lunedì 20 dicembre 2010

Chiesa e politica, tutte le menzogne del cardinal Bagnasco. - di Paolo Farinella, prete.


Il cardinale Angelo Bagnasco ha rilasciato una intervista aRepubblica, raccolta da Marco Ansaldo e pubblicata domenica 19-12-2010 a p. 13. Una valutazione globale: povertà di argomenti, triti e ritriti e incapacità del giornalista di porre le domande circostanziate con fatti e dichiarazioni, esattamente contrarie alle dichiarazioni del cardinale. In alcuni momenti si ha la sensazione che il giornalista sia accondiscendente oltre misura perché afferma di riportare «la completezza con cui [il cardinale] risponde, nell’intervista concessa a Repubblica, a tutte le domande. Senza sottrarsi a quelle più scomode». Non ho letto domande scomode, semmai banali. Viene il sospetto che l’intervista non sia stata concessa dal vivo, ma per scritto: il cardinale ha risposto a tavolino alle domande inviate preventivamente dal giornalista.

Sin dal titolo («La Chiesa non fa politica ma sui valori dei cattolici non si tratta») cadono le braccia e si ha la certezza che i porporato e i suoi pari vivano sulla luna o siano soliti sniffare incenso che gli annebbia la vista e la logica. Se il continuo interventismo cardinalizio e papale non è politica – e dei bassifondi, per giunta – mi chiedo come si possa ragionare con questa gente che nega anche l’evidenza. Mi chiedo se le cattive frequentazioni di uomini perversi e bugiardi che fondano la loro azione sulla falsità strutturata come sistema e metodo politico, non abbiano influenzato sua eminenza fino al punto da fargli assimilare lo stravolgimento non solo della verità, ma dei fatti crudi e nudi da non rendersene conto. Occorre una lunga terapia disintossicante perché il virus del berlusconismo ha avuto il sopravvento sull’aspersorio.

Dice il cardinale con candore inverosimile: «la Chiesa non è un’agenzia politica chiamata a prendere parte alla battaglia dei partiti. Il suo compito è quello di annunciare la salvezza di Cristo e quindi di elevare la coscienza morale e spirituale della società, rendendo Dio presente nello spazio pubblico». In due frasi di 23 parole (senza contare articoli, preposizioni e congiunzioni) si trovano cinque affermazioni anche erronee se non false. L’errore di fondo (vero peccato originale) è l’attribuzione alla sola Gerarchia della valenza teologica di «Chiesa»: è una attribuzione indebita ed errata in termini puramente teologici. Direi che è una usurpazione. Se un teologo del primo anno agli esami facesse una simile affermazione verrebbe bocciato e rimandato a casa perché inadatto al ministero pastorale. Secondo, se la «Chiesa» non è un’agenzia politica, può spiegare sua eminenza cosa ci faceva Berlusconi e Letta a colazione con Ruini, manovrando le elezioni politiche della Regione Lazio?

Può dire in nome di quale «principio non negoziabile» il Segretario di Stato Bertone decide di andare a cena con Berlusconi Letta, Casini, Geronzi, Draghi di notte e quasi di nascosto a casa di Bruno Vespa, noto maggiordomo a libro paga, per convincere Casini ad entrare nel governo Berlusconi? Può dire sua eminenza, di grazia, se era politico o no, il pranzo innaturale che Berlusconi e Letta (più mezzo governo di complemento, tra cui spiccano, Giustizia, Scuola/Università e Economia) offrono ai nuovi cardinali sfornati freschi e a cui partecipa il Segretario di Stato, ma non il presidente della Cei?

Se sono cardinali italiani, che c’entra il Segretario di Stato? A meno che le fusa tra B&B (Bertone&Berlusconi) non fossero l’obiettivo principe di quel convivio debosciato. Il delinquente Berlusconi che giura coram cardinalibus che «mai nulla contro il Vaticano» e il suo compare Bertone che risponde: «il governo ha operato bene a favore della Chiesa». S’ode a destra uno squillo di tromba, a super-destra uno squillo risponde. Il cardinale arriva a compromettersi perché dichiara che «compito della “Chiesa” è quello di annunciare la salvezza di Cristo». Agli occhi della maggior parte degli osservatori, anche dei lattanti non ancora svezzati, non appare affatto questo compito, per cui si dovrebbe dire il cardinale «aspirerebbe» ad un compito che è lontano mille miglia dalle sue azioni concrete che mirano a raggiungere obiettivi terreni e materialissimi. Lo stesso vale per l’altro compito: «elevare la coscienza morale e spirituale della società».

