ruolo di opinionista al Dopofestival di Sanremo e, fra lo stupore generale, lei l’ottenne. Idem per il libro pubblicato da Mondadori (opera prima e, si spera, unica) e per la fiction La bambina dalle mani sporche. Ora però l’affare s’ingrossa. Quando James chiama il direttore generale Borrelli per il nuovo editto bulgaro, questi se lo fa ripetere due o tre volte. Mission impossible. Escluso a priori che la giuria presieduta da Quentin Tarantino possa premiare Dragomira, non sapendo proprio chi sia, si tenta con il “lei non sa chi è lei”: “La ragazza è molto cara al premier bulgaro”, antipasto di “la ragazza è la nipote di Mubarak”. Ma non attacca. Allora si passa al piano B: inventare un premio inesistente, come le patacche napoletane. Un incaricato, distolto magari dalle crepe di Pompei, si fionda in una bottega romana di coppe e medaglie e, raccomandando il più assoluto riserbo, commissiona in tutta fretta la targa farlocca con logo dell’Ue (ovviamente ignara di tutto) e del ministero dei Beni culturali. Epigrafe altisonante, una supercazzola improvvisata lì su due piedi: “Premio speciale della Biennale nel 60° anniversario della Convenzione europea sui diritti umani” ecc. Resta da allestire la finta premiazione, dinanzi a un folto e finto pubblico e alla finta stampa con finti flash e finte telecamere.

Roba da “Totòtruffa”. Un gioco da ragazzi, anche perché a far numero viene paracadutato un cargo di ministri (Galan e Carfagna) ed europarlamentari last minute. Per il resto comparse, tra cui 32 bulgari Doc aviotrasportati e alloggiati al Cipriani. La Bonev è soddisfatta: crede davvero di aver vinto a Venezia, l’amico Silvio si congratula al telefono. Tutto è bene quel che finisce bene. Almeno fino a ieri, quando il governo di Sofia smentisce ogni coinvolgimento e assicura che ha fatto tutto Bondi. Anche i bulgari hanno una dignità e non vogliono aver nulla a che spartire con l’Italia. Si sfiora la crisi diplomatica con uno dei pochissimi paesi che ancora mancavano alla collezione. E lui, Dragomiro Bondev, solo ed esausto, a spalare. Altro che sfiducia: il premio “Diritti umani” dovrebbero darlo a lui.
(Striscia di Fifo)

Segnalazioni

Bondi e l’attrice del Caimano: “Deve vincere il Leone d’oro" - di Malcolm Pagani dawww.ilfattoquotidiano.it

Bondi querela Il Fatto Quotidiano e Il Corriere della Sera (Apcom, 25 novembre 2010)

http://voglioscendere.ilcannocchiale.it/post/2569152.html


Gli studenti: “Il futuro è nostro e ce lo riprendiamo”. Cronaca di una giornata di lotte. - di Annamaria Bruni




Una giornata storica. Non si può definire in altro modo quello che è successo oggi a Roma, protagonisti gli studenti medi e universitari. Se poi accanto a questa piazza mettiamo l'occupazione dei tetti delle Università di Torino e Trieste, quella dei cinque ponti sull'Arno a Pisa, e poi ancora Padova, Bologna, Siena, Palermo, Cagliari, Sassari, Milano, Firenze, Bari, Napoli, Catania, sappiamo che è solo l'inizio. Ma anche gli studenti inglesi, e questa volta non solo a Londra, sono scesi in piazza oggi contro gli aumenti delle rette universitarie triplicate entro il 2012 e i tagli dei finanziamenti pubblici. Numerose anche in Gran Bretagna le università occupate: la prima è stata l'University of East London, poi la biblioteca Bodleian di Oxford e la Scuola di studi orientali e africani dell'Uwe, Bristol, l'Università di Manchester. Un contesto che la dice lunga sulla volontà di opposizione a una politica economica che a livello internazionale lavora per uscire dalla crisi tornando al feudalesimo. E gli studenti lo sanno, e mai come ora ricuciono con chiarezza diritti del lavoro e diritto allo studio.