Che bello! Con quale morale, se è lecito! Con quella di Berlusconi come individuo e come uomo pubblico? Con quella dell’economia a favore solo dei ricchi? Con la morale dello scudo fiscale che premia i corrotti, le mafie, gli evasori, i puttanieri e i riciclatori di proventi da droga e omicidi e furti ed evasione fiscale? Con quale morale? Con quella «bene comune» – che il cardinale pone in testa alla sua etica – calpestato impunemente da 39 leggi individuali volute dall’uomo che ha scardinato l’unità del Paese e il senso della legalità per mettere al sicuro tutte le sue immoralità etiche ed economiche? Si vede che un muro di incenso impedisce al cardinale di vedere oltre perché ha gli occhiali appannati.

Se è vero che «l’anima della nostra gente, che nasce dal Vangelo, è stata “terremotata” dal relativismo e dal consumismo», può, per piacere, il signor cardinale chiamare «per nome» il terremoto? Non è forse la politica ammaliatrice e degenere di Berlusconi e del suo governo, composto da ricercati, indagati, corrotti come lui, che ha diffuso il relativismo e il consumismo in cui il berlusconismo ha piombato il nostro Paese? Questi fenomeni li ha portati la cicogna, che non ha usato il preservativo, o sono il frutto dell’uso spregiudicato e puramente commerciale e politico delle tv private e pubbliche che sono di un solo uomo, cioè il signor presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, uomo corrotto e corruttore e bugiardo, «a planta pedis usque da verticem capitis»? E’ sicuro sua eminenza di essere sano di mente mentre parla di morale e nel frattempo elogia la governabilità del governo Berlusconi? Non dovrebbe forse andare a confessarsi per la palese peccaminosità delle sue asserzioni che o sono blasfeme o sono false?

Il cardinale poi fa l’elenco dei «principi non negoziabili» che sono sempre gli stessi e sempre nello stesso ordine: «la vita, la famiglia, la libertà di educazione e ancor prima quella religiosa». Quattro valori per i quali vale pena vendersi l’anima anche al demonio che abita Berlusconi? Questi «principi» dovrebbero essere garantiti dall’unto del Signore che ha posto la tenda ad Arcore e i pascoli in Italia a spese degli Italiani. O il cardinale è un illuso, o è un trafficone trafficante. Decida lui. Sicuramente non si nutre di illusioni.

La vita. Mi auguro che il cardinale non si riferisca a quella dei immigrati venduti alla Libia perché muoiano ammazzati, letteralmente ammazzati, nel deserto lontani da occhi indiscreti europei. La famiglia, mi auguro che non si riferisca alla doppia di Berlusconi e tanto meno all’abituale commercio di minorenni e prostitute a cui l’uomo è aduso e per giunta orgoglioso: «Gli Italiani mi vogliono così». Poveri, si sacrifica sempre! Libertà di educazione. Si spera che il cardinale non si riferisca alla distruzione dell’educazione scolastica pubblica che ha portato il mondo giovanile e studentesco in piazza contro una ministra imbelle che si trova in parlamento per meriti non certo culturali e per competenza. Sarebbe bello che il cardinale chiedesse alla cattolica ministra: «Signora, mi può dire come mai il presidente ha tanto affetto per lei tanto da farla ministra, pur non avendone né le caratteristiche né la competenza»?

Riguardo all’accenno dell’8xmille che il cardinale chiede a credenti e non credenti in nome della provvisorietà della Chiesa, è sufficiente che sua eminenza compulsi il ministero dell’economia e si faccia dire qual è il trend degli ultimi anni, scoprirebbe che c’è un calo abissale e una diminuzione costante delle offerte deducibili. La causa prima e «princeps» è il comportamento della gerarchia cattolica che, tramite Berlusconi, ha messo le mani sul parlamento, imponendo le leggi conformi alla sua morale ed esautorando lo Stato italiano dalla sua sovranità. E’ finito il potere temporale come possesso materiale di territorio fisico, si è decuplicato il possesso immateriale dello Stato, estendendo il potere temporale, più raffinato e demagogico, sulle leggi e sulla convivenza civile. L’Italia non è una repubblica autonoma, ma l’orto di servizio dello stato estero, la Città del Vaticano con cui un corrotto presidente del Consiglio ha stipulato un contratto di mutua assistenza, vendendo la dignità di un popolo al prezzo immorale del sostegno al suo potere.

E’ deprimente che il cardinale accanto ai «principi non negoziabili» di suo interesse non abbia sentito il pudore di aggiungere altri «principi civili non negoziabili» come il principio della democrazia contro cui è stata varata la legge elettorale, il principio dell’autonomia del parlamento conculcato e vilipeso dal possesso ingordo del governo, il principio dell’onestà e del decoro di chi governa che il presidente de Consiglio e i suoi giannizzeri offendono ogni giorno 24 su 24 ore, il principio dell’unità d’Italia maciullato dall’insano connubio Berlusconi/Bossi che a tutto mirano tranne che ad un qualche valore, il principio della sacralità del giudizio davanti al proprio giudice naturale che Berlusconi violenta facendosi leggi su misura pur di fuggire lontano da un‘aula di tribunale, il principio del rispetto delle opposizioni e delle minoranze, garanzie di democrazia costituzionale e sostanziale/materiale, il principio del lavoro come diritto innato e naturale contro la politica economica di Berlusconi/Tremonti che creano precariato per dominare le coscienze e infine il principio che il potere non è dominio, ma servizio libero e gratuito, mentre Berlusconi e i suoi lanzichenecchi stanno devastando il devastabile e in più si sono appropriati del futuro delle prossime generazioni, che non avranno lacrime per piangere e tanto meno per vivere da persone libere.

Se tutto questo non è fare politica, allora vuol dire che è solo complicità consapevole con il male che il cardinale non vede o non vuole vedere.



I sindacati di polizia manifestano ad Arcore “Gasparri pericoloso, la piazza è un diritto”.




Le sigle sindacali unite scendono in piazza per protestare contro i tagli al settore imposti dalla finanziaria. E sulle affermazioni del capogruppo Pdl attaccano: "Responsabilità sua se ci fossero nuovi scontri" “Cosa c’entrano il Daspo e gli arresti preventivi invocati da Gasparri? Manifestare è un diritto. Poi se noi scopriamo che qualcuno si è macchiato di qualche reato lo perseguiamo, punto”. Parola dei poliziotti che stamane sono tornati ad Arcore, davanti alla villa di Silvio Berlusconi, per protestare contro i tagli del governo al loro settore.

La rabbia è tanta, e questa volta sono i poliziotti a scendere in piazza. La quasi totalità delle sigle sindacali di polizia si è riunita davanti a villa San Martino, per protestare contro la manovra finanziaria e le promesse “mai mantenute” di questo governo. “Per il prossimo triennio i nostri salari non potranno superare quelli percepiti nel 2010”. E’ Alessandro Pisaniello del Siulp a chiarire quanto sia critica la situazione: “A fronte di una riduzione del personale da 106 a 96 mila unità, ogni poliziotto avrà più lavoro, ma una volta raggiunto il tetto del 2010 – spiega Pisaniello – straordinari, notti e missioni non verranno più remunerati”. E conclude: “Come se non bastasse, ai passaggi di qualifica non corrisponderà un equivalente adeguamento dello stipendio”.

Il contratto degli operatori di polizia per gli anni 2008 e 2009 è stato firmato lo scorso settembre, e nell’accordo era previsto anche il pagamento degli arretrati entro il mese di novembre. “Sono riusciti a non rispettare la loro stessa firma – attacca Maccari del Coisp – nonostante le parole di Maroni e l’emendamento col quale avevano promesso di difendere le nostre buste paga”. L’emendamento, fanno notare, è durato meno di un giorno, e altrettanto in fretta è stato cancellato. “E’ l’ennesimo volta faccia di un governo che non onora gli impegni – accusa Claudio Giardullo del Silp, che assicura: “Se non si mette mano alla finanziaria con norme specifiche, la nostra operatività sarà compromessa, e non potremo più garantire la sicurezza dei cittadini”.