Prova ne sia la grande solidarietà che si sta sviluppando tra studenti e ricercatori. Ed è con loro che torniamo a Roma, in piazza di Montecitorio, dove stamattina dalle 10 erano in piazza a manifestare, e con loro la Flc-Cgil e l'Usb, oltre a bandiere di Rifondazione e Pcdl. 3mila in tutto, se non fosse per il gruppo di sindaci del Sulcis-Iglesiente, agguerriti, megafono alla mano e fascia tricolore, a Roma a pretendere dal governo un accordo che tuteli l'indotto dell'Alcoa, in una terra con" il 45% di giovani dai 18 ai 35 disoccupati", denuncia il sindaco di Villa Marrangia Franco Porcu. E sono lieti di trovarsi in mezzo agli studenti, e non solo perché anche in Sardegna scuole e Università sono in mobilitazione, ma anche perché "la solidarietà degli studenti al mondo del lavoro è forte". Lo ripete Clara Baglioni, ricercatrice confermata ora, a 53 anni, al dipartimento di biologia di Roma Tre, dall'85. 25 anni di borse di studio, "7 milioni di lire lordi all'anno", e poi contratti precari come tecnica di laboratorio, perché "mi sono dichiarata non laureata", e quindi dequalificata e sottopagata. Ma gli studenti sanno che questo è il futuro che li aspetta, ed è per questo che sono tutti "indisponibili". E sono anche preparati.

Non solo Alessandra e Arianna, che sono venute a Montecitorio, e intanto, sedute per terra, finiscono gli esercizi di fisica perché domani "ci aspetta l'esame, dato che siamo a Medicina, perché fisica è occupata", sono preparati perché entrano nel merito di quello che sta succedendo nelle università. Per esempio Roma Tre, dove il rettore Fabiani lavora alacremente a convertire l'ateneo in fondazione privata, dicono Federico e Davide di scienze politiche, e per questo ha già creato due enti, "l'Astra, scuola di eccellenza per 40 fortunati - dice Federico - e la Cestia, vera e propria fondazione, dove verrà alienato tutto il patrimonio di Roma Tre, che tra l'altro non è indifferente, a cominciare da un palazzo del '400".

"Stiamo cercando di costruire un fronte comune, ma non è semplice perché i docenti sono conculcati dal rettore, mentre è anche con loro che dovremmo occupare in forze il Rettorato", prosegue Federico, e Davide, "e non è l'unica difficoltà, la seconda, che dice il livello di autoritarismo, è che Fabiani evita di far sapere persino al consiglio di amministrazione la data della discussione per la conversione definitiva in fondazione privata". Stile Marchionne insomma. Se non fosse che Fabiani, dice Federico, "è iscritto alla Cgil, ed è vicino al Pd". Ma "noi non abbiamo intenzione di mollare", dicono con una fermezza sorprendente, alla quale fa eco lo slogan che si fa sempre più vicino: "il futuro è nostro e ce lo riprendiamo" e poi a ritmo "non ci rappresenta nessuno".

E' una valanga, e arriva dalla Sapienza, alla quale si sono uniti moltissimi licei come il Virgilio, il Talete, il Tacito. Ora Montecitorio non li contiene più, se non sono 10.000 poco ci manca. Dal microfono Mimmo Pantaleo, leader dell'Flc, dà il via al comizio. Ddl da ritirare, inemendabile, siamo con gli studenti, con tutte le occupazioni e le mobilitazioni, su tutti i tetti delle Università. Questi i capisaldi, con qualche tentativo di mediazione subito fischiato, come la richiesta di dialogo a Fini o a Gelmini. Come dire, le chiacchiere stanno a zero. Lo ripete Tiziano di scienze politiche della Sapienza, e poi ancora Giorgio di fisica, che ancora una volta ricuce diritto allo studio e diritto al lavoro, e Fabio di ingegneria, che denuncia il degrado della qualità della vita e dice che "ci meritiamo di più, e dobbiamo pretenderlo", mentre un'altra studentessa prende il microfono per dire che "finanziano la Cepu e dicono che la cultura non si mangia!, di fronte a questo non c'è più niente da dire!" ed effettivamente riesce ad infiammare la piazza, che urla "a casa, a casa, corteo, corteo", e in men che non si dica imbocca piazza Capranica, lasciando Cgil e Usb in piazza, con il consueto ritardo di reazione, mentre il corteo si infila per il budello di via del pozzo delle cornacchie e in un attimo è davanti al Senato. E prima che la polizia se ne renda conto parte il blitz.

Il portone è aperto, volano uova e arance, qualcuno si infila dentro, provano a chiudere, riaprono e in quell'istante un altro uovo centra lo spiraglio aperto. Il corteo applaude, gli slogan volano, il gruppo viennese dei "Samizdat" (quando il nome è la cosa) comincia a far rullare i tamburi a ritmo, lentamente, ed improvvisamente sembra il corteo che accompagna il condannato a morte. Questo governo ridotto al lumicino.