Ma la manifestazione è anche l’occasione giusta per provare a capire cosa pensino i rappresentanti delle forze dell’ordine delle dichiarazioni incendiarie rilasciate da numerosi esponenti di Pdl e Lega a partire da martedì 14 dicembre, giorno dei disordini a Roma.

Il sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano ha chiesto di estendere il Daspo, il provvedimento che tiene i tifosi violenti alla larga dagli stadi, anche ai manifestanti e Roberto Maroni, titolare del Viminale, ha giudicato la proposta così interessante da poter essere inserita nel pacchetto Sicurezza. Ma l’esponente che ha dato più fuoco alle polveri è sicuramente Maurizio Gasparri, il capogruppo del Pdl al Senato ha infatti invocato “arresti preventivi” e retate sullo stile di ciò che accadeva negli anni Settanta.

Per fortuna dai rappresentanti delle forze dell’ordine si è sollevato un coro di “no” e un invito ad abbassare i toni per non esacerbare gli animi, sia dei manifestanti sia degli stessi poliziotti che si trovano a fronteggiarli.

“La politica si deve rendere conto che il momento è molto delicato e va gestito con calma– dice Roberto Traverso, segretario Silp Cgil Genova – e ha l’obbligo di parlare alla testa della gente, non alla pancia”.

Anche l’idea di utilizzare i metodi per controllare le tifoserie e di applicarle alla piazza lascia molto perplessi gli agenti. Valentino Tosoni, segretario del Coisp Lombardia, da una vita si occupa di ordine pubblico. Ha iniziato a fronteggiare i manifestanti proprio in quel periodo in cui le parole di Gasparri vorrebbero farci tornare, gli anni Settanta. E solo nel 2010, fra stadi e manifestazioni politiche, ha fatto fra i 70 e gli 80 “interventi di Op”, come si dice in gergo. “Sappiamo bene che alle partite spesso e volentieri ci sono frange di tifosi che vogliono solo agitarsi e creare problemi, ma le manifestazioni di dissenso sono completamente un’altra cosa. Capita che al loro interno possano nascondersi anche dei violenti. Ma quelli sono solo dei delinquenti che non hanno niente a che vedere con chi protesta e vuole fare sentire la propria voce. Che è un diritto sancito dalla nostra Costituzione”. Insomma, anche per un vecchio lupo della piazza il Daspo e gli arresti preventivi non servono a niente.

L’opinione più diffusa fra gli agenti è che la politica stia strumentalmente scaricando sulle spalle delle forze di pubblica sicurezza una situazione incendiaria che lei stessa ha contribuito a creare. “Non vogliamo diventare l’obiettivo dei manifestanti più facinorosi solo perché alcuni politici soffiano sul fuoco”, dice Roberto Traverso, segretario Silp Cgil Genova. Continua Tosoni: “Noi prima che poliziotti siamo cittadini che vivono gli stessi disagi di chi manifesta e per giunta siamo costretti ad andare in piazza contro queste persone”.

Quello che bisogna fare ora è abbassare i toni, dicono all’unisono tutte le sigle sindacali, e l’unica “prevenzione” che spetta alla politica è risolvere i problemi: dall’occupazione per i più giovani ai rimedi per chi paga la crisi economica. “E invece cosa fa il governo? – chiede Daniele Tissone, segretario nazionale Silp Cgil – Pensa di poter risolvere le questioni con la polizia ma in realtà svia solo il problema”. In altre parole il Palazzo pensa di poter fronteggiare l’allarme sociale con un po’ più di ordine pubblico.

Nei prossimi giorni sono previste altre manifestazioni a Roma e nella altre principali città italiane e la parola d’ordine che gira, almeno fra gli agenti, è quella di stare tranquilli. “Dobbiamo renderci conto che la violenza è sempre una cosa orribile – continua Tissone – sia per chi la subisce e anche per chi la esercita, che siano celerini o manifestanti”.