Il blitz è riuscito perfettamente, il corteo riparte, si infila di nuovo nelle stradine, si dirige al Pantheon dove si tengono lezioni in piazza, e poi verso piazza Argentina, via del Plebiscito, Botteghe oscure, da dove parte il primo tentativo di tornare a Montecitorio, o forse alla facoltà di Architettura. Ma i blindati a questo punto sono schierati in forze, e gli studenti non cercano lo scontro. Piuttosto volano battute: "è più presidiato palazzo Grazioli che il Senato". Ridono, poi tornano indietro, vanno a Piazza Venezia, poi a S. Apostoli da dove di nuovo tentano di rientrare.

Ed è lì che succede l'incredibile. Senza alcuna provocazione, di fronte a studenti "armati" di cartelli di polistirolo che doppiano le copertine dei libri, parte la carica. Piovono manganellate, senza alcuna ragione. Due studenti vengono fermati. Ma anche la risposta è incredibile, perché gli studenti rimangono lì, insieme, fermi, e come a Valle Giulia nel '68, "Non siam scappati più". Gli studenti sono rimasti insieme, sono rimasti tutti, sono rimasti uniti. Decidono insieme di tornare a Piazza Venezia, e lì improvvisano un sit-in, decisi a non muoversi senza avere notizie dei loro compagni. Sono ormai le tre del pomeriggio quando arrivano. Sono in stato di fermo, e non si sa con che accuse. Cosa gli addebitano, il corteo non autorizzato di oggi?

Questa è la logica, colpirne uno… dicono in tanti. Ma loro non ci stanno, e vogliono sapere. Dal megafono arriva la proposta: "torniamo a S. Apostoli, alla prefettura, vogliamo sapere dei nostri compagni". E via, il corteo riparte, unito, compatto, torna indietro al ritmo della musica dei Samizdat. E ancora a suon di musica tutti aspettano, pazienti, e intanto discutono, qualcuno mangia. E poi la notizia: il fermo è confermato, domani mattina processo per direttissima. E la decisione: torniamo all'Università, facciamo assemblea e decidiamo il da farsi. Ripartono, e quando sono le sei hanno già deciso: le facoltà restano occupate, e domani mattina dalla Sapienza ripartirà il corteo, di nuovo a Montecitorio per il No al ddl, e per "i compagni liberi".


Fisco: perquisita la casa farmaceutica Menarini, fra i reati contestati associazione a delinquere e riciclaggio.








Una serie di perquisizioni e sequestri è in corso in diverse sedi della casa farmaceutica Menarini. L'attività è condotta dai carabinieri del nas, coordinati dalla procura di Firenze e rientrerebbe fra gli accertamenti disposti nell'ambito di un'inchiesta in cui si ipotizza evasione fiscale e un'ipotesi di reato collegata all'importazione illecita di principi attivi. Per la stessa inchiesta vennero svolte perquisizioni anche nel maggio del 2009. All'epoca gli indagati erano nove. Fra loro i vertici della Menarini: Alberto Aleotti e i figli Lucia e Alberto Giovanni.
Fra i reati ipotizzati dai pm che indagano sull' attività della Menarini, vi sarebbero, a vario titolo, l'associazione per delinquere, il riciclaggio, la truffa aggravata e violazioni fiscali dal 2004 al 2009. La Procura contesterebbe alla casa farmaceutica l'importazione illecita di principi attivi anche dalla Cina (non dannosi per la salute) grazie a triangolazioni con Paesi offshore. L'inchiesta è nata dagli accertamenti su circa 400 milioni di euro depositati in una banca del Liechtenstein.Una serie di perquisizioni e sequestri è in corso in diverse sedi della casa farmaceutica Menarini. L'attività è condotta dai carabinieri del nas, coordinati dalla procura di Firenze e rientrerebbe fra gli accertamenti disposti nell'ambito di un'inchiesta in cui si ipotizza evasione fiscale e un'ipotesi di reato collegata all'importazione illecita di principi attivi. Per la stessa inchiesta vennero svolte perquisizioni anche nel maggio del 2009. All'epoca gli indagati erano nove. Fra loro i vertici della Menarini: Alberto Aleotti e i figli Lucia e Alberto Giovanni.
La Procura di Firenze avrebbe chiesto e ottenuto il sequestro di denaro e beni per oltre un miliardo di euro nell'ambito dell'inchiesta sulla Casa farmaceutica Menarini, per la quale sono in corso perquisizioni in varie regioni. In base a quanto si apprende la cifra è quella fatta rientrare dall'estero con lo scudo fiscale, ma che gli investigatori ritengono sia frutto di condotte illecite. Inoltre la Procura avrebbe chiesto anche l'interdizione alla contrattazione con le Pubbliche Amministrazioni (o in subordine o commissariamento) per i responsabili della Menarini e di altre società coinvolte nell'inchiesta. 14 gli indagati, fra cui i vertici della Menarini e di altre società che operano nel settore dell'importazione dei farmaci.