“Al Signor Gasparri, che evoca provvedimenti della ex Legge reale in vigore negli anni Settanta chiediamo che la prossima volta venga a chiedere a noi quelli che sono gli strumenti da adottare per garantire la sicurezza nelle piazze”, dice Rocco Disogra segretario nazionale del Coisp. Ma quale sarebbe la maniera migliore di stare in piazza per le forze dell’ordine? Tissone non ha dubbi: “Il metodo Firenze. Ordine pubblico presente ma poco visibile. Si all’incontro e no allo scontro”. Il segretario fa riferimento al novembre 2001, quando, pochi mesi dopo le drammatiche giornate del G8 di Genova, i lavori del Social forum europeo nel capoluogo toscano furono accompagnati da una manifestazione oceanica. Allora il questore della città era Giuseppe De Donno che decise di fare tutto il contrario di ciò che le forze dell’ordine avevano fatto poco tempo prima a Genova. E la giornata del corteo, carica di tensione (era la prima volta che il “popolo di Genova” tornava in piazza dopo i fatti del G si trasformò in un’enorme festa. Nessun incidente, nessuna vetrina rotta o auto bruciata. Nonostante anche allora una certa politica irresponsabile soffiasse sul fuoco. Per dirla con le parole di Franco Maccari del Coisp: “Fin da ora ritengo l’onorevole Gasparri responsabile di qualunque incidente”. A dimostrazione di posizioni ben più concilianti rispetto a quelle della maggioranza di centro destra, è stato annunciato per il pomeriggio, a Roma, un incontro proposto dal Partito Democratico tra sindacati di polizia e studenti. “Quelli pacifici – precisa Maccari – perché manifestare è un diritto e la battaglia non deve essere tra studenti e forze dell’ordine. Due cose non servono: i black bloc e i Gasparri”.

di Lorenzo Galeazzi e Franz Baraggino



VIDEO SHOCK DELLE FORZE DELL'ORDINE DURANTE LE MANIFESTAZIONI A ROMA

Coraggio.....

Cosa succederà in Italia nei prossimi mesi? - Nicola Tranfaglia.




Che cosa succederà in Italia nei prossimi mesi? E’ un interrogativo che indubbiamente rivolgono a sé stessi le italiane e gli italiani che si preoccupano del destino del paese e della loro vita,ma soprattutto di quella dei propri figli.
Cercherò di dare qualche risposta sulla base della mia lunga esperienza di cittadino e di studioso di storia.Ma non è certo che la mia sia la previsione giusta perché le variabili nazionali e internazionali sono molte,come tutti sanno.
La vittoria del governo Berlusconi nella recente votazione di fiducia nei giorni scorsi rischia di essere meno importante di quanto dicano giornali e televisioni nella maggioranza dei casi.
A partire dal gennaio 2011,Berlusconi alla Camera riuscirà a sopravvivere soltanto continuando l’indegno mercato della compravendita di singoli parlamentari e questo aggraverà la caduta del prestigio italiano a livello internazionale(è già così basso come si ha modo di constatare quando si va per lavoro in Europa o negli Stati Uniti!) ma anche in Italia.
Inoltre proseguiranno le manifestazioni di protesta che si succedono da mesi e potranno, per l’esasperazione dei giovani o per manovre occulte,verificarsi episodi di violenza.
Del resto, l’intervista recente del capo della polizia Manganelli all’Unità fa capire che le forze dell’ordine sono, a loro volta, preoccupate per i tagli operati dal governo sulle risorse necessarie ma anche per il tentativo evidente del presidente del Consiglio di addossare a poliziotti e carabinieri una crisi economica e sociale che dipende dalla politica economica di Tremonti.
Stando così le cose, la vita per il governo sarà difficile.
Ma i guai dell’opposizione non sono finiti, anzi rischiano di aggravarsi, anche in vista di possibili elezioni nel 2011 o dopo,se le forze che si oppongono ora al Caimano non fanno alcune operazioni che io reputo necessarie.
La prima è quella di elaborare un programma comune di ricostruzione del paese che ha al primo punto la riforma della legge elettorale e la risoluzione del conflitto di interessi.E al secondo una politica sociale per i giovani e i ceti più bisognosi.
Su questi due punti dovrebbe formarsi una opinione comune delle forze di centro-sinistra(PD,IDV e SEL) e del cosiddetto terzo polo(UDC di Casini,FLI di Fini e API di Rutelli)
Se questo non avviene, sarà difficile vincere le elezioni e tornare al governo per chiunque.
Ad ogni modo i prossimi mesi saranno difficili e preoccupanti. E’ in pericolo la democrazia repubblicana e questo dovrebbe spingere tutti a non disinteressarsi della cosa pubblica.
Saremo in grado noi italiani di superare questa difficile sfida? Molti anche tra i miei amici ne dubitano ma io voglio restare ottimista e ricordare le sfide che l’Italia ha superato in altri ardui momenti.


domenica 19 dicembre 2010

Studenti, Gasparri: “Servono arresti preventivi”.




”Invece delle sciocchezze che vanno dicendo i vari Cascini e Palamara, qui ci vuole un Sette aprile. Mi riferisco a quel giorno del 1978 in cui furono arrestati tanti capi dell’estrema sinistra collusi con il terrorismo. Qui serve una vasta e decisa azione preventiva”. Maurizio Gasparri ha le idee chiare, ma la memoria corta. Il sette aprile del 1979 (e non del 1978, come afferma il capogruppo al Senato del Pdl) fu il giorno dell’arresto dei “cattivi maestri” di Potere Operaio e Autonomia Operaia. Toni Negri, Oreste Scalzone, Emilio Vesce, Luciano Ferrari Bravo, Franco Piperno. Sono gli intellettuali più in vista della sinistra extra-parlamentare di quegli anni. Provengono dalle università, hanno un seguito negli studenti. Tutti sono accusati di associazione sovversiva e insurrezione armata contro lo Stato. Aldo Moro è morto da un anno, il 9 aprile del 1978, il suo corpo riverso nella Renault 4 rossa, e gli arrestati vengono coinvolti – salvo poi essere completamente scagionati nel 1980 – anche in quell’evento, apice e inizio del declino della stagione terroristica che finirà con il sangue di Vittorio Bachelet, ucciso il 12 febbraio del 1980.

Dal teorema Calogero – dal nome di Pietro Calogero, il magistrato che ordinò gli arresti – al teorema Gasparri sono passati 31 anni. Nel frattempo le ideologie che ispirarono quella stagione sono morte o divenute residuali, eppure l’ex ministro identifica con chiarezza i mandanti: “Si sa – dice Gasparri – chi c’è dietro la violenza scoppiata a Roma. Tutti i centri sociali i cui nomi sono ben noti città per città. La sinistra, per coprire i violenti, ha mentito parlando di infiltrati. Bugie. Per non far vivere all’Italia nuove stagioni di terrore occorre agire con immediatezza. Chi protesta in modo pacifico e democratico va diviso dai vasti gruppi di violenti criminali che costellano l’area della sinistra. Solo un deciso intervento può difendere l’Italia”.

Sono dichiarazioni che fanno il paio con quelle del ministro dell’Interno Maroni, che ancora ieri era tornato a chiedere di estendere l’applicazione del Daspo, il divieto di partecipazione, dagli eventi sportivi alle manifestazioni di piazza. Come se in un corteo di centinaia di migliaia di persone fosse possibile mettere un biglietto e dei tornelli. E infatti le parole di Gasparri sono accolte da un coro di repliche indignate. Dall’Idv, che consiglia all’ex-ministro un po’ “di ripetizioni di storia”, al segretario di Sel, Nichi Vendola, che ne denuncia l’attitudine “fascista”. Persino La Russa, dopo le intemperanze di pochi giorni fa, stempera le parole dell’ex camerata missino dicendo: “Penso che Gasparri voglia dire che se ci sono delle responsabilità penali, non bisogna avere tolleranza per nessuno. Non credo proprio che invochi leggi speciali, lo conosco bene a Gasparri”.

Come che sia, davvero i toni di questo 2010 sono i toni della stagione 1978-1979? Davvero il terrorismo rosso è tornato a bussare alla cronaca di questi anni? Davvero i centri sociali sono in grado di portare 100mila persone in piazza e trasformarle in pericolosi rivoluzionari? Anche solo a guardare i numeri verrebbe da dire di no. Solo nel 1977, ad esempio, furono contati 2178 atti terroristici, tra attentati, molotov, scontri di piazza, sequestri, sparatorie, gambizzamenti. Quanti nel 2010?

Questo non significa sottovalutare la violenza, ma isolare la propaganda dai dati di fatto. Uno su tutti: la protesta nata contro il disegno di legge Gelmini e sfociata nelle manifestazioni di Roma di martedì scorso è figlia del distacco e dell’esclusione dalla politica molto più che della partecipazione, è rivolta e non rivoluzione. Come ha scritto Barbara Spinelli su questo giornale: “Sono un po’ stanca di sentire ricordati gli anni 70 e anche della frase “bisogna stare in guardia”. Dire “tutte le istituzioni facciano muro” significa solo che salta la pluralità delle istituzioni. Che tutte devono rispondere al comando di un unico capo. È la logica di un paese in guerra. Fare muro è un giudizio negativo sulla magistratura che ha appena scarcerato i giovani”. Di più, portare tutto il peso sull’ordine pubblico, significa “non voler risolvere i problemi”, ma evitare “solo che la vetrina sia rotta. Questo non è governare – aggiunge Spinelli – è la risposta per ottenere una buona reazione da un eventuale sondaggio. Anche quella dei politici che si sottraggono al confronto è violenza”.

Nella logica di nascondere i sintomi piuttosto che curare la malattia, insomma, i Gasparri e i La Russa impegnati nell’identificazione dei colpevoli insieme ai Maroni e gli Alfano che chiedono punizioni esemplari, contribuiscono al “muro contro muro” di matrice elettorale molto più di quanto scongiurano nuovi scontri. Per dirla ancora con Spinelli: “Oggi c’è una forma di ghettizzazione: è come se una generazione intera fosse chiamata negra. I luoghi cui accedono i politici devono accogliere anche i giovani, gli stessi che avranno come pensione 360 euro al mese. Penso alla tv, per esempio. E poi non ci devono essere restrizioni di manifestazione del pensiero sul web. I politici devono cominciare ad ascoltare, perché non sono di fronte a terroristi. Penso alle dichiarazioni dei giovani nella rivolta delle banlieue parigine. Dicevano in tv: “Noi non riusciamo a parlare”.

Del resto, che la protesta non abbia una voce, ma nemmeno una guida e una regia è stato evidente anche nel suo svolgimento proprio martedì. Prendiamo l’esempio di Cristiano, il ragazzo di 15 anni che si è trovato una frattura al setto nasale, un ematoma e un trauma cranico per avere lanciato una mela all’indirizzo degli agenti, colpito al volto dal casco di un altro manifestante. Paragoniamo questa scena ai cortei della Fiom e della Cgil – ecco la politica in piazza – con i suoi servizi d’ordine interni, organizzati ed efficienti. Oppure i fotogrammi di un manifestante armato di un bastone che si scaglia da solo contro un agente. Uno o due colpi dà, cento ne prende, prima di essere sopraffatto da una decina di agenti che lo manganellano a terra. Non è un eroe e certamente va “condannato”, ma di sicuro le sue azioni somigliano più alla rabbia cieca di un disperato senza futuro che alla logica dell’agguato delle Br. Con buona pace del teorema Gasparri.

Lega, sicurezza: finiscono i soldi, scompare il problema.



Nel bilancio della regione Veneto la sicurezza scompare dai capitoli di spesa. Emergenza finita? Per i politici sì, ma in realtà sono i soldi ad essere finiti

Nella patria dei sindaci sceriffi, delle ronde, delle campagne elettorali passate più a parlare di immigrati che di politica, la sicurezza non è più un problema. Almeno, non lo è per la Lega. Siamo in Veneto e, dopo l’approvazione di un bilancio “lacrime e sangue”, come l’ha definito il governatore (leghista) Luca Zaia, che assegna zero euro al tema della sicurezza, a dare l’annuncio di un problema che non esiste più è il capo del partito, la Liga Veneta, Gian Paolo Gobbo, ascoltato come un vate in Nordest e secondo per preferenze (quando c’erano) solo aUmberto Bossi.

“Soldi non ce ne sono”, ha detto Gobbo. “La madre di tutto è il federalismo e tutto il resto va da sé, per cui si cerca di fare il meglio con quello che si ha. Non so se verranno tempi migliori, ma oggi come oggi la situazione è questa. Per cui quello che si può fare, si fa. Per il resto invece, se non ce n’è, non ce n’è. Sociale e sanità sono stati salvaguardati e credo che già questo sia molto importante. Dopodiché evidentemente la sicurezza non è più un’emergenza in Veneto”.

Un cambio storico per la Lega. Difficile, nella prossima campagna elettorale, continuare a stuzzicare gli umori col problema della sicurezza, con questi immigrati che rubano e sono un peso per la società. E singolare è che a dirlo sia proprio Gobbo che, per colpa dei “ladri” venuti da lontano ha sulle spalle un’imputazione per banda armata. Ma Gobo non è il solo. Gobbo, a gennaio è stato rinviato a giudizio insieme a 36 militanti e esponenti della Lega Nord nell’inchiesta della procura della Repubblica di Verona riguardo le Camicie Verdi e la Guardia Nazionale Padana. L’inchiesta è stata avviata per indagare su fatti risalenti al periodo 1996/97, secondo l’accusa quella delle Camicie Verdi sarebbe stata un’associazione a carattere militare e quella cosa chiamata Guardia nazionale padana sarebbe stata istituita con il solo scopo di organizzare la secessione del Nord dal resto d’Italia”. Ma i 36 della Lega probabilmente non verranno mai condannati, visto che dallo scorso 9 ottobre il reato di banda armata è stato depenalizzato. Se Gobbo lascia un piccolo margine d’interpretazione alle sue parole (“evidentemente non è più un problema”) è molto più esplicito Gianpaolo Vallardi, il leghista che i pattugliamenti dei cittadini se li è praticamente inventati: “La sicurezza per noi sarà sempre uno dei temi principali. Ma dopo due anni di governo Berlusconi possiamo dire che il Veneto adesso vive una situazione felice”.

Tutti parlano, nessuno presenta dati credibili. Ma è politica, of course. Sicuramente la Lega, “il partito della gente”, non ha fatto i conti con quello che ha detto l’Istat dieci giorni fa durante la presentazione del rapporto su “Reati, vittime e percezione della sicurezza”, secondo cui è diminuito negli ultimi anni il numero di italiani che si sentono “molto sicuri”, e le zone di maggiore criticità risultano Campania, Lazio e Puglia al sud e, appunto, il Veneto per le regioni del nord. “Nel territorio”, spiega l’Istat, “emergono alcuni luoghi di maggiore criticità: la Campania, il Lazio e la Puglia si posizionano sempre nei livelli più alti della graduatoria sia rispetto ai reati subiti, che al timore di subirli nonché in relazione alla percezione di insicurezza e al degrado della zona.

Tra le regioni del nord invece è il Veneto a mostrare i “livelli più elevati di paura tra i cittadini“. I reati per cui è cresciuta la preoccupazione sono rapine e aggressioni, scippi e borseggi, e soprattutto le violenze sessuali, di cui ha paura più del 50% delle donne. E’ cresciuta l’influenza della criminalità sulle abitudini di vita, salita dal 46,3% al 48,5%. Tra i cambiamenti di questi anni, il miglioramento del giudizio sul lavoro delle forze dell’ordine, apprezzate in egual misura da nord a sud. Di conseguenza, se ne deduce, che non siano le ronde a risolvere i problemi né Berlusconi con la bacchetta magica, ma forze qualche merito ce l’hanno le forze dell’ordine, nonostante anche loro siano alla canna del gas e in aperta contestazione di questo governo. E comunque la percezione della sicurezza in Veneto è un problema che rimane serio.

D’altronde Zaia è stato chiaro fin dall’inizio nel presentare il bilancio ai suoi alleati: “Soldi non ce ne sono, riduciamo tutto, ma la sanità non si tocca. La Sicurezza, che ha anche un assessorato, avrebbe dovuto prendere qualche fondo in meno, ma alla fine, con una coperta corta, è finita a zero euro. E come per magia si è risolto il problema.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/12/19/la-lega-e-il-problema-sicurezza-irrisolto/82782/